Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 febbraio 2024, n. 3927 - Ispezione sanitaria dei Carabinieri: giusta causa di licenziamento dello chef che mal conserva gli alimenti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia - Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere
Dott. PONTERIO Carla - Rel. Consigliera
Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 29806-2020 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Torrevecchia N.118, presso lo studio dell'avvocato Fabrizio Sepiacci, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Turturici;
- ricorrente -
contro
Aeroviaggi Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma Piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Gerlando Calandrino, Maurizio Maggio;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 345/2020 della Corte d'appello di Palermo, depositata il 08/06/2020 R.G.N. 450/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2023 dalla Consigliera Dott. Carla Ponterio;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo Celentano che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato Gerlando Calandrino.
Fatto
1. La Corte d'appello di Palermo ha respinto l'appello proposto da A.A., dipendente della Aeroviaggi Spa con mansioni di chef di I livello presso l'Hotel Lipari, ed ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata l'impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato il 26 agosto 2017, ante tempus rispetto alla scadenza del contratto a tempo determinato, prorogato fino al 14 ottobre 2017.
2. La Corte territoriale ha premesso: che con lettera del 19 agosto 2017 la società aveva mosso al dipendente la seguente contestazione: "a seguito di una ispezione igienico-sanitaria effettuata in data 17 agosto 2017 dal Comando Carabinieri per la tutela della salute, Nucleo antisofisticazioni e sanità di Palermo...nella struttura turistica...ove ella è stata assunta e svolge le mansioni di chef, i militari hanno riscontrato e contestato...le seguenti irregolarità: congelamento abusivo di complessivi kg. 47 circa di alimenti, alcuni parzialmente privi di idonea copertura, accatastati l'uno sull'altro ed in promiscuità tra loro, parte invasi da ghiaccio e con segni di bruciature da freddo, detenuti ad una temperatura diversa da quella indicata nelle rispettive etichette. Più precisamente, sono stati rinvenuti all'interno della cella frigorifero riportante la temperatura di -18°C, n. 3 vassoi di metallo contenenti diverse tipologie di carni, prive di idonea copertura e conservate ad una temperatura diversa da quella prevista in ciascuna etichetta, nonché n. 4 buste sottovuoto contenenti alimenti scaduti e conservati ad una temperatura diversa da quella indicata nelle rispettive etichette"; che con lettera del 26 agosto del 2017 era stato intimato il licenziamento ai sensi dell'art. 192, comma 5, lett. e) del CCNL; che lo svolgimento dei fatti non era stato contestato dal lavoratore; che la sanzione irrogata era proporzionata alla gravità dei fatti, considerato "il ruolo di responsabilità rivestito all'interno della struttura aziendale dall'appellante e la conseguente particolare fiducia che il datore di lavoro riponeva nel corretto adempimento della prestazione lavorativa, nonché la circostanza che il comportamento contestato integra(va) violazione di regole cautelari specifiche, sia perché previste nel manuale HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point cioè Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici, onde tutelare il consumatore garantendo la salubrità degli alimenti), sia perché sanzionate penalmente dal legislatore"; che "il rilievo penale della condotta sanzionata (era) circostanza idonea ad escludere che l'inadempimento contestato po(tesse) essere valutato come lieve o tenue, atteso che i fatti come quelli contestati all'appellante sono stati già valutati in termini di assoluta gravità dal legislatore che, al fine di proteggere il bene giuridico - di primario rilievo costituzionale della salute pubblica - ha dettato norme in materia di igiene e sicurezza alimentare presidiando con sanzione penale...non soltanto il comportamento idoneo a ledere il bene protetto ma anche alcuni tra i comportamenti potenzialmente atti a porre in pericolo lo stesso...come appunto il detenere prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione ai fini della vendita".
3. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Aeroviaggi Spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 192, comma 1, lett. a) e comma 5 del C.C.N.L. per i dipendenti del Settore Turismo stipulato il 20.2.2010 e rinnovato il 18.1.2014, nonché dell'art. 138, comma 7, lett. f) del citato C.C.N.L.
5. Il ricorrente rileva che la Corte d'appello ha qualificato i fatti contestati come integranti la violazione delle norme in materia di igiene e di sicurezza alimentare e che, in ragione di ciò, avrebbe dovuto ritenere integrata la previsione dell'art. 13 8, comma 7, lett. f) del contratto collettivo (secondo cui il lavoratore che "in altro modo trasgredisca l'osservanza del presente contratto o commetta atti che portino pregiudizio alla disciplina, alla morale, all'igiene e alla sicurezza dell'azienda" è punibile con sanzione conservativa) anziché quella dell'art. 192, comma 5, lett. e) del C.C.N.L. (che sanziona con il licenziamento senza preavviso la fattispecie di "gravi guasti provocati per negligenza al materiale dell'azienda").
6. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sotto il profilo della radicale omissione della motivazione o del suo carattere apparente.
7. Il ricorrente, premessa l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 348 ter c.p.c. data la diversa qualificazione della condotta rispettivamente ad opera del Tribunale e della Corte d'appello, critica la sentenza impugnata per aver fornito una motivazione apparente in ordine al requisito di proporzionalità della sanzione, basata sulla presunzione per cui il rilievo penale della condotta giustificherebbe di per sé il licenziamento, senza considerare le circostanze addotte dal lavoratore e atte a dimostrare come la sua condotta non rivestisse una gravità tale da giustificare la massima sanzione espulsiva; ed esattamente, l'assenza di precedenti disciplinari nell'arco di 17 anni di carriera alle dipendenze della società (dal 2000 al 2007 a tempo indeterminato e dal 2008 fino alla data del recesso con contratti a tempo determinato); l'elemento soggettivo della condotta quale culpa in vigilando, e non già dolo; la natura contravvenzionale del reato contestato al datore di lavoro e l'entità dell'ammenda irrogata, in assenza di qualsiasi provvedimento di chiusura o di sospensione dell'attività dell'albergo, di cui la stessa sentenza d'appello dà atto; la circostanza per cui il ricorrente operava con una unità di personale in meno rispetto alla ordinaria forza lavoro, a seguito delle dimissioni del vice chef nel periodo maggio - giugno 2017, e con personale alle prime esperienze lavorative nella gestione della cucina; il fatto che nessun danno concreto per la salute degli ospiti dell'albergo era derivato dalla condotta contestata, non trattandosi di partite di carne deteriorate o avariate ma di partite di carne mal conservate; che la società non aveva subito nessun rilevante danno all'immagine; elementi, quelli appena elencati, che la Corte di merito ha del tutto trascurato di esaminare ai fini del giudizio di proporzionalità.
8. I motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione logica, non sono fondati.
9. Come costantemente affermato da questa Corte, la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", è una nozione che la legge configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; è solo l'integrazione giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l'applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838 del 2005; n. 21214 del 2009; n. 6901 del 2016; n. 18715 del 2016; n. 13534 del 2019; n. 12789 del 2022; n. 7029 del 2023Data Si è precisato, inoltre, che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione di gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (legge n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 28.5.2019 n. 14504, con richiamo a Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007).
10. Dalla natura legale della nozione deriva simmetricamente che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza solo esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011, Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018). In sostanza, in materia disciplinare, l'apprezzamento della giusta causa di recesso rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, tenuto a valorizzare elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (cfr., Cass. 7.11.2018 n. 28492, n. 9396 del 2018; n. 27238 del 2018). Si è sottolineato come il potere del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella legge n. 183 del 2010, il cui art. 30, comma 3, statuisce: "nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni" (v. da ultimo Cass. n. 11665 del 2022).
11. Il principio generale finora esposto subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solo una sanzione conservativa. Secondo l'indirizzo consolidato (v. da ultimo Cass. 11665 del 2022 e precedenti ivi richiamati), il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dalla fonte collettiva per una determinata infrazione. Ed infatti, condotte che pur astrattamente sarebbero suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l'autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.
12. Nel caso in esame, la Corte d'appello ha condotto la sua valutazione in conformità ai principi di diritto richiamati ed ha ancorato la gravità della condotta e la connessa proporzionalità della sanzione espulsiva ad una duplice caratteristica: l'essersi la condotta concretizzata nella violazione di regole cautelari, di igiene e sicurezza, poste a tutela di un bene giuridico primario, quale la salute pubblica; il rilievo penale della condotta oggetto dell'accertamento ispettivo, a seguito del quale è stato emesso nei confronti del legale rappresentante della società decreto penale di condanna per la violazione dell'art. 5, lett. d) della legge 283 del 1962 punita con l'ammenda.
13. La sentenza d'appello rimarca la gravità della condotta in relazione alla sua pericolosità evidenziando come il legislatore, al fine di predisporre una tutela ampia ed effettiva del bene salute, abbia inteso vietare, presidiando il divieto con sanzione penale, comportamenti potenzialmente idonei a mettere in pericolo la salute pubblica, come, appunto, la detenzione a fini di vendita o di somministrazione al pubblico di alimenti in cattivo stato di conservazione. Sottolinea, inoltre, il ruolo di responsabilità rivestito dall'attuale ricorrente nella struttura aziendale e quindi il dovere del medesimo di rigorosa osservanza delle disposizioni richiamate.
14. La pericolosità per la salute pubblica ed il rilievo penale delle violazioni realizzate, quali caratteristiche della condotta su cui si fonda il giudizio di gravità espresso dai giudici di appello, costituiscono, nell'architettura della sentenza impugnata, la ragione che preclude di sussumere l'addebito nelle previsioni di illecito disciplinare cui il contratto collettivo collega una sanzione conservativa.
15. L'affermazione contenuta nella sentenza d'appello, secondo cui "proprio il rilievo penale della condotta sanzionata è circostanza idonea ad escludere che l'inadempimento contestato possa essere valutato come lieve o tenue", (sentenza pag. 7, ultimo cpv.) dà conto di come la gravità concreta dell'addebito accertato impedisse di ricondurre lo stesso alle fattispecie punibili, in base al contratto collettivo, con sanzioni conservative, e correlate ad un livello di inadempimento sensibilmente inferiore alla violazione di norme idonea a mettere in pericolo la salute degli utenti.
16. Non vi è quindi spazio per ravvisare la violazione dell'art. 138 del C.C.N.L. avendo la Corte di merito, sia pure implicitamente, inteso la previsione di cui alla lett. f) come relativa ad "atti che portino pregiudizio...all'igiene ed alla sicurezza dell'azienda" aventi, comunque, carattere lieve e non potenzialmente idonei a mettere in pericolo la salute pubblica ed avendo escluso nel caso di specie il carattere di limitata gravità dell'infrazione compatibile col corredo di sanzioni conservative.
17. Neppure ha fondamento la denunciata violazione dell'art. 192 lett. e) del C.C.N.L. poiché, secondo i giudici di appello, l'inosservanza di disposizioni dettate al fine di prevenire rischi per la salute delle persone è idonea ad integrare la fattispecie di cui all'art. 2119 c.c. e tale valutazione è coerente rispetto ai parametri normativi di giusta causa e di proporzionalità in ragione del rilievo costituzionale del bene salute e delle conseguenze penali della condotta medesima.
18. Inammissibile risulta poi il dedotto vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., sia perché ciò che si denuncia non è l'omesso esame di un determinato fatto storico decisivo, idoneo a mutare l'esito della controversia (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014), bensì l'omessa o errata valutazione di una serie di elementi. Tra questi, il carattere colposo dell'addebito e la natura contravvenzionale del reato contestato al datore di lavoro sono stati, in realtà, considerati dalla sentenza d'appello che è ben consapevole dell'essere le diposizioni violate norme di pericolo. La sentenza riporta le deduzioni dell'appellante sull'esito dell'accertamento ispettivo, che "aveva condotto esclusivamente all'adozione di un decreto penale di condanna senza...chiusura dei locali e neppure la sospensione dell'attività di cucina" e sulla "particolare tenuità dell'elemento soggettivo...consistente in culpa in vigilando" (sentenza pag. 7, secondo cpv.) ma giudica, sia pure implicitamente, tali caratteristiche (così come l'assenza di un danno alla reputazione della società) inidonee a elidere o ridurre la gravità della condotta in ragione, appunto, dell'esposizione a pericolo del bene primario della salute. In tale contesto, l'assenza di precedenti disciplinari (nell'ambito di un rapporto a tempo determinato) non costituisce elemento che possa assurgere a livello di decisività.
19. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
20. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
21. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma all'udienza del 14 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2024.