CONFLAVORO
Piccole Medie Imprese
 

XI Commissione Lavoro pubblico e privato
Camera dei Deputati
 

A.C. 1532-bis
Disposizioni in materia di lavoro
 

18 gennaio 2024
Audizione di CONFLAVORO PMI


Considerazioni generali
Il presente provvedimento intende prefigurarsi come un intervento quanto più possibile organico in materia di lavoro e politiche sociali, dal momento che i 23 articoli che lo compongono evidentemente insistono su numerosi degli aspetti più attuali che connotano il mondo del lavoro di oggi e che rappresentano oggetto di dibattito a causa delle problematiche su cui vanno ad impattare, anche in via indiretta.
Si passa dunque da interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alla disciplina in materia di contratti, alla formazione professionalizzante e di competenze orientate al lavoro, passando per altre ulteriori tipologie di adempimenti in materia di semplificazione e regolazione. L’orientamento generale prevalente è chiaramente quello di agire laddove si siano riscontrate delle lacune nella disciplina vigente e/o necessità di semplificare o uniformare il dettato normativo in presenza di recenti revisioni normative intercorse.
È comunque interessante notare come nel predisporre le svariate linee di intervento, il testo punti ad affrontare una serie di tematiche che, andando oltre le specifiche disposizioni normative introdotte articolo per articolo, aprono a una serie di riflessioni sostanziali su aspetti specifici del nostro panorama contemporaneo su cui è inevitabile soffermarsi:
> il tema della rappresentatività, a cui si cerca di guardare in ottica di ampliamento in assenza di una disciplina specifica;
> il tema (conseguentemente ma non solo univocamente in tal senso) dell’apertura alla diversificazione e/o di una pluralità di contratti collettivi nel panorama lavoristico nazionale;
> l’attenzione verso degli aspetti che potrebbero essere suscettibili di generare ulteriore contenzioso, come nel caso della sicurezza sul lavoro;
> la necessità di agire per incrementare la formazione professionalizzante, che sia attraverso dei percorsi ad hoc o la diffusione di competenze trasversali.
In questo quadro, il fatto che il provvedimento sia giunto in sede d’esame parlamentare assume una certa valenza, soprattutto in considerazione del tempo trascorso dalla sua prima approvazione nel mese di maggio 2023 contestualmente a quello che è poi diventato il decreto legge 48/2023.
Sbloccata l’impasse, il provvedimento rappresenta un buon punto di partenza per aprire a degli interventi di tipo più sistematico in materia di lavoro, eventualmente anche rispetto ad interventi mirati e migliorativi su determinate categorie professionali e in relazione a quelle che sono le esigenze più urgenti del mondo imprenditoriale di oggi. Si auspica dunque che il dibattito parlamentare possa essere rapido ma sostanzioso e portatore di eventuali migliorie al testo, nell’ottica di giungere all’approvazione definitiva in tempi celeri.

Osservazioni su specifiche disposizioni del disegno di legge
Articolo 2 - Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

L’articolo in commento reca molteplici interventi di modifica a svariate disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rispetto a cui si può individuare una duplice volontà di azione.
Da un lato è infatti evidente come, attraverso alcune specifiche novelle introdotte, si intenda curare il coordinamento con alcuni aspetti della normativa vigente, anche al fine di garantire una certa uniformità rispetto a delle ulteriori modifiche recentemente intercorse. Dall’altro si riscontra la concreta intenzione di proseguire nel solco degli interventi già operati sulla materia della sicurezza sul lavoro nei mesi scorsi e nella cornice di altri, ulteriori provvedimenti, oltre che nel quadro dell’apposito tavolo ministeriale dedicato, confermando così l’obiettivo di voler proseguire nel rafforzamento dell’efficacia del presidio normativo in materia.
Da un approfondimento delle modifiche proposte nell’articolo in commento al dlgs 81/2008, si riportano di seguito talune osservazioni e considerazioni puntuali riferite al comma 1:
> con riferimento alla lettera b) concernente la procedura di interpello - relativa a quesiti di ordine generale sull'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro:
o il n. 1) riguarda le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori che possono presentare interpello, qualificando tali organizzazioni come le “maggiormente rappresentative” in luogo di quelle definite come “comparativamente rappresentative”. Sul punto, si comprende e si condivide la ratio di fondo di tale intervento che, come chiaramente esplicitato nella relazione illustrativa, si richiama alla necessità di conformare l’interpello disciplinato dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 81 del 2008 a quello previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. Si precisa inoltre come la sostituzione della locuzione nei termini evidenziati sia senz’altro un aspetto migliorativo in relazione allo spirito della norma nel suo complesso, in termini di inclusività nei confronti di quei soggetti che hanno ampliato la propria composizione nel tempo e quindi per ragioni di maggiore aderenza alla compagine del contesto nazionale, in cui oltretutto permangono le implicazioni legate all’inesistenza di una disciplina puntuale sulla rappresentatività. Se è vero infatti che si conferma opportuno ed urgente porre in essere tutte le dovute iniziative per evitare la frammentazione associativa e sindacale, è allo stesso modo importante tener conto di tutti quei soggetti che hanno costruito una propria rappresentatività concreta, numerica e non solo, nel corso del tempo attraverso l’ampliamento fattivo della propria base associativa, delle attività svolte e dei servizi offerti ai propri associati;
o il n. 2) rivede la composizione della Commissione per gli interpelli incrementando il relativo grado di diversificazione - prevedendo quindi due rappresentanti del Ministero
della Salute, due del Ministero del Lavoro e quattro delle regioni - ed individuando la metà del numero complessivo delle figure in profili professionali di tipo giuridico, prevedendo altresì la possibilità di ampliamento qualora fossero coinvolte competenze di altre amministrazioni pubbliche. Si valutatale impostazione in maniera estremamente positiva, in quanto la composizione della Commissione per gli interpelli potrebbe rispondere in maniera efficace alle esigenze stesse da cui nascono gli interpelli, ovvero mettendo a disposizione una competenza tecnica che possa chiarire i dubbi interpretativi ed eventualmente anche scongiurare il ricorso ai contenziosi. A ciò si aggiunga il fatto che troppo spesso vi è confusione, quando non addirittura assenza, di riferimenti chiari sui soggetti a cui rivolgersi per chiedere dei chiarimenti o degli approfondimenti mirati afferenti gli istituti della sicurezza sul lavoro, motivo per cui in una composizione così mirata e attenta al profilo giuridico si rinviene altresì la possibilità di elevare i livelli di tutela nell’ambito della sfera della salute e della sicurezza sul lavoro;
^ la lettera c), affidando al Ministero della Salute il compito di verificare periodicamente il mantenimento dei requisiti specifici inerenti l’educazione continua in medicina per i medici competenti in materia di salute e sicurezza, di fatto costituisce una vera e propria forma di monitoraggio specifico al riguardo. Tale intervento si valuta molto positivamente in quanto prefigura, di fatto, un’azione migliorativa in termini di sorveglianza sanitaria, tanto sotto il profilo dell’investimento nella qualità delle competenze quanto a titolo di beneficio per aziende e lavoratori nell’ambito della sicurezza. Sul punto, avendo riscontrato nella relazione illustrativa la conferma che la norma non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si suggerisce di specificare in modo più puntuale quali soggetti, nell’ambito del Ministero della Salute a cui viene affidato il compito, dovranno occuparsi dello svolgimento di tali verifiche e a quale titolo;
> con riferimento alla lettera d), che introduce svariate modifiche all’articolo 41 del dlgs 81/2008 in materia di sorveglianza sanitaria:
o il n. 2.3) specifica che la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l'idoneità alla mansione, debba essere effettuata qualora sia ritenuta necessaria dal medico competente. Sul punto, si concorda con l’impostazione secondo cui debba essere il medico a disporre il reintegro del lavoratore decidendo in completa autonomia se effettuare o meno la visita medica per l’idoneità, tuttavia si ravvisa la necessità di specificare che il medico, nel caso in cui decida di non effettuare la visita medica, sia tenuto a rilasciare un nulla osta alla ripresa della mansione o una dichiarazione in cui attesta la disposizione di non effettuare tale visita, in quanto, diversamente, si potrebbe prefigurare il rischio di far ricadere, seppur indirettamente per via procedurale ma direttamente nei fatti, un’assunzione di responsabilità a carattere medico sanitario sul datore di lavoro o sul lavoratore stesso;
o al n. 3), capoverso 2-bis, per motivazioni simili a quelle sopra argomentate in relazione all’assunzione di responsabilità per la sorveglianza sanitaria, potrebbe risultare opportuno specificare in modo esplicito che debba essere sempre il medico competente a valutare la compatibilità degli esami e delle indagini già svolte dal lavoratore con le finalità della visita preventiva al fine di evitarne la ripetizione;
o al n. 6) della medesima lettera d), si valuta infine positivamente il fatto che la presentazione del ricorso avverso i giudizi del medico competente venga ammesso presso l’Azienda Sanitaria Locale in luogo dell’organo di vigilanza, in quanto rende l’impianto complessivo più organico e coerente rispetto alle altre modifiche introdotte dal resto della disposizione;
> da ultimo, con riferimento alla lettera e) riguardante l’utilizzo dei locali sotterranei o semisotterranei di cui all’art. 65 del dlgs 81/2008, e segnatamente al capoverso comma 3 - a titolo di chiarificazione necessaria volta a garantire gli adempimenti prescritti dalla norma in commento:
o Si suggerisce di esplicitare in modo chiaro la modalità attraverso cui il datore di lavoro è tenuto a comunicare al competente ufficio territoriale l’uso dei locali, diversamente mettendo il datore di lavoro medesimo in condizione di non conoscere la modalità attraverso cui agire;
o parimenti, si ritiene inoltre necessario specificare quale sia/da cosa sia composta l’adeguata documentazione che deve essere prodotta e allegata alla comunicazione di cui sopra ai fini dell’utilizzo di tali locali - eventualmente valutando di disporre delle indicazioni in merito tramite apposita circolare o provvedimento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
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Articolo 5 - Modifiche alla disciplina in materia di somministrazione di lavoro
L’intervento di cui all’articolo 5 del disegno di legge in esame, di integrazione all’articolo 31 c. 2 terzo periodo del D. Lgs. 81/2015 in materia di contratti di somministrazione di lavoro, prevede un allargamento del campo di applicazione dei contratti di somministrazione che non rientrano nel computo del 30% o nella proporzione prevista dai contratti collettivi, in merito al rapporto tra lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipulazione di tali contratti.
La nuova opportunità - che esclude dal computo dei limiti numerici i contratti di somministrazione a tempo determinato assunti dal somministratore a tempo indeterminato - si va ad aggiungere alle casistiche già disciplinate dall’articolo 31, relative ai lavoratori di cui all'articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ai soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e ai lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.
La disposizione in commento si valuta dunque positivamente in quanto in questo modo le aziende hanno a disposizione un bacino più ampio di lavoratori da poter gestire con contratto di somministrazione, ampliando automaticamente le opportunità di occupazione.
Pertanto, in quest’ottica Conflavoro intende mettere in luce il valore della proposta inserita nel Disegno di Legge in questione, in considerazione del sempre più massiccio utilizzo dell’istituto del contratto di somministrazione, anche in ragione dei vantaggi strutturali tipici di questa forma contrattuale. Lato azienda infatti, essa è esonerata dai costi tipici della gestione di un processo di recruiting, nonché di quelli relativi alla gestione amministrativo-contabile del dipendente assunto, il tutto in capo all’agenzia di somministrazione.
In linea con quanto detto e secondo quanto emerge dal report Inps pubblicato a novembre 2023, intitolato “Focus sui lavoratori dipendenti in somministrazione” per l’anno 2022, il totale dei lavoratori somministrati con almeno una giornata retribuita nell’anno 2022 è pari a 974.511, il valore più alto dal 2018 e in aumento del 7,8% rispetto all’anno 2021.
Pur facendo registrare il maggior numero di contratti per la qualifica di operai - con un valore pari al 78,1% - la somministrazione è rilevante anche per il coinvolgimento lavorativo di impiegati (19,4%) e di altre qualifiche in genere (2,5%), costituendo un trampolino di lancio per i più giovani della fascia 20-24 anni, di cui 201.606 lavoratori risultano proprio assunti con contratto di somministrazione.
Da non tralasciare anche l’importanza di tale contratto nell’ottica di una formazione professionalizzante che possa adeguare le competenze dei futuri lavoratori alle esigenze specifiche delle varie realtà imprenditoriali, dimostrato dai circa 8.000 lavoratori assunti in somministrazione con contratto di apprendistato.

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Articolo 6 - Durata del periodo di prova
Con riferimento all’articolo 6, di modifica dell’articolo 7 c. 2 del D. Lgs. 104/2022, esprimiamo parere positivo in merito alla volontà di prevedere per legge un termine per il periodo di prova nei contratti a tempo determinato.
L’intervento in questione è un deciso passo avanti che mira a riconoscere il valore dello stesso contratto a tempo determinato, ma anche a definire per legge un aspetto che spesso non viene disciplinato dai contratti collettivi e che dunque non permette la necessaria ed imprescindibile valutazione della risorsa umana nell’inserimento in organico.
Come Associazione di categoria ci troviamo in linea con la volontà dimostrata, in quanto riconosciamo la funzione del contratto a tempo determinato, spesso utilizzato come prima istanza di assunzione, in
un’ottica di valutazione della risorsa e futura stabilizzazione della stessa con contratto a tempo indeterminato.
Tutto ciò può avvenire solo se anche il contratto a tempo determinato è tutelato dall’esistenza di un periodo di prova chiaro e definito in prima istanza dal legislatore, pur lasciando la possibilità alla contrattazione collettiva di definire termini differenti.
Proprio in ragione di quanto sopra, riteniamo doveroso rendere l’articolo 6 ancor più chiaro, al fine di eliminare - o ridurre al minimo - le possibili finestre di contenzioso, provando a suggerire delle ipotesi di intervento, a nostro avviso, migliorative del testo.
In primo luogo, riteniamo necessario eliminare la locuzione “più favorevoli” in quanto, in assenza di una specifica definizione del concetto di favore, essa rischierebbe di creare confusione sulla parte del rapporto contrattuale per la quale deve essere considerato il favor, lasciando al Giudice competente in materia l’opportunità di definire l’ambito di azione in caso di contenzioso. Una simile circostanza deve essere il più possibile evitata proprio attraverso una disciplina di Legge quanto più chiara e concreta possibile, a tutela di entrambe le parti del rapporto di lavoro.
Conflavoro dunque propone di riformulare la prima parte dell’articolo lasciando la possibilità alla contrattazione collettiva di definire termini differenti rispetto a quanto previsto dal presente articolo, eliminando il concetto di “più favorevoli" già citato, nella convinzione che una norma contrattuale - proprio perché emanazione di una concertazione tra le parti firmatarie di ciascun singolo contratto collettivo - possa risultare già la miglior condizione a cui le Parti sottoscrittrici sono addivenute per quello specifico comparto e contratto.
Procedendo nell’analisi dell’articolo, riteniamo che la previsione di due criteri possa rendere di difficile valutazione quale delle due condizioni sia meglio attivare al fine di sottoscrivere un contratto di lavoro tutelante.
Con l’obiettivo di meglio esporre il nostro pensiero in merito, riteniamo utile procedere con il seguente esempio pratico che prende a riferimento un ipotetico contratto a tempo determinato:
 

Contratto a tempo determinato di 10 mesi


1° criterio (primo periodo articolo 6c 1)   periodo di prova = 20 giorni di effettivo lavoro (1 giorno di effettivo lavoro ogni 15 giorni di calendario)
  2° criterio (secondo periodo articolo 6 c. 2)   periodo di prova = ipotizziamo il massimo, 30 giorni (in questo caso non ci è chiaro se debbano essere considerati di effettivo lavoro o di calendario)
  Il datore di lavoro decide di procedere con la risoluzione del rapporto di lavoro al 25 ° giorno senza preavviso e il lavoratore impugna il licenziamento appellandosi al primo criterio del citato articolo 6. Quale potrebbe essere l'orientamento di un Giudice in caso di un ipotetico concreto contenzioso?


Proprio al fine di evitare ulteriori contenziosi o situazioni di incertezza circa le giuste disposizioni da prevedere in sede di contratto di assunzione, riteniamo necessario orientarsi verso un unico e certo criterio di quantificazione del periodo di prova.
A nostro avviso dunque, il criterio da prendere come unico riferimento è quello rinvenibile al primo periodo dell’articolo 6 comma 1, essendo un criterio che consente non solo di identificare in modo preciso il giusto periodo di prova, ma anche di parametrare l’entità della prova stessa alla durata del contratto a tempo determinato.
In definitiva, conferma la necessità di prevedere un periodo di prova da apporre al tempo determinato calcolabile in un giorno di effettivo lavoro ogni quindici giorni di calendario, a partire dalla data di attivazione del rapporto a tempo determinato stesso, pur lasciando lo spazio alla contrattazione collettiva di prevedere termini differenti anche in ragione della diversificazione dei comparti merceologici e delle professionalità di volta in volta oggetto di assunzione.

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Articolo 8 - Misure in materia di politiche formative nell'apprendistato
L’articolo in titolo punta ad estendere l’ambito di utilizzazione delle risorse, identificate in 15 milioni di euro annui a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione e attualmente destinate esclusivamente all’apprendistato professionalizzante, a tutte le tipologie di apprendistato presenti nel nostro ordinamento e disciplinate dal Capo V del dlgs 81/2015. L’obiettivo della disposizione, così come individuato dalla relazione illustrativa, è quello di “conseguire maggiore flessibilità e semplificazione nella programmazione delle risorse e degli interventi da parte delle regioni e delle province autonome”, consentendo quindi di finanziare attività di formazione per tutte le tipologie di apprendistato.
Conflavoro ha da sempre sostenuto e supportato l’istituto dell’apprendistato nelle sue varie declinazioni, soffermandosi in particolar modo sul ricorso all’apprendistato duale di primo livello come strumento in grado di accorciare le distanze tra il mondo del lavoro e il mondo della scuola, potendo contemporaneamente consentire di sopperire ad una delle grandi lacune che si riscontra oggi nel mercato del lavoro, che è la disponibilità di lavoratori qualificati - soprattutto in primo ingresso.
A tal proposito dunque non si può che valutare favorevolmente il fatto che le risorse a disposizione siano liberate e possano essere utilizzate per programmi formativi inerenti tutte le tipologie di apprendistato esistenti nel nostro ordinamento, in quanto ciò significa non tanto redistribuire, quanto equiparare di fatto, in termini di importanza, le varie declinazioni di questo istituto, ferma restando l’indubbia necessità di continuare ad assicurare delle risorse, anche di portata maggiore, a questi programmi.
Tuttavia si ritiene opportuno sottolineare, come già accaduto in altre sedi, che troppo spesso per le tipologie di apprendistato diverse dal professionalizzante vi è una carenza troppo profonda di consapevolezza rispetto al funzionamento stesso dell’istituto e alla possibilità di potervi fare ricorso, oltre alle oggettive difficoltà riscontrate nel sistema di inserimento al lavoro, soprattutto per l’apprendistato duale di primo livello.
Per far sì che tali risorse vengano quindi adeguatamente spese e in via propedeutica alla realizzazione di programmi di formazione correlati e mirati, sarebbe necessario incrementare attività di sensibilizzazione e campagne informative per aumentare la cognizione dell’importanza e dell’utilità di questi strumenti nei soggetti che per primi sono interessati all’utilizzo, ovvero aziende ed istituzioni scolastiche ed universitarie, a titolo di leva informativa funzionale ad incentivarne il ricorso. Non va infatti sottovalutata in questo quadro la funzione “sociale” che l’apprendistato può avere, in particolar modo per quanto riguarda l’apprendistato di primo livello, ma non solo, in qualità di strumento valido, dal lato della formazione, a contrastare la dispersione scolastica e, dal lato dell’imprenditoria, a contrastare la disoccupazione giovanile.
Si rende quindi necessario operare, ai vari livelli e per la promozione del ricorso all’apprendistato in tutte le sue forme, una triangolazione tra imprese, istituti didattici e istituzioni pubbliche, in quello che può essere definito un percorso di evoluzione culturale e sostanziale che diversamente vanificherebbe lo spirito stesso della norma e che si ricollega, nella sua ratio di fondo, alle considerazioni espresse nel seguito a commento dell’articolo 23 del provvedimento, che interviene in un’ottica rafforzativa delle competenze trasversali - sempre in via funzionale all’ingresso nel mondo del lavoro e in chiave di accrescimento della formazione professionalizzante.

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Articolo 9 - Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro
L’articolo in commento mira a risolvere una problematica che spesso si incontra nelle realtà imprenditoriali, relativa alle assenze ingiustificate dei lavoratori. Nello specifico, l’articolo 9 - mediante la previsione del nuovo comma 7-bis all’articolo 26 del D. Lgs. 151/2015 - interviene stabilendo che, in
caso di assenza ingiustificata del lavoratore dal luogo di lavoro oltre il termine previsto dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro o, in mancanza, oltre il termine di 5 giorni previsto dall’articolo in parola, il rapporto di lavoro si intende risolto per esclusiva volontà del lavoratore, non sussistendo la necessità di procedere agli adempimenti previsti dall’articolo 26 in tema di dimissioni telematiche.
Valutiamo positivamente l’intervento, consapevoli delle difficoltà che incontrano le realtà imprenditoriali in situazioni di assenza ingiustificata del lavoratore e che spesso portano a situazioni di difficile gestione in relazione alla contestazione del comportamento tenuto dal lavoratore e alla possibilità di procedere con provvedimenti disciplinari. Ricordiamo infatti che le assenze ingiustificate protratte per un determinato numero di giorni consecutivi, già costituiscono fattispecie di licenziamento secondo le modalità e i termini previsti dai contratti collettivi.
Il nuovo articolo 7-bis va oltre, evidenziando nell’assenza protratta nei termini individuati la volontà di recesso del lavoratore, anche nell’ottica di deterrente ai comportamenti opportunistici di alcuni lavoratori che pongono in essere assenze strategiche al fine di ottenere il licenziamento e il correlato trattamento di Naspi.
Sul punto, riteniamo comunque necessario intervenire attraverso un meccanismo che possa effettivamente formalizzare l’avvenuta conclusione del rapporto di lavoro, mediante ad esempio una comunicazione telematica da parte del datore di lavoro con la quale viene dichiarata l’assenza del lavoratore - nei termini individuati dal CCNL applicato o nei 5 giorni definiti dal presente disegno di legge - e la correlata risoluzione del rapporto di lavoro secondo la fattispecie di cui all’articolo in commento, oppure procedere con una comunicazione al competente Ispettorato Territoriale del Lavoro, attestante la chiusura del rapporto di lavoro per comportamento concludente del lavoratore.
Una procedura di questo tipo, anche eventualmente mediante il rilascio di una ricevuta di avvenuto protocollo, consentirebbe al datore di lavoro una maggior certezza dell'avvenuta efficacia della comunicazione e un deterrente contro eventuali contenziosi.

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Articolo 23 - Disposizioni in materia di percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento presso le istituzioni scolastiche
Rispetto all’articolo in commento e in correlazione, seppur pervia indiretta, con le argomentazioni sopra condivise nell’ambito dell’articolo 8 del presente provvedimento, resta altresì centrale il tema delle competenze specialistiche orientate al lavoro. L’articolo 23 infatti, oltre a istituire l’albo delle buone pratiche adottate dalle istituzioni scolastiche per le competenze trasversali, prevede anche l’istituzione dell’Osservatorio nazionale per i percorsi e le competenze trasversali e per l’orientamento.
In questo quadro, e a titolo di suggerimento utile per la formazione trasversale dei nostri giovani ragazzi, sempre in ottica di costruzione di un ponte stabile verso l’ingresso nel mondo del lavoro, si suggerisce di sviluppare dei percorsi di formazione e/o di condividere dei fondamenti didattici orientati alla formazione sulla cultura imprenditoriale e sull’attività di impresa. ll tentativo, forse bonariamente provocatorio ma certamente costruttivo, potrebbe essere quello di replicare anche in questa sfera, in termini di approccio generale, l’orientamento condiviso in relazione al disegno di legge che introduce la formazione in materia di sicurezza e di diritto del lavoro nelle scuole, con l’intento di comporre, attraverso tutti questi tasselli, una formazione orientata al lavoro quanto più possibile completa per i nostri ragazzi.
Garantire una diffusione della cultura imprenditoriale nelle scuole può infatti significare per gli studenti essere messi in condizione di capire come si può gestire e come può funzionare una realtà aziendale vera e propria, quali sono i rischi da assumere e quali possono essere le opportunità che arrivano dalla costituzione di un’impresa e dalla conduzione delle sue attività, con lo spirito di fare della professione di imprenditore il lavoro della vita.
Si potrebbe immaginare altresì di prevedere l’introduzione di ore di insegnamento dedicate alla formazione sindacale e alla gestione dei rapporti di lavoro, anche al fine di rendere consapevoli i ragazzi che il mondo del lavoro in cui si apprestano ad entrare, in qualità tanto di imprenditori quanto di lavoratori dipendenti, prima ancora di essere fatto di ruoli professionali è fatto di percorsi personali, sempre tenendo presente come, in tal senso, l’apprendistato di primo livello potrebbe rappresentare un modo di potersi approcciare in anticipo.
Formare significa infatti fornire gli strumenti adeguati ai nostri ragazzi non solo in termini di competenze, ma anche e soprattutto di coscienza sociale, quindi fare in modo che i datori di lavoro e i lavoratori di domani siano maggiormente consapevoli dei principi che governano l’attività lavorativa e il mondo del lavoro, rafforzando e acquisendo le conoscenze fondamentali e strutturali del mondo del lavoro, del fare impresa e di tutti gli aspetti che li compongono. Attraverso queste modalità, la formazione di queste competenze può essere utilizzata come leva per la diffusione e l’incremento di iniziative di imprenditoria giovanile sul nostro territorio nazionale.

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Una nuova proposta per il ddl lavoro: il riconoscimento della qualificazione professionale di onicotecnici
In occasione dell’iter parlamentare inerente il provvedimento in esame, intendiamo richiamare l’attenzione su un tema di particolare rilevanza per una delle categorie rappresentate da Conflavoro PMI a livello nazionale: il riconoscimento della qualificazione professionale degli onicotecnici, la cui rappresentatività, all’interno della Confederazione, è garantita dall’associazione OPA - Onicotecnici Professionisti Associati.
L’attività di onicotecnica rientra infatti nell’attività di estetista disciplinata dalla Legge 4 gennaio 1990, n. 1 e non dispone, ad oggi, di un riconoscimento formale della categoria in qualità di libere professioniste indipendenti, che consenta loro di iscriversi ad un apposito albo professionale - peraltro separandola, effettivamente, dall’attività di estetista.
Il riconoscimento della categoria avrebbe innumerevoli risvolti di natura positiva, quali:
> la crescita di una sana e competitiva concorrenza sul mercato del lavoro, con l’emersione del lavoro sommerso;
> la contribuzione alla spesa statale con introiti notevoli grazie all’apertura di nuove partite Iva;
> una maggiore sicurezza per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e verso i propri utilizzatori, in conformità alle disposizioni di legge vigenti.
Inoltre, proponendo l’istituzione di un relativo albo professionale, si intende dare la possibilità a tutti gli operatori che lavorano nel settore nails di emergere dall’abusivismo, di essere adeguatamente rappresentati e tutelati anche a livello normativo e di sancire finalmente in via ufficiale il riconoscimento dei relativi diritti e doveri a livello centrale in qualità di professionisti legittimati dall’ordinamento italiano. L’assenza di una normativa nazionale che disciplini specificamente la professione, ad oggi inquadrabile esclusivamente -per non dire ingiustamente- nella professione di estetista ai sensi della legge n. 1/1990, penalizza infatti in maniera eccessiva un comparto che ormai è diventato di grande rilievo per il tessuto produttivo nazionale in termini di diffusione e volumi di fatturato.
Il riconoscimento normativo della professione di onicotecnica porterebbe quindi un beneficio di una certa rilevanza in termini di gettito fiscale, consentendo l’emersione di lavoro nero e abusivismo, e garantirebbe altresì di elevare gli standard in termini di salute e sicurezza tanto per i professionisti del settore, quanto per gli utilizzatori del servizio, oltre a consentire a tutte quelle persone, purtroppo penalizzate da varie tipologie di handicap fisici, di poter esercitare regolarmente la propria professione - non potendo, diversamente, svolgere tutte le attività diversificate svolte da una generale professionista dell’estetica.


fonte: conflavoro.it