Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 maggio 2024, n. 12783 - Infortunio del lavoratore somministrato e azione di rivalsa dell'Inail verso l'utilizzatore della prestazione e il coordinatore della sicurezza


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto - Presidente

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere

Dott. BUFFA Francesco - Consigliere

Dott. SOLAINI Luca - Rel. - Consigliere

Dott. CERULO Angelo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 12679-2018 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato LUCA D'AMBROGIO, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati ANDREA ROSSI, LETIZIA CRIPPA, che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente -

nonché contro

B.B.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 2258/2017 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 29/01/2018 R.G.N. 1754/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2024 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

R.G. 12679/18

Fatto


Con sentenza del 28 settembre 2015 n. 1137, la Corte d'appello di Milano respingeva sia l'appello di B.B. che quello di A.A. avverso la sentenza del tribunale di Lecco che aveva condannato questi ultimi a rimborsare in solido all'Inail, a titolo di regresso, ex artt. 10 e 11 D.P.R. n. 1124/65, la somma di Euro 347.613,73, in ragione dell'azione di rivalsa, proposta dall'Istituto assicurativo, in relazione alla somma pagata al lavoratore C.C. (lavoratore somministrato da Manpower Spa alla ditta Idraulica D.D.) per l'infortunio subito sul lavoro il 27.6.05 e conseguente alla condotta colposa di B.B. quale utilizzatore della prestazione e di A.A. quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione; infortunio in relazione al quale B.B. ed A.A. erano stati condannati per il reato di cui all'art. 590 c.p., con sentenza di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.c.

Il tribunale superava l'eccezione di prescrizione del credito dell'Inail che era stata sollevata da entrambi i convenuti e, premessa l'equiparabilità della sentenza di patteggiamento a una sentenza di condanna, sulla base dei documenti e delle prove raccolte, ricostruiva la dinamica dei fatti ravvisando la responsabilità di B.B. e A.A.

La Corte d'appello confermava sostanzialmente la sentenza di primo grado, ritenendo non fondate le censure mosse dagli appellanti, sulla base di tutte le risultanze istruttorie, tra cui il rapporto redatto dai Carabinieri e quello redatto dagli ispettori Asl, escludendo il rischio elettivo del lavoratore, ma ravvisando al più una condotta colpevole del lavoratore non idonea ad interrompere il nesso fra lo svolgimento dell'attività lavorativa e il successivo infortunio.

Avverso la sentenza della Corte d'appello, il solo A.A. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di otto motivi, mentre l'Inail ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall'adozione della presente decisione in camera di consiglio.

Diritto

 

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 2943 commi 1 e 4 e 1219 comma 1 c.c., in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto che il solo deposito del ricorso (6.6.13), costituente il momento nel quale la domanda è proposta nel rito del lavoro, e non anche la sua ricezione, comportasse l'effetto interruttivo della prescrizione del credito di regresso dell'Inail (di tre anni dal giorno nel quale la sentenza di patteggiamento era divenuta definitiva, cioè, a partire dall'8.7.10) ed inoltre erroneamente aveva ritenuto che bastasse l'enunciazione del titolo e della somma dovuta, pur in mancanza di richiesta di pagamento o richiesta di adempimento, nella missiva inviata dall'Inail ad A.A. il 5.9.12 (ricevuta il 17.9.12), perché si verificasse l'effetto interruttivo della prescrizione del medesimo credito di regresso vantato dall'Inail nei confronti dei ricorrenti, per l'importo che l'Istituto assicurativo aveva dovuto pagare al sig. C.C., per il suo infortunio sul lavoro (nel cui ambito, il sig. B.B. era stato l'utilizzatore-datore di lavoro, e il sig. A.A. responsabile della sicurezza).

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado omesso la pronuncia sul terzo motivo d'appello di A.A., relativamente alla erronea ricostruzione delle modalità di accadimento dell'infortunio da parte del giudice di primo grado, avuto riguardo alle allegazioni dell'Inail e alle risultanze istruttorie in atti, talché doveva ritenersi che l'infortunio si fosse verificato con modalità tali da escludere la responsabilità di A.A.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione o, comunque, per contrasto irriducibile e inconciliabilità intrinseca della motivazione e tra le motivazioni e le censure di cui al primo motivo di appello di A.A., in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., perché ad avviso del ricorrente l'infortunio avrebbe avuto luogo al di fuori dell'area di cantiere, con riferimento al quale, il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto operanti gli obblighi del coordinatore per l'esecuzione, in tal modo violando la normativa sulla sicurezza.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 88, 89, 91, 92 del D.Lgs. n. 81/08, per avere, erroneamente, il giudice di secondo grado ritenuto che gli obblighi del progettista e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in campo di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, siano operanti anche in riferimento ad aree (ancora) non costituenti cantiere o rispetto alle quali non sussista incarico di coordinatore per la esecuzione dei lavori in punto di sicurezza sul lavoro.

Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado omesso la pronuncia sulle parti, argomentazioni e censure del quinto motivo di appello di A.A. inerenti, la proposizione della domanda di manleva di A.A. verso B.B., ovvero di una diversa ripartizione della responsabilità tra A.A. e B.B., con minor percentuale di responsabilità del primo rispetto al secondo, perché B.B. aveva posto in essere un comportamento commissivo mentre A.A. meramente omissivo.

Con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione o, comunque, per contrasto irriducibile e inconciliabilità intrinseca della motivazione e tra le motivazioni della sentenza e le censure di cui al quarto motivo di appello di A.A. (concernente, l'asserito mancato assolvimento da parte dell'Inail dell'onere della prova in merito al quantum erogato), in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., essendo stato respinto detto motivo di appello ritenendosi l'efficacia probatoria presuntiva dell'attestato del direttore della sede Inail erogatrice dell'indennità al lavoratore infortunato, in ragione di mancanza di specifiche contestazioni, quando invece l'A.A. nel motivo di gravame indicato, tali contestazioni aveva sollevato.

Con il settimo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, in relazione all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado valutato come prova a favore di una delle parti, un atto, sia pure di natura amministrativa, proveniente dalla stessa parte che lo aveva emanato, con conseguente nullità del procedimento per violazione dei principi del contraddittorio, della parità delle parti e del giusto processo, di cui agli artt. 111 Cost. e 6 della CEDU.

Con l'ottavo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza, per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado omesso la pronuncia sulle argomentazioni e censure del quarto motivo di appello di A.A. inerenti la mancata dimostrazione del superamento della soglia di legge del 10% del danno alla persona di C.C. e la esatta entità del danno alla persona di C.C., la mancata valutazione della richiesta di CTU medico-legale e contabile avanzata dall'odierno ricorrente e il fatto che dall'eventuale condanna andava dedotto l'importo di Euro 15.000,00, pagati da A.A. ad B.B. e riconosciuti dovuti dall'Inail, nella propria lettera del 5.9.12.

Il primo motivo è inammissibile. Infatti, pur risultando corretto l'assunto che l'effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore e che, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell'atto al convenuto (cfr. Cass. n. 24031/17, 14862/09), tuttavia la Corte d'appello ha accertato l'interruzione del termine della prescrizione con la lettera inviata ad A.A. il 5.9.12 (ricevuta il 17.9.12), la cui idoneità ad interrompere la prescrizione viene contestata dal medesimo A.A., perché l'atto sarebbe stato mancante di una effettiva richiesta di adempimento (la lettera conteneva, ad avviso del ricorrente, la mera enunciazione del credito vantato dall'Inail, per titolo ed importo); tuttavia, tale profilo di censura è, come detto, inammissibile, perché il ricorrente non riporta il contenuto della missiva in ricorso (art. 366 primo comma n. 6 c.p.c.), quand'anche allegato (come indicato alla p. 12 del ricorso), così da non mettere questa Corte in condizione di valutare la fondatezza della pretesa. Inoltre, la censura vuole contestare l'accertamento di fatto espresso dalla Corte d'appello, sul chiaro tenore della missiva quale atto interruttivo.

Il secondo motivo è infondato, in quanto non sussiste nessuna omessa pronuncia, avendo la Corte del merito trattato funditus la ricostruzione della dinamica dell'infortunio.

Il terzo e quarto motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono in via preliminare, inammissibili, ex art. 348 ter c.p.c., per l'esistenza di una doppia decisione conforme sugli stessi fatti, che preclude la proposizione della censura ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. Nel merito, la censura è, altresì, infondata; infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte,"In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile temporaneo o mobile è titolare di una posizione di garanzia, che non può ritenersi esaurita allorché siano terminate le opere edili in senso stretto, in quanto lo stesso continua a rivestire un ruolo di vigilanza sul generale espletamento delle lavorazioni, che ordinariamente afferiscono ai cantieri, per tutto il tempo necessario per la completa esecuzione dell'opera (Cass. pen. n. 3809/15).

Nella specie, pertanto, l'A.A. rimaneva responsabile dell'area complessivamente interessante il cantiere, per non aver vigilato sull'attività del C.C. che era, in particolare, al primo giorno di lavoro e, quindi, andava istruito e sorvegliato essendosi appena inserito nelle dinamiche operative del cantiere.

Il quinto motivo - in disparte i profili di autosufficienza, perché il ricorrente non chiarisce in che termini la censura sia stata proposta nei gradi di merito - è infondato, perché non sussiste nessuna omessa pronuncia della Corte d'appello sulla domanda di manleva proposta dal ricorrente nei confronti dell'B.B.;

infatti, la Corte del merito ha ricostruito la vicenda in termini di pari responsabilità tra l'B.B. e l'A.A., e ciò implicava il rigetto implicito della domanda di manleva.

Il sesto, settimo e ottavo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono infondati.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "Nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, la prova della congruità dell'indennità corrisposta dall'INAIL al lavoratore può essere fornita tramite l'attestazione del direttore della sede erogatrice, quale atto amministrativo assistito dalla relativa presunzione di legittimità, che può essere inficiata solo da contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento" (Cass. n. 1841/15, secondo Cass. n. 26931/23, in tema di azione di rivalsa dell'Inail ex artt. 10 ed 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, la prova che le erogazioni assicurative, di cui l'Istituto chieda il rimborso, superino il risarcimento del danno conseguibile dal lavoratore infortunato spetta al datore di lavoro che lo eccepisca, trattandosi di fatto impeditivo del diritto azionato dall'ente).

Nella specie, in disparte i profili d'inammissibilità della censura che mirano a una revisione nel merito della decisione, va detto che l'attestazione del Direttore della sede Inail costituisce una prova univoca del quantum dovuto in regresso, che potrebbe essere vinta con prova contraria da parte del datore di lavoro, nella specie insussistente, avendo la Corte del merito accertato l'effettività dell'importo richiesto dall'Istituto assicurativo (cfr. p. 9 della sentenza impugnata, dove si evidenzia l'assenza di contestazioni specifiche sul quantum risultante dall'attestazione del Direttore della sede Inail). È inammissibile, infine, il profilo di censura sulla mancata quantificazione del danno sulla persona del lavoratore e sul mancato accoglimento della richiesta di CTU, trattandosi di censure sulle valutazioni istruttorie, che sono discrezionali, ovvero censure di merito.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all'Inail le spese di lite che liquida nell'importo di Euro 12.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente principale ed incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2024.