REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico |
- Presidente - |
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 29043-2006 proposto da:
L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BETTOLO 22, presso lo studio dell'avvocato FELICIOLI STEFANO, rappresentato e difeso dall'avvocato TOTARO ORAZIO, giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CURATELA FALLIMENTARE DELLA DITTA FRATELLI V* S.R.L.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 969/2005 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 12/10/2005 R.G.N. 80/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso ed in subordine per il rigetto.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4-2-2003 il Tribunale di Foggia rigettava l'opposizione avverso lo stato passivo del fallimento della s.r.l. Fratelli V* proposta da L.M. nei confronti della Curatela del suddetto fallimento al fine di ottenere l'ammissione al passivo, in via privilegiata, del credito di L. 143.250.000 corrispondente al risarcimento del danno biologico (all'epoca non risarcibile dall'INAIL) e del danno morale dallo stesso subito a seguito di infortunio sul lavoro avvenuto in data 24-7-1998 (nel corso dell'attività di lavoratore dipendente della s.r.l. Fratelli V*).
Avverso tale decisione il L. proponeva appello, chiedendone la riforma.
Il fallimento si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d'Appello di Bari, con sentenza depositata il 12-10-2005, rigettava l'appello e condannava l'appellante a pagamento delle spese.
In sintesi la Corte territoriale rilevava che il L., che aveva l'onere di allegare e provare la dipendenza causale dell'infortunio da lui subito da un fatto colposo addebitabile alla Fratelli V*, non aveva ottemperato a tale onere, dal momento che non aveva provato (e nemmeno aveva chiesto di provare) alcunché al riguardo.
Per la cassazione di tale sentenza il L. ha proposto ricorso con un unico motivo.
Il fallimento della Fratelli V* s.r.l. è rimasto intimato.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., in sostanza, sul presupposto che la Corte d'Appello avrebbe "rigettato l'appello sull'assunto che il ricorrente non ha provato il danno biologico, né avrebbe chiesto di provarlo nei suoi fondamentali aspetti", deduce che, avendo egli "versato in giudizio una serie di documenti da cui risulta l'infortunio ed il suo riconoscimento da parte dell'INAIL e della ditta datrice di lavoro", "nessun altro onere probatorio" poteva " essergli addossato in relazione alla domanda di accertamento del danno biologico conseguente al conclamato infortunio sul lavoro da questi subito".
Al riguardo il ricorrente rileva che, invece, la prova riguardava l'esenzione dalla responsabilità da parte del soggetto obbligato, sul quale incombeva il relativo onere, e lamenta, inoltre, il mancato accoglimento da parte della Corte di merito della richiesta di una CTU per la valutazione del danno biologico reclamato.
Premesso che nella fattispecie non assume rilevanza il quesito di diritto formulato in ricorso ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., in quanto tale norma (da ultimo abrogata) è inapplicabile nel caso di specie essendo stata la sentenza impugnata pubblicata anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, osserva il Collegio che il motivo in parte non coglie il senso della decisione impugnata ed in parte risulta infondato.
Innanzitutto la decisione della Corte d'Appello è fondata, non sulla mancata prova del danno (questione questa neanche esaminata dai giudici di appello, perché in sostanza ritenuta assorbita), bensì sulla mancata allegazione e prova del "rapporto di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza - specifiche o generiche - e il danno predetto".
La Corte territoriale, infatti, premesso che il L. aveva l'onere di dimostrare la dipendenza causale dell'infortunio da lui subito da un fatto addebitabile alla Fratelli V*, ha rilevato che l'appellante non aveva ottemperato a tale onere, dal momento che non aveva provato (e non aveva nemmeno chiesto di provare) alcunché al riguardo.
La Corte di merito in particolare ha osservato che "la violazione da parte della Fratelli V* di norme antinfortunistiche o di norme comuni di prudenza non solo non risulta da alcun atto di causa, ma non è nemmeno addotta in fatto dal L." ed ha aggiunto che al riguardo la prova testimoniale non ammessa in primo grado (e richiesta nuovamente in appello) risultava "ininfluente in quanto priva di qualsiasi riferimento" all'esistenza di fatti tali da evidenziare la detta violazione.
Le censure del ricorrente, quindi, risultano in gran parte inconferenti, giacché la pronuncia non riguarda la mancata prova del danno, essendo, invece, incentrata sulla mancata allegazione (prima ancora che sulla mancata prova) da parte del lavoratore, dell'inadempimento o inesatto adempimento dell'obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro.
Peraltro la decisione impugnata risulta conforme all'indirizzo consolidato dettato da questa Corte di Cassazione, che ripetutamente ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale, per cui "ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la noci vita dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo" (v. Cass. 17-2-2009 n. 3788, Cass. 17- 2-2009 n. 3786, Cass. 7-3-2006 n. 4840, Cass. 24-7-2006 n. 16881, Cass. 6-7-2002 n. 9856, Cass. 18-2-2000 n. 1886).
Pertanto, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro, seppure non debba provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 c.c. è pur sempre onerato, in base al principio generale affermato da Cass. S.U. 30-10-2001 n. 13533, della prova del fatto costituente l'inadempimento e del nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno (cfr. Cass. 19-7-2007 n. 16003).
Infatti, soltanto "una volta provato l'inadempimento consistente nell'inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza nonché la correlazione fra tale inadempimento ed il danno, la prova che tutto era stato approntato ai fini dell'osservanza del precetto dell'art. 2087 c.c. e che gli esiti dannosi erano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile deve essere fornita dal datore di lavoro" (v. Cass. 8-5-2007 n. 10441).
Nella fattispecie in sostanza il ricorrente ha sì invocato tale onere probatorio a carico del datore di lavoro, ma senza prima censurare in alcun modo la sentenza impugnata sul punto preliminare della mancata allegazione (e prova) del fatto costituente inadempimento.
Del pari neppure è stata censurata la decisione impugnata circa la ininfluenza, al riguardo, della prova testimoniale richiesta.
Il ricorso va pertanto respinto.
Infine non deve provvedersi sulle spese non avendo l'intimato svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010