Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Civ., 19 maggio 2023, n. 599 - Morte per mesotelioma da esposizione ad amianto: danni da perdita di rapporti parentali 


 

Nota a cura di Angelini Luciano, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 4/2023, pp. 808-823 "Risarcimento dei danni da perdita dei rapporti parentali ai congiunti di un lavoratore morto per mesotelioma da esposizione ad amianto"


 

Sentenza n. 599/2023 pubbl. il 19/05/2023

N. R.G. 5244/2020

Repert. n. 1181/2023 del 19/05/2023
Sentenza a verbale (art. 127 ter cpc) del 19/05/2023





TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA
SECONDA SEZIONE CIVILE
 



Il Giudice,
lette le note sostitutive d’udienza;
pronuncia sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., depositandola telematicamente.
 

Il Giudice
 


TRIBUNALE ORDINARIO di REGGIO EMILIA
SECONDA SEZIONE CIVILE


 

Il Tribunale di Reggio Emilia, nella persona del Giudice dott. Stefania Calò, ha pronunciato ex art. 281
sexies c.p.c. la seguente
 

SENTENZA
 

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 5244/2020 promossa da:
M.C., S.S., G.C., S.C.,
rappresentate e difese dall’Avvocato ANDREA MESSORI;
 

ATTRICI
 

contro
COMUNE DI REGGIO EMILIA, rappresentato e difeso dall’Avvocato BERENICE STRIDI;
REGIONE EMILIA ROMAGNA E GESTIONE LIQUIDATORIA DELL’UNITA’ SANITARIA
LOCALE N. 9 DI REGGIO EMILIA, rappresentate e difese dagli Avvocati ANTONELLA MICELE e LUCA MUTOLO;

 


CONVENUTI


 

CONCLUSIONI



Le parti precisano le conclusioni come da note sostitutive di udienza.

FattoDiritto


Con ricorso ex art. 414 c.p.c. le sig.re M.C., S.S., Greta C. e S.C., rispettivamente vedova, figlia e nipoti del sig. B.S., hanno adito il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Reggio Emilia al fine di sentire condannare, in via solidale, parziale o alternativa, il Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna ed il Commissario Liquidatorie dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia al risarcimento dei danni subiti iure proprio in conseguenza del decesso del sig. B.S. causato da un mesotelioma pleurico; decesso, in tesi attorea, causato dall’esposizione a fibre di amianto presso gli edifici ove il sig. S.S. ebbe a svolgere attività lavorativa dall’anno 1967 all’anno 1989 ed ove, sino all’anno 1980, vennero ospitati gli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici S. Lazzaro di Reggio Emilia.
La Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia si sono costituite in giudizio, chiedendo, in principalità, il rigetto delle domande risarcitorie delle ricorrenti e, in subordine, la determinazione dell’ammontare del risarcimento del danno nella misura ritenuta equa, nonché, nella denegata ipotesi di accertamento della responsabilità anche della Regione Emilia Romagna e della Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia e di condanna delle medesime in via solidale con il Comune di Reggio Emilia, l’accertamento del rispettivo grado di responsabilità ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso e condanna del Comune di Reggio Emilia a rifondere gli importi che la Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia fossero chiamate a corrispondere alle ricorrenti.
Il Comune di Reggio Emilia si è costituito in giudizio, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, domandando, in principalità, il rigetto delle domande attoree e, in subordine, in ipotesi di condanna, la riduzione, per quanto di ragione, dell’ammontare del risarcimento del danno oggetto di domanda delle ricorrenti e nell’ipotesi di responsabilità solidale per i fatti di causa tra il Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna e l’Azienda Unità sanitaria Locale di Reggio Emilia, l’accertamento del rispettivo grado di responsabilità ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso e condanna della Regione Emilia Romagna e dell’Azienda Unità sanitaria Locale di Reggio Emilia a rifondere al Comune di Reggio Emilia gli importi che quest’ultimo fosse eventualmente chiamato a risarcire alle ricorrenti.
Disposto il mutamento del rito con ordinanza del 4 dicembre 2020, sono stati assegnati i termini dell’art. 183, comma 6, c.p.c. e depositate le relative memorie.
Con ordinanza del 5 maggio 2022, sono state ammesse le istanze di prova orale formulate dalle attrici e respinta l'istanza dei convenuti di acquisizione di informazioni presso l'Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, volte a verificare la sussistenza di casi di mesotelioma pleurico tra i lavoratori addetti ai reparti presso i quali il sig. B.S. ebbe a svolgere la sua attività professionale.
Assunte le prove orali ammesse, con ordinanza del 1 febbraio 2023 è stata fissata l’udienza cartolare del 18 maggio 2023 di precisazione delle conclusioni e discussione ex art. 281 sexies c.p.c., con termine alle parti termine sino al 3 aprile 2023 per il deposito di note conclusive.
1) Sull’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Comune di Reggio Emilia.
La causa di primo grado n. 724/2017 R.G. promossa avanti il Tribunale di Reggio Emilia dal sig. B.S., e a seguito del suo decesso riassunta da M.C. e S.S., avente ad oggetto il risarcimento dei danni patiti dal sig. B.S. in conseguenza della malattia professionale asseritamente contratta presso gli edifici ove egli ebbe a svolgere attività lavorativa dall’anno 1967 all’anno 1989 e che, sino all’anno 1980, ospitarono gli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici S. Lazzaro di Reggio Emilia, è stata definita con sentenza parziale n. 42/2019 del 02/04/2019, che ha sancito la responsabilità del Comune di Reggio Emilia nella causazione della malattia professionale contratta da B.S. (doc. n. 93 depositato con il ricorso introduttivo) e con sentenza definitiva n. 3/2021 del 07/1/2021 di condanna del Comune di Reggio Emilia al risarcimento del danno patito da B.S. di euro 460.858,00 in favore delle predette eredi (doc. n. 125 allegato alle note di trattazione scritta del 25/2/2021).
La causa d’appello n. 522/2021 R.G. promossa dal Comune di Reggio Emilia avanti la Corte d’Appello di Bologna avverso la predetta sentenza è stata decisa con sentenza n. 123/122 del 22/2/2022, che ha accertato la concorrente responsabilità della Regione Emilia Romagna “nella causazione della malattia professionale contratta da S.S. B.”, condannando “anche essa Regione al risarcimento del danno come liquidato nella sentenza n. 3/2021” (doc. n. 129 allegato alle note di trattazione scritta delle attrici per l’udienza del 05/05/2022).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso avanti la Corte di Cassazione la Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria della disciolta USL n. 9, chiedendone la riforma in punto alla ritenuta corresponsabilità della Regione (doc. n. 130 delle attrici).
Il Comune, costituitosi in giudizio con controricorso del 11/06/2022 (doc. n. 131 delle attrici), ha resistito al ricorso principale della Regione e della Gestione Liquidatoria, senza impugnare la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha accertato la sua responsabilità nella causazione della malattia professionale che ha condotto al decesso del sig. B.S. e respinto le eccezioni preliminari di carenza di legittimazione passiva e di illegittimità costituzionale dell’art. 66 della L. n. 883/78.
Ciò posto, il Tribunale rileva che è precluso, in questo giudizio, l'esame di quanto già accertato e risolto con efficacia di giudicato, tra le attrici M.C. e S.S, e il Comune di Reggio Emilia, in punto di responsabilità di quest’ultimo, di sua legittimazione passiva e di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 66 citato.
Quanto alle attrici S.C. e G.C., alle quali il giudicato non è opponibile, la Corte di Cassazione ha osservato con sentenza n. 7902 del 30/3/2018 “come la corte territoriale, nel confermare la carenza di legittimazione passiva della Regione convenuta, rispetto alla domanda risarcitoria originariamente proposta dagli odierni ricorrenti, si sia correttamente allineata all'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide e fa proprio, ritenendo di doverne assicurare continuità), ai sensi del quale la titolarità dei rapporti passivi già gravanti sui soppressi enti ospedalieri è stata trasferita ai Comuni territorialmente competenti a titolo di successione universale a norma dell'art. 66 della legge n. 833/78, con la conseguenza che alle amministrazioni comunali va riconosciuta la legittimazione passiva nei giudizi promossi per il recupero dei crediti vantati nei confronti di detti enti (cfr. ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 5545 del 05/04/2012); che, in particolare, il tenore letterale dell'art. 66 cit. … costituisce la chiara espressione della volontà del legislatore di individuare il Comune territorialmente competente come successore riguardo ai rapporti obbligatori (ivi comprese le obbligazioni risarcitorie, tanto d'indole contrattuale, quanto di natura extracontrattuale) dei disciolti enti ospedalieri e di assegnare, invece, alla U.S.L. la titolarità dei soli rapporti derivanti dalla gestione del servizio sanitario (che sono pacificamente estranei alla fattispecie in esame), in tal modo ponendo esclusivamente a carico dello stesso Comune eventuali passività derivanti dalla precedente gestione ed evitando di gravare le aziende di nuova costituzione”.
In ragione di quanto precede deve ritenersi che i Comuni territorialmente competenti hanno legittimazione passiva in relazione ai rapporti giuridici obbligatori dei disciolti enti ospedalieri ex art. 66 L. 23/12/1978, n. 833 e che la questione di legittimità costituzionale della norma è infondata.
2) Sull’an debeatur.
Non è contestato che il sig. B.S. ha prestato la propria attività lavorativa in qualità di elettricista presso gli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici San Lazzaro nel periodo 1967 – 1989.
In merito all’orario di lavoro, il teste S. ha riferito, rispondendo sul capitolo 4) attoreo, che “l’attività venne svolta dagli elettricisti e dal Sig. S.S. per i primi quattro anni circa per otto ore giornaliere da lunedì a venerdì e il sabato fino alle 12”. Tale circostanza è stata confermata anche dal teste G.P. che ha riferito: “Vera anche la prima parte [del capitolo 4] che ho svolto per un breve periodo”.
Quanto al periodo successivo, e cioè dal 1971 sino ai primi anni ’80, i testi G.P. e C.V. hanno risposto sul medesimo capitolo 4: “vera la seconda parte del capitolo…. le 5 notti le abbiamo fatte per circa 1 anno e mezzo, poi sono calate a due”. In particolare, il teste C.V. ha precisato che “questo turno si svolgeva mediante i tre elettricisti effettivi, che erano il ricorrente, F.P. e G.. Io ero di riserva e dunque subentravo in turno solo in occasione di malattie, ferie ecc.”. Anche il teste S. ha confermato il passaggio alla turnazione con due notti, riferendo così: “…ci fu un periodo in cui facevano o il turno del mattino, o quello del pomeriggio, a settimane alterne; poi, a questa modalità di turnazione furono aggiunti i turni notturni, che consistevano in due notti consecutive (dalle 20 alle 7), 1 giorno di riposo, e poi si riprendeva il turno normale (o mattino-o pomeriggio); tutto ciò avveniva su 6 persone che turnavano; io non ero ricompreso nei turni, perché coordinavo”. A decorrere dai primi anni ’80 “gli elettricisti e così il ricorrente, passarono a turni di 40 ore settimanali, con una settimana al mattino e una al pomeriggio.” (cap. 5, confermato dai testi G.P. e C.V.), con la precisazione che “c’era anche la reperibilità notturna che svolgevamo a casa nostra” (C.V.).
In ordine alle mansioni svolte dal sig. S.S., i testi hanno confermato il relativo capitolo istruttorio: “…in qualità di elettricista, effettuava presso tutti i suddetti padiglioni dell’”Ex San Lazzaro” attività di manutenzione, di modifiche agli impianti, di costruzione – assemblaggio e manutenzione di fornelli elettrici, manutenzione e messa a norma delle centrali termiche e attività di manutenzione delle centrifughe presenti nella lavanderia” (cap. 6 “E’ vero” G.P.; C.V.; S.).
In particolare, per quanto riguarda le caldaie è risulta confermata la circostanza che gli elettricisti intervenissero anche per la manutenzione delle centrali di produzione del vapore sia il pomeriggio, in alternativa ai fuochisti, che la notte, in via esclusiva, avendo i testi riferito:
“poiché queste centrali termiche si andavano modernizzando, ed era preponderante l’intervento dell’elettricista rispetto a quello del fuochista, si decise come ho detto di sostituire nei turni notturni gli elettricisti ai fuochisti. Per il pomeriggio poteva esserci sia un elettricista che un fuochista” (S.); “c’era anche personale fuochista, che per circa i primi 4 anni si occupava anche dei turni notturni degli elettricisti; poi ci fu un’implementazione delle centrali elettriche, e si ritenne necessario far espletare il turno notturno agli elettricisti, in quanto i fuochisti non erano in grado” (G.P.);
- “c’era anche personale fuochista, che però era presente solo al mattino, sicché se c’era un blocco della caldaia a pomeriggio/notte chiamavano noi.” (C.V.).
E’ risultato provato anche che il Sig. B.S. ha svolto attività sia di assemblaggio, che di manutenzione, dei fornelli elettrici utilizzati presso i 20 padiglioni e che tale attività ha comportato esposizione alla polvere di amianto.
Invero, il teste S., “coordinatore dei lavori di manutenzione”, ha risposto così:
in tutto saranno stati 80 fornelli, erano di costruzione rudimentale, con le resistenze esposte, pertanto bastava una goccia per farle saltare, ed era necessario fare manutenzione”;
“l’attività di riparazione dei fornelli era svolta mediamente 1 volta a settimana, aspettavamo di avere un certo numero di fornelli da manutenere, diciamo 10/15; e la facevo svolgere principalmente ovvero esclusivamente a S.S., perché era bravo anche nelle saldature elettriche; questa attività veniva svolta principalmente alla sera, quando eravamo in turno ma liberi dagli interventi d’urgenza esterni”; “Posso dire che questi fornelli venivano da noi anche assemblati ed anzi proprio costruiti in alcuni parti, e ciò è andato avanti per molti anni, direi per sempre, in quanto quelli che si compravano già fatti erano molto costosi e, se si rompevano, non si potevano aggiustare; dunque preferivamo i nostri manufatti”;
“I fornelli erano costituiti da un disco di materiale refrattario, un foglio di amianto, e un disco di metallo, assemblati insieme; il disco di amianto andava tagliato di misura, ci arrivavano fogli di dimensione di circa 1m x 1m e altezza 3 mm., che provvedevamo a tagliare con una lama, e poi veniva adattato al fornello, mediante una mola, questo perché i fornelli avevano tutti dimensioni diverse, e dunque non era possibile fare dei pezzi ‘standard’, ognuno dei pezzi andava adattato; per la maggioranza era S.S. a fare questo lavoro, se non era in servizio lo facevano gli altri”;
“Al disco di amianto era apportato anche uno smusso (o più, a seconda del tipo di fornello) per far passare in fili elettrici, fatto con la mola”.
Nello stesso senso i testi G.P. e C.V., che hanno confermato il cap.8: “…gli elettricisti assemblavano le resistenze, le schede, la parte meccanica dei fornelli elettrici e ne predisponevano l’isolamento” (“E’ vero”), con la precisazione da parte di C.V.: “…io ho solo sempre fatto manutenzione, mi è stato raccontato da tutti gli elettricisti precedenti che gli elettricisti precedenti avevano dovuto anche assemblare questi fornelli”.
I testi G.P., C.V. e S. hanno confermato anche i capitoli 9 (“l’isolamento dei fornelli elettrici in uso presso gli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici S. Lazzaro, poi U.S.L. n. 9, in particolare, era ottenuto mediante la collocazione – nella parte sottostante il ripiano del fornello - di una lastra di amianto che evitava che il calore si trasmettesse nella parte inferiore”) e 10 del ricorso (“a tal fine venivano utilizzate lastre di amianto dello spessore di 8 millimetri e delle dimensioni di 1 metro per 1 metro”).
Al riguardo, i testi hanno riferito:
noi andavamo nel magazzino del S. Lazzaro, prendevamo i pannelli in misura di 7/8 a volta, e li tagliavamo in rotondo per fare il pezzo che ci serviva sostituire, in una lastra venivano circa 16 pezzi, li tagliavamo tutti con una fresa e con una mola e li tenevamo da parte per scorta, non usavamo mascherine per fare questa operazione; so che era amianto in quanto –per esperienza anche pregressa come elettricista- conoscevo com’era fatto questo materiale, del quale all’epoca si sconosceva il pericolo; non so dire dove venisse acquistato, era l’ufficio tecnico ad occuparsi degli acquisiti, cmq. ci dovrebbero essere le bolle” (teste G. Palazzo);
“vedevamo gli ordini dell’ufficio tecnico e c’era scritto amianto, in ogni caso io so riconoscere una lastra d’amianto, noi andavamo nel magazzino del S. Lazzaro a prenderli, e li tagliavamo in rotondo per fare il pezzo che ci serviva sostituire, la dimensione era 80/100 cm. di diametro per ogni fornello; non usavamo mascherine per fare queste operazioni; posso dire che i fornelli non avevano tutti le stesse misure; sulla lastra venivano effettuati anche 2 smussi, sempre con la mola, per alloggiare gli spinotti della presa per la corrente” (teste C.V. ).
Sulla frequenza con cui venivano effettuate tali operazioni è emerso che la manutenzione era effettuata “mediamente 1 volta a settimana, aspettavamo di avere un certo numero di fornelli da manutenere, diciamo 10/15; e la facevo svolgere principalmente ovvero esclusivamente a S.S.” (teste S.); nello stesso senso, il teste C.V.: “una media di due fornelli al giorno”.
Risponde al vero, poi, che anche l’attività di assemblaggio e dunque di molatura delle lastre si protrasse “per molti anni, direi per sempre” (teste S.) e che “per la maggioranza era S.S. a effettuare questo lavoro, se non era in servizio lo facevano gli altri” (teste S.).
I testi hanno anche confermato i capitoli da 12 a 16 del ricorso, e cioè:
cap. 12: “…la sagomatura delle lastre di amianto era effettuata all’interno del “reparto elettricisti” – che si trovava nel padiglione “ex Morel”- e produceva polvere” (“confermo”, G.P., C.V., S.);
cap. 13) “… tale polvere si disperdeva nell’ambiente di lavoro e sull’addetto il quale, al fine di ottenere con la mola la forma desiderata stava chinato sull’utensile per seguire la lavorazione”: “Vero” (G.P., C.V., S.), “non avevamo presidi di alcun genere” (G.P. e C.V.);
cap. 14) “…nel reparto elettricisti, la mola era addossata a una parete sulla quale vi era la porta che immetteva nella stanza che fungeva da spogliatoio” (“Vero”, G.P., C.V., S.);
cap. 15) “…in tale stanza vi era anche il letto utilizzato dall’elettricista che faceva il turno notturno”, (“Vero”, G.P., C.V., S.); “La AUSL ci aveva fornito lei i locali dove stavamo e il letto per riposare” (G.P.); “Preciso che il letto era sito in un locale attiguo allo spogliatoio senza la porta di separazione” (S.);
cap. 16) “…le lastre di amianto usate per l’isolamento dei fornelli, ivi comprese quelle già tagliate, da finire di utilizzare, erano tenute a magazzino nella medesima stanza-spogliatoio dove dormiva l’addetto al turno notturno”; (“Vero”, G.P., C.V., S.).
E’ stato confermato, inoltre, che i “…pannelli, nel corso delle suddette operazioni di manutenzione e rifacimento dei fornelli, si sbriciolavano e rilasciavano polvere”(S.) e che “a volte si sfaldavano e venivano buttati, e si dovevano rifare” (“E’ vero”, G.P. e C.V.).
Ancora, alla domanda se “venissero utilizzate particolari cautele per la raccolta degli scarti delle lastre di amianto o per le lastre vecchie e deteriorate già utilizzate e sostituite” (cap. 24), i testi hanno risposto: “nessuna cautela, si buttava tutto nel pattume generico che stazionava nel laboratorio finché non era pieno e si buttava” (G.P. e C.V.); “buttavamo gli scarti di amianto nell’immondizia comune, si trattava di un bidone aperto; avevamo in dotazione mascherine di carta, che però erano fastidiose, erano da sistemare e fermare con una pinza sul naso e non proteggevano né isolavano completamente, rimanevano delle fessure, per tali ragioni non le indossavamo neppure” (S.). Quanto alle centrali termiche e, in particolare, alla manutenzione e al controllo delle stesse, hanno trovato conferma i capitoli da 25 a 33 del ricorso:
il sig. S.S. “…in qualità di elettricista, provvedeva alla manutenzione e al controllo delle centrali termiche sia nei turni notturni che durante i pomeriggi e le domeniche, in quanto i fuochisti lavoravano solo il mattino” (cap. 25) (“Vero”, G.P., C.V., S.);
ad eccezione della “porcilaia” che fungeva da magazzino e deposito, ognuno dei venti padiglioni costituenti il complesso del S. lazzaro aveva una centrale termica e il padiglione “ex Morel” ne aveva due; …ogni centrale termica aveva da 1 a 4 bruciatori.” (cap. 26) (“Vero”, G.P., C.V., S.);
…le centrali termiche erano situate nei seminterrati dei padiglioni, in stanze con soffitti bassi, le cui pareti e il cui soffitto erano intonacati con cemento amianto” (cap. 27), (“solo il soffitto era fatto di un impasto di cemento/amianto, e fu realizzato da una ditta esterna…” (S.); “vero, almeno il soffitto; lo so perché era una voce che girava all’interno del reparto, ci fu detto anche dall’ufficio tecnico ma non posso essere preciso su una persona specifica” (C.V.); “vero, almeno il soffitto; lo so in quanto il nostro ufficio tecnico ci aveva espressamente detto questo, ci fu detto da S.” (G.P.); “…L’attività di manutenzione delle caldaie si protrasse fino al 1989, anno a decorrere dal quale l’Unità Sanitaria Locale cessò di utilizzare tali caldaie, allacciandosi al teleriscaldamento” (cap. 33) (“Vero”, C.V.).
E’ risultato provato che oltre alle suddetta attività di manutenzione delle caldaie, “il ricorrente, in qualità di elettricista, si occupò della messa a norma dell’impiantistica di tutte le centrali termiche presenti nei locali “ex S. Lazzaro” che si svolse nel corso di triennio, dal 1967 al 1970 circa" (cap.34) che "... per lo svolgimento di tale attività, consistente nell'isolare le linee a monte, in modo da poter togliere la corrente alla centrale in caso di necessità, il ricorrente si recava in scantinati e locali ove vi erano tubazioni in amianto le quali si rompevano o erano deteriorate” (cap. 35), che “sia nel corso della manutenzione ordinaria delle centrali che per la “messa a norma” delle stesse, gli elettricisti foravano l’intonacatura in cemento amianto delle pareti e dei soffitti dei locali caldaie con trapani elettrici, per far passare tubazioni con fili e sonde e fissare tasselli” (cap. 36) e che “…tale operazione produceva polvere che si disperdeva nell’ambiente e direttamente sugli addetti” (cap. 37). Sul punto, il teste S. ha precisato: “…noi avevamo il compito di forare questo soffitto per apporre tasselli che reggessero il tubo che trasportava i fili elettrici; questo lavoro, che fu svolto una volta sola, ma dappertutto, lo fece il ricorrente insieme al F.P., ora defunto. Si trattava di un lavoro di 4/5 ore circa per ogni padiglione; fu una prescrizione dei Vigili del Fuoco”; a conferma C.V.: “Sono a generica conoscenza dei capp. da 34 a 37, nel senso che ho constatato, alla mia entrata, che questi impianti erano stati tutti messi a norma, e mi fu detto che questo lavoro era stato fatto dagli elettricisti già in forza, dunque il ricorrente e F.P.. Il terzo elettricista per problemi di salute non se ne era occupato”; G.P., infine: “Sono a generica conoscenza dei capitoli da 33 a 37, nel senso che mi è stato raccontato dal ns. ex dirigente S. che B. si occupò in particolare della lavorazione descritta nel cap.36.”; teste S. “Confermo il cap. 36 e 37”.


Risulta accertata, anche, l’ulteriore esposizione dovuta all’attività di ausilio al meccanico per la sostituzione delle ganasce dei freni delle asciugatrici, che erano in amianto (cap. 38 – 41).
Sul punto G.P.: “vero quanto ai capitoli, la manutenzione era fatta dal meccanico e da 1 elettricista, quindi noi avevamo un ruolo attivo nell’aiutare il meccanico a rimuovere e sostituire questi pezzi di amianto, questa operazione si svolgeva di notte quando le lavatrici non andavano; c’era un discreto sbriciolamento al momento della rimozione; in tutto a me è capitato 4/5 volte in tutto di fare questa operazione, anche per gli altri elettricisti la cadenza era questa”.
Il teste S. ha confermato tale circostanza, precisando: “vero, nel senso che le ganasce (che non erano di 1 met. e mezzo ma più piccole) erano cambiate dal meccanico, però l’elettricista operava in ausilio, e quindi operava in zona coperta da polvere che veniva sprigionata da questi freni; so che erano di amianto perché era l’unico materiale, all’epoca, che resisteva all’altissima temperatura creata dal surriscaldamento dei freni.” Il teste ha aggiunto che “Normalmente questa attività la faceva il ricorrente, che era pratico di grossi impianti.” e che “…le stesse manovre erano da fare anche sulle macchine lavatrici”. Infine, il teste S. ha riferito: “Ricordo poi che svolgevamo operazioni di riattivazione o emergenza sugli ascensori, monta lettighe e montacarichi dei vari padiglioni, e anche durante queste operazioni venivamo a contatto con gli organi frenanti degli ascensori, che sprigionavano polvere, ed anch'essi erano ad amianto per le ragioni già descritte per i freni dell'asciugatrice."
E’ provato, poi, che la polvere di amianto attingesse gli addetti, posandosi sugli stessi e sui loro abiti da lavoro.
Al riguardo, i testi hanno riferito: “Vedevo le tute usate dai miei colleghi dopo queste operazioni e quelle sui fornelli, erano piene di polvere, erano da cambiare” (C.V.); “Al momento della rimozione ci si impolverava, ci spazzavamo e a fine giornata facevamo una doccia.” (G.P.). È accertato che nessuna informazione venne mai data agli addetti sulla pericolosità del materiale con il quale erano a contatto: “nessuno disse che era pericoloso, nessuno ne parlava. Le mascherine erano per proteggerci genericamente dalla polvere” (S.); “a quell’epoca si sconosceva il pericolo” (G.P.); “Non usavamo mascherine per fare queste operazioni” (C.V.); “avevamo in dotazione mascherine di carta, che però erano fastidiose, erano da sistemare e fermare con una pinza sul naso e non proteggevano né isolavano completamente, rimanevano delle fessure, per tali ragioni non le indossavamo neppure” (S.).
Le suindicate risultanze istruttorie fanno ritenere provato, dunque, che il sig. B.S. maneggiò e molò lastre di amianto, settimanalmente e senza alcuna precauzione, all’interno del reparto elettricisti, ove vi era anche lo spogliatoio e il letto per l’addetto al turno notturno, fece manutenzione nei locali caldaia ove le guarnizioni degli sportelli, in amianto, si sbriciolavano a contatto con il corpo, forando il soffitto in cemento amianto, che si sbriciolava, e aiutò il meccanico per la sostituzione delle ganasce in amianto delle lavatrici e delle asciugatrici.
Ne consegue che è pienamente provato che nel periodo 1967 - 1989 il sig. B.S. è stato a contatto frequente e costante con particelle di amianto, che oltre ad essere direttamente inalate nel corso delle varie lavorazioni, in ogni caso hanno contaminato l’ambiente di lavoro e anche di riposo. Tutte le testimonianze assunte hanno dato conto delle condizioni di lavoro, del tutto inadeguate alla prevenzione.
Tali circostanze concretano la violazione della normativa di cui all’art. 2087 c.c..
Pertanto, e concludendo sul punto, deve ritenersi accertata la responsabilità del Comune di Reggio Emilia e della USL n. 9 di Reggio Emilia, e pertanto della Regione Emilia Romagna, in qualità di successore ex lege nei rapporti obbligatori facenti capo alla stessa, e della Azienda USL di Reggio Emilia, quale Gestione Liquidatoria della disciolta USL n. 9, nella causazione della malattia professionale contratta dal sig. B.S..
Quanto all’asserito effetto acceleratorio dell’esposizione all’amianto, la Corte di Cassazione ha affermato che in base all’art. 41 c.p. “il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo cui va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. 17 giugno 2011, n. 13361) ... in applicazione del criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un'adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva (Cass. 26 marzo 2010, n. 7352; Cass. 19 gennaio 2011, n. 1135).” (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 7639/19; Cass. n. 15762/2019; Cass. n. 38123/2021).
Quanto ai possibili concorrenti fattori di rischio, i convenuti hanno assunto che il sig. S.S., ancor prima dell’assunzione presso gli Istituti Ospedalieri S. Lazzaro del 1967, sarebbe stato esposto ad amianto.
Valga al riguardo richiamare la sentenza parziale n. 42/2019, ove si legge alle pagine 13 e 14 che la questione relativa alla possibilità che il sig. S.S. abbia inalato “le particelle di amianto che hanno scatenato l’insorgenza del mesotelioma ... in epoca precedente al 1967, ed in particolare nel periodo di lavoro alle dipendenze della soc. Bontempelli di Milano”, deve essere risolta “...in base al principio giuridico di ripartizione della prova. Pacifico infatti che onerato della stessa fosse il Comune di Reggio Emilia, che ha appunto allegato la circostanza e i suoi effetti sul nesso di causa.” (sentenza parziale pag. 14). “Tuttavia –a parte l’evidente suggestione che evocano nomi di aziende quali Italsider di Bagnoli o Taranto ovvero la acciaieria Safao di Udine, oggetto di numerosi fatti di cronaca legati all’amianto- il Comune di Reggio Emilia non ha fornito alcun altro elemento indiziario funzionale a ritenere che il sig. S.S., nel periodo antecedente al 1967, sia stato esposto a particelle d’amianto.
Va infatti osservato come sia stato dimostrato dallo stesso ricorrente mediante produzione del libretto di lavoro, che egli è stato dipendente dal 1961 al 1967 di Poste Pneumatiche Bontempelli, con sede in Milano e in precedenza di CEIET S.p.a. (doc. n. 5 ricorrente).
Poste pneumatiche Bontempelli si occupava dell’installazione di impianti di posta pneumatica - costituiti da tubi in ferro o ottone- presso banche (ove erano utilizzati per il trasporto di danaro e di documentazione da una postazione all’altra); grandi alberghi (ove erano utilizzati per convogliare le ricevute di spesa dei clienti dai punti ove venivano effettuate consumazioni o acquisti da parte degli stessi, alla reception, al fine di predisporre il conto finale); supermercati e grandi magazzini tipo “La Rinascente” di Genova e Roma (per il trasporto del danaro dalle casse); uffici di varie Società (per il trasporto di documentazione, bolle di consegna, fatture, disegni ecc. come L'Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia.
Il ricorrente si occupò del montaggio dei suddetti impianti di posta pneumatica presso l’Italsider di Taranto e di Bagnoli e presso l’acciaieria Safao di Udine, lavorando esclusivamente presso gli uffici delle società; per altro l’attività durò un paio di mesi a Bagnoli e a Taranto e non più di un mese a Udine. Ma soprattutto, nel periodo di poche settimane in cui il ricorrente si recò a Taranto e a Bagnoli, gli impianti delle acciaierie non erano ancora entrati in funzione (lo stabilimento di Taranto venne inaugurato nel 1965; la costruzione dell’acciaieria di Bagnoli terminò nel 1965 e il ricorrente vi operò prima). Quanto all’impianto dell’acciaieria di Udine, lo stesso aveva appena iniziato la produzione e funzionava solo parzialmente.
Tra l’altro – come è noto- nelle acciaierie non si “lavorava l’amianto”, ma il materiale veniva impiegato solo da coloro che lavoravano agli altiforni.
A fronte di tutti questi elementi, dedotti e in buona parte dimostrati dal ricorrente, il Comune era onerato non solo di fornire comunque la prova dell’esposizione, ma comunque di contrastare le controdeduzioni in fatto.
Tuttavia nulla è stato prodotto a confutazione di quanto sopra; né sono stati dedotti o allegati ulteriori diversi elementi dai quali si possa trarre anche il sia pur minimo indizio –da eventualmente esplorare, anche con i poteri riservati al Giudice- di una effettiva possibile esposizione precedente al 1967.
In tal senso si è pronunciata anche la Corte di Appello.
Si ritrascrive, qui, per esteso, quanto osservato, in merito alla valorizzazione dei possibili concorrenti fattori di rischio (altre occupazioni lavorative e tabagismo), nella sentenza 123/2022:
Quanto poi alla valorizzazione dei possibili concorrenti fattori di rischio (altre occupazioni lavorative e tabagismo), la CTU Biasco ha bensì concluso in termini di incertezza causale, ma ciò ha fatto a causa del malgoverno dei principi elaborati in materia. L'errore è stato corretto dal Tribunale, che, invece, ha dato seguito alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il decesso per malattia professionale, nella specie carcinoma polmonare dovuto alla prolungata esposizione all'amianto e agli idrocarburi, può essere dichiarato nonostante la presenza di una concausa quale il tabagismo. Ciò in virtù del principio di "equivalenza delle cause", nozione di matrice penalistica che trova puntuale applicazione anche nel processo civile", precisandosi in motivazione che anche "nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, per il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento"; "salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni" (ex multis, Cass. civ. sez. lav., 12/6/2019, n. 15762; da ultimo, Cassazione civile sez. lav., 02/12/2021, n.38123 ha ribadito che "in materia di infortuni sui lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza cii un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni").
Il principio di equivalenza causale vale poi, evidentemente, anche per eventuali concorrenti occupazioni professionali, potendo scegliere il creditore a quale dei debitori in solido rivolgere le proprie pretese.
Nulla quaestio, poi, quanto ad un'eventuale esclusione del nesso causale in ragione della già ricordata abitudine al fumo: per quanto estranea al comportamento lavorativo, essa non è idonea a 'sterilizzare' la colpa dell'imprenditore, noto che "in tema di infortunio sul lavoro, di rischio elettivo e della conseguente responsabilità esclusiva del lavoratore può parlarsi soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere, restando diversamente irrilevante la condotta colposa del lavoratore , sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento, atteso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei lavoratori' (Cass. civ. sez. lav., 18/11/2021, n. 35364).
Le dimostrate condizioni di lavoro si inseriscono nella sequenza causale che qui rileva ed assorbono fattori virtualmente concorrenti ma non esclusivi” (doc. 129 delle attrici).
Da condividersi è anche il giudizio della Corte di Appello di Bologna sulla insussistenza di un concorso di colpa del sig. B.S. nella causazione dell’evento lesivo, in relazione al mancato utilizzo delle mascherine.
Si riporta, di seguito, quanto scritto alle pagine 11 e 12 della sentenza: “Nel merito, la giurisprudenza è sul punto tanto rigorosa quanto consolidata. La ratio di un'interpretazione cosi restrittiva (e di un'estensione, per converso, della responsabilità datoriale) risiede nella necessità di assicurare effettività alla tutela e di mantenere quanto più alta possibile l'attenzione alla sicurezza delle condizioni di lavoro. Cassazione civile sez.lav., 22.10.2020 n. 23146 afferma, riassuntivamente, che "in materia di infortuni sul lavoro, al di fuori dei casi di rischio elettivo nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti colposi del lavoratore, trova applicazione l'art. 1227., comma 1, c.c.; tuttavia, la condotta colposa del lavoratore non comporta concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento quando vi sia inadempimento datoriale rispetto agli obblighi sanciti dall'art. 2087 c.c."; si precisa in motivazione che "'in materia di infortuni sul lavoro, al di fuori dei casi di rischio elettivo, nei quali la responsabilità datoriale è esclusa, qualora ricorrano comportamenti co/posi del lavoratore, trova applicazione l'art. 1227 c.c., comma 1, tuttavia, la condotta incauta dei lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso; in particolare, tanto avviene quando l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio, quando l'infortunio scaturisca dall'integrale impostazione della lavorazione su disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o, infine, quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o a tipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso" (Cass. n. 30679/2019)” e viene molto opportunamente osservato che "sebbene il legislatore, in tema di sicurezza, abbia posto precisi obblighi anche a carico del lavoratore (D,Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20) impegnandolo ad osservare le misure precauzionali ed a segnalare eventuali condizioni di pericolo, tuttavia non ha certo inteso attenuare, attraverso la previsione di detto obbligo di collaborazione, il debito di sicurezza che grava sul datore, nella specie non adempiuto perchè, ove il dirigente avesse vigilato come era suo onere ed impartito le opportune direttive, l'evento lesivo non si sarebbe verificato".
Nel caso di specie non può farsi carico al lavoratore di avere tenuto una condotta di vita coerente con le abitudini dell'epoca" e di per sé, come già visto, solo meramente concorrente con la riscontrata grave violazione dell'obbligo di sicurezza sul lavoro incombente all'Ospedale.” (doc. n. 129 delle attrici).
3) Sul quantum.
a) Sul danno iure proprio di M.C..

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E’ provato dall’istruttoria orale:
- che la signora M.C. ha sempre vissuto con il sig. B.S. da quando si sono sposati nel 1964 (cap. 43).
I testi hanno riferito: “Sì è vero” (F.F.); “dal 1964 nulla so io avevo due anni, ma per quanto mi è dato sapere direi di si; sono venuti a vivere vicino casa mia dal 1966/1967 ricordo che io avevo 4/5 anni circa” (A. F.); “...io li ho conosciuti nel 1982 e da quella data li ho sempre visti insieme; ho perso 2/3 anni ma poi dal 1986 li ho sempre visti insieme” (C. D.);
- che “nei primi due anni di matrimonio, la Sig.ra C. seguiva il marito nei suoi viaggi di lavoro, allorquando questi si recava presso grandi alberghi in tutta Italia per il montaggio dei sistemi di posta pneumatica” (cap. 45).
I testi hanno riferito: “la circostanza mi è stata riferita dal sig. B.S. e anche dalla di lui moglie; ricordo però che era di più lui che mi raccontava le sue esperienze di lavoro; mi riferiva che la moglie lo accompagnava sempre nei viaggi e faceva “la signora” (F. A.); “mi è stato riferito dalla famiglia e soprattutto da S.B. con il quale avevo dei rapporti confidenziali; lo stesso mi raccontava il suo lavoro ed i viaggi” (D.C.; in tals senso anche le deposizioni di F. F. e F.B.);
- che i coniugi “si recavano insieme a fare la spesa, andavano insieme a passeggiare, frequentavano gli stessi amici, con i quali si andavano in pizzeria o al ristorante” (cap. 47).
I testi hanno riferito: “Sì sempre, c’ero anche io” (A.); “penso di sì ma nulla so; posso solo riferire che durante il periodo estivo che era quello in cui ci frequentavamo li vedevo sempre insieme”(F.); “io posso confermare che trascorrevano molto tempo insieme dal 1987 ma non posso confermare le amicizie; confermo che andavano a fare la spesa insieme” (C. D.); - che la Signora C. “accompagnava il marito alla “vasca di Corbelli” in Rivalta di Reggio Emilia, ove il Sig. S.S. era socio e praticava la pesca” (cap. 48).
I testi hanno dichiarato: “si è vero, anche io ero presente o con loro o con mio ex marito il quale era anche lui socio” (A. F.); “lo accompagnava a pescare; anche lei si alzava presto alla mattina per andare a pescare tanto che ha imparato a pescare con la canna” (F. F.); “si è vero; sempre dal 1987 perché sono andato anch’io con loro o li raggiungevo perché B. mi aveva trasmesso la passione per la pesca” (C. D.);
- che i coniugi “dalla fine degli anni ’90 circa, erano proprietari di un appartamento a Deiva Marina ove trascorrevano l’intera estate (giugno – settembre) e vi si recavano almeno una o due volte al mese nel corso di tutto il resto dell’anno” (cap. 49).
I testi hanno riferito: “è vero che erano proprietari di un appartamento a Deiva Marina, posso confermare che trascorrevano insieme tutti i mesi estivi da quando lo S. era andato in pensione; quando invece era ancora al lavoro solo la moglie C. con le mie figlie erano tutti i mesi estivi a Deiva e lo S.S. le raggiungeva il fine settimana; ricordo che andavano anche in campeggio a Marina di Massa prima dell’acquisto della casa a Deiva” (C. D.); “si è vero; andavo anch’io quando riuscivo compatibilmente con i miei impegni lavorativi; anche i miei figli andavano a Deiva nell’appartamento di B.; è sempre stato un uomo generoso” (A. F.); “si è vero; io e mia mamma abbiamo comperato un appartamento a Deiva nel 1998 e abbiamo consigliato a mio zio e a sua moglie di acquistarne uno anche loro vicino al nostro; ci saranno 300 metri di distanza” (F.);
- che “la Sig.ra C. M. si occupava in prima persona del domicilio coniugale e di tutte le attività attinenti la cura del Sig. S.S. quali lavare, stirare, cucinare ecc.” (cap. 50): “si è vero; lo vedevo anch’io personalmente abitando di fianco ero sempre in casa loro” (A.); “Sì è vero” (F.); “...posso solo confermarlo dal periodo 1994 al 1998 circa” (C. D.);
- che “da quando il Sig. S.S. si è ammalato, nel 2008, la Sig.ra C. M. lo ha accompagnato alle visite, lo ha atteso mentre effettuava i cicli di chemioterapia, lo ha assistito e accudito a casa allorquando i postumi delle stesse (nausea, spossatezza, dolori in tutto il corpo) si manifestavano” (cap. 51): “si è vero; io ero presente sia sul lavoro che a casa” (A.); “Erano sempre insieme” (F.; nello stesso senso C.);
- che “durante i ricoveri ospedalieri degli ultimi mesi prima del decesso avvenuto in data 04/08/2019, la Sig.ra C. M. è rimasta sempre presso il marito e lo ha assistito giorno e notte aiutandolo ad alzarsi, a lavarsi, a cambiarsi, ad andare al bagno, a mangiare; attività tutte in cui il marito perdeva ogni giorno autonomia” (cap. 52): “è vero; ho assistito insieme alla moglie nello svolgimento di tutte le attività che mi ha descritto; (A.); “purtroppo è vero; io sono andato a trovare mio zio il 31.07 e l’ho trovato in condizioni tragiche” (F.);”si è vero; quasi tutti i giorni della settimana si recavano anche mia moglie e Greta mia figlia che è la più grande; Sofia un po’ meno perché era più piccola; si alternavano” (C. D.); “ho visto spesso la sig.ra C. M. accompagnare il sig. S.B. nel mio ambulatorio, quando si presentava per la visita” (R.M. medico di base del Sig. S.S.).
A dimostrazione dello stretto legame affettivo tra i coniugi, il teste F. ha riferito: “molte volte telefonavo a S. per avere aggiornamenti sullo stato di salute di mio zio; non telefonavo a mia zia perché era sempre un pianto continuo e men che meno a mio zio stesso; tutt’ora quando telefono a mia zia ogni 3 giorni la stessa mi risponde che “è dura” e poi piange”;
- che i coniugi S.S. effettuavano insieme alla figlia S.S. e alle nipoti "gite e vacanze almeno una - due volte l'anno (cap.69), come dimostrano anche le fotografie prodotte al doc. 126: “al cinquantesimo anniversario di matrimonio di B. e M. hanno fatto una crociera e penso ci fossero tutti, la figlia il marito e le nipoti; poi mi hanno raccontato di altre crociere, non ricordo se due o tre ma sempre mi è stato riferito; ad una crociera ha partecipato solo la figlia S., mentre alle altre tutte tranne i marito C. D.” (A.); “Confermo la circostanza e le fotografie; ricordo che andavano anche in crociera” (F.); “io in crociera con i miei suoceri, mia moglie e le mie figlie non ci sono mai andato per problemi di lavoro e per accudire mia madre; mentre mia moglie e le mie figlie si; le fotografie ritraggono diversi posti di vacanza presumo fatte in crociera non posso confermarlo” (C. D.).
La sig.ra C. e il sig. S.S. sono stati sposati per 55 anni (la Sig.ra C. aveva 18 anni e il Sig. S.S. 22 al momento del matrimonio (doc. n. 107 delle attrici). All’esito dell’istruttoria è ampiamente provato che la convivenza è stata ininterrotta e il legame tra i coniugi intenso. Il sig. S.S. aveva 77 anni al momento del decesso e la sig.ra C. 73.
Sulla base degli elementi superiormente indicati, provata la sussistenza del danno, per la sua liquidazione deve farsi riferimento al sistema liquidatorio a punti adottato dal Tribunale di Milano, ed. 2022, per il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.
In particolare, l’importo risarcitorio va calcolato tenuto conto del “valore punto” di euro 3.365,00 e della distribuzione dei punti sulla base dei seguenti parametri: a) età della vittima primaria (fino a 28 punti); b) età della vittima secondaria (fino a 28 punti); c) convivenza tra le due (16 punti);
d) sopravvivenza di altri congiunti del nucleo familiare primario (fino a 16 punti); e) qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta (fino a 30 punti).
Nel caso di specie, i punti vanno attribuiti come segue: 12 punti per l’età della vittima primaria; 12 punti per l’età della vittima secondaria; 16 punti per la convivenza; 14 punti per il numero di superstiti (una figlia); 30 punti per la qualità e intensità della relazione affettiva; totale punti 84.
Ne deriva che il danno risarcibile ammonta, all’attualità, ad euro 282.660,00.
b) Sul danno iure proprio di S.S.. Le risultanze istruttorie orali provano:
- che la attrice, nata nel 1966, ha “vissuto in casa con i genitori sino al proprio matrimonio, avvenuto in data 11/6/1994” (cap. 54 e doc. n. 109, certificato storico di residenza S.S.);
- che “per tre anni dopo il matrimonio, la stessa ha vissuto con il marito in Reggio Emilia in un appartamento al piano superiore rispetto a quello dei genitori (cap. 55): "si è vero, l'ho visto personalmente” (A.);
- che “S.S. , dopo il trasferimento a Campogalliano, due – tre volte la settimana dopo il lavoro (cioè dopo le 13 sino al 2015 e dopo le 17 dal 2015 in poi) e a volte anche il sabato, si recava dai genitori portando con sé una o entrambe le figlie C. G. e C. S. e si tratteneva presso i genitori a cena” (cap. 57): “Sì è vero...mia nuora mi riferiva che andava dai propri genitori e a volte mi lasciava una delle due figlie” (F.B.); ”sì è vero ricordo anche alla domenica a pranzo e andavamo di solito da Don Papi” (A.); “So che erano molto legati e la circostanza mi veniva riferita, inoltre capitava che nel corso di una telefonata fosse presente anche S. e la salutavo” (F.); “confermo” (C. D.);
- che “tutte” o quasi tutte “le domeniche S.S. con le figlie C. G. e C. S. si recava a pranzo dai genitori” (cap. 59): “sì forse non tutte le domeniche ma erano di più le domeniche che erano dai genitori di S.” (F.B.); “Tutte le domeniche no ma spesso; al limite se non era la domenica era il sabato e a me faceva piacere; si poteva saltare un sabato o una domenica ogni due mesi” (C. D.); “Sì è vero” (A.);
- che S.S. “accompagnava i genitori a fare la spesa ovvero in altre commissioni” (cap. 58) (A.; C. D.);
- che S. telefonava al padre quotidianamente e anche più di una volta al giorno (cap. 60): “Sì più di una volta al giorno; ero presente personalmente e io e S. ci urlavamo dalla finestra” (A.); “sicuramente sì ne sono certo considerato il legame che c’era a mio parere era una famiglia ideale” (F.); “sì è vero, anche più di una volta” (C. D.);
- che “S.S. e il marito ... raggiungevano” le figlie G. e S. “nei fine settimana presso la casa dei nonni materni” a Deiva Marina durante le vacanze estive scolastiche “ove pernottavano” (cap. 64): “S. sempre, io due volte al mese in quanto una settimana per motivi di lavoro la saltavo” (C. D.); “Sì è vero” (F.);
- che S.S. durante la malattia del padre “...ha accompagnato i genitori alle visite, ha interloquito con i medici e, nel corso degli ultimi ricoveri del padre negli anni 2017, 2018 e 2019, lo è andato a trovare ogni giorno dopo il lavoro” (cap. 71): “Sì è vero ero presente anch’io” (A.); “si è vero; molte volte telefonavo a S. per avere aggiornamenti sullo stato di salute di mio zio; non telefonavo a mia zia perché era sempre un pianto continuo e men che meno a mio zio stesso; tutt’ora quando telefono a mia zia ogni 3 giorni la stessa mi risponde che “ è dura” e poi piange” (F.); “si è vero; ne sono a conoscenza in quanto mio figlio mi aggiornava dove andava mia nuora e di conseguenza dovevo accudire le mie nipoti; S. si è sempre presa cura del padre” (B.); Si è vero e più di una volta l'ho accompagnata anche ai colloqui con i medici” (C. D.);
- che l’attrice “nel corso degli ultimi mesi di vita di S.S. B., allorquando lo stesso era ricoverato e anche quando era a casa ... dava il cambio alla madre nell’assistenza al padre e lo aiutava nelle necessità che via via si facevano più pressanti accompagnandolo in bagno, aiutandolo a lavarsi, a effettuare qualche passo, cercando di farlo mangiare e tenendogli compagnia” (cap. 72): “si è vero; ero presente anch’io; solitamente S. veniva il pomeriggio se non c’erano necessità particolari ad esempio come visite ecc… ed io lavoravo principalmente al mattino, faccio solo un pomeriggio alla settimana e quindi frequentavo la casa S.S.. Oppure vedevo che c’era l’auto di S. o delle nipoti; io vedevo tutto dal balcone di casa mia” (A.); “si è vero; ricordo di averlo visto gli ultimi giorni a Deiva mentre lui rientrava per essere ricoverato nella clinica e ricordo che mio zio doveva essere sorretto anche solo per andare in bagno” (F.); “Sì è vero” (C.).
È acclarata, quindi, l’intensità e l’assiduità del legame di S. con il padre, venuto meno quando la stessa aveva 53 anni.
Il danno non patrimoniale patito dalla figlia del sig. S.S. va liquidato attribuendo i punti come segue: 12 punti per l’età della vittima primaria; 18 punti per l’età della vittima secondaria; 0 punti per la convivenza; 14 punti per il numero di superstiti (la madre); 30 punti per la qualità e intensità della relazione affettiva; totale punti 74.
Quindi, il danno risarcibile ammonta, all’attualità, ad euro 249.010,00.
c) Sul danno iure proprio patito da Greta C. e S.C.. I testi hanno riferito:
- che le nipoti hanno sempre trascorso le vacanze estive con i nonni (capitoli 62 e 63): “sì è vero” (F.); “Sì è vero ne sono a conoscenza diretta” (F.);
- che “quando G. e S. si trovavano in vacanza con i genitori a Sestri Levante, ogni giorno le stesse, insieme ai genitori, si recavano a Deiva Marina dai nonni materni” (cap. 66): “quando la famiglia di D. acquistò la casa a Sestri Levante trovandosi vicino a Deiva confermo che tutti i giorni si trovavano in famiglia” (F.); “così mi è stato riferito da B.S.; comunque sempre dalle persone della famiglia S.S.; abbiamo una chat”(A.); “Sì è vero; quando riuscivamo praticamente tutti i giorni nel periodo della vacanza ci recavamo dai nonni materni” (C. D.);
- che il Sig. S.S. “appassionato di pesca ... portava con sè le nipoti in barca e insegnava loro a pescare" (cap. 67); “Sì è vero” (C.D.); "che fosse un appassionato di pesca lo sapevo personalmente anche perché andavamo a pescare insieme; non ricordo la presenza delle nipoti alla Vasca di Corbelli; la presenza delle nipoti a pescare al mare mi è stato riferito da B.S.; le portava ovunque, erano sempre assieme” (A.); “si è vero; la barca era di D.; io avevo acquistato un gommone nel 1998 di 3 metri e mio zio nel 2010 mi regalò un motore sei cavalli e l’idea era quella di andare a pescare insieme ma a causa della sua malattia ciò non è mai avvenuto” (F.);
- che il Sig. S.S. “allorquando le nipoti erano piccole ... si occupava di farle giocare e le seguiva nei compiti” (cap. 69): “si è vero; l’ho visto anche personalmente a casa; anche quando le nipoti erano cresciute” (A.); “si è vero, mio zio le seguiva tantissimo era il nonno ideale” (F.); “si è vero; B. era particolarmente bravo in matematica e quindi le aiutava ... I giochi sempre[…] da un punto di vista dello studio sino alle prime classi degli istituti Tecnici frequentati dalle mie figlie” (C. D.);
- che il sig. S.S. aveva presenziato alla laurea triennale della nipote G. “perché dopo la Magistrale era già ammalato” (C. D.);
- che “nel corso degli ultimi mesi di vita del nonno, lo andavano a trovare più volte la settimana sia a casa che in ospedale e ... si prodigavano per distrarlo e intrattenerlo” (cap. 73): “Sì è vero ero presente anch’io” (A.); “Sì è vero” (C. D.); “Non posso riferire; sapevo solo che le nipoti si recavano in ospedale” (F.);
- che pur avendo prenotato un viaggio in California con partenza il 31/7/2019, le nipoti, “in considerazione delle condizioni disperate del nonno, in data 24/7/2019 hanno annullato il viaggio” (cap. 74 e 75): “Si è vero; B. era già presso l’Hospice; ricordo che B. per non destare preoccupazione aveva finto di non sapere cosa fosse e di che cosa si trattasse”; “sono a conoscenza che il viaggio è stato annullato, ho preso parte alla decisione” (A.); “si è vero; di questa cosa se ne parlava; si diceva che non era il caso di partire”; “sono solo a conoscenza che il viaggio è stato annullato” (F.); “Sì è vero... poi non sono partite perché volevano stare vicino al nonno” (F.B.); “Sì è vero, ne abbiamo parlato in casa e abbiamo preso questa decisione” (C. D.).
GG. e S. avevano, rispettivamente, 25 e 21 anni al momento del decesso del nonno.
Tanto premesso, le tabelle di Milano ed. 2022, come quelle ed. 2018, prevedono il risarcimento del danno subito dal nonno per la morte di un nipote. Come osservato da questo Tribunale, in una fattispecie del tutto speculare alla presente, “Tale criterio, tuttavia, non potrà essere applicato in modo automatico per l'inversa ipotesi del danno subito dal nipote per la morte del nonno, trattandosi questo di un evento fisiologicamente legato alla differenza generazionale e non paragonabile, nel trauma, alla morte di un giovane” (sentenza 18.2.2021 est. Luisa Poppi).
Per tali motivi, pur potendosi riconoscere il danno da perdita di rapporti parentali non previsti in tabella, si ritiene di poter liquidare, in favore delle nipoti del sig. B.S., la somma, equitativamente determinata, di € 109.362,50, così calcolata: 8 punti per l’età della vittima primaria; 18 punti per l’età delle vittime secondarie; 0 punti per la convivenza; 9 punti per il numero di superstiti (nonna, madre, sorella); 30 punti per la qualità e intensità della relazione affettiva; totale punti 65.
Pertanto, e concludendo, il Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia devono essere condannate al risarcimento del danno di complessivi euro 750.395,00.
Tale somma deve essere maggiorata degli interessi compensativi, nella misura degli interessi legali, dalla data del decesso (4.8.2019) alla data della sentenza, da calcolarsi sul capitale devalutato e via via rivalutato anno per anno, sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (Cass. Civ., Sez. Un., n. 1712/1995). Spettano, infine, gli interessi legali di natura corrispettiva sulla somma liquidata alla data della sentenza sino al saldo.
4) Sulle spese di lite.
Le spese di lite seguono la soccombenza delle parti convenute e si liquidano nell’ammontare indicato in dispositivo, tenendo a mente i parametri medi delle quattro fasi in cui si è articolato il giudizio, entro lo scaglione di valore in cui è racchiuso il decisum di causa.
 

P.Q.M.


Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1) dichiara tenuti e, per l’effetto, condanna il Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia, in solido tra loro, al risarcimento del danno di complessivi euro 750.395,00 oltre interessi da calcolarsi come indicato in motivazione, in favore delle attrici;
2) condanna il Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna e la Gestione Liquidatoria dell’Unità Sanitaria Locale n. 9 di Reggio Emilia al pagamento, in favore delle attrici, delle spese di lite che liquida in euro 29.193,00 per compensi professionali e in euro 1.686,00 per spese esenti, oltre rimborso forfettario per spese generali, c.p.a. e i.v.a..
Reggio Emilia, 19.5.2023
Il Giudice