Tribunale Milano, Sez. Lav., 19 dicembre 2023, n. 4390 - Vaccino anti-Covid


 

Nota a cura di De Petro Roberto, in Studio Cataldi news, 03.01.2024, "Il datore di lavoro non può invocare l'art. 2087 c.c. per imporre il vaccino anti-Covid"


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO

Sezione lavoro

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, Luigi Pazienza, nella prosecuzione del verbale di udienza del 19.12.2023;

visto l'art. 429 c.p.c..;

pronuncia la seguente

SENTENZA

 



nella controversia individuale di lavoro

tra

xxx, rappresentata e difesa dall'Avv. R. De Petro;

e

"xxxx a r.l.", in persona del legale rappresentante pro - tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Francesco Fulgoni, Andrea Raffaelli e Domenico Segreti

FattoDiritto


Con ricorso depositato in data 10.05.2023 la xxx ha convenuto in giudizio la società resistente indicata in epigrafe formulando le seguenti conclusioni: " ritenere e dichiarare illegittima la mancata corresponsione alla ricorrente delle mensilità di stipendio, nonostante la riforma del giudizio di inidoneità, dal 4.6.2021 al 1.8.2021; disapplicare, ovvero ritenere e dichiarare illegittima, annullata o nulla per i motivi spiegati in narrativa, la sospensione della ricorrente a partire dal giorno 10.10.2021 fino alla data di licenziamento; disapplicare, ovvero ritenere e dichiarare illegittimi, annullati o nulli le note di contestazione di infrazione disciplinare del 21.11.2022, notificate con raccomandata n.(...); annullare ovvero dichiarare nullo il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato da parte resistente alla sig.ra xxx, notificato con lettera raccomandata n.(...) consegnata il 10.12.2022 (all.5), per i motivi suesposti. Per l'effetto: condannare il datore di lavoro resistente a pagare in favore Euro 44.108,29 per mensilità non retribuite, liquidati giusta ctp (all.134), ovvero diversa somma accertanda, previa eventuale ctu, fino all'effettivo soddisfo; b) Euro 41.688, calcolati moltiplicando l'importo della retribuzione unitaria (all.135) per 36 mensilità (Euro 1.158 x 36) a titolo di indennità di licenziamento illegittimo, ovvero risarcimento danni, per un totale di Euro 85.796,29, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese, competenze, anticipazioni ed onorari di causa".

Si costituiva in giudizio la società resistente chiedendo il rigetto delle domande.

La prima domanda formulata dalla ricorrente è fondata e merita di essere accolta, mentre devono essere rigettate le domande ulteriori.

1.Con riferimento alla prima sospensione, questo Giudice ritiene condivisibili le argomentazioni del dott. C., dirigente della A. 4 di C., il quale, riformando in sede di ricorso ex art. 41 del D.Lgs. n. 81 del 2008 il giudizio di inidoneità del medico competente, ha rilevato che " i soggetti obbligati al vaccino sono gli operatori sanitari, ossia gli esercenti le professioni indicate nell'articolo 1, comma 2, L. 1 febbraio 2006, n. 43: l'articolo 1, comma 2, L. 1 febbraio 2006, n. 43 rinvia alla L. 10 agosto 2000, n. 251 e al D.M. del Ministero della Sanità 29 marzo 2021. Tra le categorie professionali ivi indicate non rientrano gli addetti alle pulizie. Gli addetti alle pulizie, pertanto, non sono obbligati a vaccinarsi ed a costoro non si può applicare il D.L. n. 44 del 2021. In questo momento il datore di lavoro non si può procurare il vaccino anti COVID, perché esso non è un prodotto liberamente disponibile in commercio". Peraltro il datore di lavoro resistente non ha impugnato l'esito del ricorso ex art.41 comma 9 del D.Lgs. n. 81 del 2008, ma anzi vi ha dato esecuzione. Per tali ragioni, stante la inapplicabilità della disposizione normativa di cui all'art. 2087 c.c. invocata dalla resistente, la prima sospensione dal lavoro è illegittima e la società resistente è tenuta a corrispondere all'istante le retribuzioni relative al periodo dal 4.6.2021 al 1.8.2021.

Come risulta dal doc. 134 del fascicolo del ricorrente e dal doc.1 di parte resistente la xxxx a partire dal 31 ottobre 2018 ha lavorato alle dipendenze della società convenuta con contratto di lavoro part-time a 24,58 ore e ha percepito fino al momento della sospensione una retribuzione mensile lorda pari a Euro 751,78: tale somma va considerata ai fini del calcolo delle retribuzioni spettanti a parte ricorrente.

2.La seconda sospensione dal 10.10.2021 fino alla data del licenziamento è, invece, legittima.

In data 11 settembre 2021 è entrato in vigore il D.L. n. 122 del 2021, che ha modificato il D.L. n. 44 del 2021 e ha esteso, con effetto dal 10 ottobre 2021, l'obbligo vaccinale (già previsto per il personale sanitario e di interesse sanitario) a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgevano, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa in strutture residenziali, sociosanitarie e socioassistenziali. Dalla documentazione prodotta si evince che la società resistente, preso atto del mancato adempimento dell'obbligo vaccinale da parte della xxx, ha comun icato alla ricorrente, con lettera del 10 ottobre 2021, la sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino all'adempimento del ciclo vaccinale e, comunque, fino alla cessazione dell'obbligo di eseguire il vaccino. Ad ottobre 2022 è entrato in vigore il D.L. n. 162 del 2022 che ha fissato al successivo 1 novembre la cessazione dell'obbligo vaccinale.

A tale ultimo riguardo, i prospettati dubbi sulla legittimità costituzionale della scelta del legislatore non appaiono condivisibili.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 14 del 9.2.2023, ha effettuato un esame approfondito della legittimità costituzionale della scelta legislativa in relazione al parametro dell'art. 32 Cost. concludendo, alla luce delle evidenze scientifiche a disposizione del legislatore nella fase dell'emergenza epidemiologica, per la ragionevolezza e proporzionalità del disposto normativo e per la sua conseguente legittimità costituzionale, dichiarando "manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2, D.L. 1 aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui prevede, da un lato, l'obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall'altro lato, per effetto dell'inadempimento stesso, la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie. La scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non può ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili. Il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all'indennizzo...".

Nell'ampia ed esaustiva motivazione, la Corte ha evidenziato quanto segue " Nel merito, per la trattazione della prima questione sollevata in riferimento all'art. 32 Cost., occorre partire dalla ricostruzione dei criteri, ricordati dallo stesso giudice rimettente, alla luce dei quali questa Corte ha valutato la compatibilità con l'art. 32 Cost. di una legge impositiva di un trattamento sanitario. Essi, già elencati nella sentenza n. 258 del 1994, sono indicati come segue: "a) "se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale" (cfr. sentenza 1990 n. 307); b) se vi sia "la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili" (ivi); c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora L. n. 210 del 1992)". Da una lettura complessiva degli indicati criteri si evince che il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l'indennizzabilità. Questa Corte ha affermato con chiarezza che l'art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con il coesistente diritto degli altri e quindi con l'interesse della collettività (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

Come efficacemente espresso nella sentenza n. 218 del 1994, la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari".5.1.- Nell'ambito di questo contemperamento tra le due declinazioni, individuale e collettiva, del diritto alla salute, l'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione in quel principio di solidarietà che rappresenta "la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente" (sentenza n. 75 del 1992). 

È costante, nella giurisprudenza costituzionale, l'affermazione della centralità di tale principio, soprattutto in ambito sanitario, in considerazione del "rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività" (sentenza n. 307 del 1990): "in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno può essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico" (ancora sentenza n. 307 del 1990, richiamata anche dalla sentenza n. 107 del 2012).

5.2.- Sotto quest'ultimo profilo, questa Corte è sempre partita dalla consapevolezza che esiste un rischio di evento avverso anche grave con riferimento ai vaccini e, ancor prima, a tutti i trattamenti sanitari (sentenze n. 268 del 2017, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990). E ha, pertanto, sostenuto che, fino a quando lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche non consentirà la totale eliminazione di tale rischio, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera non irragionevole (sentenza n. 118 del 1996).

È stato, infatti, precisato che, "poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto" (sentenza n. 118 del 1996). Ci si trova di fronte a un rischio, "preventivabile in astratto - perché statisticamente rilevato - ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall'evento dannoso. In questa situazione, la legge che impone l'obbligo della vaccinazione ... compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate "scelte tragiche" del diritto ..." (sentenza n. 118 del 1996).

Da tale consapevolezza nasce, del resto, l'affermazione, costante da parte di questa Corte, in ordine all'indefettibilità del riconoscimento dell'indennizzo estesa anche in relazione alle vaccinazioni raccomandate (tra le tante, sentenze n. 118 del 2020 e n. 268 del 2017)...la giurisprudenza costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base dei ricordati criteri) che il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto ' come si è detto ' titolo per l'indennizzo. Non può, pertanto, condividersi la lettura che il Collegio rimettente dà della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha, per contro, affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie, che, al fine di tutelare la salute collettiva, possano comportare il rischio di "conseguenze

indesiderate, pregiudizievole oltre il limite del normalmente tollerabile" (sentenza n. 118 del 1996).

Ugualmente priva di riscontro nella giurisprudenza di questa Corte è l'affermazione che sarebbero tollerabili le reazioni avverse (unicamente) "nelle ipotesi del caso fortuito e imprevedibilità della reazione individuale". Il rimettente, partendo da ciò, esclude la ricorrenza di tali ipotesi nelle vaccinazioni in esame, in nome di "una certa omogeneità nella tipologia di eventi avversi segnalati dai vari Paesi". Invero - al di là della natura del tutto apodittica di tale ultimo assunto, privo di dati posti a suo supporto - questa Corte, nell'esaminare le leggi impositive di obblighi vaccinali, non ha mai introdotto questa sorta di "filtro", ma si è sempre attenuta ai dati scientifici relativi alla sicurezza del vaccino, rispetto ai quali non conta in sé l'omogeneità della tipologia di eventi avversi, quanto piuttosto l'incidenza a livello generale del loro manifestarsi anche in relazione alla loro gravità.

Del resto, proprio l'eventualità che si manifesti un evento avverso è la ragione della previsione dell'indennizzo che, a differenza del risarcimento del danno, spetta anche in presenza di un rischio imprevedibile rispetto al suo ricadere sulla specifica persona (sentenze n. 5 del 2018, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990).

Va quindi ribadito che tale conclusione non è scalfita dalla ravvisabilità del rischio di evento avverso, anche grave.

6.- Ciò premesso, la soluzione della questione sottoposta a questa Corte deve muovere da un suo corretto inquadramento e, in particolare, dalla individuazione della risposta che la Costituzione fornisce per le ipotesi in cui entrino in conflitto le due dimensioni, individuale e collettiva, della salute, contemplate dal ricordato art. 32 Cost. Come anticipato, talora il conflitto tra le due dimensioni può perfino condurre a che "il perseguimento dell'interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile" (sentenza n. 118 del 1996). È stato affermato espressamente che "tali trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 1994, con l'esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto" (ancora sentenza n. 118 del 1996).

In ipotesi di ineliminabile conflitto, si è affermato nella medesima pronuncia, la legge che impone l'obbligo della vaccinazione - come già

ricordato - "compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi e individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate "scelte tragiche" del diritto: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso, l'eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male (nel nostro caso, l'infezione che, seppur rarissimamente, colpisce qualcuno dei suoi componenti). L'elemento tragico sta in ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri. E ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche ... la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche".

È innegabile come tale (potenziale) conflitto tra il diritto alla salute del singolo e quello della collettività sia divenuto attuale in tutta la sua drammaticità di fronte al deflagrare di "un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari" (sentenza n. 37 del 2021). L'Organizzazione mondiale della sanità, con la dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l'epidemia da COVID-19 come un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale; successivamente, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale, con la dichiarazione dell'11 marzo 2020, è stata valutata come "pandemia". La delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, dal canto suo, ha dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, successivamente più volte prorogato sino alla cessazione disposta con il D.L. 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella L. 19 maggio 2022, n. 52.

A questa Corte spetta vagliare se, a fronte del rilevato conflitto, il legislatore abbia esercitato la propria discrezionalità nel rispetto dell'art. 32 Cost., e cioè operando un bilanciamento tra le suddette dimensioni del diritto alla salute non irragionevole e non sproporzionato rispetto alla finalità perseguita. ...Tale sindacato, dunque, essendo riferito alle scelte del legislatore, deve muoversi lungo due direttrici principali: la valutazione della situazione di fatto, cioè, nel caso in esame, della pandemia e l'adeguata considerazione delle risultanze scientifiche disponibili in merito all'efficacia e alla sicurezza dei vaccini.

7.- Quanto alla situazione di fatto, va osservato che le peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell'introduzione dell'obbligo vaccinale - e, cioè, la loro gravità e l'imprevedibilità del decorso (attestate dalla dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanità dell'11 marzo 2020, sopra ricordata) - comportano diverse conseguenze.

Innanzi tutto... tutte le volte in cui le due dimensioni entrano in conflitto, secondo la giurisprudenza sopra ricordata, il diritto alla salute individuale può trovare una limitazione in nome dell'interesse della collettività, nel quale trova considerazione il diritto (individuale) degli altri in nome di quella solidarietà "orizzontale", che lega ciascun membro della comunità agli altri consociati (sentenza n. 288 del 2019). I doveri inderogabili, a carico di ciascuno, sono infatti posti a salvaguardia e a garanzia dei diritti degli altri, che costituiscono lo specchio dei diritti propri: al legislatore tocca bilanciare queste situazioni soggettive e a questa Corte assicurare che il bilanciamento sia stato effettuato correttamente.

Ciò che la Corte può e deve verificare, pertanto, è, innanzitutto, se la scelta del legislatore di introdurre l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della L. n. 43 del 2006, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia suffragata e coerente, o meno, rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018), quali tratte dagli organismi nazionali e sovranazionali istituzionalmente preposti al settore.

E in questa scelta, come già affermato da questa Corte, "la tempestività della risposta all'evoluzione della curva epidemiologica è fattore decisivo ai fini della sua efficacia" (sentenza n. 37 del 2021). Do. effettuare una scelta tempestiva comporta che essa venga fatta, necessariamente, allo stato delle conoscenze scientifiche del momento e nella consapevolezza della loro fisiologica provvisorietà...D'altro canto, è innegabile che ogni legge elaborata sulla base di conoscenze medico-scientifiche è per sua natura transitoria, perché adottata allo stato delle conoscenze del momento e destinata ad essere superata a seguito dell'evoluzione medico-scientifica.

E però, di contro, proprio perché il legislatore deve esercitare la propria discrezionalità sulla base delle conoscenze medico-scientifiche fornite dalle autorità di settore al momento dell'assunzione della decisione, è fondamentale una piena valorizzazione della "dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario" (sentenza n. 5 del 2018). ..

Sul punto, si evidenzia sin d'ora che l'art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, ha subìto nel tempo diverse modifiche, in relazione tanto alle conseguenze legate all'inadempimento dell'obbligo vaccinale, quanto, soprattutto, all'individuazione della durata dell'obbligo.

E anzi, è l'intera disciplina relativa alla gestione della pandemia ad aver subito continue modifiche in risposta all'evoluzione della situazione sanitaria nonché delle conoscenze mediche. Basti pensare alle limitazioni imposte alla libertà di circolazione, al diritto allo studio e all'esercizio delle attività produttive e lavorative, che sono state nel tempo modificate e infine revocate, sempre sulla base dell'andamento della situazione epidemiologico- sanitaria e dell'evoluzione degli strumenti offerti dalla scienza medica per fronteggiarla.

In particolare, per quanto qui di più stretto interesse, la disposizione censurata, nella sua versione originaria (oggetto della questione in esame), prevedeva una precisa scadenza dell'obbligo vaccinale, fissata al 31 dicembre 2021. Tale termine è stato più volte modificato, proprio in base all'andamento dei contagi e all'evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipato (rispetto a quest'ultima data) al 1 novembre 2022.

Siffatta anticipazione è stata disposta con il D.L. n. 162 del 2022, come convertito, in considerazione, per quanto si legge nel preambolo dello stesso, "dell'andamento della situazione epidemiologica che registra una diminuzione dell'incidenza dei casi di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della trasmissibilità sebbene al di sopra della soglia epidemica e della necessità di riavviare un progressivo ritorno alla normalità nell'attuale fase post pandemica, nella quale l'obiettivo da perseguire è il controllo efficace dell'endemia".

A ciò si aggiunga che, con specifico riferimento al sistema di monitoraggio per le reazioni conseguenti ai vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, da un lato sono stati predisposti specifici monitoraggi sull'andamento epidemiologico da parte del Ministero della salute (secondo quanto previsto dal D.P.C.M. 26 aprile 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale", rispetto al quale si segnala in particolare il D.M. della salute 30 aprile 2020, recante "Adozione dei criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario di cui all'allegato 10 del D.P.C.M. del 26 aprile 2020"; dall'altro, sono state attuate le relative attività di sorveglianza da parte dell'AI. con cadenza trimestrale, che confluiscono in rapporti concernenti tutti i dati sulle reazioni determinate dalla somministrazione dei vaccini.

9.- Tanto premesso, dunque, sul costante adeguamento della disciplina in esame all'andamento della situazione epidemiologico-sanitaria e all'evoluzione delle conoscenze medico-scientifiche, è opportuno procedere a un'analisi, sia pur di tipo sintetico, di queste ultime.

Infatti, come detto, il sindacato richiesto a questa Corte presuppone di verificare se il legislatore - utilizzando il dato medico-scientifico posto a disposizione dalle autorità di settore - si sia mantenuto in un'area di "attendibilità scientifica" e se abbia assunto una decisione non irragionevole nonché idonea e non sproporzionata rispetto alla finalità perseguita.

10.- Per far ciò occorre confrontarsi, innanzitutto, con i contributi elaborati dall'AI., dall'IS., dal Segretariato generale del Ministero della salute, dalla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute e dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria, tutti depositati dall'Avvocatura generale dello Stato in allegato all'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

10.1.- Il principale dato medico-scientifico garantito dalle autorità istituzionali nazionali ed europee, preposte al settore, è costituito, fin dal momento dell'adozione della disposizione censurata e a tutt'oggi, dalla natura non sperimentale del vaccino e dalla sua efficacia, oltre che dalla sua sicurezza.

10.2.- Relativamente ai primi due profili - che lo stesso giudice rimettente sostanzialmente non contesta - convergono le conclusioni dell'AI., dell'IS. e del Segretariato generale del Ministero della salute.

Viene innanzitutto attestato che i "vaccini anti COVID-19 non possono in alcun modo considerarsi sperimentali", poiché "i vaccini attualmente in uso nella campagna vaccinale in Italia ... sono vaccini regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l'iter per determinarne qualità, sicurezza ed efficacia" (così, testualmente, la nota dell'IS. sopra menzionata, pagina 2).

Come attestato più dettagliatamente dall'AI., tali vaccini sono oggetto di autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate (CMA), sulla base di un protocollo preesistente e già utilizzato in passato in ambito europeo per una serie di medicinali destinati a soddisfare un elevato bisogno terapeutico insoddisfatto (così la nota dell'AI. sopra menzionata, pagina 9).

Ciò posto, l'Unione europea ha quindi ritenuto che, a fronte di minacce gravi per la salute pubblica, quale è senz'altro la pandemia, la scelta tecnica di ricorrere alla CMA rappresentasse la scelta migliore al fine di garantire la tutela della salute. E ciò in quanto "questa autorizzazione certifica che la sicurezza, l'efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino, sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi" (pagina 8 della nota dell'AI.). Sempre secondo quanto attestato dall'AI., nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico (test di qualità, valutazione dell'efficacia e del profilo di sicurezza) dei vaccini è stata omessa e il numero dei pazienti coinvolti negli studi clinici è lo stesso di quello relativo a vaccini sviluppati con tempistiche standard.

È stato infatti possibile "affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato (decine di migliaia) di partecipanti" (pagina 10 della nota dell'AI.).

Sull'efficacia della vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 si sofferma l'IS., esponendo che "la vaccinazione anti-COVID-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno dimostrato l'elevata efficacia dei vaccini anti-COVlD-19 disponibili ad oggi, sia nella popolazione generale sia in specifici sottogruppi di categorie a rischio, inclusi gli operatori sanitari" (pagine 2 e 3 della nota dell'IS.). Al di là della fisiologica eterogeneità delle risposte immunitarie dei singoli individui e della maggiore capacità della variante Omicron di eludere l'immunità rispetto alle varianti precedenti, viene attestato che "la protezione rimane elevata specialmente nei confronti della malattia severa o peggior esito" (pagina 3 della nota dell'IS.). L'IS. chiarisce, inoltre, che "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al l00%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia, l'elevata circolazione del virus SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile" (pagina 5 della nota dell'IS.).

10.3.- Quanto al profilo della sicurezza, l'AI., come sopra riportato, sostiene con chiarezza che la CMA "certifica che la sicurezza, l'efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino, sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi". Inoltre - affrontando specificamente le criticità segnalate dal Collegio rimettente - l'Agenzia attesta l'assoluta attendibilità del sistema di raccolta dati, basato sulla farmacovigilanza passiva (pagine da 16 a 23 della nota dell'AI.), e, soprattutto, evidenzia la differenza tra "segnalazioni di eventi avversi dopo vaccini anti-COVID- 19" e "analisi del segnale" (pagine da 23 a 25 della nota dell'AI.). Alla base della segnalazione dell'evento avverso vi è infatti il solo criterio temporale, il quale, tuttavia, è condizione necessaria ma non sufficiente a stabilire un nesso causale fra vaccinazione ed evento (pagine da 23 a 25 della nota dell'AI.).

Secondo le conclusioni esposte, "la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa. Le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione. Non è stato inoltre osservato alcun eccesso di decessi a seguito di vaccinazione e il numero di casi in cui la vaccinazione può aver contribuito all'esito fatale dell'evento avverso è estremamente esiguo e comunque non tale da inficiare il beneficio di tali medicinali" (pagine 26 e 27 della nota dell'AI.).

Sempre relativamente al profilo della sicurezza, l'IS., a sua volta, attesta che "ad oggi miliardi di persone nel mondo sono state vaccinate contro COVID-19. I vaccini anti SARS-CoV-2 approvati sono stati attentamente testati e continuano ad essere monitorati costantemente. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti-COVID-19" (pagina 6 della nota dell'IS.). Si segnala, infine, la mole di dati di sicurezza relativi ai soggetti che hanno ricevuto un vaccino per la prevenzione dell'infezione da SARS- CoV-2, posto che, secondo l'EM., fino all'inizio di aprile 2022 sono state più di 868 milioni le dosi di vaccini somministrate alle persone nell'UE e nello Spazio economico europeo (SE.), concludendo nel senso che "dai dati emerge che la stragrande maggioranza degli effetti collaterali noti dei vaccini COVID-19 sono lievi e di breve durata. Problemi di sicurezza classificabili come gravi sono estremamente rari" (pagina 8 della nota dell'IS.).

11.- Alla luce dei dati sin qui ripercorsi, deve ritenersi che le autorità scientifiche attestino concordemente la sicurezza dei vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 oggetto di CMA e la loro efficacia nella riduzione della circolazione del virus (come emerge dalla diminuzione del numero dei contagi, nonché del numero di casi ricoverati, in area medica e in terapia intensiva, e dall'entità dei decessi associati al SARS-CoV-2 relativi al periodo che parte dall'inizio della campagna di vaccinazione di massa risalente a marzo-aprile 2021).

Ed è su questi dati scientifici - forniti dalle autorità di settore e che non possono perciò essere sostituiti con dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a "esperti" del settore - che si è basata la scelta politica del legislatore; legislatore che altrimenti, anziché alle autorità istituzionali, avrebbe dovuto affidarsi a "esperti" non è dato vedere con quali criteri scelti.

Appare evidente, dunque, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l'idoneità dell'obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso, "a fronte di "un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque" (sentenza n. 127 del 2022)" (sentenza n. 171 del 2022), caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio.

Come già affermato da questa Corte, quando si è in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, "il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che "richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi" (sentenza n. 1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)" (sentenza n. 20 del 2019)....la misura deve ritenersi non sproporzionata, in primo luogo, perché non risultavano, a quel tempo, misure altrettanto adeguate rispetto allo scopo prefissato dal legislatore per fronteggiare la pandemia. E ciò vale, in particolare, per la soluzione alternativa prospettabile (utilizzata in ámbiti più generali, per l'accesso ai luoghi pubblici da parte di soggetti non appartenenti a categorie soggette a vaccinazione obbligatoria), rappresentata dall'effettuazione periodica di test diagnostici dell'infezione da SARS-CoV-2. Innanzitutto perché, dovendo essere effettuati con una cadenza particolarmente serrata (e cioè ogni due o tre giorni), avrebbero avuto costi insostenibili e avrebbero comportato un intollerabile sforzo per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia, tanto a livello logistico-organizzativo, quanto per l'impiego di personale. D'altro canto, l'esito del test non è immediatamente disponibile rispetto al momento della sua effettuazione: esso, pertanto, nasce già "obsoleto", posto che l'esito può essere già stato superato da un contagio sopravvenuto nel frattempo, con il fisiologico rischio della presenza nei luoghi di cura di soggetti inconsapevolmente contagiati.

13.2.- Sempre con riferimento al rispetto della proporzionalità, va, altresì, rilevato che la conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo è rappresentata dalla sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, con reintegro al venir meno dell'inadempimento dell'obbligo e, comunque, dello stato di crisi epidemiologica.

La scelta - che non riveste natura sanzionatoria - si muove nell'ambito della responsabilità del legislatore di individuare una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus.

E ciò tanto in termini di durata, posto che, secondo quanto già sopra evidenziato, il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione.

13.3.- È interessante notare come in altri ordinamenti, e segnatamente in quello francese, la giurisprudenza, rigettando un'istanza che mirava alla presentazione di una question prioritaire de constitutionnalité degli artt. 12 e 14 della L. 5 agosto 2021, n. 1040, abbia sostenuto che il fatto che l'art. 14 - concernente le conseguenze dell'inadempimento degli obblighi vaccinali - non preveda la risoluzione del contratto di lavoro o la cessazione dalle funzioni delle persone interessate, bensì la sospensione del rapporto, fa propendere per "una conciliazione non manifestamente squilibrata fra le esigenze costituzionali discendenti dal diritto al lavoro e al diritto alla tutela della salute" (Conseil d'État, sezioni V e VI riunite, 28 gennaio 2022, n. 457879, paragrafo 12).

Diversamente, in altri ordinamenti, quali la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti d'Am., è stata introdotta la possibilità di ricorrere al licenziamento (indipendentemente dalla frequenza con cui, nella prassi, vi si sia fatto ricorso).

Quanto alla mancata erogazione della retribuzione per il periodo di sospensione lavorativa, si tratta di una diretta ed ineludibile conseguenza della sospensione stessa ed anche l'ulteriore questione di costituzionalità sollevata concernente la mancata previsione di un assegno alimentare in favore del lavoratore sospeso è stata vagliata, con esito negativo, dalla Corte Costituzionale che, nel dichiarare l'inammissibilità della quesitone, ha precisato che "non risulta costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l'erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa" (cfr., in termini, Corte Costituzionale, sent. n. 15 del 2023).

Ulteriori conferme sono venute anche dalla più recente pronuncia della Corte Costituzionale del 5 ottobre 2023, n. 185. In tale giudizio era stata lamentata anche la violazione degli art. 2 e 4 della Costituzione, asserendo che "... tali soggetti vengono limitati nel proprio diritto al lavoro (e dello sviluppo della propria personalità): non solo per l'aspetto di diritto personale a poter contribuire con la propria attività professionale allo sviluppo della società, ma anche per gli aspetti più concreti ed economici, essendo queste persone, nel caso che per qualsiasi ragione non intendano vaccinarsi, private della possibilità di trarre reddito e mantenere sé stessi e la propria famiglia con la propria attività professionale". La Corte costituzionale ha ritenuto tale questione manifestamente infondata per totale assenza di "alcuna adeguata argomentazione a supporto delle censure". Con riferimento agli altri parametri costituzionali richiamati dal Giudice a quo, ha respinto e dichiarato infondate le questioni sollevate, confermando quanto segue: "4.1. - .... l'obbligo di vaccinazione e la correlata sospensione per inadempimento allo stesso devono ritenersi misure non irragionevoli e non sproporzionate. E ciò in considerazione, da un lato, del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute, alla luce della situazione sanitaria dell'epoca e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili, e, dall'altro lato, della proporzionalità della misura imposta anche in ragione della sua strutturale temporaneità (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023). 5. - La soluzione delle questioni sottoposte a questa Corte deve necessariamente muovere dalla considerazione della peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell'introduzione dell'obbligo vaccinale e, in particolare, della gravità e dell'imprevedibilità del decorso della pandemia (sentenza n. 14 del 2023). In tale contesto, nella gestione dell'emergenza sanitaria, il legislatore, a seguito della scoperta di un vaccino ritenuto, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche allora disponibili, idoneo a ridurre la diffusione della circolazione del virus, ha operato una chiara scelta in favore di una diffusa vaccinazione. Con riguardo alla perimetrazione dell'imposizione dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha quindi effettuato una scelta di carattere generale basata su categorie predeterminate, individuate progressivamente sulla base dell'evoluzione della pandemia. ... 5.1. - Il legislatore, dunque, nel fronteggiare la situazione pandemica in corso, ha modulato la scelta nel tempo e, in parte, ha originariamente anche tenuto conto delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. ... Proprio nel perseguimento di tali finalità - in considerazione dell'andamento della pandemia, crescente sia in termini di gravità che di diffusione - il legislatore, in seconda battuta, ha esteso l'obbligo vaccinale ad altri soggetti individuati anche in base al solo luogo di svolgimento dell'attività lavorativa. 6. - L'imposizione dell'obbligo vaccinale per categorie legislativamente predeterminate, gradualmente individuate nei termini anzidetti, non può ritenersi irragionevole e lesiva degli evocati parametri costituzionali. ... ... l'imposizione dell'obbligo vaccinale per categorie predeterminate di soggetti rappresenta una scelta non irragionevolmente mossa dall'esigenza di garantire linearità e automaticità all'individuazione dei destinatari, così da consentire un'agevole e rapida attuazione dell'obbligo e da prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa. Non è secondario, poi, che l'individuazione direttamente per legge dei destinatari dell'obbligo vaccinale sia coerente con l'esigenza - che trae origine dall'art. 32 Cost. - di determinare con certezza i soggetti la cui libertà di autodeterminazione venga compressa nell'interesse della comunità. Ed ancora sulla proporzionalità delle misure adottate dal legislatore: 7. - A tali considerazioni sulla non irragionevolezza della scelta dell'imposizione dell'obbligo vaccinale per categorie va aggiunto che essa risulta non sproporzionata. Ciò che - come sopra ricordato - questa Corte ha già avuto modo di affermare quando ha sottolineato la portata della conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale - rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo, peraltro priva di conseguenze di tipo disciplinare - e la natura transitoria dell'imposizione dell'obbligo vaccinale, correlata alla sua rigorosa modulazione in stretta connessione con l'andamento della situazione pandemica in corso (sentenza n. 15 del 2023). Sotto quest'ultimo profilo, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 14 del 2023 e n. 5 del 2018), depongono nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale la genetica transitorietà della disciplina nonché la previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentivano l'adeguamento delle misure all'evoluzione della situazione di fatto che tali misure erano destinate a fronteggiare."

Stante la legittimità di tale normativa, il datore di lavoro, in difetto delle condizioni specificamente prescritte, non avrebbe potuto ricevere la prestazione lavorativa della ricorrente. La mancata erogazione della retribuzione non rappresenta solo una conseguenza della applicazione della normativa emergenziale, ma costituisce anche una conseguenza della impossibilità sopravvenuta a ricevere la prestazione, inquadrabile nello schema civilistico generale di cui all'art. 1463 c.c. Il venir meno della sinallagmaticità per scelta dello stesso lavoratore non può che comportare che sia questo ultimo a farsi carico delle conseguenze economiche discendenti dalla mancata esecuzione della prestazione. D'altra parte, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, il lavoratore ha effettuato una scelta che, oltre ad incidere sul sinallagma contrattuale, si pone in contrasto con i doveri di solidarietà imposti dall'art. 2 della Costituzione ed altresì con i doveri imposti dall'art. 20 D.Lgs. n. 81 del 2008. Tale ultima norma statuisce, al primo comma, che "ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro". Al secondo comma, è inoltre previsto che i lavoratori debbano, in particolare, tra l'altro: "a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale..."

3.Con riferimento al licenziamento disciplinare impugnato, va osservato che l'addebito contestato alla ricorrente è fondato.

A tal proposito va ricordato che " in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza". ( Cfr. ex multis Cass. Sez. Lav. 13.02.2012 n. 2013). È altrettanto noto e pacifico che in tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo. In base a tali principi, la condotta della ricorrente costituisce una grave violazione dei doveri di diligenza, correttezza e buona fede sottesi al rapporto di lavoro.

Orbene la ricorrente rileva nel ricorso di aver ricevuto la raccomandata relativa alla contestazione disciplinare il giorno 25.11.2022 ( alla ricorrente è stata contestata la circostanza di una assenza ingiustificata dal posto di lavoro dal 1 al 21 novembre 2022) e di aver inviato, per il tramite del procuratore, una pec il 28.11.2022 eccependo di non aver mai ricevuto da parte della società resistente alcuna comunicazione di reintegrazione, alcuna indicazione della sede di lavoro presso la quale presentarsi, né alcun turno di orari, né per iscritto, né via email e neppure per telefono.

In disparte la considerazione che la ricorrente era tenuta il giorno successivo alla scadenza del periodo di sospensione a presentarsi presso l'ultima sede di lavoro senza la necessità di alcuna convocazione e/o comunicazione di sorta da parte del datore di lavoro, va osservato che la xxx ha comunicato alla società resistente in data 3 novembre 2022 la volontà di dimettersi dietro pagamento di un incentivo. Contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, la comunicazione in questione non contiene alcuna richiesta alla società resistente di essere riammessa in servizio. L'affermazione "premesso che la stessa deve essere reintegrata dall'1.11.2022 in virtù del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162" conferma esclusivamente che la ricorrente era ben consapevole che il 1 novembre 2022, data di cessazione dell'obbligo vaccinale, sarebbe dovuta rientrare in servizio, ma non manifesta alcuna volontà della stessa di essere reintegrata. Se la ricorrente fosse stata effettivamente interessata ad un rientro sul posto di lavoro, di fronte all'asserita inerzia della società resistente, si sarebbe attivata nel richiedere chiarimenti e definire le modalità del suo rientro, anziché limitarsi a chiedere un incentivo per le dimissioni. Peraltro la tempistica dell'invio della predetta comunicazione è sostanzialmente contestuale al venir meno dell'obbligo vaccinale, di cui la ricorrente era dunque ben consapevole così come del correlativo dovere di rientrare al lavoro. Inoltre va osservato che, successivamente alla predetta comunicazione, né la ricorrente e né il suo legale hanno chiesto alla convenuta di poter fruire di ferie e permessi, ovvero come poter eventualmente gestire l'assenza: ciò conferma ulteriormente che la ricorrente non aveva la benché minima intenzione di rientrare in servizio, nè ha preso in considerazione la prospettiva della prosecuzione del rapporto di lavoro.

L'art. 40 del CCNL sanziona con il licenziamento disciplinare l'assenza ingiustificata di anche solo tre giorni: la assenza della lavoratrice dal 1 al 21 novembre 2022 non può quindi che ritenersi ingiustificata. Si tratta di una condotta disciplinarmente rilevante e grave idonea a legittimare il licenziamento in tronco. La condotta della xxx è grave anche sotto il

profilo soggettivo poiché, pur consapevole di dover rientrare al lavoro, si è limitata a chiedere di essere incentivata alle dimissioni, senza minimamente aver cura di avvertire la società che si sarebbe comunque assentata dal lavoro e di concordare come gestire il relativo periodo di assenza.

Il licenziamento intimato alla xxx è proporzionato, conforme alle disposizioni di legge e di contratto e, dunque, pienamente legittimo.

Pertanto anche l'ultima domanda dell'istante va rigettata.

La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.


Il Giudice, Luigi Pazienza, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da xxx, con ricorso depositato in data 10.05.2023, nei confronti della "xxx a r.l.", così provvede:

1) accoglie la prima domanda e, per l'effetto, dichiara la illegittimità della sospensione del rapporto di lavoro della ricorrente con riferimento al periodo dal 4.06.2021 al 31.07.2021; condanna, di conseguenza, la società resistente alla corresponsione delle retribuzioni spettanti alla istante dal 4.06.2021 al 31.07.2021, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dal giorno della maturazione delle singole componenti del credito sino all'effettivo soddisfo;

2) rigetta le ulteriori domande;

3) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Milano, il 19 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2023.