Cassazione Penale, Sez. 4, 06 maggio 2024, n. 17683 - Ribaltamento di una parete sul lavoratore della ditta appaltatrice e responsabilità della committente. Interferenze e valutazione dei rischi


 


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. FERRANTI Donatella - Relatore

Dott. VIGNALE Lucia – Consigliere

Dott. MARI Attilio – Consigliere

Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A. nato a B il (omissis)

avverso la sentenza del 04/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DONATELLA FERRANTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che conclude per l'inammissibilita' del ricorso.

E' presente l'avvocato ANGIOLILLO GIUSEPPE del foro di MANTOVA in difesa di A.A., che riportandosi ai motivi chiede l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


l. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova del 15.01.2021, ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e ha rideterminato la pena inflitta a A.A. in mesi due di reclusione, confermando nel resto.

Il capo di imputazione attiene all'art. 590 commi 1,2,3 e 113 cod.pen. perché per colpa generica e specifica, quale Presidente del Consiglio di amministrazione della "Prefabbricati Industriali Stai Srl" in cooperazione con B.B., amministratore unico della Point Srl (nei confronti del quale si è proceduto separatamente), in violazione delle prescrizioni di sicurezza sul lavoro di cui agli artt. 18 comma 1 lett c,e,f, 28 comma 2 lett. a) e b), 36 comma 1 lett. a) comma 2 lett. a) e comma 4,37 commi 1,3,4,5 D.Lgs. 81/2008, adottava un Documento di Valutazione dei Rischi che non conteneva alcuna indicazione relativa ai pericoli connessi alle operazioni di immagazzinamento e stoccaggio dei prefabbricati e non fornivano a C.C., dipendente della Point Srl ,che aveva stipulato un contratto di appalto con la Prefabbricati industriali Stai per la lavorazione delle strutture prefabbricate comprese le attività di saldatura e assemblaggio stampi, adeguate informazioni e idonea formazione sui rischi per la salute e la sicurezza del lavoro e in particolare su quelli specifici derivanti dalle mansioni a lui demandate, non impedendo così che il predetto, mentre stava verniciando all'interno dei locali della Prefabbricati industriali Srl un pannello per parete prefabbricato di circa 5 metri di lunghezza e 1,35 di larghezza e aver tinteggiato tutta la superficie, restando esclusa solo la parte coperta da una verga di ferro che fungeva da fermo del pannello, rimossa tale verga, sganciava il pannello che si piegava contro di lui e, a causa del peso, gli cadeva addosso, spingendo contro anche un altro pannello retrostante, e gli procurava lo schiacciamento del torace e del bacino e una malattia conseguente per un tempo superiore ai quaranta giorni.

È stato accertato che a seguito dell'infortunio la persona offesa ha riportato un'invalidità permanete del 30% e che non è riuscito a trovare altra occupazione compatibile con le condizioni fisiche.

In Acquanegra sul Chiese il 28.02.2017

1.1.La Corte di appello nel confermare l'affermazione di responsabilità penale, dava conto non solo delle dichiarazioni della persona offesa ma anche delle dichiarazioni rese dall'UPG dell'ATS che, a seguito del sopralluogo del 28.02.2017, aveva rilevato la inadeguatezza del sistema di sicurezza che avrebbe dovuto prevenire ed evitare oscillazioni e cadute dei pannelli; in specie evidenziava che entrambi i documenti di valutazione rischi delle aziende coinvolte non prevedevano l'incastro e il fermo del pannello alla base durante le operazioni di verniciatura né alcuna valutazione dei rischi interferenziali generati dalla presenza presso la Prefabbricati Industriali Stai del personale Point adibito alle operazioni di verniciatura. Infatti solo dopo l'infortunio le aziende in questione avevano corretto i DVR prevedendo alla base del pannello l'incastro cd. femmina che doveva servire a mantenere in equilibrio la parete insieme alle verghe laterali; la Point inoltre aveva previsto l'impiego del carroponte per le operazioni di rifinitura (fol 3 e 4 della sentenza impugnata).

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, A.A..

2.1. Con un unico motivo deduce il vizio motivazionale in particolare contraddittorietà e illogicità della motivazione, travisamento della prova con riferimento alla testimonianza dell'UPG D.D., resa all'udienza dell'8 settembre 2020, dalla quale si evincerebbe che l'operazione corretta consisteva nell'uso del carroponte per collocare la parete sul camion, il fissaggio definitivo della stessa e la sua finitura; mentre l'operazione di rifinitura fatta con l'utilizzo del supporto femmina, menzionato nella sentenza impugnata, posto a terra non avrebbe ugualmente garantito la stabilità della lastra. Deduce che il DVR carente era quello della Point, mentre per la Stai l'assenza della previsione del supporto femmina per il fissaggio a terra del pannello non ha un rapporto eziologico con l'evento in quanto il giudizio controfattuale non consente con certezza di affermare che avrebbe evitato la caduta della parete.

Inoltre evidenzia che la società Prefabbricati Stai aveva nominato un delegato alla sicurezza cui competevano le mansioni di controllo di esecuzione delle lavorazioni comprese quelle subappaltate alla Point cosicché nessun addebito può essere mosso alla legale rappresentante sulla base del divieto di delega degli oneri derivanti e attinenti al DVR .

Il controllo dell'attività di verniciatura e trasporto competeva al delegato alla sicurezza non avendo nulla a che fare con le previsioni del DVR. Lamenta che la Corte ha omesso di valutare la validità della delega effettuata in data 11.2.2015 al sig. E.E.

4. Il Procuratore Generale in sede ha presentato memoria scritta in cui ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

Ha in specie argomentato che " la decisione impugnata ha chiarito che la responsabilità dell'imputata, nella sua qualità di legale rappresentante della società appaltante, è dovuta alla totale assenza di qualsivoglia disposizione sia organizzativa, che di prevenzione di possibili infortuni rispetto alle lavorazioni che venivano completamente riferite alla stessa committente, per quanto concerne lo stoccaggio dei pannelli; la fase di verniciatura si inseriva in una catena produttiva ed era la sola attività conferita alla appaltatrice, senza una previsione specifica del rischio di caduta degli stessi e senza l'indicazione di una procedura per operare in sicurezza; il DVR della appaltatrice non prendeva in considerazione la problematica, benché la fase di verniciatura appaltata fosse un tassello fondamentale della procedura per la realizzazione del lavoro sui pannelli sino alla successiva commercializzazione.

La posizione di garanzia in ordine alla lavorazione specifica fosse riferibile proprio alla appaltatrice, le cui carenze in tema di valutazione dei rischi sono state causalmente ritenute in diretta connessione con l'evento dannoso, secondo una ricostruzione di fatto che la decisione rende in maniera logica e coerente".

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile in quanto sostanzialmente ripercorre le censure già proposte in appello, senza confrontarsi adeguatamente con le risposte e le argomentazioni della Corte territoriale e mira all'accreditamento di una diversa ricostruzione in fatto (fol 5 e ss sentenza impugnata).

1.1. Giova ricordare che questa Suprema Corte ha chiarito che il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (tra le altre Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).

Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).

Deve poi considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).

1.2. Delineato così l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che la ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alla affermazione di penale responsabilità alla luce di un preteso travisamento della prova testimoniale dell'Ufficiale di polizia Giudiziaria Parma che ha effettuato il sopralluogo. Giova ricordare che il vizio di travisamento della prova, nel caso in cui i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, può essere dedotto solo nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4,n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv.258432) ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez.4, n.44765 del 22/10/2013, Buonfine, 256837).

Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato un percorso motivazionale immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato all'acquisito compendio probatorio, già evidenziato dal primo giudice. Non vi è infatti alcuna contraddizione e tantomeno travisamento della prova nella ricostruzione della dinamica dell'incidente operata dai Giudici di meritò in quanto è stato accertato che le operazioni di finitura e pittura erario eseguite dall'azienda appaltatrice, da cui dipendeva la persona offesa, nei locali della stessa committente che produceva i pannelli e che nel caso concreto non era stato previsto un apposito "incastro femmina" nella base di appoggio del pannello che avrebbe consentito mediante l'incastro con il maschio, di cui era dotata la parete del pannello, di dare la necessaria stabilità al prefabbricato, una volta che per completare le operazioni di finitura fosse stato necessariamente svincolato dai fermi laterali. Era inoltre stato accertato che l'azienda appaltatrice non aveva effettuato nessuno specifico corso formatore circa le primarie esigenze di stabilità e sicurezza delle pareti nella fase di stoccaggio e di finitura.

La Corte territoriale a fol 6 ha valorizzato sul punto la testimonianza del teste Ufficiale di polizia giudiziaria che aveva dichiarato che proprio la presenza sul pannello dell'"incastro maschio", che determinava una sporgenza e quindi contribuiva alla instabilità della parete (" traballante perché poggiata su un piccolo spessore") richiedeva la presenza di "un incastro in legno che va a tenere in piedi la parete e ad evitare la oscillazione e che l'incidente è avvenuto proprio perché la mancanza dell'incastro ha fatto sì che, una volta rimossi i fermi laterali, la parete era in oscillazione ed è caduta schiacciando il lavoratore", fol 7. Argomenta la Corte territoriale che proprio il teste aveva dichiarato che l'incastro mancante serviva a dare stabilità ed a far stare in equilibrio la parete; aggiungendo che il carroponte, inoltre, avrebbe garantito la perfetta stabilità.

La Corte territoriale ha affermato in coerenza che, in capo alla ditta committente e quindi all'imputata, nella sua qualità, è mancata una attività organizzativa di prevenzione del rischio concreto rispetto alle operazioni eseguite nei propri locali di lavoro e che costituivano l'oggetto della propria linea produttiva.

1.3. Preme allora evidenziare che il richiamato percorso argomentativo si colloca nell'alveo dell'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili - come avvenuto nel caso di specie - della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109).

Va qui riaffermato il principio che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora in uno stesso luogo operino più lavoratori, dipendenti da diversi datori di lavoro, ciascuno di questi, anche se subappaltatore, è tenuto all'elaborazione del documento di valutazione dei rischi (D.V.R.), ai sensi degli artt. 28 e 29 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, mentre il solo datore di lavoro committente è altresì tenuto alla redazione del documento di valutazione dei rischi da interferenze (D.U.V.R.I.), previsto dall'art. 26, comma 3, D.Lgs. menzionato. (Sez. 3 - n. 5907 del 11/01/2023 Rv. 284187 - 01)

I riferimenti normativi richiamati e la pertinente interpretazione giurisprudenziale inducono a ritenere che ogni datore di lavoro, pur se subappaltatore, ha l'obbligo di osservare le disposizioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e, quindi, deve adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, anche 'quando questi siano dovuti alle "interferenze" con l'attività di altre imprese, ed anche quando l'organizzazione del luogo di lavoro resta sottoposta ai poteri direttivi dell'appaltatore o del committente. Ogni datore di lavoro, infatti, è tenuto, a norma dell'art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008, ad effettuare "la valutazione di tutti i rischi", e, a norma dell'art. 28, comma 2, ad apprestare le misure di prevenzione e di protezione che si rendono necessarie in conseguenza della valutazione di tali rischi. Né l'obbligo per ciascun datore di lavoro di adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa può essere escluso con riferimento ai rischi da "interferenze" perché il dovere di elaborare un unitario documento di valutazione di tali rischi, il D.U.V.R.I. (Documento Unico per la Valutazione dei Rischi da Interferenze), grava esclusivamente sul datore di lavoro-committente.

Invero, l'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 distingue tra obblighi di coordinamento e di attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, pur se derivanti dalle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva, che gravano su tutti i datori di lavoro, anche se subappaltatori, a norma del comma 2, ed obbligo di elaborazione documento di valutazione dei rischi da interferenza, che incombe solo sul datore di lavoro-committente, a norma del comma 3. In altri termini, sulla base della disciplina desumibile dall'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 e dell'intero sistema del testo normativo, il datore di lavoro non committente, pur non avendo l'onere di redigere il documento di valutazione dei rischi da interferenza, ha però il dovere di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi, anche quando dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva. E questa soluzione appare coerente con l'obiettivo, di incrementare la tutela contro i rischi cui sono esposti i lavoratori. La redazione di un unico documento di valutazione dei rischi da interferenza, infatti, risulta prevista in funzione di assicurare una valutazione unitaria e globale di questi, al fine di una più efficace tutela contro i fattori di pericolo, e non certo per esonerare i datori di lavoro diversi dal committente dagli obblighi di protezione e prevenzione: basta considerare che il D.U.V.R.I., come si evince dal combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008, costituisce il risultato di un'attività di cooperazione e coordinamento tra tutti i datori di lavoro coinvolti ("(i)l datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi (...)").Ancora, l'obbligo per ciascun datore di lavoro di adottare idonee misure di prevenzione e protezione contro "tutti" i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa non trova un limite quando l'attività dei lavoratori di una ditta affidataria di un appalto o di un subappalto si svolge in un luogo nella disponibilità giuridica di altri, o comunque sottoposto ai poteri direttivi di altri. In effetti, per "luoghi di lavoro", a norma dell'art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 81 del 2008, e in ragione della latitudine della formula letterale di tale disposizione, debbono intendersi anche i luoghi esterni all'azienda o comunque non sottoposti alla giuridica disponibilità del datore di lavoro, quale è stata ritenuta, come si è detto, anche "una strada pubblica ed aperta al pubblico transito, esterna al cantiere", purché in essi il lavoratore debba o possa recarsi per eseguire incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività. Inoltre, le disposizioni di cui all'art. 26, comma 2, lett. a) e b), D.Lgs. cit. prevedono anche per i subappaltatori l'obbligo di compiere interventi di protezione e prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, quantunque dovuti alle interferenze, pure in caso di concorrente presenza di altre imprese, e, quindi, pur se tra queste vi sia quella del datore di lavoro committente.

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un'opera, è titolare "ex lege" di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità, sia pure entro i limiti dell'incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013 Ud. (dep. 13/09/2013) Rv. 256635 – 01 Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015 Ud. (dep. 02/04/2015) Rv. 263014 – 01.

I giudici di appello hanno replicato alla censura concernente l'asserita correttezza dell'operato del datore di lavoro precisando che il DVR della società Prefabbricati industriali non si faceva carico di disciplinare in modo adeguato le operazioni di finitura verniciatura delegate alla Point Srl, disciplina che veniva introdotta solo dopo il sinistro, laddove il nuovo DVR prevedeva di inserire proprio l'incastro femmina ai fini della stabilizzazione dei pannelli(fol 8).

La motivazione va esente da rilievi, posto che rappresenta obbligo di diligenza del garante, prevedere il rischio e indicare nel DVR e, quindi, adottare misure appropriate a prevenirlo. La redazione del documento di valutazione dei rischi e persino la previsione e l'adozione di misure di prevenzione non precludono il giudizio di responsabilità quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nella identificazione delle misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione.

La sentenza impugnata ha, dunque, fatto corretta applicazione dei principi giuridici sopra richiamati, giacché, dopo aver chiaramente delineato la posizione di garanzia di A.A., nella qualità di datore di lavoro committente tenuto al rispetto di una serie di regole cautelari specifiche inerenti alle fasi di lavorazione inerenti la propria attività di produzione di prefabbricati e alla correlata pericolosità di determinate operazioni afferenti la rifinitura, ha omesso di prevedere idonee misure di sicurezza volte a prevenire il ribaltamento delle pareti di notevoli dimensioni e garantire la stabilità delle stesse, il comportamento alternativo corretto che sarebbe stato esigibile, così fornendo con valutazione ex ante una motivazione coerente e logica all'affermata causalità della colpa, non censurabile in questa sede.

2. In conclusione deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Va disposto di ufficio l'oscuramento dei dati sensibili della persona offesa.
 


P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dispone l'oscuramento dati sensibili della persona offesa.

Così deciso il 24 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2024.