Cassazione Penale, Sez. 3, 31 ottobre 2023, n. 43813 - Assolto il datore di lavoro, condannata l'impresa. Nessun contrasto di giudicati


 

 

In tema di responsabilità amministrativa degli enti non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), tra la sentenza dichiarativa della responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e la sentenza di assoluzione dell'imputato del reato presupposto pronunciata in un diverso procedimento nel caso in cui, in quest'ultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo l'inconciliabilità dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilità dell'ente ex art. 8 del citato D.Lgs. sussiste pur se l'autore del reato non risulta identificato (Sez.4, n. 10143 del 10/02/2023,Rv.284239 - 01).



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca - Presidente -

Dott. DI STASI Antonella - rel. Consigliere -

Dott. CORBO Antonio - Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere -

Dott. MAGRO M. Beatrice - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

Consorzio Melinda S.C.A., in persona del legale rappresentante p.t.;

avverso l'ordinanza del 27/02/2023 della Corte di appello di Trieste;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Di Stasi Antonella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Guerra Mariaemanuela, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l'imputato l'avv. Paolo Demattè, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
 

Fatto


1. Con ordinanza del 27/02/2023, la Corte di appello di Trieste dichiarava inammissibile l'istanza di revisione, proposta nell'interesse del Consorzio Melinda S.c.a., della sentenza emessa dalla Corte di appello di Trento in data 5.4.2017, irrevocabile in data 23.05.2018, con la quale era stata pronunciata condanna per l'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-septies, commi 1 e 2, per il reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore B.B., commesso in ipotesi accusatoria dalle persone fisiche, soggetti apicali del consorzio, anche a vantaggio dell'ente, consistito nel sensibile risparmio di spesa determinato dalla mancata attuazione delle specifiche cautele antinfortunistiche ed in particolare della mancata redazione del documento di valutazione del rischio da interferenza (DUVRI) in relazione alle lavorazioni appaltate alla società Lonfrigo Srl , di cui era dipendente la persona offesa.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Consorzio Melinda S.c.a., a mezzo del difensore e procuratore speciale, articolando i motivi di seguito enunciati.

Con il primo motivo deduce violazione del'art. 6 CEDU, art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 177, 630 e 631 c.p.p., D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 8 e 73 e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto non ricorrente un'ipotesi di contrasto tra giudicati.

Argomenta che erroneamente e con motivazione illogica la Corte territoriale non aveva ravvisato il contrasto tra giudicati, in quanto le persone fisiche imputate del reato presupposto erano state assolte con la formula "perchè il fatto non sussiste" (per difetto di prova circa la sussistenza del nesso causale del reato di cui all'art. 589 c.p. e, quindi, era venuto meno il reato presupposto, che costituisce elemento indefettibile e irrinunciabile per l'affermazione della responsabilità dell'ente; l'inconciliabilità del giudicato discendeva dalla negazione del fatto storico.

Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 6 CEDU, artt. 24 e 111 Cost., artt. 491, 495 e 190 c.p.p. e art. 636 c.p.p., comma 2, - e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riunione ad altro procedimento di revisione, nonchè travisamento delle prove nuove sopravvenute, su cui si fonda l'assoluzione delle persone fisiche per difetto di prova del nesso causale.

Argomenta che la Corte territoriale, a fronte di specifica richiesta formulata nella memoria depositata il 16/09/2022, rimaneva silente in ordine alla chiesta riunione del procedimento di revisione con altro procedimento di revisione della medesima sentenza di condanna dell'ente; del pari, ometteva di motivare anche in ordine alle richieste istruttorie proposte (esame testimoniale del frigorista C.C. circa le condizioni ambientali presenti nello stabilimento produttivo e nella cella n. 34 il giorno dell'infortunio, esame testimoniale effettuato in data (Omissis) e, quindi, successivamente alla sentenza di condanna dell'ente) nella precedente richiesta di revisione, che assumevano rilevanza decisiva anche per l'accoglimento della richiesta di revisione oggetto del presente giudizio, in quanto prova sopravvenuta, che aveva determinato l'assoluzione delle persone fisiche per difetto di prova certa in ordine alla sussistenza del nesso causale.

Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

 

Diritto


1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La richiesta di revisione invocata dalla ricorrente, ai sensi dell'art. 630 c.p.p., lett. a), si fonda sul presupposto che i fatti posti a fondamento della condanna siano inconciliabili con quelli stabiliti dalla sentenza resa dal Tribunale di Trento in data 31 luglio 2018, confermata dalla Corte di appello di Trento in data 30 ottobre 2019, divenuta irrevocabile il 28 gennaio 2022, che, ritenuta l'inutilizzabilità degli esiti dell'esperimento giudiziale effettuato dai Vigili del fuoco il (Omissis) per inosservanza del disposto dell'art. 360 c.p.p., ha assolto le persone fisiche imputate del reato presupposto perchè il fatto non sussiste.

Costituisce principio consolidato che il contrasto di giudicati di cui all'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), che legittima la revisione, attiene ai fatti storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato e non alla valutazione dei fatti nè all'interpretazione delle norme processuali in relazione all'utilizzabilità di una determinata fonte di prova (Sez.4, n. 43871 del 15/05/2018, Rv.27426701).

Si è osservato che le situazioni di contrasto di giudicati che legittimano la revisione devono essere tali da dimostrare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato, con la conseguenza che non possono ravvisarsi sulla base di un contrasto di principio tra due sentenze, che incide direttamente o indirettamente sulla valutazione del materiale probatorio acquisito. In sostanza l'art. 630 c.p.p., lett. a), nel prevedere la richiesta di revisione per inconciliabilità di giudicati su "fatti" si riferisce agli elementi storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto - reato posto a carico di chi formula la richiesta. La norma, quindi, non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto, la cui oggettività è fuori discussione, per via di una difforme interpretazione della norma penale operata in altra sentenza a carico dei coimputati, con riferimento alla utilizzabilità di una determinata fonte di prova. Ciò che è emendabile in sede di revisione è l'errore di fatto e non la valutazione del fatto o l'interpretazione della norma giuridica posta a presupposto di tale valutazione, considerato che queste due ultime evenienze costituiscono l'essenza stessa della giurisdizione.

In applicazione di tali principi la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 25110 del 09/01/2009, Rv. 244519) ha statuito che, in tema di revisione per contrasto di giudicati, l'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a) non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto posto a fondamento della sentenza di condanna attraverso la difforme interpretazione di una norma processuale relativa alla utilizzabilità di una determinata fonte di prova operata in una sentenza di assoluzione pronunciata a carico dei coimputati in altro procedimento. Siffatti principi sono stati ribaditi anche in tema di responsabilità amministrativa degli enti, affermandosi che non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), tra la sentenza dichiarativa della responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e la sentenza di assoluzione dell'imputato del reato presupposto pronunciata in un diverso procedimento nel caso in cui, in quest'ultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo l'inconciliabilità dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilità dell'ente ex citato D.Lgs., art. 8 sussiste pur se l'autore del reato non risulta identificato (Sez.4, n. 10143 del 10/02/2023,Rv.284239 - 01).

Correttamente, pertanto, la Corte di appello di Trieste ha evidenziato che, nella fattispecie in esame, difetta il presupposto dell'allegata inconciliabilità tra i giudicati la quale implica una oggettiva incompatibilità tra diverse realtà fattuali e non già una diversa valutazione probatoria del medesimo fatto. Non vi è stato un errore nella ricostruzione del fatto storico. Questo, infatti, è stato ricostruito diversamente nei due giudicati sulla base di un quadro probatorio diverso, compiutamente valutato, che comprendeva nell'uno un esperimento giudiziale che è stato valutato inutilizzabile nell'altro rispetto alle persone fisiche imputate del reato presupposto.

3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale ha disatteso l'istanza di riunione con altro procedimento di revisione avente ad oggetto la medesima sentenza ed il medesimo ricorrente senza motivare sul punto, anche con riferimento alla dedotta decisività della prova sopravvenuta dedotta in quel procedimento; la censura proposta non è proponibile in sede di legittimità. Costituisce, infatti, principio pacifico che la natura ordinatoria e discrezionale dei provvedimenti in tema di riunione, in quanto afferenti alla distribuzione interna dei processi ed all'economia dei giudizi siano essi di accoglimento che di rigetto, comporta che questi siano sottratti ad impugnazione (Sez.1, n. 27958 del 20/01/2014, Rv.262252 - 01; Sez. 3, n. 39952 del 03/10/2006, Rv.235496 - 01; Sez.5, n. 26064 del 09/06/2005,Rv.231915 - 01).

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2023