Cassazione Penale, Sez. 4, 03 maggio 2024, n. 17544 - Caduta mortale durante i lavori di ristrutturazione. Responsabilità del committente



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dà:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A. nato a V. il (Omissis)

avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI

che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso

 

Fatto


1. La Corte d'appello di Catanzaro, con sentenza del 7 giugno 2023, ha confermato la sentenza del Tribunale di Paola di condanna di A.A., nella qualità di committente e datore di lavoro, in ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di B.B., commesso in Verbicaro ril.6.2008.

1.2. I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. Nel corso dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato, sito in via (Omissis) e sviluppantesi su tre piani, di proprietà delle famiglie C.C. e A.A. (il primo piano di proprietà di C.C., padre della vittima; il secondo di proprietà di D.D., sorella di C.C. e madre dell'imputato A.A.), B.B. mentre si trovava sulla pensilina posta al lato sud del fabbricato ad un'altezza di mt. 8,50 dal suolo, sprovvisto di idonea cintura di sicurezza, aveva perso l'equilibrio ed era caduto al suolo, decedendo sul colpo. Al momento dell'incidente erano già stati ultimati i lavori di costruzione di tre pensiline in cemento armato a sbalzo per balconi (uno sul lato sud e due sul lato nord); erano già stati posti il massetto per la pavimentazione, il perlinato al sottotetto, l'intonaco alle pareti; era già stata effettuata la sostituzione degli infissi esterni. Tutte e tre le pensiline erano prive dei parapetti.

1.3. Quali addebiti di colpa, nei confronti dell'imputato, committente dei lavori, sono stati individuati l'imprudenza, la negligenza e l'imperizia; la violazione dell'art. 26, comma 1 lett. a), D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (per non avere affidato i lavori a impresa o lavoratore iscritto alla camera di commercio); la violazione dell'art. 18, comma 1 lett. d), D.Lgs. n. 81/2008 (per avere omesso di informare il lavoratore dei rischi di un pericolo grave ed immediato e per non avergli fornito dispostivi di protezione collettivi e individuali); la violazione dell'art. 146, comma 1, D.Lgs. 81/2008 (per avere omesso di munire le aperture nei muri prospicenti il vuoto di parapetti e tavole fermapiede) e la violazione dell'art. 113, comma 2, D.Lgs. 81/2008 (per non avere dotato la scala a pioli, posta ad un'altezza superiore a metri cinque, di una solida gabbia metallica di protezione avente maglie o aperture di ampiezza tali da impedire la caduta accidentale della persona verso l'esterno).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando due motivi.

2.1 Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il travisamento delle prove assunte in relazione alla ritenuta qualifica di committente in capo a A.A. Il difensore osserva che dalla documentazione acquisita presso il Comune di Verbicaro emergeva che le unità interessate dai lavori erano sia al secondo sia al primo piano e che dette unità erano intestate a C.C., D.D. e E.E. Dall'istruttoria, invero, non era emerso né che A.A. avesse impartito direttive a B.B., né che B.B., avesse effettuato lavori nella unità immobiliare riconducibile a A.A., né che B.B., avesse avuto accesso autonomo anche al secondo piano, in cui, peraltro, non era stato chiarito chi vivesse: il teste di polizia giudiziaria, M.llo F.F., aveva riferito di aver individuato il committente in A.A., solo per averlo appreso dalla moglie della vittima, mentre i testi G.G. e H.H. si erano limitatati a riferire genericamente che l'immobile era di proprietà delle famiglie C.C. A.A.. Sulla base delle risultanze delle indagini, dunque, non poteva escludersi che B.B., proprietario iure hereditatis dell'appartamento dei genitori, avesse la disponibilità dell'intero palazzo e che A.A., nelle rare volte in cui si recava da Ortonovo al proprio paese di origine, venisse ospitato dal cugino al primo piano. La vittima, peraltro, secondo alcuni testi, al momento dell'infortunio non stava lavorando e nei giorni precedenti era sembrato "assente", come in preda a "pensieri oscuri", tanto che non poteva escludersi che avesse deciso di togliersi la vita buttandosi dalla pensilina.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto l'erroneo calcolo del termine di prescrizione del reato. Il difensore osserva che il termine di prescrizione pari a sette anni, raddoppiato ex art. 157, comma 7, cod. pen., decorrente dalla data del commesso reato, 11 giugno 2008, era maturato all'11 giugno 2022 e, tenendo conto del periodo di sospensione nel corso del dibattimento pari a mesi 5 e giorni 28, il reato doveva ritenersi estinto alla data del 1.12.2022.

3.Il Procuratore generale, in persona del sostituto Francesca Costantini, ha presentato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

4. Il difensore del ricorrente, in data 5 marzo 2024, ha depositato memoria con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

5.Il difensore della parte civile, in data 13 marzo 2024, ha depositato conclusioni, con cui ha chiesto confermarsi la responsabilità penale dell'imputato, e nota spese.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto volto a prospettare alla Corte di legittimità una diversa lettura del compendio probatorio.

2.1. A tal fine si deve ricordare, quanto alla natura del ricorso in cassazione, che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

2.2. Da tale principio discende, quindi, che la ricostruzione di un infortunio nella sua dinamica e negli aspetti che attengono ad accadimenti di fatto è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione.

Nel caso in esame, il ricorrente contesta la sussistenza in capo all'imputato della qualifica di committente dei lavori. La censura, anche per tale aspetto, involge, tuttavia, solo questioni che attengono a profili di fatto. L'infortunio si era verificato nel corso di lavori di ristrutturazione effettuati dalla vittima in assenza di incarico formale: l'istruttoria -secondo il ricorrente- non avrebbe provato che fosse stato A.A. a incaricare C.C. di effettuare detti lavori, sicché la motivazione in merito alla qualifica di committente sarebbe insufficiente e non aderente alle emergenze processuali.

2.3. Le motivazioni delle sentenze di merito (che, in quanto conformi e fondate sulla stessa struttura argomentativa, possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) sfuggono alle censure articolate dal ricorrente.

Il Tribunale, riassumendo le risultanze dell'istruttoria, ha evidenziato in proposito che A.A. era proprietario del secondo e ultimo piano dell'edificio ove erano in corso i lavori di ristrutturazione, mentre C.C. aveva la disponibilità del piano sottostante, onde l'interesse alla realizzazione dei lavori era esclusivamente del suddetto imputato; che A.A. aveva commissionato la realizzazione di infissi, il cui montaggio era avvenuto presso la sua abitazione e sotto le sue direttive; che la vittima, di professione muratore, era stata vista più volte e da più persone all'ultimo piano dell'immobile durante la realizzazione dei lavori di ristrutturazione e al momento dell'infortunio era impegnata in detti lavori, come dato desumere dagli abiti indossati e dalla attrezzatura rinvenuta sulla pensilina; che tutti i testimoni avevano confermato di non aver visto altra persona, oltre a C.C. , nell'atto di svolgere detti lavori.

La Corte di Appello, in coerenza con tale assunto, ha ribadito che A.A. e B.B. erano cugini e durante l'estate abitavano presso l'abitazione dei rispettivi genitori, B.B. al primo piano e A.A. al secondo piano; che quest'ultimo, pur abitando fuori Verbicaro, aveva, comunque, la disponibilità dell'immobile in questione e vi aveva svolto lavori di ristrutturazione: alcuni testimoni avevano riferito che A.A. aveva commissionato lavori, quali realizzazione di infissi e montaggio, e aveva impartito direttive in proposito, mentre un altro testimone aveva dichiarato che A.A. e B.B. insieme avevano acquistato il cemento necessario per opere di ristrutturazione.

Sulla base di tali emergenze, i giudici di merito hanno concluso che la vittima stesse lavorando per conto del cugino A.A., sia pure nell'ambito di opere effettuate in economia e per amicizia.

Il percorso argomentativo adottato appare coerente con i dati riportati e logico nelle inferenze tratte da tali dati. Il ricorrente di contro si limita a prospettare una differente valutazione delle prove, senza tuttavia contrapporre alla motivazione della Corte e del Tribunale alcuna valida ragione di fatto o di diritto, tale da incrinarne la tenuta logica.

Neppure può configurarsi il vizio di travisamento della prova, dedotto in maniera generica dal ricorrente. Occorre a tale fine ribadire che detto vizio consiste non già nell'errata interpretazione della prova, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione. Al giudice di legittimità, come detto, è consentito non già di accertare eventuali travisamenti del fatto - e dunque di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice merito -, bensì solo di verificare che quest'ultimo non abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, posto che, in tal caso, non sì tratta per l'appunto di reinterpretare gli elementi di prova valutati nel merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano e facessero, dunque, effettivamente parte dell'orizzonte cognitivo di quel giudice (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 Maggio, Rv. 255087; Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belluccia, Rv 244623; Sez.5. n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola, Rv 238215; Sez. 1, n. 24667, del 15 giugno 2007, Musumeci, Rv 237207; Sez. 4, n. 21602 del 07 aprile 2007, Ventola, Rv 237588). Nel caso di doppia sentenza conforme, inoltre, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (ex multis Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M. Rv. 283777).

Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie: il ricorrente ha solo contestato la valenza dimostrativa di alcune testimonianze, senza dedurre travisamenti nel senso su indicato, ma semmai sollecitando il giudice di legittimità ad esercitare un sindacato sulla valutazione delle prove, inammissibile in presenza di una motivazione adeguata e congrua.

3. Il secondo motivo, con cui si eccepisce la intervenuta prescrizione del reato, è manifestamente infondato. Nel calcolo prospettato, il ricorrente non tiene conto che per effetto dell'intervento di atti interruttivi, quali da ultimo la pronuncia della sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 160 cod. pen., il termine di prescrizione comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione, ma in nessun caso il termine stabilito dall'art. 157 cod. pen. può essere prolungato oltre un quarto del tempo necessario a prescrivere. Ne consegue che il termine massimo di prescrizione per il reato in esame è pari ad anni 17 e mesi 6.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

Alla inammissibilità del ricorso consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile Nunzia Tassari, che si stima congruo liquidare in Euro tremila, oltre accessori come per legge, se dovuti.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della parte civile Nunzia Tassari, liquidate in Euro tremila, oltre accessori come per legge se dovuti.

Deciso il 21 marzo 2024

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.