Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2024, n. 4310 - Caduta dal tetto del lavoratore. Nessun comportamento abnorme
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a R il (omissis)
avverso la sentenza del 24/10/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa in data 16 ottobre 2019 dal locale Tribunale, appellata dal pubblico ministero e dalla parte civile B.B., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 590 cod. pen., perché estinto per intervenuta prescrizione; ha condannato l'imputato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita, per la cui liquidazione ha rimesso le parti dinanzi al competente giudice civile; ha rigettato la richiesta di condanna dell'imputato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva e lo ha condannato alla rifusione delle spese sostenute dall'anzidetta parte civile.
1.2. La vicenda ha ad oggetto l'incidente occorso a B.B., dipendente, con mansioni di muratore, della Cisco Appalti Srl - di cui l'imputato era il legale rappresentante -, impegnata nella sostituzione della copertura in eternit di un capannone, nella disponibilità del Centro di ricerca aerospaziale dell'Università La Sapienza.
2. Avverso la sentenza di appello ricorre il difensore dell'imputato che solleva i seguenti motivi:
2.1. Assenza di motivazione per non avere la sentenza di appello, in riforma di una sentenza di assoluzione, superato il ragionevole dubbio, con una rigorosa dimostrazione della insostenibilità delle spiegazioni offerte dal primo Giudice. In applicazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., la Corte territoriale ha provveduto alla rinnovazione delle prove dichiarative, ma l'adempimento di questo obbligo non esaurisce il rispetto del canone del ragionevole dubbio, dovendo la motivazione che ribalta il giudizio assolutorio di primo grado rispettare i criteri di giudizio fissati dalla giurisprudenza della Corte Suprema. La difesa richiama gli elementi in base ai quali la sentenza di primo grado era pervenuta al giudizio assolutorio e gli elementi sulla cui base il Giudice di appello è pervenuto ad opposta conclusione. Nel caso di specie, sostiene che la Corte di appello si sia limitata ad offrire, sul punto dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, una ricostruzione meramente alternativa, altresì disattendendo la necessaria valutazione unitaria della prova, essendosi limitata ad esaminare separatamente gli elementi indiziari. Anche con riguardo alla testimonianza del C.C.@, la sentenza impugnata avrebbe violato il canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", avendo affermato di "dubitare" della sua attendibilità, invece che esprimere un giudizio connotato da certezza. Alla medesima stregua, la sentenza impugnata sottovaluterebbe altri elementi emersi nel corso della rinnovazione istruttoria, anch'essi richiamati nel ricorso;
2.2. Motivazione apparente e contraddittoria in merito alla sussistenza del nesso causale. La Corte di appello - nel ricordare che, qualche giorno prima dei fatti, il direttore dei lavori dell'Università, ing. D.D.(rectius, omissis), nel corso di un sopralluogo, aveva rimarcato il pericolo rappresentato dal salire sul tetto, riferendo anche di un altro infortunio che ivi si era verificato - omette tuttavia un dato rilevante e cioè che il B.B. era uno degli operai presenti a quella riunione. Il comportamento della persona offesa si configura, pertanto, come altamente imprudente, proprio perché messa a conoscenza del pericolo, altresì considerato che l'incidente si è verificato non perché il lavoratore sia caduto dal ponteggio ma perché è uscito dal ponteggio per salire sul tetto. A nulla, quindi, rileverebbero le osservazioni del Giudice di appello sulla inosservanza delle misure di sicurezza riguardanti il ponteggio, essendo l'incidente avvenuto fuori di questo, per scelta consapevole, gravemente imprudente: ne deriva, pertanto, l'esclusione del nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. In data 06/10/23, sono pervenute conclusioni e nota spese dell'avv. Tatiana De Benedictis per la costituita parte civile.
Diritto
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.,
2. Costituisce insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello a mente del quale, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore Sez. 6 n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056). In altre parole, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato. Ai fini della riforma della sentenza assolutoria, pertanto, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo una maggior forza persuasiva, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio.
Di tale principio di diritto la Corte territoriale ha fatto buon governo. La lettura della sentenza impugnata evidenzia il pieno confronto critico con la difforme opzione decisionale di primo grado e con il relativo iter argomentativo, sottoposto a critica serrata. A detta del Tribunale, le dichiarazioni della persona offesa - la quale aveva dichiarato di essere salita sul tetto dell'edificio la cui copertura aveva ceduto, causandone la precipitazione, per tagliare i rami di un albero che rendevano difficoltosa la realizzazione dell'impalcatura -, poste a fondamento dell'assunto accusatorio, non avevano trovato conferma "in alcune circostanze di fatto deducibili da testimonianze e da precisi dati contrattuali". Il Tribunale, pertanto, aveva ritenuto che la persona offesa avesse agito autonomamente, mettendo in atto un comportamento imprudente, le cui conseguenze non erano attribuibili a A.A. e che, in ogni caso, doveva escludersi che l'imputato avesse ordinato al lavoratore di salire sul tetto, la cui pericolosità era nota a tutti.
Diversamente dal primo Giudice, la Corte territoriale ha ritenuto pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa, reputando invece inattendibili quelle del teste C.C.@, secondo il quale l'imputato aveva incaricato il B.B. di effettuare dei lavori di pulizia delle erbacce a terra, nell'area del cantiere; allo stesso modo, ha disatteso l'assunto difensivo dell'imputato, sostanzialmente convergente con il racconto di detto testimone. Il Giudice di appello ha affermato che le lesioni riportate dal B.B., a seguito della caduta, sono ascrivibili al datore di lavoro, l'odierno imputato, il quale impartiva le direttive ai lavoratori ed era tenuto ad osservare le prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro e a controllarne il rispetto,, onde garantire l'incolumità del dipendente; che la persona offesa stava svolgendo il compito assegnatogli - in un cantiere in cui erano state subappaltate delle lavorazioni, circostanza che non era stato oggetto di valutazione nel piano di sicurezza e coordinamento, a proposito dell'interferenza tra lavoratori di ditte diverse - senza l'idonea attrezzatura volta a prevenire il rischio di cadute dall'alto e senza gli indumenti protettivi, non risultando altresì che fosse stata adeguatamente formata sui rischi specifici e sulle fasi lavorative per il passaggio dal ponteggio alla copertura. Ha ricordato come il piano di sicurezza non fosse completo e adeguato, perché non riportava tutte le fasi di lavoro, non essendo stata, in particolare, valutata la non calpestabilità della copertura, né erano state indicate le relative misure di sicurezza affinché non fosse calpestata la copertura in eternit. Ha infine osservato che l'imprudenza del B.B. di salire o, comunque, di poggiarsi sulla copertura in eternit nello svolgimento dei compiti impartiti, non escludeva la responsabilità del datore di lavoro, "trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile dell'inadempienza degli obblighi di adeguata informazione e di prevenzione del rischio, su di lui incombenti". Sul punto, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, "poiché le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adozione delle misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile e tale, dunque, da presentare i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, sempre che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza, nel qual caso nessuna efficienza causale può essere attribuita alla condotta del lavoratore che abbia dato occasione all'evento" (ex multis, Sez. 4, n. 3455 del 03/11/2004, dep. 2005, Volpi, Rv. 230770).
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile B.B. nel presente grado di legittimità, che vanno liquidate in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile B.B. nel presente grado di legittimità, che liquida in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2024.