Corte di Appello di Milano, Sezione Lavoro, 27 dicembre 2023, n. 969 - Condotte vessatorie e stress lavoro-correlato


 

 

Nota a cura di Marsico Giuseppe Maria, in in Labor on line, 08.03.2024 "Responsabilità civile datoriale per condotte vessatorie episodiche e stress lavoro-correlato"

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Appello di Milano Sezione Lavoro
all'udienza del 25 ottobre 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA

 

nella causa in grado d'appello in materia di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Monza (est . Rotolo) n. 501/ 2021, promossa da rappresentata e difesa dall'avv............presso il cui studio in è elettivamente domiciliata,
-APPELLANTE PRINCIPALE -

Contro


rappresentata e difesa dall'avv.................presso il cui studio ................ è elettivamente domiciliata,
- APPELLATA e APPELLANTE INCIDENTALE -

I procuratori delle parti, come sopra costituite , hanno precisato le seguenti

CONCLUSIONI

Appellante principale : "NEL MERITO
- accertato e dichiarato il comportamento connotato da mobbing da parte della resistente nei confronti della ricorrente per i motivi esposti nel presente atto e/o - del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale permanente e temporaneo in favore della signora e/o
- dell'illegittimità e/o nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o sorretto da motivo illecito del licenziamento intimato alla ricorrente poiché la malattia e stata causata da comportamenti datoriali connotati da mobbing per i motivi esposti in narrativa
PER L'EFFETTO

• ordinare , in persona del legale rappresentante pro tempore, di integrare la ricorrente nel posto di lavoro, e
• condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore del ricorrente, di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (€ 977,55), corrispondente dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, e comunque per un importo non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, pari ad€ 4.887,75 (€ 977,55 x 5 mensilità),
• nonché condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
IN SUBORDINE

Nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento della domanda formulata in via principale relativa al licenziamento:
• accertare e dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e per l'effetto

• condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale , di importo in misura, comunque , non inferiore a trentasei mensilità € 35.191,18 (€ 977,55 x 36 mensilità) dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;
IN OGNI CASO:

• rigettare ogni domanda, conclusione, eccezione e produzione avversaria;

• condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della ricorrente, del risarcimento del danno non patrimoniale permanente pari ad € 40.498,50 netti (€ 27.550,00 + 47% di €27.550,00), oltre ad€ 6.633,75 netti (25% di€ 145,00 x 183 giorni indicati nella lettera di licenziamento e pari a sei mesi) a titolo di danno non patrimoniale temporaneo ovvero nella diversa minore o maggiore somma ritenuta di giustizia ;
• condannare , in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione delle spese in favore della ricorrente per la Consulenza Tecnica di Parte redatta dal Dottor , pari ad € 142,00 netti, nonché ulteriori€ 180,00 netti per le visite con la Dott.ssa , ed altresì ulteriori 181,95 netti per l'acquisto di farmaci;
• con vittoria di spese ed onorari di giudizio, oltre spese generali (15%), CPA ed IVA all'avvocato in qualità di distrattario .
• con Sentenza esecutiva ".

Appellata e appellante incidentale : "In via preliminare e/o pregiudiziale :


- Accertare e dichiarare inammissibile l'appello promosso dalla sig.ra , per i motivi di fatto e di diritto esposti in narrativa ; In via principale:

- Rigettare le domande tutte svolte dall'appellante, per i motivi di fatto e di diritto indicati in narrativa, in quanto infondate anche nel merito; In via di appello incidentale :
- Riformare la sentenza n. 501/2021, Tribunale di Monza, sezione lavoro, nella parte in cui statuisce la compensazione delle spese di lite, e, per l'effetto, condannare la sig.ra anche all'integrale pagamento delle spese del primo grado di giudizio;
In ogni caso

- Con vittoria di spese, diritti e onorari anche del presente grado di giudizio".

 


FattoDiritto


Con sentenza pubblicata il 15 novembre 2021, il Tribunale di Monza in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa n. 1167/2020 R.G. promossa da contro , ha respinto le domande della ricorrente, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

Nel ricorso introduttivo ha esposto:

- di essere stata assunta da con contratto di lavoro a tempo determinato, parziale di tipo misto, con decorrenza dal 5 novembre 2018 e scadenza al 30 novembre 2019, con qualifica di operatore, 5 livello , ai sensi del Contratto Collettivo Aziendale per i dipendenti della società convenuta (" CCAL" );

- che, nonostante il contratto di lavoro superasse i 12 mesi di durata , non era stata apposta alcuna causale come prescritto dall'art. 19 d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81, né era stato consegnato alla ricorrente il CCAL;

- di avere svolto mansioni di completamento delle distinte e consegna del materiale occorrente al personale, controllo delle email, controllo dei conti aziendali, controllo della contabilità attiva e passi va, redazione della prima nota da inviare ogni fine mese al commercialista , pagamento dei modelli F24, contatti con i clienti o fornitori per eventuali comunicazioni, predisposizione dei preventivi, tenuta ed aggiornamento dell'archivio della documentazione;
 

- che, al momento della consegna della prima busta paga, aveva segnalato alla responsabile dei contratti, , e all'amministratore di , che, essendo formalmente inquadrata come operaia, 5 livello , e svolgendo di fatto mansioni di impiegata contabile, percepiva una retribuzione inferiore rispetto a quella spettante ed inoltre era errata l'indicazione delle ore di lavoro svolte;

- che, successivamente a questi rilievi, aveva modificato il contratto di lavoro, assegnando a mansioni di segretaria e di addetta alla contabilità , con passaggio dal livello 5 al livello 55 a decorrere dal 1° dicembre 2018 (sebbene nei cedolini paga il superiore livello venisse riconosciuto a partire da marzo 2019) e orario di lavoro dalle 9:00 alle 14:00;


- che in data 10 gennaio 2019 era stata assunta una dipendente di nome nella posizione di responsabile del personale addetto alla contabilità ;

- che, dopo un primo periodo di proficua collaborazione, aveva assunto nei confronti della ricorrente un atteggiamento arrogante, ignorandola quando chiedeva chiarimenti e dichiarando, anche alla presenza di colleghi, che avrebbe comunicato ai superiori l'intenzione di cercare una persona giovane e laureata in grado di sostituirla;

- di essere stata denigrata pubblicamente e addirittura invitata, a partire all'incirca da marzo 2019 , a svolgere attività di pulizia in luogo delle mansioni di addetta alla contabilità ;

- che da febbraio/marzo 2019 non era stata più convocata per la partecipazione ai corsi di aggiornamento informatico , perché  le impediva di utilizzare i nuovi programmi informatici , estromettendola dalla contabilità;

- che tra fine aprile e inizio maggio 2019 aveva avuto un incontro con il dott. e gli amministratori della società e , nel corso del quale era stata invitata a svolgere mansioni di addetta delle pulizie (e non più di addetta alla contabilità) , per un'asserita incompatibilità caratteriale

con la responsabile , oppure, nel caso di mancata accettazione, a rassegnare le dimissioni a fronte di una buonuscita ;

- di essersi rifiutata di rassegnare le dimissioni;

- che il giorno 8 maggio 2019 e l'aveva no convocata in ufficio, comunicandole che secondo la sua collaborazione lavorativa era inutile e tra loro vi era incompatibilità caratteriale, con conseguente ennesima richiesta di rassegnare le dimissioni;

- di essersi nuovamente rifiutata di dimettersi;

- di aver iniziato, da quel momento, ad avere dei malori che l'avevano costretta ad assentarsi per malattia a partire dal 13 maggio 2019;

- di essersi sottoposta, durante il periodo di malattia, a psicoterapia;

- che in data 5 novembre 2019 l'ASST di Lecco aveva certificato "una grave forma ansiosa depressiva reattiva" da trattare con "terapia farmacologica con antidepressivi e ansiolitici" ;

- che, con lettera datata 13 novembre 2019, le aveva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto "per complessivi 183 giorni di assenza per malattia, alla data del 10/11/ 2019 ";

- di aver impugnato il licenziamento con lettera raccomandata datata 8 gennaio 2020 ;

tutto ciò esposto, ha chiesto di: dichiarare la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato; ordinar e la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro; condannare al pagamento, in favore di , di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto{€ 977,55) dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e comunque per un importo non inferiore a 5 mensilità ; in subordine, condannare al pagamento, in favore della ricorrente, di un'indennità omnicomprensiva pari a 12 mensilità ; in ogni caso, condannare al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso pari ad€ 977,55, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale permanente pari ad € 40.498,50 (€ 27.550,00 + 47% di € 27.550,00), oltre ad € 6.633,75 (25% di€ 145,00 x 183 giorni di malattia, indicati nella lettera di licenziamento) a titolo di danno non patrimoniale temporaneo o le diverse somme ritenute di giustizia ; condannare a corrispondere alla ricorrente - a titolo di differenze retributive per superiore inquadramento come impiegata contabile dal 24 ottobre 2017 o dal successivo 16 aprile 2018 (periodi in cui lavorava alle dipendenze di I. s. r.l., i cui dipendenti erano stati poi assunti da società del Gruppo , tra cui ) o dal 5 novembre 2018 o dalla diversa data ritenuta di giustizia - l'importo lordo di € 29.364,66 (di cui € 1.786,34 a titolo di TFR) o il diverso importo ritenuto di giustizia .

Il Tribunale di Monza, in accoglimento dell'eccezione della società convenuta, ha dichiarato preliminarmente decaduta dall'impugnazione del contratto a termine, ritenendo la decadenza maturata, pur tenuto conto della sospensione dei termini processuali , in considerazione del superamento del termine di 180 giorni ex art. 6, comma 2, legge 15 luglio 1966 n. 604 tra l'impugnazione stragiudiziale datata 4 ottobre 2019 e il deposito del ricorso avvenuto il 2 luglio 2020 .

Ha poi escluso la configurabilità, nel caso di specie, di un'ipotesi di mobbing, alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza in mate ria, che descrive il mobbing come un comportamento protratto nel tempo, volta ad emarginare il lavoratore, caratterizzato dalla persecuzione dello stesso e dalla conseguente volontà di generare una lesione sul piano psicologico, professionale, morale e fisico.

Ha evidenziato come, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, il lavoratore che lamenti di essere vittima di una condotta simile debba allegare e provare che i comportamenti posti in essere siano frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione ed ha osservato che, nel caso in esame, le allegazioni della lavoratrice erano alquanto generiche ed inoltre le condotte lamentate avrebbero avuto, secondo la prospettazione della stessa, una durata di circa tre mesi.

Ad avviso del primo giudice, i fatti denunciati da come indici sintomatici di mobbing sarebbero, invece, da ascrivere a difficoltà relazionali, connaturate a prestazioni lavorative rese in contesti organizzati secondo criteri gerarchici.

Ha, pertanto, respinto la domanda di risarcimento del danno e, ritenendo l'assenza per malattia della lavoratrice non ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato per superamento del comporto.

Ha respinto anche la domanda di pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, osservando che il rapporto di lavoro tra le parti era a tempo determinato e che l'art. 2118 c.c. prevede l'obbligo di preavviso solo per il contratto a tempo indeterminato.

Infine, ha rigettato la domanda di inquadramento superiore (nel 4° livello CCAL), evidenziando che il lavoratore che rivendichi il riconoscimento di una qualifica superiore è tenuto innanzitutto ad indicare la declaratoria contrattuale della categoria di appartenenza e quella della categoria di cui chieda il riconosci mento, nonché ad effettuare fra le due un raffronto che indichi gli elementi sulla base dei quali sorgerebbe il diritto al superiore inquadramento; in secondo luogo, è tenuto a provare le mansioni svolte ed il periodo di esecuzione delle st esse. Ha ritenuto che, nel caso in esame, le mansioni che ha allegato di avere svolto siano sussumibili nella declaratoria del livello 5°S del CCAL, che ricomprende, tra i profili professionali, quello di "addetti ai servizi di segreteria anche con l'utilizzo di sistemi informatici".

Avverso la sentenza ha proposto appello affidandosi a due motivi, che investono, rispettivamente, il capo della pronuncia che ha escluso la sussistenza di un'ipotesi di mobbing e su tale assunto ha respinto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e il capo che ha dichiarato la legittimità del licenzia mento.

Con il primo motivo critica la statuizione del primo giudice secondo cui il mobbing sarebbe un fenomeno privo di regolamentazione di tipo normativo, trattandosi invece, ad avviso dell'appellante, dell'effetto diretto della violazione dell'obbligo datoriale imposto dall'art 2087 c.c.

Aggiunge che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale , aveva enucleato puntuali circostanze di fatto, capitolate a prova, a dimostrazione della situazione di mobbing ed aveva altresì prodotto copiosa documentazione medica, tra cui prescrizioni di farmaci antidepressivi, da cui ben poteva desumersi lo stato di patimento psicologico nel quale versava la lavoratrice.
Pertanto, nell'ottica del grava me, l'appellante aveva pienamente assolto i propri oneri di allegazione e deduzione istruttoria.
Deduce che aver negato l'ammissione delle prove offerte dalla ricorrente si è tradotto in una violazione dei diritti di difesa di quest'ultima e ha condotto, nella sostanza, alla pronuncia di una sentenza basata su congetture e non su fatti.

Insiste, pertanto, per l'ammissione delle istanze istruttorie e l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da mobbing, previa eventuale CTU medico-legale .

Con il secondo motivo lamenta che l'errat o giudizio di insussistenza del mobbing abbia condotto il Tribunale a ritenere legittimo il licenziamento per superamento del comporto .

Deduce che, contrariamente a quanto statuito in sentenza, la malattia (frequenti stati depressivi, ansie e crisi di panico) era stata causata dai comportamenti datoriali integranti la condotta di mobbing, sicché le relative assenze non erano computabili nel periodo di comporto.

Sulla base dei motivi esposti l'appellante ha chiesto la parziale riforma della pronuncia impugnata e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe tra scritte.

Costituendosi ritualmente in giudizio, l'appellata ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità dell'appello ex art . 436 bis c.p.c., affermando che la tecnica di redazione del ricorso renderebbe pressoché impossibile l'interpretazione della difesa e delle azioni promosse da parte appellante .

Nel merito ha contestato la fondatezza del gravame avversario, di cui ha chiesto il rigetto, ed ha proposto altresì appello incidentale avverso il capo della sentenza che ha disposto la compensazione tra le parti delle spese di lite, lamentando violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.

All'udienza del 25 ottobre 2023, ammessa ed espletata la prova testimoniale dedotta dalle parti, disposta ed eseguita CTU medico-legale, la causa è stata oralmente discussione e quindi decisa, come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza.

Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità del gravame , atteso che, contrariamente a quanto asserito da parte appellata , il ricorso in appello individua in modo chiaro i capi di sentenza impugnati e quelli a cui l'appellante ha, invece, prestato acquiescenza e consente, perciò, agevolmente di comprendere quali domande siano ancora coltivate : si tra tt a, come accennato, della domanda di risarcimento del danno da mobbing e delle domande inerenti al licenzia mento.

Tanto premesso, nel merito l'appello proposto da è parzialmente fondato e merita accoglimento nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

Procedendo all'esame del primo motivo, va premesso che nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale , il datore di lavoro non solo è contrattualmente obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell'art . 2087 c.c.), ma deve altresì rispettare il generale obbligo di neminem laedere e non deve tenere comportamenti che possano cagionare danni di natura non patrimoniale, configurabili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i suddetti diritti.

Tali comportamenti , anche ove non siano determinati ex ante da norme di legge, sono suscettibili di tutela risarcitoria.

Fra le situazioni potenzialmente dannose e non normativamente tipizzate rientra il mobbing che, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale e recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, designa (essendo stato mutuato da una branca dell'etologia) un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei component i del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo (cfr., per tutte, Corte Costituzionale, sentenza 10 dicembre 2003 n. 359).

Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono quindi ricorrere molteplici elementi : a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo , direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendent,i sottoposti al potere direttivo dei primi ; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; e) il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico- fisica e/o nella propria dignità; d) il suindicato elemento soggettivo , cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (cfr. Cass. 21 maggio 2011 n. 12048; Cass . 26 marzo 2010 n. 7382; Cass. 6 agosto 2014 n. 17698; Cass.10 novembre 2017 n. 26684) .

Alla base della responsabilità per mobbing si pone l' art . 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute , la dignità e i diritti fondamentali di cui agli artt . 2,3 e 32 Cast.

D'altra parte, come risulta dalla stessa definizione del fenomeno, se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultino , pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità , ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore , costituzionalmente tutelati , di cui si è detto.

La Suprema Corte ha chiarito che " a ciò non è di ostacolo neppure la eventuale originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing, in quanto si tratta piuttosto di una operazione di esatta qualificazione giuridica dell'azione che il giudice è tenuto ad effettuare, interpretando il titolo su cui si fonda la controversia ed anche applicando norme di legge diverse da quelle invocate dalle parti interessate, purché lasciando inalterati sia il petitum che la causa petendi e non attribuendo un bene diverso da quello domandato o introducendo nel tema controverso nuovi elementi di fatto (Cass. 23 marzo 2005, n. 6326; Cass. 1° settembre 2004 , n. 17610; Cass . 12 aprile 2006, n. 8519)" (così Cass . 5 novembre 2012 n. 18927).

Tanto premesso, nell'odierna controversia ha lamentato una serie di condotte da parte degli amministratori di e della responsabile dell'ufficio contabilità , S. V., lesive della propria dignità ed immagine professionale ed astrattamente idonee a fondare la responsabilità risarcitoria della datrice di lavoro ex art. 2087 c.c.

Il Collegio ha ammesso la prova testimoniale (articolata e dedotta sin dagli atti introduttivi e non ammessa dal Tribunale) in ordine a tali condotte e, all'esito dell'istruttoria svolta, ritiene che esse risultino in buona parte provate e tali da integrare violazione dell'art. 2087 c.c.

Le testi e (all'epoca dei fatti colleghe dell'appellante, le quali appaiono pienamente attendibili , non avendo più alcun legame con le parti, né ragioni di contenzioso con esse) hanno, infatti , riferito di commenti sprezzanti relativi a , espressi a voce alta da , nonché dagli amministratori della società, e (detto ) , alla presenza di colleghi dell'appellante e in taluni casi anche di quest'ultima.

Le testi hanno altresì riferito di incontri avuti da con il dr. e della direzione risorse umane e con gli amministratori e , tra la fine di aprile e l'inizio di maggio 2019; da entrambi gli incontri la lavoratrice era uscita in lacrime (in tal senso converge anche la deposizione del teste , dipendente della società , appartenente al Gruppo di cui fa parte anche ).

In particolare, la teste ha dichiarato: " ho sentito la sig.ra dire che la sig.ra era anziana per il lavoro che faceva e che a lei serviva personale più giovane e competente. Gliel'ho sentito dire una o due volte , non si rivolgeva direttamente alla , lo diceva ridendo ad alta voce; la era seduta lì accanto. Ero presente io, e L'ho sentita anche dire che aveva intenzione di andare dai capi per chiedere di fare licenziare e assumere un'altra persona. [...) Mi è capitato di sentire alla  macchinetta del caffè i titolari (e ) dire "quella andrebbe bene a pulire i cessi"; non hanno fatto il nome della , ma io ho inteso si riferissero a lei , perché li avevo visti prima parlare con la e mentre dicevano queste parole guardavano la [...) So che la è stata convocata a maggio 2019 dal dott. e dalla sig.ra per un incontro; ero presente quando è stata chiamata, io non ho partecipato all'incontro , la è uscita dall'incontro in lacrime; al momento non mi ha detto nulla sul contenuto dell'incontro; dopo due o tre giorni mi ha riferito che era stata invitata ad andare a pulire i bagni perché non era idonea per le mansioni di amministrazione e contabilità . [...] Ho visto la convocata da e da . Quando è uscita dall'incontro la era nervosa, piangeva" .

La teste , a sua volta, ha dichiarato di aver sentito "dire più di una volta che aveva intenzione di andare dai superiori per chiedere di far licenziare la sig.ra perché non sapeva fare il suo lavoro [...] la diceva queste cose a voce alta senza rivolgersi a qualcuno in particolare" ed ha aggiunto: "io l'ho sentita perché la mia postazione era alle sue spalle. Erano presenti altre persone perché lavoravamo in un openspace; erano presenti una decina di persone". La teste ha altresì dichiarato di non aver assistito direttamente all'incontro tra l'appellante e gli amministratori della società; ha tuttavia riferito : " il giorno precedente il sig. (detto ) in sala riunione al terzo piano mi ha detto che stavano prendendo la decisione di lasciare a casa la sig.ra o di affidarle mansioni di addetta alle pulizie" ed il giorno successivo " ho visto la piangere, sono uscita dal mio ufficio l'ho vista, mi ha detto qualche parola ed è andata a casa. Ho visto subito dopo la sig.ra che mi ha riferito che aveva avuto un incontro con la e le aveva detto che o accettava di fare l'addetta alle pulizie o altrimenti l'avrebbero licenziata ".

Sulla base delle richiamate emergenze istruttorie il Collegio concorda con il giudice di primo grado nel ritenere che non risulti adeguatamente dimostrato il carattere duraturo e sistematico delle azioni vessatorie, né la sussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare i fatti di cui hanno riferito i testimoni e che non sia, pertanto, ravvisabile una condotta di mobbing ai danni di , alla luce della ricostruzione generale del fenomeno quale è stata operata in precedenza.

Nondimeno, gli episodi riferiti dai testimoni, esaminati sia singolarmente sia in relazione gli uni con gli alt ri, anche se non sistematici e non protratti per un periodo di tempo molto prolungato risultano senza dubbio vessatori e mortificanti per la lavoratrice .

La ripetuta affermazione di che "non sapeva fare il suo lavoro" ed era sua intenzione farla licenziare, pronunciata a voce alta, al cospetto dei colleghi e talvolta anche ridendo, è gravemente lesiva della dignità personale e dell'immagine professionale dell'appellante, offesa e derisa pubblicamente.

Ancor più offensiva e lesiva della personalità morale della lavoratrice è la frase "quella andrebbe bene a pulire i cessi" , pronunciata dagli amministratori della società "alla macchinetta del caffè ", ossia in un luogo abitualmente molto frequentato, dove infatti è stata udita dalla collega

In questo contesto è evidente anche il carattere stressogeno degli incontri con gli amministratori e con la direzione risorse umane della società, nel corso dei quali - come riferito da della direzione risorse umane alla teste - all'appellante venne prospettata l'alternativa tra accettare il passaggio dal ruolo di contabile a quello di addetta alle pulizie ed il licenziamento.

Le condotte descritte configurano, a parere del Collegio, un fenomeno di straining, ascrivibile alla responsabilità del datore di lavoro ex art . 2087 c.c.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, " lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 cod. civ ., norma di cui da tempo è stata fornita un'interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32,41 e 2 Cost. (v. Cass. 4 novembre 2016, n. 3291 e la recente Cass. 19 febbraio 2018, n. 3977)" (così Cass. , 10 luglio 2018 n. 18164; in termini cfr. Cass., 19 ottobre 2023, secondo cui "al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente , sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento (la sua integrità psicofisica , la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica)" .

Va in proposito precisato che la circostanza che alcune delle condotte provengano da un'altra dipendente (la responsabile dell'ufficio contabilità S. V.) non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro - su cui incombono anche gli obblighi ex art . 2049 c.c. - ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo (cfr. Cass ., 25 luglio 2013 n. 18093; Cass. 15 maggio 2015 n. 10037; Cass. 9 settembre 2008 n. 22858) .

La responsabilità datoriale per l'illecito concretato da una condotta posta in essere da un dipendente nei confronti di altro dipendente è un portato della posizione di garanzia legalmente definita in capo al datore di lavoro, il quale ha l'obbligo di tutela delle condizioni di lavoro e di protezione del lavoratore di cui all'art. 2087 c.c., che, come noto, statuisce l'obbligo dell'imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, e pone così a carico del datore di lavoro uno speciale e autonomo obbligo di protezione della persona del lavoratore che non attiene solo al profilo dell'integrità psico-fisica dei lavoratori , ma anche a quello della personalità morale.

Sul datore di lavoro grava altresì la responsabilità ex art . 2049 c.c., per il fatto illecito dei dipendenti, con effetti lesivi verso i terzi o verso altri dipendenti. In forza di detta norma il datore di lavoro è responsabile non solo ove direttamente rechi danno alla personalità del lavoratore, ma altresì nel caso in cui non si attivi per la cessazione dei comportamenti scorretti posti in essere dai colleghi di lavoro del dipendente.

Le responsabilità indiretta ex art . 2049 c.c. del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso dal dipendente non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un nesso di "occasionalità necessaria " tra l'illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno . È irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (cfr. Cass. 22 agosto 2007 n. 17836; Cass. 12 marzo 2008 n. 6632).

Per quanto riguarda , poi , l'efficacia lesiva delle condotte, nel caso di specie essa trova un primo riscontro nelle crisi di pianto avute da M .T. nell'immediatezza dei fatti, di cui hanno riferito concordemente i testi, e nelle prescrizioni mediche di farmaci ansiolitici in concomitanza con i fatti stessi (cfr. in particolare prescrizione del farmaco Xanax in data 13 maggio 2019, sub doc. 15 fascicolo M.T. di primo grado).

Inoltre, nel presente grado di giudizio la lavoratrice è stata sottoposta a CTU medico legale, diretta ad accertare la sussistenza di lesioni all'integrità psicofisica causalmente correlate alle anzidette condotte di straining.

Il CTU nominato ha accertato, sulla base di approfondito esame della documentazione psicologica e psichiatrica in atti e della visita dell'appellante, che quest'ultima è affetta da sindrome ansioso­ depressiva, la cui origine risulta in via di probabilità ascrivibile agli eventi di natura lavorativa accertati e sopra esaminati, sia in ragione di una correlazione cronologica tra questi ultimi e la tempistica di contestualizzazione della documentazione clinica attestante l'insorgenza della patologia psichica ed il suo dipanarsi, sia in ragione della generale idoneità psico-traumatica degli eventi stessi nel determinismo dell'entità patologica .

Il CTU ha determinato l'entità delle lesioni all'integrità psicofisica della lavoratrice, causalmente correlate ai fatti di causa, in un'invalidità temporanea parziale, valutata al 50% per 90 giorni ed al 25% per ulteriori 90 giorni (onde permettere il progressivo recupero funzionale dalla condizione in essere) e in una diminuzione permanente dell'int egrit à psico-fisica della persona valutabile nella misura del 4- 5%.

Il Collegio condivide integralmente le conclusioni del CTU, siccome rese all'esito di approfonditi accertamenti, sorrette da congrua ed esaustiva motivazione (da intendersi qui integralmente richiamata), prive di vizi logici o di altra natura e non fatte oggetto di rilievi critici da alcuna delle parti.

Muovendo dalla valutazione medico legale deve procedersi alla liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale e, per fare ciò, deve tenersi conto dell'ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui il danno non patrimoniale di cui ali'art. 2059 c.c. costituisce una categoria ampia , comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d'animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, 11 novembre 2008 n. 26972: "il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vitt ima, ma senza duplicare il risarcimento at tra verso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali , ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale , inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale").

A partire dall'interpretazione affermata dalle Sezioni Unite nella pronuncia richiamata, il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria, che ricomprende in sé tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale , da liquidarsi , dunque, in modo omnicomprensivo, evitando duplicazioni risarcitorie.

Procedendo a detta valutazione unitaria e onnicomprensiva vanno quindi considerati seguenti elementi:

- la valutazione medico legale delle invalidità conseguenti alle descritte condotte di straining;

- il grado di sofferenza soggettiva interiore correlato alle lesioni accertate.

Quanto ai parametri di liquidazione, l'adozione della regola equitativa di cui all'art . 1226 c.c. deve garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti uffici giudiziari.

Nella liquidazione deve perciò farsi riferimento ai valori monetari adottati dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano , che risultano essere, in ragione della loro "vocazione nazionale" - in quanto statisticamente maggiormente testate - le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione che, con l'apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. per sonalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui , sia sul piano dell'effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione - nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti - sul territorio nazionale (cfr. Cass . Civ., sez. 111, 30 giugno 2011 , n. 14402; Cass. Civ ., sez. lii , 7 giugno 2011 n. 12408; Cass. civ., sez. lii , 16 febbraio 2012 n. 2228 ; Cass. Civ., sez. lii , 6 maggio 2020 n. 8532, secondo cui "le tabelle per la liquidazione del danno alla persona predisposte dal Tribunale di Milano sono munite di efficacia para-normativa in quanto concretizzano il criterio della liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c." ).

Alla luce di quanto esposto, tenuto conto delle accertate invalidità, dell'età di M.T. al momento dei fatti (anni 49), delle condizioni di vita della stessa, delle sofferenze psichiche patite, stimasi equo determinare nell'importo di € 6.263,50 il risarcimento del danno non patrimoniale da invalidità permanente e in € 6.682,50 il risarcimento del danno non patrimoniale da invalidità temporane a, così quantificando il risarcimento nella somma complessiva , già rivalutata , di€ 12 .946,00.

A tale determinazione si perviene in applicazione dei parametri tabellari in uso presso il Tribunale di Milano, che includono nel c.d. " valore punto" del danno non patrimoniale anche la componente di sofferenza soggettiva interiore ai valori medi, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, in assenza di puntuali allegazioni di parte appellante ed alla luce della valutazione del CTU che, avendo riguardo alle indicazioni di letteratura medico-legale esistenti circa la valutazione della "sofferenza psicofisica ", è giunto ad una quantificazione (in una scala da 1 a 5) pari a circa 1/ 5.

Si osserva poi che, al pari del mobbing, lo straining rappresenta una malattia professionale non tabellata, coperta dall'assicurazione obbligatoria (cfr. Cass. 5 marzo 2019 n. 6346: " la tutela assicurativa INAIL va estesa ad ogni forma di tecnopatia , fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell'attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l'organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella: dovendo il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata (Cass. 5 marzo 2018, n. 5066, con ampio rinvio a citazioni conformi in motiv azione").

Pertanto, anche in tale ambito, la responsabilità civile del datore di lavoro è limitata in base all'operare della regola dell'esonero, secondo il meccanismo delineato dall'art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124.

Va, tuttavia , considerato che la responsabilità datoriale opera per intero in relazione ai c.d. "danni complementari ", che comprendono il danno biologico da invalidità temporanea e il danno biologico da invalidità permanente inferiore al 6%, in quanto non coperti dall'assicurazione obbligatoria.

L'art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, infatti, delimita i danni non patrimoniali oggetto di assicurazione obbligatoria al danno biologico, inteso quale lesione di carattere permanente all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione medico legale, pari o superiore al 6%: tutto ciò che non è riconducibile a tale voce di danno non è coperto dall 'assicurazione obbligatoria e, quindi, è escluso dalla disciplina dell'esonero.

Nel caso di specie, il CTU ha determinato il grado di invalidità dell'appellante valutabile in ambito Inail (ai sensi del d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 e delle tabelle delle menomazioni di cui al d.m. 12 luglio 2000 e successive modifiche) nella misura del 5%, sulla base di congrua ed esaustiva motivazione, condivisa dal Collegio.

Tanto il danno da invalidità permanente (di entità inferiore al 6%) quanto il danno da invalidità temporanea accertati dal CTU devono, dunque, essere posti nella loro integralità a carico di A. s.r.l., in quanto danni "complementari", non riconducibili alla copertura assicurativa dell'lnail ed estranei all' operatività del meccanismo di cui dell'art. 10 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124.

Risultano, inoltre, congrue, documentate e rimborsabili spese mediche per l'importo di € 212,90 . Non risultano provate ulteriori voci di danno.
In sintesi , alla luce delle considerazioni sopra espost e, in accoglimento del primo motivo di gravame ed in parziale riforma della sentenza appellata, va condannata a corrispondere a , a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale , l'importo di€ 12.946,00 con interessi legali da maggio 2019 al saldo da calcolarsi sulla predetta somma devalutata a maggio 2019 e rivalutata con cadenza annuale sino ad oggi, e l'importo di € 212,90 per rimborso di spese mediche, con interessi legali e rivalutazione monetaria dai singoli esborsi al sal do.

Deve essere, invece, respinto, il secondo motivo di gravame, attinente al rigetto delle domande relative al licenzia mento.

Va premesso al riguardo che l'appellante non ha impugnato il capo di sentenza che ha respinto la domanda di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato sottoscritto dalle parti in contratto a tempo indeterminato: è, dunque, irretrattabile e definitivamente accertata la natura a tempo determinato del rapporto di lavoro di cui è causa.
In caso di illegittimo recesso ante tempus dal contratto a tempo determinato , il datore di lavoro è tenuto a risarcire al lavoratore il danno, da liquidarsi secondo le comuni regole civilistiche e, pertanto, commisurato all'entità dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso fino alla prevista scadenza del contratto (cfr. Cass., 1 luglio 2004 n. 12092; Cass. , 1 • giugno 2005 n. 11692; Cass ., 29 ottobre 2013 n. 24335).

Ne deriva che, ove anche nell'odierna controversia il licenziamento risultasse illegittimo, la lavoratrice avrebbe diritto unicamente al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non riscosse dalla data del licenziamento (13 novembre 2019) alla scadenza del termine apposto al contratto di lavoro (30 novembre 2019) - domanda, questa, non formulata nel presente giudizio - restando in ogni caso escluso il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate, che costituisce l'oggetto delle domande svolte da ...

Il rigetto di tali domande va, dunque, confermato , sia pure con motivazione corretta ed integrata nei termini suindicati.

È assorbito il gravame incidentale, con cui impugna la compensazione tra le parti delle spese di lite , disposta dal Tribunale , atteso che la riforma delle statuizioni di merito della sentenza di primo grado determina la caducazione automatica del capo che ha statuito sulle spese ex art . 336, comma 1, c.p.c.

Alla luce delle considerazioni tutte che precedono - dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione - l'appello principale merita accoglimento nei limiti sopra precisati, con parziale riforma, negli stessi limiti , della sentenza impugnata (le cui restanti statuizioni di merito devono essere confermate) e con assorbimento dell'appello incidentale .

Il regolamento delle spese di lite del doppio grado segue il criterio della soccombenza ed i relativi importi sono liquidati in disposit ivo , in applicazione delle tariffe vigenti al momento in cui l'attività professionale è stata completata sia pure limitatamente alla singola fase processuale, considerando quale momento rilevante quello della pubblicazione della sentenza (cfr . Cass. 16 dicembre 2022 n. 26905 ): si applica, pert anto , il d.m. 10 marzo 2014 n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018 n. 37, all'attività professionale svolta nel primo grado di giudizio e le modifiche apportate dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147 all'attività svolta in grado di appello.

La liquidazione tiene altresì conto del valore della controversia, del suo grado di complessità e dello svolgimento di attività istruttoria nel presente grado di giudizio e si determina in € 2.000,00 per il primo grado ed€ 3.000,00 per l'appello, con distrazione in favore del difensore dell'appellante ex art . 93 c.p.c.

Devono essere poste definitivamente a carico dell'appellata le spese di CTU, liquidate come da separato decreto .
 


P.Q.M .
 


- in parziale riforma della sentenza n. 501/2021 del Tribunale di Monza, accertato che ha posto in essere condotte in violazione dell'art. 2087 c.c. nei confronti di , condanna la società a corrispondere a quest'ultima, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, l'importo di € 12.946,00 con interessi legali da maggio 2019 al saldo da calcolarsi sulla predetta somma devalutata a maggio 2019 e rivalutata con cadenza annuale sino ad oggi, e l'importo di€ 212,90 per rimborso di spese mediche, con interessi legali e rivalutazione monetaria dai singoli esborsi al saldo;

- conferma le restanti statuizioni di merito;

- condanna l'appellata a rifondere all'appellante le spese di lite del doppio grado, che liquida in € 5.000,00 oltre rimborso forfettario per spese generali (15%) ed oneri accessori di legge e distrae in favore del difensore ex art. 93 c.p.c.;

- pone definitivamente a carico di parte appellata le spese di CTU, liquidate come da separato decreto.
Milano, 25 ottobre 2023