CONFINDUSTRIA
Camera dei Deputati
XI Commissione (Lavoro pubblico e privato)
Disegno di legge C. 1532-bis recante disposizioni in materia di lavoro
Audizione Parlamentare
18 gennaio 2024
Audizione nell’ambito dell’esame del Disegno di legge C. 1532-bis recante disposizioni in materia di lavoro
Illustre Presidente, Onorevoli Deputati,
Vi ringraziamo, anzitutto, per l’invito a questa Audizione sul Disegno di Legge in materia di Lavoro n. 1532-bis.
Confindustria condivide gran parte delle proposte ivi contenute, anche se, tenuto conto del titolo del presente Disegno di Legge, auspicava si potesse intraprendere un più ampio disegno riformatore.
In ogni caso, confermando l’apprezzamento complessivo delle proposte contenute nel Disegno di Legge, riteniamo opportuno, da un lato, formulare alcuni rilievi critici volti a migliorare il contenuto delle norme del Ddl.
A tal proposito, rimandiamo ai contenuti del documento allegato per l’esplicazione di dettaglio sulle proposte delle emendative che formuliamo, alcune delle quali incidono su aspetti di rilievo.
Ne segnaliamo due in particolare:
• Una prima osservazione riguarda l’art. 2 e attiene alla proposta di modifica dell’art. 41 del D. Lgs. 81/2008, che introduce, modificando il quadro normativo attuale, l’obbligo della sorveglianza sanitaria ogni qualvolta la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità. In questo modo, si modifica in maniera sostanziale l’attuale impostazione che prevede la sorveglianza sanitaria solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Tale modifica, come più ampiamente si argomenta nell’allegato nella Prima Parte, al Par. 1 lett. B, comporta un significativo ampliamento delle valutazioni discrezionali in materia da parte del medico competente, con conseguente incertezza nell’applicazione della normativa che, essendo sanzionata penalmente, andrebbe invece fortemente ispirata ai principi costituzionali di legalità e certezza; |
D’altro lato, cogliamo l’occasione di confronto per proporre, a nostra volta, degli interventi che si pongono in linea con il tenore dell’iniziativa legislativa oggetto della presente audizione, ovvero quella di semplificare e razionalizzare istituti già esistenti per garantire una maggiore “fluidità” dell’attuale assetto normativo.
Pertanto, nel documento allegato sono contenute anche delle proposte di possibile integrazione del provvedimento, che invitiamo la Commissione a valutare1.
Sottolineiamo che, nel formulare le nostre proposte, abbiamo anche cercato di tener conto dei noti limiti delle risorse di bilancio.
Le proposte di cui segnaliamo la particolare rilevanza sono:
a) quella sulla stagionalità, che intende risolvere una grave incertezza normativa determinata da alcuni recenti interventi giurisprudenziali, e che riguarda parti fondamentali dei nostri settori produttivi, come il settore turistico e quello alimentare;
b) quella in materia di conciliazioni in modalità telematica, volta a rendere più agile ed effettiva l’assistenza sindacale dei lavoratori che sottoscrivono conciliazioni;
c) quelle di modifica della disciplina dell’apprendistato duale, volte ad avvicinare sempre più il mondo del lavoro e della scuola.
Tenendo conto dell’importante occasione di confronto che ci viene offerta, Confindustria ritiene comunque necessario cogliere questa opportunità per proporre qualche riflessione di più ampio respiro.
La nostra riflessione prende le mosse da un recentissimo articolo apparso sulla stampa nazionale, che evidenzia come il valore dell’economia statunitense e quello dell’economia europea fossero sostanzialmente equiparabili nel 1996 e come nel 2022, dunque nell’arco di 25 anni, l’economia USA sia arrivata ad essere il 52% più grande di quella europea.
Lo stesso tipo di fenomeno si legge anche con riferimento al reddito pro-capite. Nel 1980, Europa e Stati Uniti avevano dati pressoché simili; in seguito, si è però aperto un divario che ha portato il dato americano a doppiare quello europeo: nel 2022 il reddito medio in USA è risultato pari a 76 mila dollari all’anno, quello europeo a 37 mila dollari.
Tale situazione trova probabilmente spiegazione nel fatto che il legislatore americano ha realizzato un sistema in grado di valorizzare la competitività delle imprese, mentre quello europeo sembra esser mosso, sempre più frequentemente, dall’intento di predisporre un pervasivo apparato di regole, piuttosto che dall’obiettivo di favorire una crescita, seppur regolata, della competitività.
Inoltre, è ben noto a tutti che ci troviamo in un momento di trasformazioni di grande rilievo, sia dal punto di vista tecnologico che ambientale, e che, pertanto, è evidente che si pone la necessità di accompagnare gli indispensabili processi di transizione delle imprese che hanno, inevitabilmente, un impatto diretto sull’occupazione.
Dunque, si pone senz’altro il problema di stabilire come il Legislatore intenda accompagnare queste transizioni che caratterizzano il contesto storico attuale e che caratterizzeranno, sicuramente, anche il prossimo futuro.
Una possibile risposta è quella di porre in essere provvedimenti che, sulla falsa riga di misure già adottate, come ad esempio il contratto di espansione o il fondo nuove competenze, possano fronteggiare i problemi occupazionali legati alle transizioni.
D’altro lato, però, riteniamo necessario che il Legislatore sostenga anche il ruolo delle parti sociali nella gestione di queste problematiche.
È decisivo, pertanto, che il Legislatore valorizzi effettivamente l’apporto della contrattazione collettiva che, però, va opportunamente selezionata, come si è avuto modo di anticipare trattando dell’emendamento all’art. 2.
In altre parole, è necessario sostenere la contrattazione collettiva posta in essere da attori che siano dotati di un’effettiva rappresentatività.
A tal fine, certamente non è d’aiuto l’introduzione di norme che amplificano il grado di approssimazione che già caratterizza la materia della misurazione della rappresentanza, così come finisce per fare, come appunto abbiamo evidenziato, la proposta contenuta nell’art. 2 del disegno oggetto dell’odierna audizione.
Confindustria ritiene altresì che, sempre in una logica di rafforzamento della competitività del nostro sistema produttivo, occorra fermamente proseguire la strada già intrapresa da questo Governo: quella di incidere sul cuneo fiscale e contributivo.
Nonostante la piena consapevolezza dei vincoli di bilancio che pongono un freno ad interventi di questo tipo, evidenziamo come l’attuale assetto fisco-previdenziale debba essere rivisto anzitutto in termini di equità: oggi le imprese si trovano a sostenere, per il tramite della contribuzione, anche prestazioni che in realtà hanno diverse fonti di finanziamento. Basti pensare all’Assegno unico e universale per i figli a carico (AUUF), a beneficio della generalità delle famiglie. Nonostante tale prestazione sia interamente finanziata tramite la fiscalità generale, il Legislatore non è intervenuto sulle disposizioni afferenti agli obblighi contributivi per i datori di lavoro tenuti al versamento del contributo ex CUAF (Cassa Unica Assegni Familiari) che, secondo le stime di Confindustria, pesa sulle imprese per circa 2 miliardi all’anno.
Un intervento in tal senso costituirebbe senz’altro un segnale di attenzione verso il mondo delle imprese.
Vi ringraziamo per l’attenzione e rimandiamo alla lettura dell’allegato per il dettaglio sulle proposte.
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1 Le materie su cui vertono le nostre proposte sono:
a) Negoziazione assistita e conciliazioni in modalità telematica;
b) Stagionalità;
c) Apprendistato;
d) Procedimento di cassa integrazione guadagni straordinaria;
e) Termini di decadenza di conguaglio/rimborsi delle integrazioni salariali.
CONFINDUSTRIA
Proposte in relazione al Disegno di legge C. 1532-bis recante
Disposizioni in materia di lavoro
Allegato
Sommario
Parte Prima - Emendamenti al Disegno di legge 1532-bis
1. Salute e sicurezza sul lavoro: emendamenti all’articolo 2 del Disegno di Legge (Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
2. Comunicazione causa di sospensione della cassa integrazione
3. Malattia dei lavoratori in prova
4. Comunicazione lavoro agile
Parte Seconda - Ulteriori proposte
1. Negoziazione assistita e conciliazioni in modalità telematica
2. Stagionalità
3. Proposte in materia di formazione sul lavoro
3.1 Apprendistato
4. Riferimento normativo alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
5. Ammortizzatori sociali
5.1 Procedimento di cassa integrazione guadagni straordinaria
5.2 Termini di decadenza di conguaglio/rimborsi delle integrazioni salariali
Parte Prima - Emendamenti al Disegno di legge 1532-bis
1. Salute e sicurezza sul lavoro: emendamenti all’articolo 2 del Disegno di Legge (Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
A. All’articolo 2, comma 1, lett. b), n. 2), si prevede una opportuna integrazione della composizione della Commissione per gli interpelli al fine di valorizzare le risposte della Commissione stessa. Nella medesima logica, ed a maggior ragione per l’integrazione proposta dal provvedimento, si ritiene opportuno formulare due ulteriori proposte emendative che vanno nella medesima direzione.
a. Ampliare la competenza della Commissione alla risposta a quesiti non solamente “di ordine generale” ma anche di natura tecnica e giuridica: questo introdurrebbe nel sistema normativo dei punti fermi, comuni, diffusi e certi, su temi concreti, al fine di superare l’incertezza della normativa e garantire uniformità interpretativa sul territorio.
b. Assegnare alle risposte della Commissione una efficacia analoga a quella della risposta del Ministero del lavoro prevista dall’art. 9, comma 2, del Dlgs 124/2004, a maggior ragione visto l’inserimento di professionalità giuridiche, oggetto della proposta normativa. L’equiparazione dell’efficacia dei due strumenti, in luogo del mero “criterio interpretativo e direttivo” oggi assegnato alle risposte della Commissione garantirebbe, nella medesima logica della prima proposta emendativa, una evidente certezza del diritto e uniformità interpretativa applicativa sul territorio.
Infine, per le ragioni che saranno ampiamente esposte nella Parte Seconda, Paragrafo 4 del presente documento, cui si rimanda, non è condivisibile la proposta di sostituire le parole “comparativamente più rappresentative” con “maggiormente rappresentative”. Pertanto, si propone di sopprimere all’art. 2, 1° comma, lett. b), il punto n. 1).
A. Emendamento all’art. 2 del DDL: |
B. All’articolo 2, comma 1, lettera d), n. 1, in merito all’art. 41, il d.d.l. in esame propone che la sorveglianza sanitaria non sia più obbligatoria nelle ipotesi tassativamente indicate nell’art. 41, comma 1, lett. a) e b), ma anche “qualora la valutazione dei rischi di cui all’articolo 28, svolta in collaborazione con il medico competente, ne evidenzi la necessità”.
Si tratta di una modifica non condivisibile.
In primo luogo, perché la sorveglianza sanitaria sarebbe rimessa alla valutazione discrezionale di ciascun datore di lavoro e di ciascun medico competente, con il rischio di una estensione incontrollata (e potenzialmente difforme tra imprese che svolgono attività simili) delle ipotesi nelle quali diviene obbligatorio svolgere la sorveglianza sanitaria.
La proposta contenuta nel d.d.l. rischia, poi, di porsi in contrasto con l’art. 5 della legge n. 300/1970, in quanto ciascun datore di lavoro/ciascun medico potrebbe sottoporre i lavoratori a visita per qualsiasi motivo previsto nel documento di valutazione dei rischi, superando il divieto generale contemplato nello Statuto dei lavoratori.
Trattandosi, peraltro, di normativa la cui violazione è sanzionata penalmente questa estensione della valutazione indiscriminata sembra porsi in contrasto con i principi di legalità e tassatività che ispirano la materia penale.
Un ulteriore elemento critico è relativo al fatto che la sorveglianza - in considerazione della indeterminatezza della normativa (si pensi ai temi dei rischi psicosociali, della violenza, delle molestie, dei rischi emergenti, etc) - avrebbe ad oggetto temi anche molto delicati (es. accertamenti di droga e alcool), non più delimitati a categorie previste dalla legge ma astrattamente diffusi (es. estensione della sorveglianza per consumo di droghe a tutti i lavoratori, verifiche della vista a prescindere dal tempo di uso dei videoterminali, etc).
A questo rilievo si ricollega l’inevitabile incremento di costi (un conto è visitare e fare esami a 10 lavoratori, un conto è doverne gestire centinaia), spesso non giustificati da un adeguato, diffuso e comune livello di approfondimento scientifico ma legato a sensibilità e conoscenza del tutto individuali e soggettive (si pensi alla effettuazione delle visite alla vista a tutti i dipendenti anziché solamente al ricorrere delle condizioni di legge; alle visite su droga e alcool a tutti e non solamente alle categorie previste dalla legge; le verifiche sul rumore al di fuori dei casi di legge, etc.).
L’estensione della sorveglianza, infine, amplifica notevolmente le ipotesi di inidoneità, avendo ad oggetto temi e aspetti non predefiniti per legge ma introdotti di volta in volta nei diversi documenti di valutazione dei rischi.
In conclusione, se si ritiene di ampliare il novero delle ipotesi di sorveglianza sanitaria, si reputa più opportuno aumentare (sempre in una logica di tassatività) le casistiche di legge nelle quali effettuare la sorveglianza sanitaria.
B. Emendamento all’art. 2 del DDL: |
C. All’art. 2, comma 1, lett. e), punto 4) si sposta la data di revisione degli accordi in Conferenza Stato-Regioni in tema di accertamento delle dipendenze.
A parte il tema temporale (la data del 31 dicembre 2023 appare ormai inadeguata), nel condividere la necessità di un intervento (data la estrema delicatezza del tema) l’aspetto che si propone di affrontare con legge è quello delle direttive generali, rimettendo agli accordi l’individuazione delle condizioni e delle modalità operative. A questo proposito si ritiene di proporre una linea direttrice che guidi il percorso di revisione degli accordi, posto che le attuali procedure non appaiono assolutamente condivisibili.
Si propone, quindi, che la norma individui specificamente i criteri che devono guidare la revisione degli accordi, evitando di assegnare al datore di lavoro un ruolo pubblicistico che non può/deve avere, a maggior ragione per la delicatezza di temi sociali, quali l’assunzione/dipendenza di alcool e droghe.
Le logiche dovrebbero vedere nel datore di lavoro l’accertatore di indizi della sussistenza di problematiche che devono poi essere trattate dal sistema pubblico senza ricadute su imprese e lavoratori e gli accertamenti della sussistenza di questi indizi devono essere condotti secondo logiche di semplicità ed immediatezza, ovviamente con le dovute garanzie per la privacy.
C. Emendamento all’art. 2 del DDL: |
D. All’articolo 2, comma 1, lett. f) si propone la modifica dell’art. 65 del Dlgs 81/2008 in materia di uso dei locali sotterranei o semisotterranei. La proposta di modifica introduce criticità sul piano burocratico e procedurale, oltre a introdurre elementi di indeterminatezza.
Tuttavia, dando una lettura positiva all’intento di chiarificazione legislativa, ed in una logica di pieno rispetto della normativa anche in una ipotesi di deroga, si propone di apportare delle modifiche alla proposta nel senso sopra indicato, precisando che:
a. l’uso è per fini di lavoro continuativo e, quindi, non riferito ad attività temporanee, come nel caso di cantieri temporanei
b. i requisiti contenuti nell’allegato IV e da rispettare sono indicati dalla norma e non rimessi ad un criterio indeterminato (“per quanto applicabile”)
c. che la comunicazione all’INL attesta e documento l’avvenuto adempimento alla precisa disposizione di legge contenuta nel comma 2.
D. Emendamento all’art. 2 del DDL: |
2. Comunicazione causa di sospensione della cassa integrazione
Condividiamo pienamente la scelta di fondo sottesa alla riformulazione più stringente dell’art. 8 del D. Lgs. 148/2015, in materia di ammortizzatori sociali, operato con l’art. 3, del D.d.l. n. 1532-bis., rubricato “Sospensione della prestazione di cassa integrazione”.
Tuttavia, riteniamo opportuno integrare il 2° comma della norma per assicurarne l’effettività. In particolare, occorre specificare con quali mezzi i lavoratori possano dare preventiva comunicazione alla sede territoriale dell’INPS dello svolgimento dell’attività di cui al 1° comma, posto che non risulta, allo stato attuale, alcun apposito canale di comunicazione tra i lavoratori e l’ente per questo tipo di trasmissioni.
Pertanto, riteniamo necessario specificare che tale comunicazione possa avvenire “con ogni mezzo di comunicazione tracciabile”. Ciò per facilitare la comunicazione da parte del lavoratore ed evitare che egli perda il diritto alla prestazione per l’eventuale inerzia del datore di lavoro “terzo”.
Emendamento: |
3. Malattia dei lavoratori in prova
Il primo emendamento proposto vuole modificare l’art. 7 del D. Lgs. 104/2022 rimettendo all’autonomia negoziale collettiva la competenza ad individuare i periodi di prova che siano proporzionati rispetto alla durata del contratto a termine e alle mansioni oggetto della prova.
La finalità di tale modifica è di eliminare qualsiasi margine di incertezza nella gestione dei rapporti di lavoro, considerato che il concetto di “proporzionalità” è un concetto ampio e generico che facilmente si presta a valutazioni discrezionali di diverso contenuto.
Dunque, è necessario individuare dei criteri di proporzionalità certi e predeterminati.
Vi è, tuttavia, la consapevolezza della difficoltà di individuare una regola generale che si adatti ad ogni ipotesi. Pertanto, Confindustria ritiene che la regolazione della materia da parte della contrattazione collettiva (di ogni livello) ex art. 51 D. Lgs. 81/2015, sia il modo migliore per garantire una disciplina “sicura” e allo stesso tempo compatibile con le specificità di ogni realtà settoriale e/o aziendale.
Il secondo emendamento proposto è volto ad individuare una disciplina ad hoc per l’evento della malattia dei lavoratori in prova.
Tale disposizione ha come fine quello di garantire un adeguato bilanciamento tra gli interessi in rilievo: il diritto alla salute del lavoratore in prova ed il connesso diritto alla conservazione del posto durante il periodo di malattia e l’esigenza di garantire certezza del diritto e prevedibilità nella gestione del rapporto di lavoro per il datore.
È vero, infatti, che un evento di malattia di fatto impedisce lo svolgimento della prova e, pertanto, deve essere garantita la possibilità di sospendere il periodo di prova con successiva prosecuzione per un periodo corrispondente alla durata dell’assenza. Tuttavia, è anche vero che, laddove l’evento morboso dovesse protrarsi per un tempo eccessivamente lungo, la contestuale ed altrettanto lunga sospensione del rapporto fa venir meno l’utilità della prova e, quindi, l’interesse del datore di lavoro a proseguire.
La stessa giurisprudenza di legittimità ha sottolineato come, in tale ambito, rilevi “anche l'esigenza della parte datoriale di vagliare i tempi coessenziali all'esercizio della sua attività e la possibilità di proseguire nel rapporto stesso” (Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. del 02.10.2018, n. 23898; nello stesso senso cfr. Cass. Civ., Sez. lav., n. 21698/2006; Cass. Civ., Sez., Lav., n. 4573/2012).
D’altronde, l’espletamento del periodo di prova secondo il principio effettività, sancito dal 2° comma dell’art. 2096 c.c. richiede che vi sia una continuità dello stesso: la frammentazione della prova, con significativi intervalli temporali, non consentirebbe al lavoratore di dimostrare, ed al datore di lavoro di accertare, le qualità professionali connesse alle mansioni oggetto della prova.
Dunque, è legittima l’introduzione, per i lavoratori in prova, di una disciplina dell’evento malattia differenziata rispetto a quella prevista per i dipendenti normalmente impiegati.
Tale differenziazione è giustificata, anche secondo i giudici di legittimità, in quanto “coerente con la causa del contratto in prova, connotata della reciproca verifica di convenienza del rapporto”.
Quanto alla scelta del termine di tre mesi per la quantificazione del periodo di comporto, si è tenuto conto, oltre che delle previsioni dei contratti collettivi di lavoro maggiormente applicati (cfr. Sez. IV, Titolo I, art. 2, 7° comma, CCNL Industria metalmeccanica e della installazione di impianti) anche delle disposizioni di legge vigenti in materia (cfr. art. 6, 4° comma, lett. a), del Regio D.L. 1825/1924, che quantifica in 3 mesi il periodo di diritto alla conservazione del posto nel caso di malattia o infortunio del dipendente con un’anzianità di servizio non superiore ai 10 anni).
In ogni caso, è prevista la facoltà, per le parti sottoscrittrici dei contratti collettivi (di ogni livello) di cui all’art. 51 D. Lgs. 81/2015, di prevedere una diversa disciplina per la malattia dei lavoratori in prova, nonché un termine diverso per il relativo periodo di comporto.
Emendamenti: |
4. Comunicazione lavoro agile
Per quanto riguarda l’art. 7 del D.d.l. n. 1532-bis, rubricato “Termine comunicazioni obbligatorie lavoro agile”, riteniamo opportuno, per una maggiore coerenza sistematica, affiancare alla modifica ivi proposta anche una modifica dell’art. 4-bis, comma 5, D. Lgs. 181/2000, aggiornando l’elenco delle variazioni del rapporto di lavoro per cui ricorre l’obbligo di comunicazione, entro cinque giorni, al servizio competente.
Dunque, la proposta è di aggiungere all’elenco la lettera “e-sexies) prestazione di lavoro in modalità agile”.
Emendamento: |
Parte Seconda - Ulteriori proposte
1. Negoziazione assistita e conciliazioni in modalità telematica
In materia di risoluzione alternativa delle controversie di lavoro, si propone di intervenire sulla disciplina introdotta dall’art. art. 9, comma 1, lett. d), D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”), che ha modificato il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito L. 10 novembre 2014, n. 162, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile, introducendo gli artt. 2-bis e 2-ter.
La riforma contiene senz’altro numerosi principi condivisibili, che riteniamo potranno effettivamente semplificare lo svolgimento dei procedimenti civili.
Non possiamo però esimerci dall’evidenziare che l’estensione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro, prevista dall’art. 2-ter, avrebbe dovuto trovare, ragionevolmente, un bilanciamento nell’introduzione di norme che favorissero anche le conciliazioni in sede sindacale o che, quanto meno, non le penalizzassero rispetto alla prima.
Ed infatti l’attuale formulazione dell’art. 2-bis, prevede solo per la negoziazione assistita la possibilità di svolgimento secondo modalità telematiche, con conseguenti semplificazioni procedurali. Nulla in tal senso è previsto, invece, per le conciliazioni in sede sindacale.
Ebbene, tenendo conto del fatto che l’attività della conciliazione delle controversie di lavoro svolta nelle sedi sindacali è certamente una delle attività che, da tempo immemorabile, ha contribuito a deflazionare il contenzioso nelle materie del lavoro, con estrema efficacia di risultati, è opportuno estendere anche a tale strumento la possibilità di ricorrere alla modalità telematica.
In base alla disciplina vigente, invece, come si diceva, si riserva un vero e proprio “vantaggio” a favore della nuova forma di risoluzione alternativa delle controversie di lavoro (negoziazione assistita da avvocati e consulenti del lavoro), a scapito delle conciliazioni in sede sindacale, di cui agli artt. 411 e 412-ter c.p.c.
Di seguito, la proposta di emendamenti dell’art. 2-bis del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, per porre rimedio alla questione segnalata.
Emendamenti all’art. 2-bis del D.L. 132/2014: |
2. Stagionalità
Recenti sentenze della Cassazione hanno messo in discussione il concetto di stagionalità in materia di contratti a tempo determinato. Ciò è avvenuto dopo anni di pacifica applicazione delle norme in materia che hanno affidato la definizione di stagionalità alla contrattazione collettiva, ad integrazione della storica definizione delle attività stagionali contenuta nel D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 che, oramai, risulta per gran parte superata.
Queste sentenze introducono una distinzione, di difficile comprensione, tra “attività stagionale” e “punte di stagionalità”, laddove da sempre le attività stagionali comportano, necessariamente, una “punta di attività” legata, appunto, al ciclico riproporsi di determinate situazioni che, oramai, non sono più soltanto correlate alle stagioni vere e proprie ma ad eventi o situazioni di mercato che si ripropongono, puntualmente, sempre negli stessi periodi dell’anno e per periodi limitati.
La distinzione giurisprudenziale che vorrebbe riconoscere solo nella stagionalità tout court (e non nelle “punte di stagionalità”) il presupposto per poter avvalersi della speciale disciplina dei contratti a termine, specificamente prevista dal legislatore, può mettere in serissima difficoltà primari settori produttivi italiani (dal turismo all’alimentare).
La norma di interpretazione autentica, oggetto della proposta, mira pertanto a garantire che le definizioni di attività stagionale sin qui adottate dalla contrattazione collettiva (che, per la gran parte, si ispirano ai principi di ciclicità e determinatezza dei periodi di “stagionalità”), vengano salvaguardate e, con esse, le attività imprenditoriali che a quelle definizioni fanno, da anni, riferimento, con la finalità di poter adeguare e integrare, ciclicamente, gli organici aziendali con i contratti a termine stagionali. Ed è bene ricordare che la legge riserva ai titolari del contratto a termine stagionale particolari tutele, quali, prima fra tutte, il diritto di precedenza nelle successive assunzioni a termine per motivi di stagionalità.
Ne deriva che i lavoratori stagionali vedono, di anno in anno, garantita, in via prioritaria, la loro occupazione, tanto da poter programmare la loro attività lavorativa legata alla stagionalità con adeguata certezza.
Su questo presupposto si chiede, altresì, di confermare l’impostazione originaria della disposizione contenuta nella c.d. “legge Fornero” (legge 28 giugno 2012, n. 92) che, nel prevedere a carico dei contratti a termine un contributo aggiuntivo al contributo ordinario di finanziamento della Naspi, esentava da tale contributo aggiuntivo proprio i rapporti di lavoro a tempo determinato stagionali.
Il presupposto di questa esenzione era, evidentemente, motivato dalla circostanza, notoria, che i periodi di Naspi fruiti dai lavoratori stagionali (proprio a ragione del diritto di precedenza loro riconosciuto e della ciclicità delle attività stagionali) sono di breve durata e che, pertanto, il contributo ordinario corrisposto dalle imprese è già più che sufficiente a finanziare le relative prestazioni.
Secondo i dati INPS relativi al quadriennio 2015-2018, infatti, il numero medio di giornate indennizzate ai lavoratori stagionali è pari a circa 100 all’anno per ogni beneficiario, mentre il dato è pari a oltre 110 per i lavoratori a tempo determinato e a oltre 185 per i lavoratori a tempo indeterminato.
Sempre con riferimento al quadriennio 2015-2018, le giornate complessive indennizzate per i disoccupati da lavoro stagionale sono state, annualmente, circa 27,5 milioni, quindi, circa un sesto delle giornate complessive indennizzate ai disoccupati provenienti da contratto di lavoro a tempo indeterminato (quasi 170 milioni all’anno) e circa un quarto delle giornate complessive indennizzate a disoccupati provenienti da contratto di lavoro a tempo determinato (98 milioni all’anno).
Ne deriva che, tenendo a mente il complesso delle giornate indennizzate, quelle relative ai lavoratori stagionali si collocano a meno di un decimo di quelle complessive.
Ne deriva a sua volta che esentare i rapporti di lavoro a termine stagionale da ogni contribuzione aggiuntiva risulta una scelta senz’altro congrua rispetto al finanziamento del complesso delle prestazioni Naspi erogate.
Di seguito, la proposta di emendamenti in materia.
Emendamenti: |
3. Proposte in materia di formazione sul lavoro
Per accompagnare le transizioni di vario genere che stanno interessando la società in generale ed il mercato del lavoro in particolare, Confindustria ritiene fondamentale definire delle politiche lungimiranti per i giovani e le prossime generazioni, con particolare attenzione al tema dell’istruzione e della partecipazione al lavoro.
In questa prospettiva, alla luce dell’analisi dei dati in tema di istruzione, vengono di seguito illustrate delle proposte per migliorare le transizioni tra scuola e mondo del lavoro puntando, in particolare, sull’apprendistato di tipo “duale”.
3.1 Apprendistato
Secondo i dati ufficiali in Italia1 il tasso di abbandono scolastico resta tra i più alti dell'UE, in particolare al sud2. La mancanza di opportunità educative implica una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. I 18-24enni usciti dal sistema educativo prima del conseguimento di una qualifica o di un diploma mostrano un tasso di occupazione di 16 punti inferiore rispetto a quello dei diplomati (33,5% contro 49,5%).
Quest’ultimo dato suggerisce una certa correlazione tra le categorie degli ELET e dei NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), ovvero di chi non studia né lavora. Ciò in quanto l’abbandono precoce degli studi porta ad affrontare il mercato del lavoro con maggiori difficoltà e, dunque, aumenta il rischio di entrare a far parte della categoria dei NEET.
Per affrontare le criticità derivanti dall’abbandono del percorso di studi, che comporta costi sociali (oltre che individuali) molto elevati, è necessario combinare aspetti educativi e sociali, partendo dalla considerazione che le caratteristiche dei percorsi di studio sono uno degli aspetti che determina la decisione di abbandonare gli studi anzitempo.
In questo senso, puntare su strumenti e percorsi che leghino meglio attività didattica e formativa ed esperienze sul campo, nei luoghi di lavoro, può rappresentare una strategia vincente. L’apprendistato di primo e terzo livello rispecchia senz’altro queste caratteristiche ma perché venga effettivamente utilizzato è necessario, a nostro avviso, che la relativa disciplina sia oggetto di alcune modifiche e semplificazioni.
In particolare, le modifiche normative proposte mirano ad una maggiore flessibilità dello strumento e all’introduzione di incentivi per i datori di lavoro che investano sui programmi di formazione sul lavoro.
Le proposte di Confindustria sul punto possono essere sintetizzate come segue:
a) Prevedere, durante il rapporto di apprendistato di primo livello (in ragione del particolare collegamento tra lavoro e formazione che lo caratterizza) che al termine di ciascun anno scolastico vengano effettuate verifiche sul raggiungimento degli obiettivi formativi intermedi, sia teorici che pratici, previsti nel piano formativo. L’esito negativo di tali verifiche, anche al netto di eventuali sessioni di recupero previste dal piano formativo, deve consentire il recesso per giustificato motivo dal contratto di apprendistato, fatti salvi i crediti formativi fino a quel momento acquisiti dall’apprendista.
Lo svolgimento di verifiche intermedie, il cui esito negativo possa giustificare il recesso prima del termine del rapporto da parte del datore di lavoro, deve costituire una facoltà anche nelle altre tipologie di apprendistato, da disciplinare (quanto ai tempi e alle modalità) all’interno del piano formativo.
b) Consentire il passaggio da una forma di apprendistato all’altra, senza vincoli, se non l’adeguamento del piano formativo ogni volta che si sia completato un ciclo di apprendistato.
c) Prevedere il decorso del preavviso per il recesso ex art. 2118 c.c. a date certe, ossia dal primo giorno o dalla metà del mese successivo alla data di scadenza del contratto e, nel caso dell’apprendistato di primo livello, dal mese successivo alla data in cui l’istituzione formativa comunica formalmente al datore di lavoro l’attestazione del conseguimento del titolo. Anche nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi formativi (in tutte le tipologie di apprendistato) il preavviso decorre dal giorno 1 o dal giorno 15 del mese successivo alla comunicazione dell’esito negativo della prova, fatta sempre salva la facoltà prevista dall’art. 43, comma 4, ultimo periodo, per quanto riguarda l’apprendistato di primo livello.
Una tale previsione, per quanto riguarda l’apprendistato di primo livello, si pone in linea con il principio “generale” per il quale la durata dell’apprendistato “duale” deve essere pienamente coordinata con l’andamento del corso formativo.
Inoltre, fissare il decorso del preavviso a date certe è funzionale ad evitare che, per un mero errore di calcolo in ordine all’esatto termine del rapporto, si verifichino conferme “automatiche”, a tempo indeterminato, del rapporto di apprendistato, non volute dal datore di lavoro.
Occorre, infine, prevedere che, nelle ipotesi in cui l’apprendista sia assunto per il tramite di un’agenzia di somministrazione, quest’ultima possa procedere ad esercitare il recesso, secondo le regole di cui sopra, ove ne faccia espressa richiesta l’impresa utilizzatrice.
d) Tenendo conto delle ridotte dimensioni occupazionali di oltre il 90% delle imprese italiane, occorre prevedere che due imprese possano redigere un unico piano formativo “integrato” che consenta lo svolgimento anche di due rapporti in apprendistato in “parallelo”, svolto l’uno, per un periodo, presso una impresa e per il successivo presso l’altra (e viceversa, in caso di apprendistato “in parallelo”), secondo le modalità ed i tempi che dovranno essere definiti ab origine dalle parti nel contratto e nel piano formativo.
e) In caso di malattia o infortunio superiore a trenta giorni, ovvero di intervento della cassa integrazione, è già consentito al datore di lavoro di prorogare il contratto per un periodo corrispondente alla sospensione del rapporto (cfr. art. 42, comma 5, lett. g). In questa logica, occorre prevedere che anche in caso di maternità o matrimonio, il datore di lavoro possa prorogare il contratto di apprendistato per un periodo corrispondente al divieto di licenziamento, onde evitare che il divieto di licenziamento, previsto per legge, determini un prolungamento del rapporto tale da far sì che si realizzi “automaticamente” la conferma a tempo indeterminato.
In questi casi il termine finale del rapporto viene, dunque, posticipato di una durata pari a quella della sospensione.
f) Occorre modificare il DM 12 ottobre 2015 (attuativo dell'articolo 46, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81) rendendo flessibile il “limite” quantitativo di formazione interna da erogare da parte del datore di lavoro. In particolare, occorre invertire il criterio ora previsto al comma 7 dell’art. 5, e cioè, determinare una quantità minima e una massima di formazione interna, da dettagliare nel piano formativo, e determinare le ore di formazione esterna per differenza con le ore del percorso formativo ordinamentale.
In tal modo, si consente all’impresa di modulare il numero di ore di formazione interna, osservando un plafond massimo di ore da concordare con l’istituzione formativa.
g) Occorre valorizzare e “incentivare” opportunamente il tutor scolastico che dovrà rapportarsi con il tutor aziendale e ciò anche per risolvere il non semplice problema della formazione e gestione delle classi con apprendisti. Il tutor “scolastico” potrebbe anche non appartenere necessariamente al plesso scolastico ove si svolge l’apprendistato duale ma, ad esempio, all’istituto comprensivo o al circolo didattico.
h) Nell’ambito dell’apprendistato di primo livello si ritiene altresì necessario che, al fine coniugare la formazione effettuata in azienda con l'istruzione e la formazione professionale svolta dalle istituzioni formative, all’art. 43 si dica espressamente che l’assunzione possa avvenire sia a tempo pieno che a tempo parziale.
i) Occorre, conseguentemente, favorire l’assunzione con contratto part time, specie nella forma “mista”, ossia con alternanza di periodi o giornate in cui si osserva l’orario normale, per un determinato arco temporale (giorno/settimana/mese, ossia un part time verticale), e giornate in part time orizzontale. Tale meccanismo semplificherebbe, infatti, la gestione dell’alunno/lavoratore, specie se frequenta una classe ordinaria, composta da altri alunni solo studenti.
Sempre al fine di semplificare la gestione di questi rapporti “speciali”, occorre apportare delle deroghe “mirate” alla disciplina di legge ordinaria del part time. Nello specifico, è necessario modificare la formulazione del secondo comma dell’art. 5 D. Lgs. 81/2015.
Tale norma, nell’attuale formulazione, prevede che nel contratto di lavoro part time venga indicata puntualmente la collocazione temporale dell'orario, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Tale “cristallizzazione” dell’orario e dei giorni di svolgimento della prestazione lavorativa, tuttavia, mal si coniuga con la necessità di organizzare lo svolgimento dell’attività lavorativa con quello della formazione teorica presso le istituzioni formative, la cui scansione temporale può subire delle variazioni durante l’anno di riferimento.
Pertanto, si rende necessario prevedere la possibilità di inserire, nel contratto di apprendistato di primo livello part time, delle clausole per la distribuzione dell'orario, in base alle quali la fissazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa indicata al momento della stipula del contratto non può considerarsi definitiva. Si deve dunque prevedere che tale collocazione temporale possa subire delle variazioni concordate tra istituzione formativa e datore di lavoro, previo congruo preavviso all’apprendista.
Infine, sarebbe necessario introdurre degli incentivi di varia natura per incoraggiare il ricorso a tale forma contrattuale, tra cui, ad esempio, un’aliquota contributiva del 2,5% per il primo anno di apprendistato, dell’1% per il secondo anno ed una esenzione totale per il terzo anno, da mantenere nell’eventuale anno successivo alla conferma (ferme restando le aliquote previste dall’attuale normativa per le imprese di minore dimensione).
Emendamenti all’art. 42 del D. Lgs. 81/2015:
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4. Riferimento normativo alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
L’emendamento proposto all’art. 1, comma 1, del D. L. 338/1989, conv. con mod. dalla L. 389/1989, n. 389, vuole sostituire le parole «maggiormente rappresentative» con «comparativamente più rappresentative».
La norma oggetto della presente proposta emendativa, in particolare, individua il riferimento da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale proprio nell’importo stabilito dal contratto collettivo di riferimento per ciascun settore, in base al grado di rappresentatività dei soggetti stipulanti.
La proposta, a ben vedere, non è una mera sostituzione terminologica resa necessaria, ma è volta a garantire una coerenza sistematica fra le norme che, in diverse sedi del nostro ordinamento e da almeno un ventennio, servono ad individuare le organizzazioni sindacali che, per il loro grado di rappresentatività, sono destinatarie di determinate “prerogative” di legge.
La formula che fa riferimento alla “maggiore rappresentatività” è nata in un contesto socio/normativo che non registrava il fenomeno, ora eclatante, della proliferazione dei contratti collettivi, più volte denunciato in varie sedi e, anzitutto, al CNEL, che è istituzionalmente e costituzionalmente l’organo organo deputato all’esame, nonché alla raccolta, dei contratti collettivi.
Tale formulazione finisce per amplificare il grado di approssimazione dell’individuazione dei soggetti interessati, aggravando la situazione di incertezza che già caratterizza la materia della misurazione della rappresentanza.
Come si diceva, non si tratta di una mera differenza terminologica, bensì di una precisazione necessaria per raggiungere quello che è stato dichiarato tra gli obiettivi di questo Governo: la valorizzazione di una contrattazione di “qualità” che consenta di accedere al mondo delle relazioni industriali solo ad attori effettivamente rappresentativi.
Ebbene, allo stato attuale, a poter essere misurata - seppur ancora con esclusivo riferimento alle organizzazioni sindacali - è una maggiore rappresentatività in termini comparativi tra i vari attori, che sottoscrivono diversi contratti collettivi, per ciascun settore merceologico, non anche in termini assoluti e generali.
Emendamento: |
5. Ammortizzatori sociali
5.1 Procedimento di cassa integrazione guadagni straordinaria
Il comma 3 dell’art. 25 del D.lgs. n. 148/2015 prevede che in caso di presentazione tardiva della domanda di cassa integrazione guadagni straordinaria il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda medesima.
Al momento dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 148/2015, questa norma era stata prevista poiché il comma 2 del medesimo articolo 25 prevedeva che la sospensione o la riduzione dell'orario avesse inizio non prima del trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.
Successivamente il D.lgs. n. 185/2016 - recante disposizioni integrative e correttive dei Decreti legislativi nn. 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015 - ha modificato il termine di inizio delle sospensioni/riduzioni orarie prevedendo che «La sospensione o la riduzione dell'orario così come concordata tra le parti ha inizio entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda [...]».
Pertanto, allo stato attuale in caso di presentazione tardiva della domanda non si riscontra più una ratio che giustifichi il mantenimento di una simile previsione che va modificata eliminando il riferimento al “trentesimo” giorno successivo, consentendo così che il trattamento di integrazione salariale straordinario decorra dal giorno successivo alla presentazione della domanda.
L’emendamento, di carattere procedurale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Emendamento: |
5.2 Termini di decadenza di conguaglio/rimborsi delle integrazioni salariali
L’art. 7 del D.lgs. n. 148/2015 prevede in capo al datore di lavoro uno stringente termine di decadenza pari a sei mesi per effettuare presso l’Inps i c.d. conguagli, vale a dire il recupero delle somme anticipate ai lavoratori a titolo di integrazione salariale (l’art. 7 attualmente recita: «il conguaglio o la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori devono essere effettuati, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo»).
L’impresa, quindi, ha sei mesi per effettuare questa operazione, decorsi i quali decade da tale possibilità. Prima della riforma del D.lgs. n. 148/2015 non esisteva tale regime di decadenza e il diritto al recupero era sottoposto agli ordinari termini di prescrizione. Sarebbe pertanto opportuno, in un’ottica di leale collaborazione tra imprese e Amministrazione, qualora si intendesse confermare il regime decadenziale introdotto nel 2015, valutare un termine di decadenza più ampio, pari ad almeno 18 mesi.
L’emendamento, di carattere procedurale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Emendamento: |
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1 Commissione europea (Education and Training Monitor 2022) e Istat (Livelli di istruzione e ritorni occupazionali, anno 2021).
2 La percentuale di giovani che abbandona precocemente l'istruzione è stata del 12,7% nel 2021 (517 mila ragazzi in valore assoluto). Il dato, seppur in calo dal 17,3% registrato nel 2012, resta ben al di sopra della media UE del 9,7%, del dato della Francia (pari al 7,8%) e di quello della Germania (11,8%).
fonte: Camera dei deputati