Cassazione Penale, Sez. 4, 27 novembre 2023, n. 47401 - Caposquadra travolto da una porzione di parete dello scavo durante i lavori di realizzazione di un tratto di fognatura



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. RICCI A.L.A. - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 14/10/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI NARDO.

 

Fatto


1. Con sentenza in data 14.10.2022 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Alessandria del 14.1.2021 che aveva dichiarato A.A., in qualità di datore di lavoro ed amministratore della B. Spa e B.B., in qualità di preposto al cantiere, colpevoli del reato di cui agli artt. 113, 589 c.p., commi 1 e 2, condannandoli alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno, valutate in regime di prevalenza le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena agli stessi inflitta a mesi tre di reclusione confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Il presente procedimento trae origine dall'infortunio verificatosi in data (Omissis), che ha determinato il decesso di C.C., dipendente di B. Spa presso il cantiere in .

Sulla base degli accertamenti effettuati dagli Ispettori dello Spresal e dai Carabinieri intervenuti nell'immediatezza del fatto nonchè attraverso le dichiarazioni rese dai lavoratori presenti sul posto, si ricostruiva che, durante i lavori di realizzazione di un tratto di fognatura in (Omissis), oggetto dei lavori appaltati alla B. Spa mentre il C.C. stava tentando di posizionare un tubo lungo sei metri in uno scavo profondo quattro metri operando in una zona che era al di fuori delle protezioni che invece erano lunghe solo m. 2,5, veniva travolto da una porzione di parete verticale dello scavo che si era staccata e lo aveva investito seppellendolo completamente.

In particolare il teste D.D. riferiva che quel giorno il C.C., che era caposquadra e come tale tenuto a disporre le paratie, era sceso per spostare una tavoletta che sporgeva mentre le altre volte era sempre stato spostato il blindo in avanti in modo da operare in zona sicura.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che, anche ammettendo che si potesse utilizzare un solo blindo spostandolo in avanti a seguire l'andamento dei lavori, certamente non poteva essere rimessa al C.C., la decisione relativa al momento ed alle modalità di spostamento della paratia che avrebbe dovuto tutelare la sua stessa salute. Il blindo doveva essere costantemente spostato in corrispondenza dell'avanzamento dei lavori, in modo tale da non lasciare alcuna zona di lavorazione esposta a rischi ed a presidiare tale utilizzo doveva essere un soggetto diverso da quello impegnato all'interno dello scavo, proprio al fine di prevenire la stessa imprudenza di questi.

Ha rimarcato che se la zona di lavorazione rimane fuori dal blindo posto a tutela dell'incolumità dei lavoratori è prevedibile che costoro, impegnati in compiti esecutivi e non già di direzione e sorveglianza, si spingano inavvertitamente laddove esiste un pericolo di seppellimento come è avvenuto nella specie.

Ha altresì rilevato che le prescrizioni del POS non erano sufficientemente specifiche e chiare nell'indicare che per lavorare in sicurezza prima di calare la tubazione doveva essere collocato un numero sufficiente di blindi per armare completamente il tratto di trincea corrispondente alla lunghezza del manufatto da posizionare, così da consentire al lavoratore di operare al sicuro nell'evenienza di un crollo. Nel POS si indicava solamente di provvedere man mano che procedeva lo scavo nell'applicazione delle necessarie armature di sostegno nè risulta che le procedure operative elaborate prevedessero in modo specifico di armare la trincea mettendo in perfetta sicurezza una porzione sufficientemente ampia per garantire protezione a chi dovesse scendere in trincea per intervenire e correggere la posizione del tubo.

Il giudice di appello nel confermare l'impianto motivatorio della sentenza di primo grado, ha ritenuto profilo assorbente la mancata predisposizione di adeguate cautele per scongiurare il rischio di seppellimento/sprofondamento insito nei lavori di scavo, non essendo sufficiente aver raccomandato ai lavoratori di non andare nella zona non protetta precisando che, anche a volere ritenere un concorso di colpa della persona offesa, perchè tale condotta possa considerarsi concretizzazione di un rischio eccentrico con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina ed al governo del rischio di comportamento imprudente così che solo in tal caso l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore.

Con specifico riferimento alla posizione del B.B., si è ritenuto che lo stesso, nella sua qualità di preposto del cantiere, aveva omesso di sovraintendere e vigilare che il blindaggio della trincea venisse eseguito in modo tale da garantire all'interno dello scavo un sufficiente spazio protetto rispetto alla lunghezza della tubazione già posata che è risultata sporgere di un metro dalla zona armata protetta ed inoltre che nessuno dei lavoratori accedesse all'interno della trincea dove le opere provvisionali non erano state correttamente montate.

3. Avverso la sentenza d'appello l'imputato A.A., a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un motivo con cui deduce la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all'art. 192 c.p.p..

Si assume che la sentenza impugnata, come quella di primo grado, non ha proceduto ad una corretta valutazione della posizione dell'imputato ed in particolare non ha tenuto conto della esigibilità da parte del medesimo delle condotte di cui si lamenta l'omissione.

A riguardo si rileva che l'impresa B. non ha fatto altro che seguire il progetto realizzato dall'Ing. F.F., progettista dell'opera e direttore dei lavori, che, a sua volta, si basava su uno studio geologico a firma del geologo G.G..

Si rileva altresì che nel progetto alla base dei lavori di potenziamento della fognatura non si menzionava la presenza di un manufatto, ovvero un muro di sostegno, che è stato l'antecausa dell'evento avendo comportato lo sbancamento di un adeguato volume di terreno.

Nel POS non poteva che essere scritto che le paratie dovevano essere collocate "man mano che lo scavo procede" proprio in ossequio al progetto dell'Ing. F.F. sicchè non pare esigibile una condotta diversa da parte del datore di lavoro.

Si assume altresì che le scelte gestionali del datore di lavoro erano ineccepibili in quanto lo stesso ha fatto in modo che la sua società desse corretta esecuzione al progetto elaborato dall'Ing. F.F.; inoltre il A.A., non si trovava sul luogo dell'infortunio al momento del sinistro mentre vi era un preposto al cantiere. Inoltre non risulta che si fosse instaurata alcuna prassi contra legem.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

5. La difesa dell'imputato ha depositato conclusioni scritte.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile per plurimi profili.

In primo luogo, sotto l'egida del vizio motivatorio, la censura si traduce in una rivisitazione delle risultanze istruttorie essendo invece preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili rispetto a quelli adottati dal giudice di merito.

Per altro verso la censura reitera analoga doglianza proposta come motivo di appello in ordine alla quale la Corte territoriale si è compiutamente pronunciata fornendo una risposta logica ed esauriente.

A riguardo va ribadito il principio più volte chiarito da parte di questa Corte di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 24383801).

2. La tesi nuovamente agitata dalla difesa dell'imputato, secondo cui il A.A. nella realizzazione dello scavo per i lavori di potenziamento e di rifacimento della fognatura in Località (Omissis) non avrebbe fatto che recepire il progetto redatto dall'Ing. G.G. e che tale progetto non aveva evidenziato che il terreno ai due lati dello scavo avesse diverse consistenze (in quanto da una parte il terreno era vergine mentre dall'altro era più fragile), viene puntualmente confutata dalla sentenza impugnata la quale chiarisce che detto profilo non incide sulla necessità che le opere di muratura dovessero essere eseguite in modo tale da scongiurare in ogni caso il rischio di seppellimento e sprofondamento, tipico dei lavori di scavo.

Il profilo assorbente che, nell'iter motivatorio della sentenza impugnata, fonda, invece, la responsabilità dell'odierno ricorrente si individua nella mancata predisposizione di adeguate tutele per scongiurare il rischio di seppellimento /sprofondamento.

Si è invero evidenziato che le prescrizioni del POS in ordine alle misure tecniche di prevenzione del rischio di seppellimento non erano sufficientemente specifiche e chiare limitandosi ad indicare di provvedere man mano, che procedeva lo scavo all'applicazione delle necessarie armature di sostegno, omettendo quindi di prescrivere che per lavorare in sicurezza prima di calare la tubazione doveva essere collocato un numero sufficiente di blindi per armare completamente il tratto di trincea corrispondente alla lunghezza del manufatto da posizionare, così da consentire al lavoratore di operare al sicuro nell'evenienza di un crollo.

Nè comunque dal contributo dichiarativo dei testi risulta che le procedure operative elaborate prevedessero in modo specifico di armare la trincea mettendo in sicurezza una porzione sufficientemente ampia in modo da garantire protezione a chi dovesse scendere nello scavo.

Nel caso specifico erano stati collocati solo due blindi dei tre a disposizione per una lunghezza totale di cinque metri mentre la tubazione pari a sei metri fuoriusciva di un metro dalla zona armata creando quindi una zona non protetta. A ciò si aggiunga che "in caso di infortunio sul lavoro per omesso approntamento delle armature di sostegno di uno scavo profondo oltre un metro e mezzo, può essere esclusa la responsabilità del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti solo quando l'evento si sia verificato per cause occulte o lesioni interne del terreno preventivamente non riconoscibili nè verificabili da tecnico specializzato tramite consulenza" (Sez. 4, n. 11132 del 19/12/2014, dep. 2015, Stafetta, 12v. 262704). Questo principio, che è stato affermato con riferimento ad una ipotizzata violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 119, (che riguarda scavi di pozzi o trincee), opera anche con riferimento al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 118 comma 2. Le due norme, infatti, sono espressione del medesimo criterio di cautela, secondo il quale il pericolo di seppellimento dei lavoratori conseguente a frane e smottamenti è insito nelle operazioni di scavo, salvo che il terreno dia tali garanzie di stabilità da consentire di escluderlo e l'evento si sia verificato per cause occulte.

Ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 119, nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere man mano che procede lo scavo, all'applicazione delle necessarie armature di sostegno.

Alla stregua di quanto fin qui esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.
 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2023