Cassazione Penale, Sez. 4, 06 maggio 2024, n. 17682 - Raccolta di calcinacci vicino ad una porta finestra priva di infisso e sprovvista di un sistema di protezione atto a impedire la caduta nel vuoto


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. SERRAO Eugenia - Relatore

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sui ricorsi proposti da:

A.A.nato a M il (omissis)

B.B. nato a L il (omissis)

C.C. nato a C il (omissis)

avverso la sentenza del 12/09/2022 della CORTE APPELLO di BARI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere EUGENIA SERRAO;

udito il Procuratore generale, in persona del Sostituto dott. LUCA TAMPIERI, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;

udito per la parte civile l'Avv. FEDERICO SCIULLO, in sost. dell'Avv. ANTONIO FATONE, che ha concluso per l'inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi con condanna dei ricorrenti alle spese;

udito il difensore Avv. MARIA LETIZIA GIACOBELLI, in sost. dell'Avv. ANTONIO MARIA LA SCALA, per A.A.e C.C., che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi;

udito il difensore Avv. FRANCESCO BIANCO, per B.B., che ha concluso per l'accoglimento del ricorso

 

Fatto


1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale in data 14/07/2021 il Tribunale di Bari aveva dichiarato A.A., B.B. e C.C. responsabili del reato previsto dagli artt. 113 e 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, A.A.in qualità di legale rappresentante dell'impresa committente, B.B. in qualità di legale rappresentante della impresa appaltatrice nonché datore di lavoro di D.D., e C.C. quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dell'opera, in cooperazione colposa tra loro, con colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché nella violazione degli artt. 93, comma 2, 96, comma 1 lett.g) e 92, comma 1 lett. a) e B), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, avevano cagionato ad D.D. lesioni personali con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni, durante l'operazione di raccolta di residui di calcinacci in prossimità di una porta finestra con tapparella priva di infisso e sprovvista di un sistema di protezione atto a impedire la caduta nel vuoto, cosicché il lavoratore si era proteso nel vuoto e aveva perso l'equilibrio, precipitando rovinosamente al suolo da un'altezza di 10 metri.

2. Il fatto è stato così ricostruito nei gradi di merito: in data 4 settembre 2014 alle ore 13:00 circa D.D., operaio dipendente dell'impresa E.E., stava lavorando da solo all'interno di una stanza di uno degli appartamenti della palazzina in costruzione in (omissis) di P, in fase di completamento (mancavano infatti solo gli intonaci e gli infissi), i cui ponteggi erano stati smontati anticipatamente rispetto all'originario cronoprogramma; la sua mansione era quella di ripulire il pavimento dopo che un altro dipendente aveva eseguito l'intonacatura, provvedendo prima a spazzare la polvere con la scopa e poi a eliminare, in ginocchio, i residui di intonaco con una retina; mentre l'altro operaio, completato il suo lavoro in quella stanza, si era recato nell'altro appartamento sito sullo stesso piano, l'D.D. aveva avviato la pulizia della stanza ormai intonacata; nel corso di tale attività era precipitato nel vuoto attraverso un varco, in cui avrebbe dovuto essere montata successivamente una porta finestra, sprovvisto di parapetto e di tavola fermapiede, munito solo di una tapparella scorrevole, in quella fase soltanto manualmente giacché il relativo impianto elettrico, benché predisposto, non era stato ancora allacciato; non era stato accertato chi avesse aperto la tapparella né quale fosse stata la causa che aveva determinato la caduta nel vuoto, ma era certo che il sinistro fosse occorso proprio da quel punto in quanto non era condivisibile la prospettazione difensiva secondo la quale il lavoratore sarebbe caduto dal balcone di un'atra stanza nel tentativo di scavalcare la ringhiera.

3. A.A. e C.C. hanno proposto ricorso, con unico atto, censurando la sentenza, con il primo motivo, per inosservanza degli artt. 157 e 161 cod. pen. oltre che per violazione e falsa applicazione dell'art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 sostenendo che il reato fosse estinto per decorso della prescrizione già prima dell'udienza del 29 aprile 2022 fissata per il giudizio di appello. In particolare, i ricorrenti deducono che erroneamente i giudici di merito hanno computato tra i termini di sospensione 64 giorni ai sensi dell'art. 83 d.l. n. 18/2020 sebbene l'udienza rinviata a causa dell'emergenza pandemica fosse quella del 6 maggio 2020, così che si sarebbero dovuti computare i soli giorni cinque decorrenti dal 6 all'11 maggio 2020. In tal modo il reato si sarebbe prescritto il 30 marzo 2022 e, dunque, non avrebbe avuto rilievo la sospensione del termine disposta all'udienza di 29/04/2022 in ragione di un rinvio richiesto dalle parti, essendo a quella data già maturata l'estinzione del reato.

3.1. Con il secondo motivo deducono violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. in relazione all'esistenza del nesso causale tra le lesioni del lavoratore e le condotte contestate agli imputati nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. I ricorrenti si dolgono del fatto che sia stato sminuito quanto riportato nell'annotazione di servizio a firma degli agenti di polizia giudiziaria il 4/09/2014, ossia nell'immediatezza del fatto, acquisita con il consenso di tutte le parti, dalla quale si evince che il lavoratore avesse dichiarato di essere al momento della caduta da solo sul balcone. Inoltre, si dolgono del fatto che non si sia attribuito sufficiente rilievo alla deposizione del teste della difesa F.F., dalla quale si evince che al momento del sinistro le tapparelle montate nell'appartamento dove stava lavorando la persona offesa fossero chiuse; tale prova si salda con quella fornita dall'operaio G.G., che lo stesso giorno dell'infortunio aveva dichiarato che un attimo prima della caduta del lavoratore aveva sentito il rumore di una tapparella che si abbassava, così da indurre a ritenere sul piano logico dimostrato che la persona offesa avesse volutamente alzato la tapparella. Le mansioni del lavoratore consistevano nel ripulire dai calcinacci i vani degli appartamenti a seguito dell'attività di posa in opera degli intonaci; in tale frangente, le tapparelle dei vani avrebbero dovuto rimanere chiuse e la prova dichiarativa ha dimostrato come aprirle non rispondesse ad alcuna esigenza lavorativa; che, anzi, il fatto di aprire intenzionalmente le tapparelle rappresentasse una violazione delle disposizioni impartite dal datore di lavoro. Tale apertura neppure era necessaria in quanto vi era la presenza di potenti fari elettrici che consentivano tutta l'illuminazione necessaria. Ne desumono la natura esorbitante della condotta del lavoratore dalle disposizioni impartitegli e la manifesta illogicità della motivazione che, nonostante l'oggettiva incertezza probatoria circa la dinamica della caduta e il punto dal quale essa si sarebbe verificata, propone la ricostruzione del fatto con argomentazioni congetturali e contraddizioni rispetto alle risultanze probatorie. In una situazione di oggettiva incertezza probatoria, il giudice sarebbe dovuto pervenire quantomeno a una pronuncia assolutoria per insufficienza o contraddittorietà della prova.

3.2. Con il terzo motivo deducono contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 90, 91,92 e 93 D.Lgs. n. 81/2008, omessa valutazione del rischio interferenziale e della posizione di garanzia del coordinatore per la sicurezza rivestita dall'imputato C.C. Secondo la difesa, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione delle norme che disciplinano il ruolo del coordinatore per la sicurezza quale gestore del rischio interferenziale. I giudici di merito hanno, di fatto, ampliato il ruolo e le funzioni del coordinatore per la sicurezza richiamando in maniera implicita la previsione di chiusura di cui all'art. 92 lett. f) D.Lgs. n.81/2008, la cui violazione non era stata contestata. L'attività di verifica nella quale si sostanzia il ruolo del coordinatore non significa presenza quotidiana nel cantiere ma presenza nei momenti topici delle lavorazioni con azioni di verifica che non possono essere quotidiane e hanno una periodicità significativa e non burocratica. La sentenza impugnata, si assume, con riferimento ai profili di responsabilità dell'imputato C.C. è meramente assertiva in quanto desume che l'imputato non abbia svolto una continua ed efficace vigilanza dall'assenza di documentazione, sebbene non vi siano norme che obblighino a documentare con verbali o altro la presenza del coordinatore in cantiere e sebbene in data 28 giugno 2014 e 1 luglio 2014 fossero stati svolti controlli dall'Ispettorato del lavoro senza alcun rilievo, così esistendo la prova che il cantiere fosse in ordine; erronea si ritiene la asserita violazione dell'obbligo di collegare la cautela concernente il posizionamento dei parapetti e delle tavole fermapiede a mansioni del tipo di quelle svolte dalla vittima al momento del fatto, in contrasto con quanto riportato a pag.33 del PSC. La difesa ritiene che il rischio che ha portato all'infortunio fosse da considerare specifico dell'impresa dalla quale dipendeva il lavoratore infortunato e che la sentenza difetti di un'adeguata disamina del rischio interferenziale del quale il coordinatore è gestore. Rischio interferenziale che, nel caso in esame, non sarebbe configurabile.

3.3. Con il quarto motivo deducono contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 90, 91,92 93 D.Lgs. n. 81/2008, omessa valutazione del rischio interferenziale e della posizione di garanzia del committente in relazione all'imputato A.A.
A quest'ultimo si è rimproverato di non aver censurato l'inerzia del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione C.C., di non aver rilevato l'assenza di parapetti o fermapiedi e di aver smontato anticipatamente i ponteggi senza avvisare l'ing. C.C., oltre che una generale violazione dell'obbligo di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. Si assume che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, il A.A. aveva nominato un responsabile dei lavori ai sensi dell'art. 89 d. Igs. n.81/2008; la difesa richiama i numerosi verbali di sopralluogo sul cantiere dell'Ing. C.C., del tutto pretermessi dai giudici di merito, e le attività ispettive succedutesi nel tempo nel cantiere senza rilievi. Si richiamano le argomentazioni svolte nei motivi di appello con riferimento alla rimozione del ponteggio, posto che i consulenti tecnici avevano affermato che esso non svolgesse la funzione di protezione di caduta dall'alto, laddove i giudici di merito hanno ritenuto che la presenza del ponteggio avrebbe comportato una significativa riduzione del rischio di caduta. La motivazione, si assume, non chiarisce quali siano gli elementi che rendevano visibile e percepibile l'assenza delle condizioni di sicurezza; il giudice di appello non avrebbe spiegato le ragioni per le quali il committente avrebbe dovuto ritenere insufficienti le misure sicurezza presenti e avrebbe dovuto percepire ictu oculi le deficienze dei parapetti montati, laddove il committente è esonerato dagli obblighi in materia infortunistica con riguardo alle applicazioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni e nell'uso di determinate macchine. Con riguardo all'asserita violazione dell'obbligo di verifica da parte del committente dell'adempimento degli obblighi del coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, è previsto che il committente designi il responsabile dei lavori o i coordinatori; gli obblighi del committente vanno tenuti nettamente distinti da quelli del coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori mentre nel caso in esame non si evince quale sia l'omesso controllo che si addebiti al committente, non potendosi tradurre nella responsabilità per il contenuto del piano di sicurezza e coordinamento.

4. B.B. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per inosservanza o erronea applicazione di legge penale.

In primo luogo con riferimento agli arti. 157 e 159 cod. pen. nonché all'art.83 d.l. n. 18/2020. Tale censura è sovrapponibile al primo motivo del ricorso di C.C. eA.A..

Con riferimento, poi, agli artt. 107, 122 e 146 D.Lgs. n.81/2008, in particolare, la difesa contesta che il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice avrebbe dovuto integrare il piano di sicurezza e coordinamento che già prevedeva, a paci.33 per le lavorazioni da effettuare in ambienti sopraelevati con aperture prospicienti il vuoto, la misura di sicurezza prevista dall'art. 146, comma 3, D.Lgs. cit., quindi la medesima misura di prevenzione che il B.B. avrebbe dovuto prevedere nel POS. Si sostiene che presentandosi il PSC esaustivo, non necessitasse di alcuna integrazione. Inoltre, sarebbe errato ritenere violate le norme cautelari tese a prevenire il rischio di caduta dall'alto, posto che il lavoratore stava provvedendo alla pulizia degli ambienti dopo l'ultimazione degli intonaci interni in un ambiente dove erano già montate le tapparelle. Queste ultime, si assume, in relazione alla lavorazione nell'ambiente chiuso erano più che sufficienti a prevenire ogni rischio, dovendosi per paradosso ritenere inidonei anche gli infissi in quanto facilmente apribili.

Deduce, poi, inosservanza degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. in quanto si ritiene che la Corte territoriale abbia ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato sulla base di presunzioni e congetture, fornendo una ricostruzione dei fatti anche differente rispetto a quella operata dal tribunale, così da evidenziare un quadro probatorio di assoluta incertezza.

Deduce, altresì, inosservanza degli artt. 40,41 e 43 cod. pen. Pur volendo individuare e riconoscere il rischio di caduta, la presenza della tapparella con le caratteristiche accertate durante l'istruttoria dibattimentale costituiva un'efficace misura di sicurezza, posto che la porta finestra era provvista di una tapparella apribile solo con forza. Non è possibile escludere che la causa della caduta sia stata esclusivamente la ingiustificata condotta del lavoratore, che non aveva necessità di aprire la tapparella e, anzi, aveva l'obbligo di tenerla chiusa anche perché era stata appena ultimata l'opera di intonacatura e non era conveniente lasciare la porta finestra aperta. Tutte le risultanze istruttorie, si assume, convergevano sulla circostanza che la tapparella fosse chiusa, prima e dopo la caduta; non avere il dato certo in ordine a chi e quando avrebbe aperto la tapparella rappresenta, secondo la difesa, una grave lacuna nella motivazione della sentenza. Muovendo dalle circostanze trascurate dalla Corte territoriale si sarebbe dovuti giungere alla conclusione che la caduta del lavoratore avesse trovato origine nell'ingiustificato quanto inutile tentativo di aprire la tapparella, così dovendosi escludere la causalità della colpa dell'imputato. Non vi è alcun dato obiettivo che consenta di affermare che nel contesto lavorativo nel quale si è verificato l'infortunio la presenza di un parapetto avrebbe evitato la caduta o ne avrebbe limitato le conseguenze dovendosi quindi prendere in considerazione l'imprudente scelta del lavoratore. Dalla lettura della sentenza emerge il fatto che la Corte di appello abbia fondato la decisione di condanna sul concetto di " possibilità e non di probabilità.

Con il secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. La difesa ritiene che sia manifestamente illogico affermare che la tapparella fosse già aperta mentre il lavoratore, prima di cadere, era intento a svolgere le pulizie e al contempo affermare che la tapparella si fosse chiusa nell'immediatezza della caduta. Al fine di negare il fatto evidente che fosse stato il lavoratore ad aprire la tapparella, la Corte ha ritenuto logico pensare che gli intonaci fossero stati ultimati il giorno prima e che il giorno dell'infortunio il lavoratore avrebbe dovuto eseguire le pulizie con la tapparella aperta, senza alcuna conferma probatoria di tale affermazione. La diversa ricostruzione dei fatti operata nei due gradi di merito prova la mancanza di una ricostruzione certa della dinamica dell'infortunio. Deduce inosservanza dei criteri legali di valutazione della prova liberatoria. È stato trascurato che la stanza teatro dell'infortunio avesse idonea illuminazione; aver ignorato tale elemento è stato funzionale a sostenere la circostanza che la tapparella fosse aperta per illuminare l'ambiente di lavoro ma le tapparelle non potevano e non dovevano essere aperte, sia per ragioni di sicurezza, sia perché nella fase di realizzazione dell'ultima mano di intonaco era opportuno che i muri interni fossero protetti dalla corrente e dalle polveri esterne anche per i giorni successivi all'ultimazione del lavoro, come confermato dal teste G.G.. L'affermazione della Corte territoriale secondo la quale tenere le tapparelle chiuse avrebbe rappresentato un ordine incongruente non ha trovato conforto nella prova dichiarativa, tanto più che l'attività dei lavoratori non consisteva in un'accurata pulizia dell'ambiente ma nella semplice rimozione di materiale per lasciare in ordine gli ambienti, quindi in un'attività del tutto compatibile con il tenere le tapparelle chiuse.

5. Il difensore della parte civile D.D. ha depositato memoria.

6. All'odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt.23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, 16 d.l. 30 dicembre 2021, n.228, convertito con modificazioni dalla legge 21B.B.o 2021, n.69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n.199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, le parti hanno rassegnato . le conclusioni indicate in epigrafe.

 

Diritto


1. Il primo motivo dei ricorsi è manifestamente infondato in quanto, computando correttamente i periodi di sospensione del decorso del termine di prescrizione, quest'ultimo non era spirato alla data 30 marzo 2022. La sospensione del termine in esame si deve computare per l'intero periodo di sospensione previsto dall'art 83 d.l. n.18/2020, trattandosi di procedimento la cui udienza era stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020 (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432 - 02); ne consegue che il reato non era prescritto il 30 marzo 2022 e, dunque, si computa anche la sospensione del termine disposta all'udienza di 29/04/2022 in ragione di un rinvio richiesto dalle parti.

2. Si esaminano, dunque, nel merito, le doglianze svolte dai ricorrenti.

2.1. Il datore di lavoro B.B. sostiene che, ove le cautele antinfortunistiche siano già previste e valutate nel PSC, nessun obbligo graverebbe a tale proposito sul singolo imprenditore. Si tratta di assunto inconferente e fuorviante, giacché nelle sentenze di merito i giudici hanno preso atto del fatto che tanto il PSC quanto il POS prevedevano il rischio di caduta e indicavano quali misure idonee a fronteggiarlo solo parapetti e tavole fermapiede, attribuendo al datore di lavoro la colpa di aver omesso di installare tali presidi, o altri equivalenti con caratteristiche previste nell'All. IV del D.Lgs. n.81/2008, in corrispondenza delle aperture nei muri prospicienti il vuoto. Nessuna incidenza ha, dunque, esercitato il contenuto del POS sul giudizio di responsabilità se non quale metro di valutazione della violazione della regola cautelare in esso esplicitata.

2.2. La difesa dei ricorrenti A.A. e C.C., dopo aver riportato brani della prova dichiarativa resa dall'elettricista F.F. e dall'operaio G.G., pur premettendo l'inammissibilità di ogni argomento tendente a una diversa ricostruzione del fatto, ha poi, sotto l'egida della manifesta illogicità, proposto una diversa lettura delle emergenze istruttorie, proponendo una rivisitazione della valenza probatoria dell'annotazione di polizia giudiziaria del 4 settembre 2014 e relegando al ruolo di mere congetture le argomentazioni svolte dal giudice di appello.

2.3. Va, a tale proposito, evidenziato che i giudici di merito hanno adeguatamente esposto le ragioni per le quali la tesi difensiva, secondo la quale il lavoratore sarebbe caduto scavalcando la ringhiera di un balcone, fosse priva di supporto istruttorio (pagg.11-12). E' stato, inoltre, valorizzato lo stato dei luoghi nell'immediatezza del fatto. I balconi erano tutti muniti di ringhiera e vetri, per cui non vi era alcuna direttiva di tenere in quei punti le tapparelle chiuse; al contrario, tale direttiva risultava essere stata impartita con riguardo alle aperture per le porte-finestre, ancora prive di infissi e non dotate di ringhiera, parapetti, tavole fermapiede. Tale dato è stato confrontato con la prova certa del fatto che la caduta nel vuoto fosse avvenuta dal varco della porta finestra del terzo piano in quanto la prova dichiarativa resa dai testi H.H. e I.I. aveva consentito di accertare il punto di impatto al suolo in corrispondenza del lato della palazzina dove erano presenti le porte-finestre, in posizione perpendicolare a una di esse. A ciò si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la persona offesa ha reso una puntuale deposizione nel ricostruire la giornata lavorativa e l'attività che stava compiendo prima di cadere nel vuoto, così come nell'indicare la stanza in cui stava lavorando. Il Collegio ritiene, pertanto, con riguardo ai motivi di ricorso proposti da tutti gli imputati sul punto, non condivisibili le valutazioni difensive circa la natura congetturale della motivazione; tali valutazioni tendono, inoltre, a evidenziare che dalla prova che la tapparella fosse chiusa si sarebbe dovuta desumere l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato. Senza, tuttavia, attingere il punto centrale dell'iter argomentativo della sentenza impugnata, ove si è innanzitutto riportata la puntuale descrizione della mansione che il lavoratore stava svolgendo inginocchiato o sdraiato, per ovviare al mal di schiena (pulizia capillare di pavimento e battiscopa con retina, detergente e pezzuola); si è, poi, ritenuta attendibile la deposizione della persona offesa, laddove ha precisato che per la migliore riuscita di tale operazione la tapparella dovesse essere aperta per far entrare la luce, onde vedere gli aloni lasciati dalla retina; si è, infine, evidenziato che solo il varco aperto aveva reso possibile la caduta e che la responsabilità degli imputati non sarebbe venuta meno anche ove vi fosse stata la prova certa che fosse stato il lavoratore ad aprire la tapparella. I fari, seguendo la deposizione della persona offesa, erano impiegati per l'intonacatura e non per la pulizia. Punto centrale delle argomentazioni seguite dai giudici di merito, che con motivazione non illogica hanno dato credito alla testimonianza del lavoratore, non era, dunque, individuare chi avesse aperto la tapparella quanto piuttosto evidenziare che la tapparella potesse essere agevolmente aperta (pag.14 sentenza di appello) e che nessun tipo di protezione, tra quelli tipizzati per la difesa dalle aperture (art.146, comma 3, d. Igs. n.81/2008, e All.IV), fosse stato apposto alle porte-finestre.

2.4. Nessun confronto è, invero, presente nel ricorso di A.A. e C.C., così come nel primo motivo di ricorso di B.B., con l'analitica motivazione fornita alle pagg. 13-14 della sentenza impugnata con riguardo al ragionamento svolto dal giudice di merito a sostegno dell'affermazione per la quale si potesse ritenere che, indipendentemente dalla condotta del lavoratore, fosse provata l'assenza ci presidi antinfortunistici atti a evitare il rischio di caduta dalle aperture delle porte-finestre. In ossequio, dunque, al principio interpretativo secondo il quale perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n.27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242 - 01).

3. Nel ricorso di B.B. si deducono, tanto come violazione di legge quanto come vizio di motivazione, argomenti già sottoposti all'esame della Corte di appello, segnatamente l'inutilità ai fini dell'esecuzione del lavoro dell'apertura della tapparella, per sostenere che si trattasse di lavoro in ambiente chiuso, e l'idoneità della tapparella chiusa a costituire valido presidio antinfortunistico. Si tratta di doglianze che la Corte di appello ha motivatamente rigettato spiegando, a pag.15, le ragioni per le quali alle tapparelle chiuse non potesse attribuirsi funzione equivalente a quella di un elemento strutturale e stabile, considerandole piuttosto, con giudizio insindacabile in questa sede in quanto non illogico né contraddittorio, come un dispositivo che non crea un conveniente sbarramento all'apertura nel vuoto. A sostegno della congruità della motivazione espressa sul punto, si è richiamato l'elenco previsto nell'All. IV, che equipara al parapetto la balaustra, la ringhiera, in altre parole strutture solide, fissate al suolo, di altezza pari a quella del parapetto, poggianti sul piano di calpestio, insuscettibili di essere rimosse. Nel ricorso vengono riproposti i medesimi argomenti critici, senza adeguato confronto con tale motivazione.

4. Con riguardo al terzo motivo del ricorso di A.A. e C.C. e alla funzione del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, la sentenza ha fatto corretta applicazione delle norme e dei principi interpretativi ad esse correlati. Priva di pregio risulta la censura che ribadisce che l'attività di verifica spettante al coordinatore non può significare presenza quotidiana nel cantiere, laddove nel caso in esame all'imputato si è rimproverato di aver effettuato l'ultimo accesso al cantiere il 20 maggio 2014, ossia quattro mesi prima dell'infortunio, essendo tale assenza di per sé indicativa della violazione del compito di vigilanza in relazione all'avanzamento dei lavori e alla modifica delle condizioni di rischio nella compresenza di più maestranze, dunque della violazione specificamente contestata nel capo d'imputazione.

Nessun dubbio, quindi, che non sia esigibile una presenza quotidiana nel cantiere, ma non è questo il caso. I giudici di merito hanno, infatti, logicamente, ritenuto violato l'obbligo di vigilanza mediante accesso periodico al cantiere. La difesa ritiene che le ispezioni effettuate dall'ispettorato del lavoro il 28 giugno 2014 e il 1 luglio 2014 avrebbero dovuto essere considerate prova del fatto che il cantiere fosse in ordine e che non mancassero le opportune protezioni contro le cadute, limitandosi a contrapporre una diversa lettura del fatto rispetto a quella coerente e logicamente corretta presente nella sentenza impugnata. A pag.16, la Corte territoriale ha spiegato che l'assenza di rilievi ispettivi fosse priva di idoneità a esonerare il coordinatore da responsabilità, non conoscendosi le condizioni concretamente esistenti nel cantiere al momento dell'accesso degli ispettori. Priva di diretto confronto col tenore del provvedimento impugnato (pag.17) è l'allegazione difensiva secondo la quale l'obbligo di posizionare i parapetti e le tavole fermapiede non dovesse ritenersi riferito a lavorazioni del tipo di quelle svolte dalla vittima; si tratta, in ogni caso, di doglianza inconferente a fronte della ritenuta violazione dell'obbligo di vigilanza in relazione a un rischio macroscopicamente evidente e inerente al dato strutturale della palazzina, connesso alle attività di intonacatura e conseguente pulizia da eseguirsi in prossimità di varchi prospicienti il vuoto e secondo un cronoprogramma che anteponeva tali attività a quella di installazione degli infissi. Quanto alla natura interferenziale del rischio concretizzatosi, è sufficiente richiamare quanto indicato a pag.16 della sentenza impugnata a proposito della necessità di coordinare l'attività della committente INACO Snc con l'appaltatore B.B. nonché l'ampia istruttoria, in parte riportata nello stesso ricorso, circa la compresenza, rilevante anche se diacronica (Sez. 4, n.4644 del 11/12/2018, dep. 2019, Scardina, Rv. 275707 - 01), di operai addetti a intonacatura, serramentisti ed elettricisti.

5. Il quarto motivo del ricorso in esame, in cui si deduce la violazione di legge in merito all'affermazione di responsabilità del committente A.A., tende a una rivalutazione dei fatti reiterando censure già sottoposte al giudice di appello, inammissibili in questa fase del giudizio. La Corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto che il committente non aveva nominato un responsabile per la sicurezza; con quanto affermato a tale proposito a pag. 17 della sentenza il motivo di ricorso non si confronta.

Giova, poi, ricordare che l'appaltatore datore di lavoro, a fortiori nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, non solo per la scelta dell'impresa e in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte del subappaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Sez. 4, n.5893 del 08/01/2019, Perona, Rv. 275121 - 01; Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272221 - 01), ma soprattutto con riguardo al dovere di coordinare la sua attività con quella dell'impresa subappaltatrice.

La censura non coglie pertanto nel segno, posto che già il giudice di primo grado aveva spiegato come l'omessa installazione dei parapetti e delle tavole fermapiede fosse così manifesta da non richiedere specifiche competenze; che, dunque, il rischio fosse prevedibile dal titolare dell'impresa INACO Snc incaricata dell'opera edile, è stato chiarito nelle sentenze di merito, nelle quali non si è mancato di sottolineare che il A.A. avesse provveduto a smontare i ponteggi anticipatamente rispetto al cronoprogramma dei lavori senza darne avviso al C.C., così venendo meno all'obbligo di cooperazione tra committente e coordinatore per la sicurezza (art.26 D.Lgs. n.81/2008).

6. Conclusivamente, i ricorsi sono inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", i ricorrenti vanno condannati al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno alla Cassa delle Ammende nonché, in solido, alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità alla parte civile D.D., liquidate in euro tremila oltre accessori come per legge se dovuti.

Così deciso il 16 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2024.