Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 maggio 2024, n. 12203 - Malattie professionali di operai Enel addetti alla costruzione e manutenzione degli elettrodotti 


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto - Rel. - Consigliere

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 141-2022 proposto da:

E- Distribuzione Spa, (già Enel Distribuzione Spa), Società con unico socio Enel Italia S.P.A, soggetta ad attività di direzione e coordinamento di ENEL Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio dell'avvocato FURIO TARTAGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato STEFANO MATTEI;

- ricorrente principale -

contro

Generali Italia Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell'avvocato MICHELE ROMA, che la rappresenta e difende;

- controricorrente -

nonché contro

A.A., elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati GABRIELE INELLA, MARIA ANTONIETTA DE SANTIS, GIANFRANCO DE CORSO, che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente - ricorrente incidentale -

avverso la sentenza n. 74/2021 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 23/06/2021 R.G.N. 222/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.

 

Fatto


La Corte d'appello di Campobasso, con la sentenza in atti, definitivamente pronunciando sull'appello posto da A.A. nei confronti di E-distribuzione Spa (già Enel Distribuzione Spa, in seguito anche Enel) e Generali Italia Spa in accoglimento dell'appello e in parziale riforma della sentenza impugnata ha condannato E-distribuzione Spa a corrispondere alla parte appellante a titolo di risarcimento del danno differenziale da malattia professionale la somma di Euro 83.654,52 oltre accessori e alla rifusione in favore della parte appellante delle spese del doppio grado di giudizio che liquidava in complessive Euro 3000 per competenze oltre accessori.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione in via principale E- distribuzione Spa con dieci motivi ai quali hanno resistito con controricorso Generali Italia Spa e A.A.; quest'ultimo ha proposto ricorso incidentale con un motivo a cui ha replicato Enel con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

 

Diritto


Preliminarmente occorre rilevare che questa Corte di legittimità si è già pronunciata sullo stesso contenzioso relativo a malattie professionali di natura osteoarticolare e neurotendinee degli operai Enel addetti alla costruzione e manutenzione degli elettrodotti aerei e sotterranei, come quella lamentata dal lavoratore in questo procedimento; in particolare, con le sentenze nn. 31048/ 2022, 31957/22, 31919/22; 7058/22, 9309/22, 10115/22 ed altre, che hanno esaminato motivi di ricorso per molti aspetti simili a quelli sollevati nella presente causa.

Alle ragioni poste a base di tali sentenze, che vengono integralmente condivise dal Collegio, ci si riporta per quanto di ragione anche nella decisione di questa causa ed esse devono ritenersi pertanto qui richiamate anche ai sensi dell'art.118 disp att. c.p.c.

Ricorso principale.

1. - Col primo motivo si deduce l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti quanto alla data di conoscenza delle patologie e decorrenza del termine prescrizionale (art. 360 n. 5 c.p.c.). Violazione falsa applicazione degli artt. 2943 e 2935 c.c. e degli articoli 1362, 1363, 1360 c.c. per quanto applicabili di ragione ex art. 1324 c.c. in relazione alla lettera dell'avvocato Inella del 7/2/2007 ex art. 360 n. 3 c.p.c.

Secondo la ricorrente sin dal 1987-1988 il signor A.A. era a conoscenza della specifica patologia poi denunciata come malattia professionale anche all'Inail ed era già allora convinto della loro eziologia professionale tanto ad aver specificamente chiesto l'esonero dalle mansioni più gravose. Con la seconda censura si sostiene che la Corte d'appello erroneamente abbia attribuito valore interruttivo alla lettera del 7/2/2007.

1.1. - Le censure sono entrambe infondate. Quanto al dies a quo del termine di prescrizione la Corte di appello ha correttamente richiamato il principio secondo cui esso va fissato in relazione al momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza dell'esistenza dello stato morboso o della sua conoscibilità da parte dell'assicurato anche in relazione alla sua eziologia professionale e al raggiungimento della misura minima indennizzabile; il medesimo criterio va adottato anche ai fini della decorrenza del termine di prescrizione per il diritto al diritto al risarcimento del danno.

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la decorrenza del termine di prescrizione dovesse essere fissata al 27/01/2006 allorquando il ricorrente ha presentato la domanda amministrativa all'Inail per il riconoscimento della malattia professionale.

Per contro la ricorrente si limita ad affermare che la prescrizione fosse decorsa dal 1987 1988 data di sicura conoscenza delle patologie e che pertanto fosse interamente decorsa alla data della presunta lettera di interruzione che era datata 31.2.17. Enel richiama allo scopo una serie di circostanze di fatto da cui si desume che il ricorrente fosse affetto da lombosciatalgia e che andasse esonerato da lavori gravosi, ma affatto idonee a dimostrare che il ricorrente fosse consapevole della natura professionale della malattia.

1.2. L'accertamento effettuato dalla Corte di appello in merito al dies a quo del termine di prescrizione appare invece conforme all'orientamento espresso di recente da questa Corte con la sentenza n. 13806 del 19/05/2023 che, procedendo ad alcune essenziali puntualizzazioni ed in discontinuità rispetto al filone giurisprudenziale c.d. oggettivista - che ammetteva cioè la decorrenza della prescrizione in base all'oggettiva possibilità di conoscibilità scientifica dell'eziologia professionale sulla scorta della mera manifestazione della malattia in quanto tale - ha affermato che in materia di malattia professionale non può esservi decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento (come dell'indennizzo INAIL) senza la possibilità di conoscenza dell'origine professionale della malattia in base a presunzioni riferite alla stessa vittima (o al suo erede); non essendo allo scopo sufficiente la diagnosi dell'esistenza della malattia ed essendo invece necessaria la conoscenza o la conoscibilità ragionevole, probabile, della sua eziologia professionale desumibile da presunzioni ovvero da fatti esterni al soggetto ma certi, che secondo il modello delle presunzioni possano fungere da dati gravi, precisi e concordanti dello stesso presupposto, in quanto riferibili alla stessa vittima (come appunto la diagnosi di eziologia professionale e/o la domanda di prestazione assicurativa).

1.3. La Corte di appello di Campobasso ha inoltre accertato l'efficacia interruttiva della lettera di messa in mora A.R. del 7.2.2007 in quanto contenente - in base al suo oggetto ed al suo contenuto - l'espressa manifestazione della volontà del lavoratore di far valere la sua pretesa, non vanificata dalla contestuale richiesta di formulare un'offerta risarcitoria, secondo una esegesi che risulta suffragata dalla giurisprudenza di questa Corte (di cui alla ordinanza n. 16465/ 2017) atteso che un atto per avere efficacia interruttiva deve contenere oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione della pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che - sebbene non richiede all'uso di formule solenne, né l'osservanza di particolare adempimenti - sia idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora, non assumendo rilievo ostativo al prodursi di tale effetto la prospettata alternativa di una soluzione conciliativa della vertenza.

Non si intuisce dunque in che cosa la tesi motivatamente sostenuta dalla Corte d'appello non si conformi alle norme di diritto indicate ed alla giurisprudenza di questa Corte; laddove, piuttosto, l'interpretazione alternativa della lettera in questione pretesa dalla ricorrente va ritenuta puramente contrappositiva ed in quanto tale inammissibile, traducendosi in una contestazione di mero fatto non deducibile in questa sede di legittimità.

2.- Con il secondo motivo si deduce violazione falsa applicazione dell'articolo 10 del d.p.r. 1124/ 65 ex art. 360 n. 3 c.p.c. essendo imprescindibile presupposto della responsabilità per danno differenziale la ricorrenza di una fattispecie di reato perseguibile d'ufficio.

Il secondo motivo è privo di fondamento atteso che la Corte d'appello ha accertato in concreto la responsabilità del datore di lavoro nella causazione della malattia professionale del lavoratore per violazione degli obblighi di sicurezza con una percentuale del 25% di invalidità permanente e tutto questo deve ritenersi certamente configurare anche implicitamente i presupposti richiesti per l'esistenza di una fattispecie oggettiva di responsabilità penale che è l'unico presupposto, da valutarsi in via incidentale, richiesto oggi per la risarcibilità del c.d. danno differenziale, non richiedendosi certamente quello della condanna penale.

La Corte d'appello ha ricordato che la responsabilità del datore di lavoro deve fondarsi su specifici profili di colpa, che possono attenere o alla violazione di norme antinfortunistiche o all'inosservanza delle misure più genericamente previste dall'articolo 2087 c.c. Inoltre, avendo altresì la Corte d'appello affermato pure l'esistenza del nesso causale, la condotta accertata come commessa dall'Enel integra certamente anche l'accertamento incidentale della fattispecie oggettiva e soggettiva di un reato perseguibile d'ufficio ed integra perciò il profilo della valutazione incidentale della responsabilità penale, ancorché non espressamente declinata.

In tali termini questa Corte si è pronunciata ripetutamente; ad es. con l'ordinanza n. 17655 del 25/08/2020 è stato precisato che in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'allegazione nel ricorso introduttivo proposto dai congiunti dell'assicurato di un fatto integrante, in astratto, un reato perseguibile d'ufficio è sufficiente ad incardinare validamente la causa di danno nei confronti del datore di lavoro, così radicando, nel giudice, il potere-dovere di dar corso all'istruttoria attraverso l'accertamento del fatto-reato e poi, superato positivamente tale accertamento, del danno "differenziale" e "complementare".

Inoltre, va soprattutto considerato a tale fine che, con sentenza n. 12041 del 19/06/2020, questa Corte ha affermato che in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965  deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell'azione di regresso proposta dall'Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso.

E quindi in materia opera la presunzione di colpa tipica della responsabilità contrattuale, secondo il modello degli artt. 1218 e 2087 c.c., sicché spetta al datore dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi di detto danno (con l'ulteriore importante corollario che, nel caso in cui si discorra, come sovente avviene, di misure di sicurezza innominate ex art. 2087 c.c., la prova liberatoria a carico del datore risulta generalmente correlata alla misura di diligenza ritenuta esigibile, dovendo egli provare di aver adottato comportamenti specifici e concreti che, ancorché non prescritti o tipizzati dalle fonti normative, siano tuttavia suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche o dagli standard di sicurezza normalmente osservati, senza che il lavorate che adduca la nocività dell'ambiente di lavoro debba specificamente indicare le misure che avrebbero dovuto essere assunte in prevenzione).

Quanto all'elemento soggettivo della colpa, opera quindi il meccanismo dell'inversione dell'onere probatorio di cui all'art. 1218 c.c., gravando sull'autore del danno la prova liberatoria della responsabilità contrattuale (onde occorrerà dimostrare che il danno è dipeso da causa non imputabile alla condotta datoriale, commissiva od omissiva, essendo stato adempiuto l'obbligo di sicurezza con l'apprestamento di tutte le misure necessarie e disponibili allo stato delle conoscenze tecniche); e quanto al nesso causale, vale la regola propria dei giudizi civili (del "più probabile che non") e non quella applicabile nell'accertamento penale ("al di là di ogni ragionevole dubbio").

Pertanto, quanto alla richiamata sentenza della Cassazione n. 9166/2017, essa deve ritenersi oramai superata dalla successiva giurisprudenza indicata supra nel senso che non occorra più accertare in via incidentale l'autonoma sussistenza dell'illecito penale con le regole penalistiche; dovendo il presupposto dell'illiceità penale del fatto darsi per accertato quando il giudice valuti positivamente l'esistenza del nesso di causalità e la responsabilità contrattuale, anche presunta, attraverso le regole civilistiche.

3. - Con il terzo motivo si deduce violazione falsa applicazione degli articoli 400 (Omissis) 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all'individuazione degli obblighi riconducibili all'articolo 2087 ed ai diritti da esso derivanti ex art. 360 n. 3 c.p.c.

Si osserva in via gradata rispetto ai motivi precedenti che la sentenza d'appello è viziata quanto all'applicazione delle norme sulla ripartizione degli oneri di allegazione e prova fra le parti con riguardo alle obbligazioni ed ai contrapposti diritti riconducibili all'articolo 2087 c.c.

3.1. - Il terzo motivo è privo di fondamento perché la Corte d'appello ha accertato, da un lato, che nel corso dell'intero periodo lavorativo A.A. ha subito una costante esposizione a molteplici fattori morbosi, susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa da lui svolta; e, dall'altro lato, che la società non ha apprestato sufficienti ed adeguate misure idonee per evitare e per contenere i predetti rischi.

Si tratta di una premessa assorbente e sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità, che va oltre la stessa mancata considerazione nel DVR dei rischi e/o l'omessa sorveglianza del lavoratore.

4. - Con il quarto motivo si sostiene la violazione che falsa applicazione degli articoli 2087 e 2697 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 37 contratto collettivo Enel 20 maggio 1973, degli articoli 4, 24, 33, 34 e  tabella d.p.r. 303/1956, nonché degli articoli 4, 16, 21 e 22 D.Lgs. 626/1994 in relazione all'imputato missione della sorveglianza sanitaria ex art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione falsa applicazione degli articoli 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 c.p.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. ; violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., vizio di motivazione apparente ex art. 360 n. 4 c.p.c. , omesso esame di fatti decisivi per il giudice che sono stati oggetto discussione tra le parti.

5. - Con il quinto motivo ci sostiene l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetti discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli articoli 2087, 2697 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli articoli 4 decreto legislativo 626/94, 2087 c.c. e 11 disposizioni sulla legge in generale in relazione al profilo della omessa considerazione della movimentazione manuale dei carichi e dei rischi per posture incongrue da parte del DVR Enel ex art. 360 n. 3 c.p.c.

6. Con il sesto motivo si deduce violazione falsa applicazione degli articoli 2087, 2697 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Violazione falsa applicazione dell'articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. ex art. 360 n. 4 e n. 3 c.p.c.; nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente ex art. 360 n. 4 c.p.c. in quanto come risultava dal richiamo delle norme speciali in materia non esisteva, rispetto alle specifiche mansioni del signor A.A. fino al 2008, un obbligo positivo di legge o di contratto di assoggettarlo ad una sorveglianza sanitaria periodica.

7. - Con il settimo motivo si deduce violazione falsa applicazione degli artt. 416 c.p.c. e 2697 c.c. ex art. 360 numero 3 c.p.c. in relazione all'omessa adozione da parte dell'Enel di tutte le cautele possibili per l'attenuazione dei rischi specifici ex art. 360 n. 3 c.p.c.; omesso esame di fatti decisivi per giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. vizio di motivazione apparente ex art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte affermato che in base all'istruttoria svolta in primo grado il lavoratore aveva subito una ciclica esposizione a molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità.

8. - Con l'ottavo motivo si deduce violazione falsa applicazione dell'articolo 10 D.P.R. 1124/65 e 2087 c.c. e violazione degli articoli 2697,115 e 116 c.p.c. in relazione al profilo dell'omessa sorveglianza sanitaria. Omesso esame fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. per avere la Corte ritenuto che il danno fosse la conseguenza necessaria dell'omessa sorveglianza sanitaria senza considerare che il preteso danno subito non poteva essere comunque conseguenza diretta ed immediata dell'eventuale inadempimento alla sorveglianza sanitaria anche in contrasto con l'espressa previsione dell'art. 1223 c.c. sul nesso di causalità.

8.1. I motivi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo possono esaminarsi unitariamente attenendo ai profili della colpa datoriale e devono essere disattesi.

Ed invero la Corte d'appello ha accertato sulla base dell'istruttoria svolta nella causa, da un lato, che nel corso dell'intero periodo lavorativo A.A. ha subito una costante esposizione a molteplici fattori morbosi, susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa da lui svolta; e, dall'altro lato, che la società non ha apprestato sufficienti ed adeguate misure idonee per evitare e per contenere i predetti rischi.

Si tratta di una premessa assorbente e sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità, che va oltre la stessa mancata considerazione nel DVR dei rischi e/o l'omessa sorveglianza del lavoratore.

La Corte di merito ha invero accertato la colpa in concreto di Enel e comunque, versandosi in una fattispecie di responsabilità contrattuale, l'onere della prova di aver osservato ogni misura prescritta dalla legge per la prevenzione del rischio, nei termini prima indicati, era a carico del datore di lavoro.

Per altro verso, le censure esposte nei motivi di ricorsi mirano a contestare l'accertamento di fatto sotteso all'affermazione della colpa datoriale e per tale verso si rivelano del tutto inammissibili.

Neppure può ritenersi esistente un vizio di motivazione della sentenza, posto che la motivazione apparente - che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante - sussiste solo allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum e di percepire, quindi, il fondamento della decisione perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure perché il giudice omette di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indica senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora, quanto rechi argomentazioni svolte in modo talmente contraddittorio da non consentire la individuazione delle ragioni giustificative del decisum (Cass. n. 20112 del 2009).

Nel caso di specie la Corte d'appello ha invero accertato che il lavoratore è stato adibito costantemente a lavori pesanti, nocivi e pericolosi partitamente descritti nella sentenza in quanto collegati alla movimentazione manuale dei carichi ed a posture incongrue nonché alle vibrazioni ed agli scuotimenti.

Ed ha affermato che Enel nulla ha dimostrato nella causa di aver adempiuto quanto all'attività di formazione/informazione dei lavoratori sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione, essendo emerso soprattutto dai documenti prodotti che la stessa prevenzione avesse riguardato per lo più, se non è esclusivamente, il pericolo elettrico e quello di caduta dall'alto degli operai e del materiale. In particolare, la Corte d'appello ha rilevato che l'Enel alcunché ha dimostrato in ordine all'adozione di cautele dirette a prevenire, eliminare o quantomeno ridurre i rischi specifici connessi alle vibrazioni al sistema mano-braccia ed al corpo intero, alla movimentazione manuale dei carichi, al sovraccarico biomeccanico, alle posture prolungate coatte per i lavori in altezza, nonostante i predetti rischi specifici fossero conosciuti comunque certamente conoscibili dal datore di lavoro.

Sicché deve ritenersi appunto acclarato dai giudici di merito che nell'intero periodo lavorativo A.A. ha subito una costante esposizione a molteplici fattori morbosi (specificamente individuati e descritti dalla sentenza) in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa; mentre Enel non ha prestato sufficienti ed adeguate misure idonee per evitare i rischi a cui aveva esposto il lavoratore.

Le censure relative alla rilevanza della sorveglianza sanitaria ed al dvr sono inammissibili atteso che la Corte d'appello ha enunciato ulteriori rationes decidendi correlate a presupposti più ampi di quelli legati alla mera omissione della sorveglianza sanitaria; e ciascuna delle quali sufficiente a sorreggere la conclusione della sentenza in quanto non fatta oggetto di alcuna censura. Oltretutto che, come già ricordato, è il datore di lavoro a dover dimostrare l'assenza di colpa come correttamente affermato dalla Corte d'appello, senza che sia stato frapposto alcun motivo di censura su questo dirimente punto di diritto.

9. - Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10 D.P.R. n. 1124/65 e 13 D.Lgs. n. 38/2000 quanto alla quota di danno risarcibile in via differenziale, posto che in sede Inail era stata riconosciuta al A.A. una percentuale di inabilità complessiva inferiore al grado riconosciuto in sede civilistica.

Il motivo è privo di fondamento essendo già stato accertato da questa Corte che il concetto di danno biologico previdenziale è diverso da quello che vale in sede in sede civilistica. Non conta nella fattispecie la sentenza n. 166 del 2017 dal momento che nel caso di specie Inail ha già liquidato l'indennizzo; in ogni caso, in mancanza di richiesta di indennizzo all'Inail, si sarebbe comunque dovuto detrarre l'indennizzo che sarebbe stato erogabile dall'Istituto potendosi ottenere dal datore di lavoro sempre e soltanto il danno differenziale.

In secondo luogo non è corretto affermare che la determinazione del danno biologico, risultante dalla causa Inail potesse restare ferma nella causa risarcitoria perché, in ogni caso, la determinazione del danno biologico ai fini della tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non si effettua con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica atteso che in sede previdenziale vanno osservate obbligatoriamente le tabelle delle invalidità ("Tabella delle menomazioni"; "Tabella indennizzo danno biologico"; "Tabella dei coefficienti") di cui al  DM 12.7.2000, e successivi aggiornamenti, ai sensi dell'art.13 D.Lgs. n. 38/2000; mentre ai fini civilistici si utilizzano barèmes facoltativi, secondo tabelle elaborate dalla comunità scientifica.

In effetti il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 1, ha stabilito che "in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato".

In caso di danno biologico, per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'INAIL nell'ambito del sistema d'indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all'art. 66, comma 1, n. 2), del Testo Unico, eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle apposite disposizioni. In particolare, secondo l'art.13, 2° comma lett. a) del D.Lgs. n. 38 le menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica di cui al comma 1 sono valutate in base a specifica "tabella delle menomazioni", comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali. L'indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell'apposita "tabella indennizzo danno biologico".

In definitiva, la liquidazione degli indennizzi operata dall'Inail non si effettua secondo i criteri ordinari, ma in base ai parametri, alle tabelle e alle regole proprie stabilite dal sistema assicurativo e per conseguire i fini suoi propri in conformità all'art. 38 Cost. (in questi termini Cass. 8243/16; e più di recente Ordinanza n. 24474 del 04/11/2020: In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'indennizzo INAIL non copre l'intero danno biologico - diversamente dal risarcimento, che presuppone la commissione di un illecito contrattuale od aquiliano - e, quindi, non può essere liquidato, ai fini di tale assicurazione, con gli stessi criteri valevoli in ambito civilistico, in considerazione della sua natura assistenziale e nonostante la menomazione dell'integrità psico-fisica, alla quale fa riferimento l'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, sia la medesima, dovendo siffatta menomazione, per assumere rilievo in ambito previdenziale, essere valutabile secondo le tabelle di cui al D.M. 12 luglio 2000 del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Pertanto, va escluso a carico dell'INAIL l'indennizzo per il danno da "perdita del diritto alla vita", atteso che, venendo in questione un bene, quale la vita, diverso dalla salute, non ricorre la nozione di danno biologico recepita dal citato art. 13. Tuttavia per il ristoro del danno biologico cd. differenziale, vale a dire di quella parte del danno biologico non coperta dall'assicurazione obbligatoria, si può proporre azione risarcitoria autonoma e distinta nei confronti del datore di lavoro, ove ne ricorrano le condizioni di legge).

10. - Con il decimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 c.c. con riferimento alla polizza assicurativa, all. 2 del fascicolo del primo grado, ex art. 360 n. 3 c.p.c. avendo la Corte territoriale rigettato la domanda di manleva che l'Enel in via subordinata aveva formulato nei confronti di Generali Italia Spa; avendo la Corte d'appello sostenuto sul punto che è infondata la domanda di manleva proposta dalla E-Distribuzione Spa esulando l'evento che ne occupa dalle previsioni della normativa contrattuale assicurativa contrattuale, atteso il chiaro tenore dell'art. 18 della polizza in atti, il quale prevede la responsabilità dell'ente assicuratore con riferimento alle somme che il contraente è tenuto a pagare a titolo risarcitorio quale civilmente responsabile verso il prestatore da lui dipendente ed assicurato ai sensi del D.P.R. per infortuni e malattie professionali sofferti dai lavoratori in conseguenze di un reato colposo precedibile d'ufficio e giudizialmente accertato, il che non ricorrerebbe nel caso di specie.

Secondo la ricorrente sarebbe evidente l'errore di interpretazione della Corte di appello, perché è chiaro che si fa riferimento alla responsabilità per danno differenziale e quindi anche l'operatività della polizza e la conseguente copertura assicurativa, con responsabilità contrattuale della Assicurazione, dovrebbe essere vincolata ai medesimi presupposti.

10.1. Il motivo di ricorso deve essere respinto in conformità ai precedenti di questa Corte resi sulla stessa questione (Cass. Civ., sez. Lav., ord. del 28/10/2022 n. 31957; conformi ord. del 28/10/2022 n. 31956; ord. del 28/10/2022 n. 31919; ord. 27/10/2022 n. 31852; ord. del 5/10/2022 n. 28946; sent. del 7/3/2022 n. 7385).

La ricorrente non specifica in maniera chiara e precisa i vizi esegetici in cui è incorsa la Corte territoriale nell'interpretare il contratto di assicurazione e nel rigettare, in particolare, la domanda di manleva, non sussistendo, peraltro, alcuna contraddizione tra la mancata considerazione del rilievo penale della condotta datoriale e il rigetto della suddetta domanda di manleva.

Invero, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto, istituzionalmente affidata al giudice di merito e censurabile avanti al giudice di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ.

Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. (Cass. n. 27136/2017).

La censura, quindi, non può risolversi, come, viceversa, avvenuto nel caso di specie, nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra (Cass. n. 28319/2017, Cass. n. 9461/2021).

Ricorso incidentale.

11. - Con l'unico motivo di ricorso incidentale A.A. ha dedotto la violazione falsa applicazione degli artt. 4 e 5 del D.M. n. 55 del 10/3/2014 ex art. 13, comma 6 della legge 31/12/2012 n. 247 e della allegata tabella al D.M. 55/14, avendo la Corte d'appello liquidato le spese di giudizio nella misura di 3000 Euro per entrambi i gradi di giudizio di merito (1500 Euro ciascuno) vale a dire in misura largamente inferiore ai minimi tariffari previsti dal decreto ministeriale 55/2014.

È fondato il primo motivo di ricorso incidentale che investe il regolamento delle spese di lite del giudizio di merito quantificate dalla sentenza impugnata nella misura complessiva di Euro 3.000,00 per compensi professionali riferiti ad entrambi i gradi del giudizio.

12. Premesso il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dall'art. 24 della L. n. 794 del 1942, si osserva che a mente dell'art. 4 D.M. n. 55/2014 nella liquidazione dei compensi il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate che in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola fino all'80 per cento o diminuiti fino al 50 per cento con la precisazione che per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione fino al 70 per cento.

Nello specifico, in applicazione del criterio del "decisum" sancito dall'art. 5, comma primo, terzo periodo, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, la individuazione dei valori di riferimento avrebbe dovuto essere effettuata in ragione dell'importo in concreto liquidato dal giudice di secondo grado, pari a 83.654,52 oltre accessori in relazione a quanto previsto dalla tabella allegata al D.M. per le cause di lavoro di valore compreso tra Euro 52.001 a Euro 260.000,00.

La Corte di merito non si è attenuta a tale parametro ma ha liquidato le spese di lite in misura largamente inferiore.

13. A tanto consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto; pertanto le spese di lite dei gradi di merito, determinate in applicazione di quanto previsto dalla tabella allegata al D.M. per le cause di lavoro di valore compreso tra 52.001 a 260.000,00 con la riduzione dei valori medi in considerazione della natura seriale della controversia e della non particolare complessità delle questioni giuridiche trattate, sono liquidate come da dispositivo.

14. Le spese di lite del giudizio di legittimità sono liquidate secondo soccombenza.

Va dichiarata la distrazione delle complessive spese di lite liquidate in favore delle avv.ti Gabriella Inella, Maria Antonietta De Santis e Gianfranco De Corso, distrattatari.

15. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell'art.13 D.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, assorbito il secondo motivo di ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ridetermina in favore di A.A. in Euro 6.378,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, le spese di lite di primo grado e, per il secondo grado in Euro 4.800,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Condanna E-Distribuzione Spa alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità che liquida in favore di A.A. in Euro 5.500,00 per compensi professionali e in favore di Generali Italia Spa in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre per ciascun controricorrente, Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie determinate nella misura del 15% e accessori come per legge.

Con distrazione delle complessive spese di lite liquidate in favore degli avv.ti Gabriella Inella, Maria Antonietta De Santis e Gianfranco De Corso, distrattatari.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale del 27 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2024.