Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2024, n. 15406 - Schizzi di alluminio fuso e DPI inadeguati. E' responsabile il datore di lavoro anche quando si è avvalso di un professionista tecnico esterno?



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Relatore

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a P il (omissis)

avverso la sentenza del 12/01/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;

lette le conclusioni del Pubblico

 

Fatto


1.La Corte di appello di Venezia il 12 gennaio 2023, In parziale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Padova il 20 luglio 2022, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.A. responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla ritenuta aggravante, alla pena di giustizia, ha rideterminato, riducendola, la pena; con conferma nel resto.

2. I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti dai Giudici di merito.

2.1. Il 18 aprile 2016 si è verificato un incidente sul lavoro all'interno di uno stabilimento produttivo di manufatti in alluminio della Srl "TECNO PRESS".

In particolare, mentre l'operaio B.B. era intento a raccogliere le impurità dell'alluminio in fusione (c.d. "scorificazione") all'interno di un forno che era aperto adoperando un mestolo metallico, la immersione del mestolo nell'alluminio fuso a 700 gradi ha prodotto una violenta reazione chimica con conseguente proiezione di schizzi di metallo fuso sul viso e sul corpo dell'uomo e causazione di ustioni dì secondo grado alle mani e di ustioni dì primo grado al volto, all'addome ed agli arti inferiori, risultando, infine, ustionato l'8% del corpo del lavoratore, con malattia durata 55 giorni.

2.2. Si è ritenuto che le dotazioni lavorative di sicurezza fornite non fossero adeguate, indossando guanti in pelle con resistenza meccanica ma non al calore ed alti soltanto sino al polso, grembiule e pantaloni della tuta in tessuto di cotone, anziché indumenti "alluminizzati", ed occhiali da lavoro, ma non già protezioni del viso e del capo quale una visiera con calotta, e, conseguentemente, si è riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro, cioè dell'odierno imputato in quanto legale rappresentante della Srl "TECNO PRESS", in relazione alla violazione dell'art. 77, comma 3, del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81, secondo cui il datore di lavoro deve fornire al lavoratore i dispositivi di protezione individuale (acronimo: D.P.I.) conformi ai requisiti di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 81 del 2008, ossia, tra l'altro, adeguati ai rischi da prevenire e alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro, mentre nel caso di specie ciò non è avvenuto, non essendovi al momento dell'infortunio indumenti protettivi adeguati in azienda.

Si è ritenuto non essere interruttiva del nesso causale la non idonea preparazione del mestolo, che non era stato sufficientemente scaldato prima di essere immerso nel metallo fuso, onde eliminare ogni traccia di umidità dallo strumento, da parte del lavoratore infortunato, poiché la eventuale negligenza del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro che non abbia posto in essere tutte le cautele necessarie a "governare" il rischio prodotto da una determinata lavorazione e anche dalla eventuale imprudenza del lavoratore.

3.Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a due motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.

3.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 590 cod. pen., 77, comma 3, del d. Igs. n. 81 del 2008, travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione ed inoltre violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. ed inversione del corretto ragionamento logico probatorio rilevante nel riconoscere i presupposti di attribuzione dell'evento tipico della colpa in capo all'imputato.

Si assume che dalla motivazione della sentenza non si ricava in alcun modo la certezza che l'imputato potesse essere a conoscenza che il tipo di dispositivi individuali di protezione concretamente utilizzati in azienda non fosse adeguato a proteggere il lavoratore per l'evenienza di schizzi di alluminio fuso: infatti - si sottolinea - dall'istruttoria (che si allega per stralcio al ricorso) è emerso che il datore di lavoro si era avvalso di un professionista tecnico esterno all'azienda, l'ing. C.C., per elaborare il documento di valutazione del rischio e che la valutazione del rischio era aggiornata a dicembre 2015, cioè a pochi mesi prima dell'infortunio.

Ad avviso del ricorrente, dall'istruttoria sarebbe emerso che i dispositivi forniti sarebbero stati, in realtà, idonei rispetto al rischio presente in azienda, anche rispetto all'eventuale contatto con il metallo fuso, che i guanti del tipo di quelli indossati dalla persona offesa in effetti proteggevano dal calore per un breve lasso di tempo e che da anni in azienda si operava con quel tipo di protezioni senza che fosse mai accaduto alcun infortunio. Inoltre, abiti altamente protettivi e il casco avrebbero potuto limitare i movimenti dell'operaio e, non essendo traspiranti, avrebbero provocato la eccessiva sudorazione del lavoratore, già esposto al calore, specialmente d'estate, e persino lo svenimento.

Quindi - si ritiene da parte della Difesa - le precauzioni per la sicurezza erano state scrupolosamente osservate nell'azienda e la inidoneità dei dispositivi di protezione individuale era stata individuata soltanto ex post.

Verrebbe in rilievo nei caso di specie un problema di esigibilità della condotta da parte dell'imputato, richiamandosi al riguardo alcuni precedenti di legittimità stimati pertinenti.

Si ribadisce che A.A. aveva fatto affidamento sulle determinazioni tecniche dei documento di valutazione del rischio recentemente aggiornato e sulla circostanza della esperienza, protratta negli anni, del lavoro in azienda proprio con quel tipo di protezioni: donde - si assume - la mancanza di prova che l'imputato conoscesse o potesse conoscere della inadeguatezza dei dispositivi rispetto al rischio "schizzi di alluminio bollente".

In conclusione, si chiede l'annullamento della sentenza perché il fatto non costituisce reato.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione degli artt. 133 cod. pen. e 53 e 58 della legge 24 novembre 1918, n. 689, e, nel contempo, manifesta illogicità della motivazione rispetto all'esame della censura di immotivata applicazione da parte del Tribunale della pena detentiva in luogo della sanzione pecuniaria.

Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

4. Il P.G, della Corte di cassazione nella requisitoria scritta del 30 novembre 2023 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto


1. Premesso che la prescrizione maturerà il 21 dicembre 2023 (infatti, fatto del 18 aprile 2016 + sette anni e sei mesi = 18 ottobre 2023 + 54 giorni, cioè dall'8 marzo all'I 1 maggio 2020 per "sospensione-covid" ex 83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 ° 21 dicembre 2023), il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.

2. Quanto al primo motivo – sull'an della responsabilità - si osserva come il ricorso è in larga parte costruito in fatto su prospettazioni meramente avversative, contrapponendo alla doppia conforme una diversa lettura ed una alternativa interpretazione delle fonti di prova, tra l'altro trascurando che alla p. 6 della sentenza del Tribunale si legge che proprio l'ing. C.C., RSPP del servizio di prevenzione e protezione, ha precisato che era necessario che l'operaio indossasse una tuta integrale ed ignifuga che ne proteggesse il corpo dal contatto con il materiale incandescente, oltre ai guanti, esprimendo poi la propria - squisitamente soggettiva - opinione che i guanti in concreto indossati nell'occasione potevano andare bene, se vi fosse stato un contatto con il calore di durata molto ore e che d'estate la tuta integrale avrebbe potuto creare problemi sudorazione, cadute e persino svenimento: si tratta di circostanze cui i Giudici di merito hanno sposto non illogicamente - che guanti alti sino al gomito avrebbero più efficacemente protetto il corpo del lavoratore e che si era in primavera, essendo l'infortunio occorso il 18 aprile 2016 (v. infatti p. 10 della sentenza ci1 primo grado).

2.1. Il motivo sottende l'assunto difensivo che l'obbligo di sicurezza sia delegabile a figura tecnicamente attrezzata, essendo stato nel caso di specie incaricato un ingegnere della elaborazione e redazione del documento di valutazione del rischio (cfr. p. 9 del ricorso): l'affermazione impone qualche precisazione, a partire dal richiamo, da parte del Collegio, al principio di diritto già affermato da Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241, secondo cui "- In tema dì prevenzione degli infortuni sul lavoro, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione". Si tratta di sentenza resa in una vicenda in cui è stato rigettato il ricorso avverso sentenza di merito che ha condannato un datore di lavoro per l'omicidio colposo di un dipendente a seguito di un tragico infortunio avvenuto all'interno di una fonderia ed in cui era emerso essere stato - si -correttamente individuato nel D.V.R. (documento di valutazione del rischio) un determinato rischio ma era stata prevista una procedura inadeguata, siccome insicura, per prevenire lo stesso. Nell'occasione si è puntualizzato da parte della S.C, (in motivazione, sub nn. 3, 4 e 4.1 del "considerato in diritto", pp. 7-8) che "La redazione del documento di valutazione dei rischi e persino la previsione e l'adozione di misure di prevenzione non precludono il giudizio di responsabilità quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nella identificazione delle misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (...) L'applicazione del principio di colpevolezza esclude, poi, qualsivoglia automatico addebito di responsabilità a carico di chi ricopre la posizione di garante del rischio, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto di regole cautelari (generiche o specifiche) e della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire; l'individualizzazione della responsabilità penale impone, infatti, di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (ciò che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica) (ciò che si risolve nell'accertamento dell'elemento oggettivo della colpa), ma anche se l'autore della stessa (qui, Il titolare della posizione di garanzia in ordine ai rispetto della normativa precauzionale) potesse prevedere ex ante quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo (...) In quest'ottica, i giudici di merito (..) hanno ritenuto che la pericolosità dell'area in cui si è verificato l'infortunio fosse evidente e che fosse prevedibile che nel corso della distaffatura una parte della pesante struttura potesse cadere verso l'esterno attraverso l'unico segmento non protetto del perimetro, richiedendosi al datore di lavoro una, esigibile, condotta alternativa consistente nel delimitare la zona di lavorazione mediante una struttura priva di soluzioni di continuità e nell'assicurare il tubo di colata con un sistema idoneo a impedire che scivolasse al suolo, la sentenza impugnata ha, dunque, fatto corretta applicazione di tali principi, giacché, dopo aver chiaramente delineato la posizione di garanzia di D.D., nella qualità di datore di lavoro tenuto al rispetto di una serie di regole cautelari specifiche inerenti al rischio di caduta di oggetti e alla correlata pericolosità di determinate aree afferenti la lavorazione, ha individuato nella completa delimitazione dell'area di lavorazione, oltre che nell'approntamento di un sicuro metodo di aggancio del tubo di colata, il comportamento alternativo corretto che sarebbe stato esigibile, così fornendo con valutazione ex ante una motivazione coerente e logica all'affermata causalità della colpa, non censurabile in questa sede".

Si tratta di puntualizzazione importante, che merita di essere ribadita, in quanto valorizza il principio di colpevolezza in un'ipotesi in cui, come nel caso in esame, e indiscutibile la colpevolezza in senso oggettivo ma e contestata dalla Difesa la colpevolezza in senso soggettivo, essendosi l'imputato avvalso di un esperto per la individuazione dei rischio e degli strumenti idonei a prevenire l'occasione appare utile per sottolineare che, affinchè possa escludersi la colpa soggettiva del datore di lavoro che si sia avvalso di "saperi esperti" per la individuazione del rischio e delle modalità per prevenirlo, è necessario che l'informazione fornita dal tecnico non sia verificabile dal datore di lavoro tramite le proprie competenze e la ordinaria diligenza. Ciò che nel caso di specie non può ritenersi, in quanto hanno ritenuto i giudici di merito con motivazione che risulta logico ed immune da vizi sindacabili in sede di legittimità (la si e riferita sub n. 2.2 del "ritenuto in fatto") - guanti in pelle, peraltro alti solo sino al polso, grembiule e pantaloni della tuta in cotone, anziché indumenti "alluminizzati", e occhiali da lavoro senza calotta che protegga il viso ed il capo non erano, con intuitiva evidenza, idonei a riparare il corpo da pericolosi schizzi di alluminio fuso a 700 gradi.

Si tratta, peraltro, di ragionamento non dissimile, naturalmente mutatis mutandis, da quello che consente di individuare i limiti al principio di affidamento nell' ambito della colpa professionale sanitaria: la posizione di garanzia del sanitario, anche agente in equipe, comporta la necessità che lo stesso faccia presente ai colleghi, anche più se più anziani ed anche al capo-equipe, eventuali errori che possano essere colti con le proprie cognizioni tecniche e con la necessaria diligenza (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 39727 del 12/06/2019, Perugino, Rv. 277508; Sez. 4, n. 7667 del 13/12/2017, dep. 2018, Capodiferro, Rv. 272264: Sez. 4, n, 35953 del 15/05/2014, Spagnuolo, Rv. 260165; Sez. 4, n. 556 dei 17/11/1999, dep. 2000, Zanda, Rv. 215443). Allo stesso modo - può affermarsi - il datore di lavoro ha il dovere di rilevare eventuali rischi non evidenziati dal responsabile dei servizio di prevenzione e protezione ovvero l'adeguatezza della modalità di prevenzione dei rischi pur in effetti correttamente individuati, ove ciò emerga con la ordinaria diligenza sulla base di competenze tecniche di diffusa conoscenza ovvero di regole di comune esperienza nel caso di specie: il rischio, correttamente individuato, di ustione da metallo fuso non è contenibile mediante materiali quali pelle o cotone ma tramite indumento alluminizzato che coprano tutte le parti del corpo esposte ai rischio).

Opinando altrimenti, si rischierebbe di giungere ad ammettere una possibilità concreta di traslazione di responsabilità datoriale, che e invece estranea al sistema della sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 17 del d. Igs. n. 81 del 2008), mentre una saggia e prudente applicazione del discrimine indicato (tramite la valorizzazione di conoscenze, anche tecniche, diffuse, ove eventualmente esistenti, e della ordinaria diligenza) può contribuire al raggiungimento di risultati in cui, esclusi automatismi decisori, l'affermazione del diritto si coniughi con la soluzione secondo giustizia del caso concreto.

2.2. Infine, meramente evocata nel ricorso è la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., trascurandosi che "Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità. inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata" (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M, Rv. 274191-02) e che "In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame" (Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni Spa, Rv. 278196-02).

3. Quanto al secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio, il ricorrente censura la mancata sostituzione della pena detentiva (un mese di reclusione) in sanzione pecuniaria.

Ebbene, alla p. 7 della sentenza impugnata si rinviene idonea spiegazione del perche della decisione giudiziale, incentrata su tre elementi: 1) gravità dei fatto; 2) reiterazione della pericolosa condotta anche dopo il verificarsi dell'infortunio in questione; 3) impossibilità di attingere alla incensuratezza ed al buon comportamento processuale, già valutati per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Al riguardo può richiamarsi il precedente di legittimità citato dal Procuratore Generale nella requisitoria, ossia Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2019, Ahmetovic, Rv. 276716, secondo cui "In tema di sanzioni sostitutive, l'accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall'art. 53, legge 24 novembre 19S1, n. 689, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico. (Fattispecie in maceria di lesioni personali aggravate, nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il diniego della sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria fondato sulla sussistenza di un precedente penale per reato contro il patrimonio, unitamente alla condizione di irreperibilità del ricorrente e all'evidente condizione di disagio che non consentivano di presumere la sua capacità di adempiere gli obblighi imposti con la sanzione sostitutiva,)" (in senso conforme, v. già, tra le altre, Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, Diop Mamadou, Rv. 263300; e Sez. 2, n. 4564 dei 09/02/1993, Papadia, Rv. 194152).

4. Discende dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali
 


P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 20/12/2023.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2024.