Cassazione Penale, Sez. 4, 03 maggio 2024, n. 17547 - Inadeguatezza di opere provvisionali e utilizzo indebito di una scala a pioli. Difetto di correlazione fra il capo di imputazione e la sentenza


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

dalla parte civile A.A. nato il (Omissis)

nel procedimento a carico di:

B.B. nato il Omissis)

avverso la sentenza del 16/11/2023 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 D.L. 137/2020 conv. dalla L. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 D.L. 228/21 conv. con modif. dalla L. 15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall'art. 5-duodecies della L. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del D.L. n. 162/2022) e poi dall'art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla L. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. FRANCESCA COSTANTINI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata e le conclusioni scritte, con allegata nota spese, dell'Avv. Stefano Bonaudo per la parte civile ricorrente che ha insistito per l'accoglimento dei ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 16 novembre 2023 la Corte di Appello di Torino ha annullato - e ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino - la sentenza con cui il Tribunale di Torino in data 22 dicembre 2022, all'esito di giudizio ordinario, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, aveva condannato B.B. alla pena di mesi uno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione, nonché a risarcire il danno alla costituita parte civile A.A., da liquidarsi in separato giudizio, in quanto riconosciutolo colpevole del reato di cui agli artt. 590 , commi 1, 2 e 3 e 583 comma 1 n. 1 cod. pen., 112 T.U. n. 81/2008, perché, quale legale rappresentante della ditta EDIL COS di B.B. ed in tale veste datore di lavoro, avendo la predetta ditta un cantiere sito in R, via (Omissis), causava per colpa - consistita nella violazione dell'obbligo di allestimento delle opere provvisionali con buon materiale e a regola d'arte, nonché in maniera proporzionata e idonea allo scopo - a A.A., il quale stante l'assenza delle suddette cautele antinfortunistiche cadeva dal ponteggio, posto all'altezza di circa 4 metri, sul quale operava, una lesione del tipo frattura pluriframmentaria scomposta; di L5 con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni oltre i 40 gg. In R il (Omissis)

2. Il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito nei termini che seguono.

La mattina del 10 maggio 2017 A.A. - dipendente della ditta EDIL.COS di B.B. - si trovava ad operare nel cantiere edile di R via (Omissis), su una terrazza in costruzione sita al primo piano fuori terra.

Secondo quanto riferito dalla persona offesa (sia in fase di indagini, sia a dibattimento) egli era salito, al fine di "tirare il piombo" per costruire il secondo muro di delimitazione della terrazza, su una scala a pioli presente in cantiere, che era semplicemente appoggiata al muro e che non veniva trattenuta a terra; quando era arrivato alla sommità e stava battendo contro il muro per piantare un chiodo, la scala si era ribaltata ed egli era rovinato a terra, cadendo di schiena, urtando contro dei mattoni ivi accatastati e riportando conseguentemente gravi lesioni.

Sul posto interveniva personale dello Spresal, che non rinveniva alcuna scala e che riscontrava delle carenze nelle opere provvisionali, in particolare, sul ponteggio che si usava per salire in quota, che era privo di parapetti e che presentava una luce tra le assi di calpestio, rischiosa per le cadute.

Il primo giudice rilevava che "sebbene non vi sia un nesso di causa diretto tra i rilievi specifici in materia di sicurezza mossi dallo Spresal nel cantiere, relativi alla mancanza di sicurezza dei ponteggio di cui alle fotografie in atti, dal momento che si è appurato che il lavoratore cadde da una scala a pioli mai più reperita e non da tale ponteggio, si ritiene comunque che l'infortunato operasse in condizioni di mancanza di sicurezza addebitabili al suo datore di lavoro, il quale non valutò adeguatamente i rischi connessi con l'opera subappaltata né traspose tale valutazione nel documento di cantiere (POS), non predispose idonei mezzi di lavoro né si assicurò che fossero presenti, non si occupò di un'adeguata formazione dei suoi dipendenti sull'uso corretto delle attrezzature, non predispose forza lavoro adeguata affinché non accadesse l'infortunio in esame, ove la previsione, fosse stata quella dell'uso preponderante di scale a pioli per l'esecuzione dei muri (previsione peraltro non del tutto adeguata)", motivando, poi, in modo specifico su tali profili di colpa (pagg. 3-6 sentenza) e sull'insussistenza di una condotta abnorme e imprevedibile del lavoratore. Da ultimo, il Tribunale ha osservato che "a nulla rileva che nell'imputazione si faccia riferimento soltanto alle carenze del ponteggio presente in cantiere, dal quale il muratore in realtà non cadde: l'imputato ha potuto comunque difendersi dall'accusa di colpa specifica per la violazione dell'art. 112 TU 81/2008, profilo di colpa che risulta in questa sede accertato, posto che, come si è appurato, egli non predispose né si assicurò che i dipendenti fossero dotati di adeguate opere provvisionali, idonee allo scopo ed efficienti, per la lavorazione loro affidata, in alternativa a quel ponteggio non utilizzabile in quanto pericoloso. Seppure in via indiretta, la carenza del ponteggio è connessa con l'infortunio perché comportò l'uso indebito di una scala a pioli" e che "gli altri profili di colpa, generica e specifica rilevati e non espressamente contestati nell'imputazione possono essere rilevati d'ufficio senza che, nella presente materia, si incorra nei limiti di cui all'art. 521 cod. proc. pen.".

3. Avverso la sopra ricordata pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, la parte civile A.A. deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen. la violazione dell'art. 521 e 522 cod. proc. pen., e la manifesta illogicità della motivazione.

Rileva la parte civile ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto la diversità dell'infortunio subito dalla persona offesa rispetto a quello descritto in imputazione con conseguente "radicale differenza dei profili di colpa addebitabili all'imputato, il quale, pertanto, si è trovato nell'impossibilità di difendersi adeguatamente rispetto agli elementi nuovi valorizzati dal Tribunale". Ciò perché, nel caso di specie, non vi sarebbe stata la caduta della vittima "dal ponteggio", ma l'infortunato "era salito su una scala a pioli che si era ribaltata facendolo cadere di schiena".

Orbene, si lamenta in ricorso che la Corte di Appello di Torino abbia applicato erroneamente i principi ormai consolidati in giurisprudenza e non sì sia confrontata con gli elementi fattuali da cui emergeva che, sin dal primo accertamento, i fatti si svolsero così come indicato nella sentenza di primo grado. E su quei fatti - come aveva correttamente rilevato il giudice di primo grado - le parti si sono confrontate in contraddittorio nel corso di tutto il procedimento.

Si ricorda che la giurisprudenza di legittimità, in punto di correlazione tra accusa e sentenza, ha chiarito che non è diverso il fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzata sia emersa delle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (Sez. 4. n. 11471/2022).

Come è stato affermato, infatti, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, il rispetto delle regole del contraddittorio - che deve essere assicurato all'imputato, sia in ordine al fatto che in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto medesimo, conformemente all'art. 111, co. 2, Cost. - impone esclusivamente che non vi sia una contestazione a sorpresa o, ancor peggio, una decisione a sorpresa.

Chiede che questa Corte, in accoglimento dei suesposti motivi, voglia annullare l'impugnata sentenza e conseguentemente, ai soli fini civili, ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato, come deciso dal Tribunale di Torino, e, confermate le statuizioni civili, condannare l'imputato alle spese di continuata assistenza in favore della parte civile.

4. Le parti hanno reso conclusioni scritte come riportato in epigrafe.

 

Diritto


1. In premessa va rilevato che, ad avviso del Collegio, sussiste l'interesse ad impugnare della parte civile.

Non sfugge al Collegio l'esistenza di un ormai risalente arresto di questa Corte secondo cui è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la decisione con cui la Corte di appello, ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen., abbia annullato la sentenza di primo grado per diversità del fatto rispetto a quello contestato nell'imputazione e abbia disposto la trasmissione degli atti al P.M. (Sez. 4, n. 6964 del 14/11/2012, dep. 2013, Bonomelli, Rv. 254477 - 01 in un caso in cui era stato escluso l'interesse della parte civile ad impugnare la decisione di secondo grado che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per la verificazione di un sinistro stradale, individuando, tuttavia, un diverso profilo di colpa incentrato non sulla guida del veicolo ma sull'omessa vigilanza nei confronti del reale guidatore).

Tuttavia, si ritiene di dover aderire, ritenendolo applicabile, mutatis mutandis, anche al ricorso della parte civile, a quel più recente orientamento che ha affermato sussistere l'interesse dell'imputato ad impugnare per cassazione la sentenza di appello che, ritenuta ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. la diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato, annulli la sentenza assolutoria di primo grado e ordini la trasmissione degli atti al pubblico ministero, in quanto detta pronuncia, pur avendo natura meramente processuale, comporta l'eliminazione della precedente decisione favorevole (Sez. 2, n. 22170 del 24/04/2019, Tonelli, Rv. 275589 - 02; Sez. 2, n. 2069 del 17/10/2018, dep. 2019, De Salvo, Rv. 274735 - 01). Già in precedenza, nello stesso solco ermeneutico, si era affermato che è ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e ordinato la trasmissione degli atti al P.M., sempre che sussista un concreto interesse della parte ad impugnare (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256860 - 01 in relazione ad una fattispecie in cui l'imputato ha proposto ricorso avverso una sentenza di appello che aveva erroneamente dichiarato la nullità della decisione di primo grado ravvisando un'ipotesi di un unico "fatto diverso", invece, di rilevare la coesistenza del fatto già giudicato dal tribunale e di un "fatto nuovo", per il quale solo dovevano essere trasmessi gli atti al P.M.).

Va dunque affermato il principio di diritto secondo cui: "Sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare per cassazione la sentenza di appello che, ritenuta ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. la diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato, annulli la sentenza di condanna dell'imputato in primo grado e ordini la trasmissione degli atti al pubblico ministero, in quanto detta pronuncia, pur avendo natura meramente processuale, comporta l'eliminazione della precedente decisione favorevole in punto di condanna dell'imputato al risarcimento del danno a suo favore".

2. I motivi proposti dalla parte civile sono, tuttavia, infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

Ed invero, la Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e, pertanto, immune dai denunciati vizi di legittimità - ha ritenuto fondato il primo motivo di appello, con cui la difesa dell'imputato aveva chiesto che fosse dichiarata la nullità della sentenza di primo grado per difetto di correlazione fra il capo di imputazione e la sentenza, posto che era stato accertato che l'imputato non era caduto dal ponteggio, bensì da una scala, sicché all'imputato erano stati attribuiti profili di colpa nuovi e non menzionati nel capo di imputazione.

Rilevano i giudici torinesi che dall'istruttoria espletata è emerso con certezza - come peraltro riscontrato anche dal giudice di primo grado - che il fatto è diverso da quello descritto nel capo d'imputazione. Ciò in quanto le modalità dell'infortunio descritte, ovvero la caduta della vittima "dal ponteggio" da un'altezza di circa 4 metri, sono radicalmente differenti da quelle effettivamente verificatesi. E parimenti del tutto diverso è il profilo di colpa addebitato all'imputato relativo all'allestimento (o alla mancata verifica delle modalità di allestimento) di un ponteggio non a norma.

In realtà - si legge ancora in sentenza - si è accertato che il ponteggio (certamente non a norma, donde i rilievi mossi dallo Spresal al momento del sopralluogo) non ha nulla a che vedere con l'infortunio, perché A.A., al momento della caduta, non si trovava sullo stesso, né era intento a salire ai piani superiori dell'edificio in costruzione con modalità alternative.

Il lavoratore, infatti, aveva già raggiunto la terrazza posta al primo piano, e, dovendo costruire il muro perimetrale, era salito su una scala a pioli, che si era ribaltata facendolo cadere di schiena (da un'altezza non accertata) sul pavimento della terrazza. E che queste siano le modalità dell'infortunio, i giudici del gravame del merito ricordano essere già emerso fin dal primo accesso dello Spresal e sin dal primo verbale di s.i.t. di A.A. del 19.9.2017, sicché gli stessi affermano di non comprendere la ragione della contestazione, totalmente diversa, formulata dal P.M. (verosimilmente sulla base della succinta querela depositata da A.A., redatta dal suo difensore).

Per i giudici di appello a ciò consegue logicamente che il rilievo del tribunale - volto ad escludere l'assenza di correlazione tra accusa e sentenza - secondo il quale l'imputato, in ogni caso "non predispose né si assicurò che i dipendenti fossero dotati di adeguate opere provvisionali, idonee allo scopo ed efficienti, per la lavorazione loro affidata, in alternativa a quel ponteggio non utilizzabile in quanto pericoloso" appare inconferente, giacché quand'anche il ponteggio fosse stato predisposto "a norma", ciò non avrebbe avuto alcuna interferenza con l'infortunio, perché il lavoratore non avrebbe comunque operato con modalità diverse rispetto a quelle da lui utilizzate.

3. Va rilevato che la Corte territoriale si è confrontata anche con la costante giurisprudenza di questa Corte, richiamata in ricorso, secondo cui nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, generica o specifica, non rileva ai fini della ravvisabilità del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen., ma ha correttamente ricordato che ciò vale solo a condizione che il "fatto storico" sia immutato.

Il che - sottolinea la Corte territoriale - non è nel caso di specie, dove ciò che si presenta radicalmente differente, rispetto alla contestazione, è proprio il fatto storico. E alla radicale diversità dell'infortunio rispetto a quello descritto in imputazione, consegue anche una radicale differenza dei profili di colpa addebitabili all'imputato, il quale, pertanto, si è trovato nell'impossibilità di difendersi adeguatamente rispetto agli elementi "nuovi" valorizzati dal Tribunale.

In tema di relazione tra la sentenza e l'accusa contestata, infatti, sussiste immutazione del fatto quando il fatto ritenuto è sostanzialmente diverso da quello addebitato, per divergenza su elementi essenziali e qualificanti dell'azione o dell'evento. In altri termini, vi è tale immutazione del fatto quando, come nel caso in esame, siamo di fronte ad una dinamica dei fatti completamente diversa.

Si è realizzata quella trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenirsi ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui era scaturito un reale pregiudizio dei diritti della difesa che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ribadita in più occasioni dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619), la Corte territoriale ha motivatamente emendato con il proprio provvedimento.

Quello che ha portato all'incidente di cui all'imputazione (la caduta dalla scala) non è lo stesso fatto storico (la caduta dal ponteggio) collegato ai profili di colpa che si ipotizzano nell'editto accusatorio a carico dell'imputato. Gli eventuali profili di colpa ravvisabili nell'utilizzo da parte del lavoratore della scala sarebbero del tutto diversi e correttamente il giudice del gravame cautelare ha ritenuto che si dovesse tornare per la valutazione degli stessi alle verifiche d'indagine con i conseguenti provvedimenti da parte del pubblico ministero.

4. Al rigetto del ricorso proposto dalla parte civile consegue ex lege la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali e che, per il principio della soccombenza, le spese di assistenza e rappresentanza richieste rimangano a suo carico.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 21 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.