FLP FEDERAZIONE LAVORATORI PUBBLICI E FUNZIONI PUBBLICHE

Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati
Audizione della FLP nell’ambito dell’esame delle proposte di legge C. 142 Fratoianni, C. 1000 Conte e C. 1505 Scotto, recanti disposizioni per favorire la riduzione dell'orario di lavoro.

 

Gentile Presidente, Onorevoli componenti della Commissione, innanzitutto desideriamo ringraziarvi per l’opportunità che ci viene concessa di poter rappresentare le osservazioni della nostra Organizzazione sindacale su un tema di così grande rilevanza e attualità.
Con il lavoro che sta cambiando alcune proposte che fino a poco tempo fa sembravano tabù ora diventano non solo praticabili ma auspicabili, come confermano anche le dichiarazioni del responsabile delle politiche del lavoro della Commissione Europea Nicolas Schmidt e le proposte di legge oggi all’esame della Commissione lavoro.
La settimana lavorativa articolata su 4 giorni e la riduzione dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione, permette di aumentare la produttività, migliorare la qualità del lavoro, abbattere i costi dei trasporti, ridurre in modo significativo l’emissione di gas, conciliare i tempi vita-lavoro, in particolare per chi assiste bambini piccoli o familiari non autosufficienti.
Non lo diciamo noi, ma i principali osservatori internazionali, a partire dall’OCSE - Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha stimato un aumento della produttività mediamente del 20% nei Paesi che sono più avanti nella sperimentazione come il Regno Unito, il Belgio, l’Olanda, la Germania e la Spagna, e notevoli risparmi per i lavoratori (circa 2.500 euro su base annua). Economie resisi disponibili in buona parte dai costi degli spostamenti casa lavoro con mezzi privati.
La più importante ricerca in questo ambito è stata condotta in UK dove circa 61 aziende e 3000 dipendenti hanno eseguito una prova di sei mesi della settimana lavorativa di quattro giorni, studiando l’impatto della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività delle imprese e sul benessere dei lavoratori, nonché l’impatto sull’ambiente e la parità di genere.
La grande maggioranza - circa il 91% - delle aziende che hanno preso parte alla sperimentazione, ha deciso di mantenere i quattro giorni settimanali dopo il periodo di prova. Solo il 4% ha dato un “no” definitivo.
Va considerato, inoltre, che nelle aziende monitorate durante i periodi di prova, rispetto a periodi simili dell’anno precedente, sono aumentate le entrate del 35%, sono cresciute le assunzioni ed è diminuito l’assenteismo.
Tra il 2015 e il 2019, l’Islanda ha condotto una sperimentazione che ha coinvolto l’uno per cento della popolazione nazionale. È stato il più grande progetto pilota del mondo. 2.500 lavoratori di settori diversi - tra cui scuola e ospedali - hanno ridotto il monte ore lavorativo settimanale dalle tradizionali 40 ore a 35, senza alcuna riduzione dello stipendio. La produttività è rimasta invariata o è addirittura aumentata e il benessere dei lavoratori è migliorato in modo significativo.
Nel 2015 il governo svedese ha sperimentato la settimana di quattro giorni con retribuzione piena.
Nel 2021 il governo giapponese, dove esiste un problema opposto, che è quello del cosiddetto “superlavoro”, che ha portato a fenomeni preoccupanti come quello del karoshi, ovvero la morte per troppo lavoro, ha adottato un piano per raggiungere un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata incoraggiando la possibilità di articolare la prestazione lavorativa su 4 giorni settimanali.
Nelle realtà dove è stato adottato il regime dell’orario flessibile con riferimento alla settimana su 4 giorni i lavoratori hanno utilizzato il cosiddetto modello 100:80:100. Vale a dire il 100% dello stipendio per l’80% del tempo con il 100% della produttività. I dati rilevati, come abbiamo già avuto modo di dire, oltre a concreti risparmi economici, riportano che circa il 40 % dei dipendenti ha ridotto il proprio livello di stress, mentre per più del 50% si sono ridotti i burnout. Anche la salute e il benessere dei dipendenti sono migliorati, con aumenti significativi osservati nella salute fisica e mentale, nel tempo trascorso nell’esercizio fisico e nella soddisfazione generale della vita e del lavoro. I tassi di stress, burnout e affaticamento sono diminuiti, come pure i problemi con il sonno.
Senza considerare i risultati ambientali che sono stati più che incoraggianti, con il tempo di spostamento diminuito.
Nonostante la diminuzione dei giorni lavorati, il fatturato è rimasto sostanzialmente invariato registrando un aumento dell’1,4%. Se si confrontano i dati dei sei mesi di prova con un periodo simile degli anni precedenti si riscontra un aumento dei ricavi del 35%.
In Europa, questo dato è confermato dalle statistiche dell’Ocse: i Paesi che lavorano meno ore l’anno (Germania, Danimarca, Austria e Svizzera) hanno tassi di produttività più alti.
Nel nostro Paese già prima della pandemia si è iniziato a parlare di “settimana corta”. A fine dicembre 2019 la società di consulenza e headhunting Carter & Benson ha lanciato un progetto sperimentale che prevede la riduzione dell’orario lavorativo. Dal gennaio 2020 tutti i dipendenti godono di una maggiore flessibilità e autonomia nella gestione del proprio tempo.
A gennaio 2023 la banca Intesa Sanpaolo ha proposto ai suoi dipendenti di lavorare nove ore al giorno - invece delle consuete otto - per quattro giorni alla settimana. Il monte ore settimanale passerebbe da 37,5 a 36 ore senza variazioni di stipendio. I lavoratori possono scegliere liberamente di aderire o meno a questa proposta.
Anche l’azienda lombarda specializzata in riciclo della plastica Tria Spa ha siglato un accordo aziendale che prevede la sperimentazione da gennaio a luglio 2023 della riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 36 ore settimanali. In questo modo il venerdì diventa giornata “breve” e tutti i dipendenti possono uscire alle 12. L’obiettivo finale è quello di ridurre la settimana a quattro giorni, con la cancellazione del venerdì lavorativo, portando a nove le ore giornaliere.
La rigida organizzazione del lavoro, basata su orari di lavoro cristallizzati e uguali per tutti già da tempo fortunatamente ha lasciato il passo ad una flessibilità, all’interno del cosiddetto orario di servizio, dell’orario individuale. Questo è stato reso possibile da una diversa organizzazione del lavoro, da un impulso alla digitalizzazione dei processi lavorativi, e dalla stessa possibilità di svolgere in un luogo diverso da quello del posto di lavoro la gran parte delle attività.
Le economie di scala derivanti da queste innovazioni comportano la possibilità indubbia di ammortizzare i tempi “morti” correlati al raggiungimento del posto di lavoro, un minore stress, la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa anche in orari diversi da quelli originariamente previsti in modo collettivo a prescindere dalle singole esigenze.
Questo comporta non solo una maggiore resa, ma soprattutto la possibilità di allargare i tempi e le modalità di fruizione per chi riceve i servizi, il tutto in un arco temporale significativamente più ampio.
Una diversa articolazione dell’orario di lavoro su più giornate renderebbe maggiormente fruibili i servizi resi a cittadini e imprese, garantendo ad esempio, su base volontaria, l’apertura di front office anche nella giornata del sabato, e con orari più ampi di quelli oggi rigidamente predeterminati.
A questo si aggiunge che si è potuto dedicare un maggior tempo alla famiglia, agli affetti, ad un utilizzo proattivo del tempo libero che permette poi di rendere meglio e più proficuamente la propria prestazione lavorativa.
Nelle Pubbliche Amministrazioni i temi oggetto dei Disegni di legge all’esame della Commissione hanno indubbiamente anche una peculiare importanza.
La tragica esperienza della pandemia ha dimostrato come la Pubblica amministrazione, seppure forzosamente e su spinte esterne di carattere assolutamente emergenziale, sia stata comunque in grado di mettere in campo una forte accelerazione sui temi della digitalizzazione, dell’innovazione organizzativa e della conciliazione vita lavoro, adottando in modo pressoché generalizzato il lavoro da remoto. Il tutto non solo senza produrre interruzioni di servizi, ma invece riuscendo a gestire una incredibile mole di attività aggiuntive legate alle misure adottate in campo economico per intervenire nei diversi settori dei sussidi e delle erogazioni alle imprese ed al personale in una fase di blocco dell’economia.
Certo bisogna proseguire con decisione nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione, ma già oggi vi sarebbero tutte le condizioni per poter sperimentare una diversa articolazione dell’orario di lavoro anche su 4 giorni.
Tra l’altro la tecnologia permette lo svolgimento di gran parte delle attività da remoto, sia con lo smart working, ma anche con le altre modalità lavorative come ad esempio il coworking, o il telelavoro, per cui non è detto che tale prospettiva debba intendersi con l’articolazione dei 4 giorni nei medesimi giorni per tutti.
In buona sostanza una cosa è l’articolazione individuale della prestazione lavorativa, altra è l’apertura degli Uffici e la fruibilità dei servizi, che, lo ribadiamo, con un’adeguata e intelligente articolazione organizzativa potrebbe essere resa già da subito per più dei 5 giorni oggi canonici.
Con indubbi benefici sulla produttività e la collettività.
Il permanere di una “cultura” burocratico-formalista” basata su una gerarchizzazione ottocentesca dell’organizzazione del lavoro, così come il mancato scioglimento del nodo che avviluppa il nostro settore pubblico che non sceglie ancora se seguire la strada dell’Amministrazione per obiettivi, o proseguire su quella dell’Amministrazione per atti. Questo porta ancora buona parte della Dirigenza di vertice a pensare che la timbratura del cartellino per tutti alla stessa ora e la presenza sulla “sedia” sia garanzia di corretta esecuzione della prestazione lavorativa. Manca quindi in gran parte un’adeguata e moderna cultura organizzativa e seppure il PNRR abbia messo al centro delle proprie azioni proprio il rinnovamento delle Pubbliche Amministrazioni, manca ancora una visione d’insieme e il lavoro pubblico viene visto come un costo e non un valore.
Ma su quest’aspetto non possiamo restare indietro.
In Italia si lavora mediamente più di 1.700 ore all’anno contro le 1.350 ore della Germania, con un reddito percepito pari a circa il 30 per cento in meno.
È necessario quindi abbandonare la stagione del lavoro precario, sottopagato, in nero e passare a nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che mettano insieme digitalizzazione, innovazione, creatività, utilizzando tutte le forme di lavoro da remoto e quelle legate alla flessibilità oraria.
Strumenti che possono rendere anche più attrattive per i giovani e per le nuove professionalità le nostre Pubbliche amministrazioni, oggi ingessate da ordinamenti professionali arcaici e modelli organizzativi vetusti.
Vi è indubbiamente il problema da più parti posto, e pure evidenziato nelle relazioni di accompagnamento ai Disegni di legge in trattazione, dell’aumento dei costi con riferimento alle nuove assunzioni che potrebbero essere necessarie.
Ma come detto sicuramente l’aumento della produttività renderebbe neutra la riduzione dell’orario di lavoro e dall’altra parte bisogna mettere in campo la valutazione degli aspetti relativi ai minori costi collegati ad una possibile inferiore incidenza dei trattamenti di malattia legati ad una diminuzione dello stress e dell’usura lavorativa, senza minimizzare anche l’impatto derivante sui consumi dal possibile allargamento della forza lavoro dal recupero de i costi improduttivi legati all’allungamento dell’orario.
Confermiamo ovviamente in tale sede il ruolo centrale per noi FLP della contrattazione e dei CCNL per la definizione delle modalità di articolazione dell’orario di lavoro e della sua durata, ed apprezziamo le proposte formulate nelle proposte di legge in merito alle diverse forme di finanziamento dell’istituto, di defiscalizzazione e alla creazione dell’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro.
La previsione legislativa, infatti, appare necessaria per rimuovere gli ostacoli che si frappongono nelle Pubbliche amministrazioni e permetterne il decollo nel lavoro privato, sempre però nel rispetto delle prerogative negoziali su aspetti così rilevanti del rapporto di lavoro.
 

Grazie per l’attenzione.


fonte: interno.flp.it