T.A.R. Marche Ancona, Sez. 1, 02 dicembre 2023, n. 793 - Presupposti di configurabilità del mobbing



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 573 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Discepolo, Moira Mercanti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Ancona, Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale Marche Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Ancona, domiciliataria ex lege in Ancona, corso Mazzini, 55;

per

ottenere

la condanna delle Amministrazioni convenute, per quanto di rispettiva competenza, al risarcimento di tutti i danni subiti dalla Sig.ra -OMISSIS-, a seguito del comportamento illegittimo e contrario a correttezza e buona fede mantenuto dalle resistenti nei confronti della dipendente nell''ambito del rapporto di lavoro in relazione alle circostanze esposte in ricorso, nell'' importo che si indica prudenzialmente nella somma di euro 200.000,00 o in quella maggiore o minore che verrà accertata in corso di causa o liquidata in via equitativa da questo Ill.mo Giudice adito. Con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Ancona e di Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale Marche Ancona;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2023 il dott. Fabio Belfiori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 

FattoDiritto


Con il ricorso all'esame del Collegio, la ricorrente, già assistente capo coordinatore della Polizia di Stato, in servizio sin dal 1991 e dal 2020 dispensata per motivi di salute, domanda risarcimento del danno a seguito di condotte ritenute illegittime e contrarie a buona fede, da parte del datore di lavoro, asseritamente tenute nel periodo compreso tra la fine del 2018 e il 2021 (precisamente a cominciare dal 15 dicembre 2018, cfr. pagg. 3 e 49 del ricorso) e ritenute configuranti mobbing (pag. 53 del ricorso).

Nel ricorso si afferma che le condotte vessatorie dell'Amministrazione nei suoi confronti sarebbero scaturite da problematiche inerenti la fruizione di permessi ex L. n. 104 del 1992 per assistenza, nonché ex D.Lgs. n. 151 del 2001.

La fruizione dei ridetti permessi è stata oggetto di contenzioso definito mediante la sentenza di questo Tribunale n. 514/2020, passata in giudicato, favorevole alla ricorrente, con cui è stato stabilito il diritto alla fruizione dei permessi così come dalla stessa richiesti.

Delle dedotte condotte vessatorie, farebbe parte, altresì, il trasferimento di ufficio di assegnazione a decorrere dal 18 marzo 2019, anche questo oggetto di ricorso giurisdizionale, esitato nella sentenza di questo Tribunale n. 515/2020, che ha rigettato il ricorso.

Sentenza appellata e riformata dal Consiglio di Stato, con pronuncia della sez. II, 15 novembre 2023, n. 9801, con cui è stata affermata l'illegittimità per difetto di motivazione del ridetto trasferimento e sulla quale si tornerà infra.

Occorre rilevare che il deposito (tardivo) nel presente giudizio di tale sentenza del Consiglio di Stato (sopravvenuta al passaggio in decisione della presente causa), è stato oggetto di specifica richiesta di parte ricorrente, respinta con D.P. n. 249 del 2023 che ha, tuttavia, precisato come tale provvedimento giurisdizionale può essere conosciuto dal Collegio "anche d'ufficio (in quanto acquisito al sistema SIGA) avvalendosi della facoltà assentita dall'art. 75, comma 2, del codice, secondo il quale la decisione della controversia (dopo la discussione) può essere differita a una delle successive camere di consiglio". Ciò che è avvenuto nella specie.

Ciò posto, la ricorrente, nel ricostruire la vicenda, ricomprende nelle condotte vessatorie, anche questioni relative a comunicazioni (di circolari e di esiti di ricorsi gerarchici dalla stessa precedentemente proposti) e notificazioni (alcune delle quali ritenute scorrette, per essere state effettuate presso la propria abitazione, oppure per essere state anticipate da richieste di immediata presenza in servizio in giorni di congedo) di provvedimenti relativi alla gestione del suo rapporto di lavoro.

Viene allegato, anche, mobbing orizzontale, affermando che la "persecuzione" di cui era vittima da parte dei vertici dell'ufficio di appartenenza, aveva influenzato alcuni colleghi, i quali, si dice, per evitare problemi con la dirigenza preferivano ignorarla.

La ricorrente rappresenta, altresì, che anche le modalità di valutazione della sua prestazione lavorativa, ha fatto parte delle condotte scorrette tenute dal datore di lavoro. Viene, sotto questo profilo, posto in evidenza che "la stessa valutazione annuale che nel 2018 è risultata molto più bassa rispetto ai precedenti anni, tanto che in parte con ricorso gerarchico il punteggio è stato aumentato. Anche questa circostanza si pone a sostegno di quanto indicato circa il clima di ostilità creato".

Così come avrebbe fatto parte delle condotte scorrette del datore di lavoro, anche l'accusa di aver rimosso dal proprio computer di servizio, informazioni relative all'impiego.

Anche l'erronea decurtazione stipendiale subita a decorrere dal febbraio 2020, motivata con assenza per malattia, farebbe parte di tale scorretto comportamento (si dice, in proposito "il Compartimento aveva comunicato al competente ufficio contabile della Questura fatti errati che hanno determinato la decurtazione dello stipendio per 6 mesi"; nella specie, si afferma, non era stata comunicata la pendenza della causa di servizio, pendenza che avrebbe impedito la ridetta decurtazione stipendiale).

A seguito delle condizioni lavorative createsi, la ricorrente deduce danno biologico e danno esistenziale, legato alla lesione alla propria professionalità.

In particolare, quanto al danno biologico, afferma che in occasione di una notificazione di atti inerenti il proprio rapporto di lavoro (si dice in proposito che "venivano inviati utilizzando l'indirizzo PEC in uso a tutto il personale del Compartimento e non quello "riservato", dedicato alla Segreteria ed accessibile ai soli addetti di quell'Ufficio. Ciò rendeva quindi conoscibile il contenuto delle due note a tutto il personale del Compartimento, mettendo quindi in cattiva luce la Sig.ra -OMISSIS- che agli occhi dei suoi colleghi veniva trasferita improvvisamente per fatti illeciti desumibili dalla lettura della nota n.1107 e quindi diveniva "bersaglio" della dirigenza con il conseguente isolamento della stessa, avvenuta in modo pressante e vessatorio"), il 28 gennaio 2019, quale conseguenza della situazione lavorativa nel complesso creatasi, la ricorrente accusava un "malore", con alterazione della pressione arteriosa.

La stessa allega al ricorso 42 documenti inerenti esiti di visite mediche, relazioni cliniche e risultati di esami di laboratorio successivi a tale data, inerenti patologie cardio vascolari, oculistiche, urologiche e psicologiche, da, asseritamente, connettersi alle vicende ritenute vessatorie, sinteticamente qui descritte.

Deduce nesso eziologico tra condotta ritenuta vessatoria del datore di lavoro e tali patologie, compreso il danno esistenziale. Quindi, domanda risarcimento del danno stimato in euro 200.000 e chiede CTU medica e contabile per la sua quantificazione puntuale.

Si è costituita per resistere l'Amministrazione in epigrafe, difendendosi con documenti e memoria.

All'udienza dell'11 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso va respinto per le ragioni seguenti.

Occorre ribadire che "costituisce principio ormai consolidato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 1413/2015 e nn. 1388 e 856 del 2012, nonché Sez. III, n. 4105/2014; Sez. IV, n. 4135 e n. 1609 del 2013) quello secondo cui "per mobbing, in assenza di una definizione normativa, si intende normalmente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica. Ne deriva che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio; la condotta (mobbizzante) del datore di lavoro va esposta nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi davanti al giudice a genericamente dolersi di esser vittima di un illecito (ovvero ad allegare l'esistenza di specifici atti illegittimi), ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo, anche con i suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione, in quanto, la pur accertata esistenza di uno o più atti illegittimi adottati in danno di un lavoratore non consente di per sé di affermare l'esistenza di un'ipotesi di mobbing laddove il lavoratore stesso non alleghi ulteriori e concreti elementi idonei a dimostrare l'esistenza effettiva di un univoco disegno vessatorio o escludente in suo proprio danno", (Cons. Stato, Sez. II, n. 4982/2022).

La configurabilità del mobbing richiede, quindi, sotto il profilo soggettivo, una strategia unitaria, in attuazione della quale il datore di lavoro deve realizzare "una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio" (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez, II, n. 4671/2022 e n. 862/2021 e l'ulteriore giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di cassazione ivi richiamata).

In altri termini, un singolo atto illegittimo, o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, di per sé considerati, non sono necessariamente sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante, quale innanzi delineato.

Come affermato dalla Sezione, occorre a tal fine il riscontro di un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo ma doloso, cosicché "in caso di denunziato mobbing si può ritenere sussistente l'illecito solo se si accerti che l'unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall'eventuale prevedibilità e occorrenza in concreto di simili effetti. Una restrizione del genere, se permette per un verso di rinvenire nel mobbing un'ulteriore manifestazione del divieto di agire intenzionalmente a danno altrui, che costituisce canone generale del nostro ordinamento giuridico e fondamento dell''exceptio doli generalis', consente per altro verso di escludere dall'orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o perfino conflittuali, affatto connesse alla fisiologia del rapporto di lavoro" (così Cons. Stato, Sez. II, n. 862/2021, cit.; in termini, ancor più di recente, Sez. II, n. 4982/2022 e n. 6534/2022), (Consiglio di Stato sez. II, 19/12/2022, n. 11050).

Richiamati tali principi, occorre rilevare che nella vicenda per cui è causa difettano vari elementi costitutivi del mobbing, così come dalla giurisprudenza delineati.

In primo luogo l'orizzonte temporale della vicenda all'esame del Collegio non pare sufficientemente prolungato per configurare la sistematica e reiterata adozione di atti o condotte, idonea a integrare l'ipotesi di mobbing lavorativo.

In verità, infatti, si tratta di un periodo che va dal 15 dicembre 2018 (per stessa affermazione di parte) al 14 luglio 2020 (data in cui la ricorrente è stata dispensata dal servizio); circa un anno e mezzo, dunque, durante il quale la ricorrente ha discontinuamente prestato attività lavorativa, per aver fruito di congedi ex lege previsti e sopra menzionati.

Inoltre, quanto agli atti incidenti sulla gestione del rapporto di lavoro, relativi alla fruizione dei congedi per assistenza e al trasferimento di ufficio, la cui illegittimità è stata accertata (rispettivamente con sentenza n. 514/2020 di questo Tribunale e con sentenza n. 9801/2023 del Consiglio di Stato), occorre ribadire, come sopra esposto, che ancorché siano riscontrabili più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, ciò non necessariamente è sintomatico della presenza di un comportamento mobbizzante.

Peraltro, con statuizioni non riformate in appello, il Giudice di prime cure, nella sentenza n. 515/2020 ha escluso espressamente l'elemento soggettivo della colpa in capo all'Amministrazione, con riferimento alla originariamente negata fruizione dei permessi, alla luce dei rilievi sollevati dalla Ragioneria territoriale in tema.

La recente sentenza, sopra citata, del Consiglio di Stato, n. 9801/2023, che ha riformato la sentenza di questo Tribunale n. 515/2020, con riferimento al provvedimento con cui è stato disposto il contestato trasferimento, inoltre, ha rilevato (così testualmente) "senza dubbio una grave e insanabile deficit motivazionale, comportante l'illegittimità degli atti contestati per violazione dell'art. 44 del D.P.R. n. 782 del 1985 e del più generale principio recato dall'art. 3 della L. n. 241 del 1990. La riscontrata illegittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati per motivazione apparente e comunque totalmente carente implica di per sé il loro annullamento, con conseguente assorbimento di ogni altra deduzione e questione, comprese quelle attinenti al prospettato indiretto al lamentato carattere di demansionamento e punitivo del trasferimento)".

Dunque, dalla pronuncia del Giudice dell'appello, che in virtù dell'assorbimento della questione relativa al presunto carattere punitivo del trasferimento, non si è pronunciato nel merito, non è possibile trarre argomenti a favore (o a sfavore) del dedotto carattere punitivo dell'atto di movimento di personale.

Infatti, l'accertamento dell'illegittimità del trasferimento e il suo conseguente annullamento, per grave difetto di motivazione, non necessariamente equivale a qualificarlo come avente carattere punitivo. Carattere, viceversa, escluso dal Giudice di prime cure (che aveva affermato come "la possibilità di adibire l'interessato ad altro incarico equivalente nella stessa sede di servizio, tale opzione ben può essere percorsa dall'amministrazione, senza che ciò equivalga ex se ad un trasferimento "punitivo"), con statuizione non riformata sul punto.

Né, ad ogni modo, la natura punitiva del trasferimento è oggetto di questo giudizio, essendo lo stesso focalizzato sul più complesso danno ritenuto da mobbing, nell'economia del quale, come ridetto, non assumono valenza dirimente eventuali provvedimenti illegittimi adottati dal datore di lavoro.

I restanti fatti (su alcuni dei quali, consistendo in meri comportamenti, è dubbia la giurisdizione di questo Giudice, cfr. Consiglio di Stato sez. III, 27 febbraio 2019, n. 1371), ancorché posti in connessione con quelli menzionati, paiono potersi ricondurre, al più, a sporadiche situazioni conflittuali fisiologiche nei rapporti di lavoro, piuttosto che a un disegno persecutorio preordinato a creare un danno alla ricorrente.

Disegno ed elemento psicologico di cui è mancata, comunque, la prova sufficiente in giudizio.

Anche il nesso eziologico è risultato indimostrato.

In primo luogo, poiché scarse informazioni emergono in atti circa lo stato di salute della ricorrente antecedente il gennaio 2019; in secondo luogo perché le patologie cardio circolatorie e psicologiche dedotte (connesse alle ulteriori, descritte come conseguenza delle prime), in assenza di prove in senso contrario, potrebbero ragionevolmente ricondursi anche alle specifiche condizioni familiari e personali che avevano originato la richiesta e fruizione dei ridetti congedi, già oggetto della citata sentenza n. 514/2020 (con riferimento al mobbing e all'esigenza di non sottovalutare, specie in ambito militare e di polizia, il "concorso" del lavoratore nella determinazione di situazioni conflittuali, cfr. la citata sent. Cons. di Stato n. 1371/2019).

Inoltre, emerge dall'esito della visita endocrinologica del 2 settembre 2021 (cfr. deposito del 4 ottobre 2022 della ricorrente) che sin dal 2018 (quindi prima del fatto del 28 gennaio 2019, indicato quale prima manifestazione patologica del ritenuto stress lavorativo da mobbing) la ricorrente accusava "crisi ipertensiva sintomatica per cefalea e cardiopalmo", in relazione alla quale veniva accertata diagnosticamente ipertensione arteriosa.

Quanto all'ipertensione arteriosa emerge, inoltre, dal verbale di pronto soccorso Inrca del 29 gennaio 2019 (allegato n. 38 al ricorso), che la ricorrente era a quella data già in trattamento per tale patologia e, sulla base della suddetta certificazione relativa alla visita endocrinologica, emerge altresì una familiarità per la stessa, sia da parte di madre che di padre.

Ad ogni modo, a seguito dell'evento indicato come prima manifestazione patologica del mobbing, la paziente veniva dimessa a domicilio, con la seguente diagnosi "tachicardia sinusale in soggetto ansioso" (cfr. all.to n. 38 ridetto).

Occorre rilevare, altresì, la quanto meno dubbia riconducibilità alla situazione lavorativa descritta di alcune patologie oggetto di certificazioni allegate, quali la sacroileite o le patologie ginecologiche (sotto quest'ultimo profilo emerge in atti l'effettuazione di un intervento di miomectomia nel 2016, ben prima, dunque, dell'inizio del periodo caratterizzato dal dedotto mobbing; cfr. doc. 2 settembre 2021 deposito sopra citato; emerge altresì, ex actis, i.e. verbale di pronto soccorso sopra citato, una recidiva della patologia).

In sintesi, malgrado la dettagliata e meticolosa ricostruzione della vicenda e la corposa documentazione versata in atti, nel caso all'esame non è configurabile quel comportamento datoriale "miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio", richiesto per potersi configurare un caso di mobbing.

Al più pare possano configurarsi difetti di comunicazione, criticità organizzative, malintesi, non adeguata cura delle relazioni interpersonali o del benessere organizzativo d'insieme, i quali innestati su di una situazione familiare delicata, possono aver portato alla loro amplificazione negativa nella percezione della ricorrente.

Peraltro, alcune delle disfunzioni organizzative denunciate, sono state corrette con gli strumenti previsti dall'ordinamento o in sede gerarchica, come nel caso della decurtazione stipendiale non dovuta per pendenza di causa di servizio oppure come nel caso della valutazione della prestazione lavorativa relativa al 2018.

Tali fatti, pur potendo astrattamente costituire elementi di danno evento, non necessariamente lo sono anche di danno conseguenza (che, comunque, andrebbe provato, assieme alla colpa non scusabile dell'Amministrazione), sicuramente non paiono epifania di un intento vessatorio unitario avente quale unico scopo quello di perseguitare e danneggiare la ricorrente.

Parimenti, occorre osservare che l'illegittimo trasferimento subito, pur potendo astrattamente assumere rilevanza ai sensi e fini di quanto previsto dall'art. 30 commi 2 e 3 c.p.a., non incide sulla ritenuta, in questa sede, non configurabilità di una ipotesi di mobbing.

Né, per le ragioni anzidette, le patologie di cui soffre la ricorrente possono essere eziologicamente connesse, in modo più probabile che non, alle condotte dell'Amministrazione nel ridotto arco temporale rilevante e indicato.

Non occorrono, dunque, né consulenza tecnica di ufficio medica, né contabile, al fine della decisione, difettando, nella specie gli elementi costitutivi tipici del mobbing, così come delineati dalla giurisprudenza.

Il ricorso va, pertanto, respinto.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni sufficienti per la compensazione delle spese

 

P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 196 del 2003 e all'art. 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'art. 2-septies del d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Ancona nelle camere di consiglio dei giorni 11 ottobre 2023 e 22 novembre 2023, con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Tommaso Capitanio, Consigliere

Fabio Belfiori, Referendario, Estensore