Cassazione Penale, Sez. 4, 30 aprile 2024, n. 17453 - Omicidio colposo del lavoratore. Determinazione della pena



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere

Dott. RICCI Anima Luisa Angela - Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere

Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a S il (Omissis)

avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere BRUNO GIORDANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VINCENZO SENATORE che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto


1. A.A. mediante il difensore ricorre avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in data 27/06/2023 con la quale l'imputato è stato condannato alla pena di anni uno di reclusione per il reato di omicidio colposo commesso ai danni del lavoratore C.P., operaio alle dipendenze della ditta Coster, distaccato presso la ditta di V.F., per colpa generica nonché per violazione degli artt. 19, lett. a) e 20, lett. b), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

2. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen. , in relazione agli artt. 133 e 589 cod. pen. , per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla nuova rideterminazione della pena. Si ritiene nell'unico motivo di ricorso che individuare la pena base sulla "portata delle norme violate, relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro " sia espressione di una clausola di stile e corrisponda sostanzialmente ad una assenza di motivazione.

3. Sostiene, inoltre, il ricorrente che la Corte di appello, distaccandosi dal minimo previsto di mesi sei di reclusione ed avendo assunto quale pena base anni uno e mesi sei di reclusione, sia entrata in contraddizione con l'apparato motivazionale fornito nella medesima sentenza, poiché all'imputato vengono riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulla contestata aggravante di cui al comma 2 dell'art. 589 cod. pen. ma al contempo si indica come pena base una sanzione superiore al minimo edittale.

4. Il procuratore generale con requisitoria e conclusioni scritte ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. È opportuno evidenziare precipuamente che la sentenza impugnata costituisce l'ultimo provvedimento giudiziario emesso a seguito di un iter processuale avviato con la sentenza del Tribunale di Castrovillari del 9/09/2016 con la quale l'odierno ricorrente e il coimputato S.C.e erano ritenuti colpevoli e condannati alla pena di anni due di reclusione nonché al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.

2. La Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza in data 7/10/2019 ma la Corte di cassazione annullava tale sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro che si pronunciava nuovamente in data 14/01/2022 rideterminando la pena inflitta a A.A. e S.C. in anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno.

3. La Corte di cassazione in data 10/01/2023 nuovamente annullava la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro che, infine, emetteva la sentenza ora oggetto dell'odierno ricorso.

4. Oggetto del ricorso è la logicità e asserita mancanza della motivazione circa la determinazione della pena base operata dalla Corte di appello di Catanzaro con la sentenza impugnata, e non l'allineamento della stessa in relazione ai principi e alle indicazioni di diritto pronunciate nelle due precedenti sentenze della Corte di cassazione; quindi sostanzialmente il motivo di ricorso verte sull'analisi dell'esercizio del potere discrezionale del giudice dì merito nella determinazione della pena base e nella coerenza logica in relazione alle concesse attenuanti generiche.

5. Tale valutazione in nuce richiede una rivalutazione delle circostanze di fatto, della gravità ed entità delle violazioni specifiche, che hanno condotto il giudice di appello ad un corretto e motivato esercizio della discrezionalità nella determinazione della pena base, attraverso i criteri previsti dall'art. 133 cod. pen. . Pertanto, al netto delle valutazioni di fatto riservate al giudice di merito e non scrutinabili in sede di legittimità, si deve rilevare che non vi è alcuna assenza o contraddittorietà di argomentazione nella motivazione.

6. Invero, la motivazione della Corte d'appello circa la determinazione della pena base tiene conto non soltanto in modo coerente delle due sentenze della Corte di cassazione e dei principi in esse affermati ma evidenzia che la condotta risarcitoria e l'incensuratezza degli imputati porta a concedere loro le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto all'aggravante contestata relativa alla violazione delle norme antinfortunistiche. La considerazione che come prius logico la determinazione della pena base abbia tenuto conto proprio della violazione delle normative relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro non appare in contraddizione con la successiva valutazione circostanziale subvalente rispetto alla condotta risarcitoria e all'incensuratezza. La prima valutazione circa la determinazione della pena base ha misurato tutta l'entità, gravità, varietà delle violazioni in materia antinfortunistica, come emerse dalla sentenza di primo grado, dalle sentenze di secondo grado e di legittimità emesse proprio valutando quale sia stata la gravità del fatto omicidiario e del contesto lavorativo che ha causato la morte del lavoratore.

7. Non v'è alcuna illogicità o difetto di motivazione se il giudice di merito, nell'esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena, ritenga di attestare la pena base al di sopra del minimo edittale, avuto riguardo alla "portata" delle violazioni che disegnano la gravità oggettiva del fatto, e poi valuti altri profili della personalità e del comportamento processuale dell'imputato quali attenuanti generiche tanto rilevanti da prevalere su una specifica circostanza aggravante.

8. In definitiva, non v'è alcuna lacuna o contraddizione logica nella motivazione che espone seppur sinteticamente una valutazione del fatto, delle condizioni lavorative, della gravità della colpa che sono riassunte complessivamente nelle violazioni degli obblighi di prevenzione, non più oggetto di impugnativa, che hanno condotto alla morte del lavoratore. Alla considerazione che i motivi appaiono palesemente inammissibili consegue la condanna del ricorrente alle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 20 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2024.