UGL
Analisi delle proposte di legge in materia di riduzione dell’orario di lavoro
Considerazioni generali


La questione della organizzazione dell’orario di lavoro deve essere correttamente inquadrata in un contesto più ampio, evitando semplificazioni che potrebbero, paradossalmente, avere delle conseguenze negative sui lavoratori e sul sistema delle imprese.
Già in passato, infatti, l’ipotesi di introdurre un tetto massimo sull’orario settimanale, inferiore all’attuale, aveva suscitato forti contrasti sociali, a conferma di come, in determinati campi, è fondamentale guardare alla qualità delle relazioni industriali fra le parti, piuttosto che sostenere l’introduzione di maggiori vincoli di legge.
È indubbio che il processo di rapida transizione produttiva, che è al tempo stesso energetica, ambientale e digitale, con le conseguenze legate al progressivo abbandono delle fonti fossili e l’impiego esteso della robotica e dell’intelligenza artificiale, impone delle scelte coerenti in termini di tutela dei livelli occupazionali e di riqualificazione del personale, ma è altrettanto evidente che la soluzione non può essere semplicemente quella di prevedere una riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, senza agire in maniera conseguenziale sui vari fattori della produzione.
La nostra economia, come noto, si caratterizza da tempo per una scarsa produttività, nonostante le tante ore lavorate, superiori alla media europea, cosa che impatta in maniera negativa sugli stessi stipendi.
Intervenendo soltanto sull’orario di lavoro, il primo rischio è quello di causare un corto circuito, mettendo a rischio la tenuta del sistema produttivo nazionale, incentrato largamente sulle piccole imprese con margini di guadagno molto ridotti, in un periodo, peraltro, ancora caratterizzato da alti tassi di interessi. Del resto, quanto accaduto durante l’adozione delle misure restrittive per contenere la diffusione del Covid-19 è, in questo senso, illuminante: solo il ricorso diffuso agli ammortizzatori sociali e la previsione di contributi ad hoc per le imprese hanno permesso al sistema produttivo di limitare i danni e di reagire nei due anni successivi.
Come per altri argomenti, ad esempio, il superamento delle condizioni economiche e normative che portano al lavoro povero, anche nel caso dell’orario di lavoro, compresa l’introduzione della settimana corta, dovrebbe essere assicurata la centralità della contrattazione collettiva, lo strumento che meglio interpreta le esigenze, le criticità e le potenzialità di un settore produttivo o di una singola azienda.
La valorizzazione della contrattazione collettiva, sia nazionale che territoriale/aziendale, passa da incentivi fiscali e contributivi certi e stabili nel tempo, capaci di ridurre il costo del lavoro e di sostenere gli accordi di produttività e il welfare aziendale, ma anche dalla piena attuazione dell’articolo 46 della Costituzione in materia di diritto dei lavoratori dipendenti a partecipare alla gestione delle imprese; passa anche dalla previsione di alcuni correttivi alla disciplina vigente, ad iniziare dalla previsione che l’adozione del lavoro agile, ai sensi della legge 81/2017, sia accompagnata da un accordo collettivo, utile a definire il quadro complessivo entro il quale si muovono i successivi accordi individuali, e dalla possibilità per la singola persona di poter svolgere anche più attività lavorative, nell’ambito della cosiddetta gig-economy, ma sempre nel rispetto della salute e della sicurezza propria e degli altri.
In un tale scenario, il passaggio alla settimana corta rappresenta, in linea teorica, una opzione percorribile, purché correttamente bilanciata sulle singole esigenze, sia delle imprese che del dipendente. Se così non fosse, l’occupazione regolare, invece, di aumentare, come ci si attenderebbe, riducendo l’orario di lavoro della singola persona nell’ordine del 10-20% delle ore lavorate settimanalmente, potrebbe, paradossalmente, diminuire per ragioni diverse: le imprese, già oggi marginali, sarebbero espulse con conseguenze dirette sui livelli occupazionali, mentre, se venisse inserita una penalizzazione sulle ore di lavoro straordinario, potrebbe aumentare la quota di ore lavorate da personale regolarmente inquadrato retribuite, però, in nero. A tal proposito, vi sono degli esempi in passato di come uno strumento contrattuale immaginato per venire incontro a delle specificità, abbia poi avuto, nel concreto, un utilizzo difforme; è il caso del lavoro occasionale con voucher o del lavoro a chiamata.
Le tre proposte di legge, oggetto dell’audizione, presentano diversi richiami alla contrattazione collettiva, pur mantenendo ognuna di essa una propria specificità.
La proposta di legge 142 (Fratoianni e altri), infatti, si presenta come un intervento complessivo sull’orario di lavoro, fissando in 34 ore la durata della settimana lavorativa, a parità di salario, per i lavoratori dipendenti e per figure ad essi assimilabili e prevedendo, fra le altre cose, una serie di interventi normativi su pause, ferie, attività usuranti, lavoro straordinario e lavoro notturno, tanto da presentarsi come una sorta di testo unico alternativo al decreto legislativo 66/2003, attuativo delle direttive comunitarie in materia di orario di lavoro. In un tale quadro, il ruolo della contrattazione collettiva appare quasi imbrigliato, assumendo, per molti versi, una connotazione più difensiva, con le intese destinate a gestire gli esuberi produttivi, che proattiva, con la possibilità di lavorare più ore per garantire ai dipendenti maggiore reddito. Fra gli aspetti su cui si vuole richiamare l’attenzione, vi è il contenuto dell’articolo 18, sulla definizione dei regimi di orario speciale, che potrebbe alimentare un contenzioso all’interno delle forze sindacali, ma anche fra i dipendenti e il datore di lavoro, mentre sicuramente interessante è l’articolo 19 sulla promozione e la partecipazione ai corsi di formazione, aggiornamento professionale e istruzione scolastica sia nel privato che nel pubblico.
La proposta di legge 1000 (Conte e altri) introduce la possibilità di arrivare a degli accordi collettivi per la riduzione dell’orario di lavoro, scendendo fino a 32 ore, sempre a parità di retribuzione. La dotazione finanziaria appare insufficiente, rispetto all’obiettivo indicato che, rispetto alle attuali previsioni sulla durata della settimana lavorativa, avrebbe un impatto in diminuzione, in molti casi, del 20% delle ore lavorate dal singolo addetto. Non convince, anche in questo caso, la previsione del ricorso al referendum, mentre la sede naturale per l’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro potrebbe essere il Cnel.
La proposta di legge 1505 (Scotto), infine, è, fra le tre, quella che maggiormente rimette alla contrattazione collettiva la possibilità di definire degli accordi per la sperimentazione di una progressiva riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario, anche in forma di turni su quattro giornate lavorative. Il rifermento al Fondo Nuove Competenze è utile a valorizzare l’aspetto della riqualificazione professionale, fondamentale per assicurare l’occupabilità delle persone. Da valutare con attenzione la congruità delle risorse stanziate; anche se è difficile quantificare con precisione la platea dei soggetti coinvolti, si può stimare un coinvolgimento di 40-50mila lavoratori nel primo anno e di 80-100mila lavoratori annui negli altri due anni di sperimentazione.


Analisi del contenuto delle proposte di legge

Proposta di legge

Contenuto

Osservazioni

PdL 142 - Disposizioni per favorire la riduzione dell’orario di lavoro (Fratoianni)

L’articolo 1 specifica le finalità della proposta di legge: regolamentare, in modo uniforme sul territorio dello Stato e nel rispetto dell’autonomia negoziale, i profili connessi all’organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro, promuovere il diritto al lavoro, rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione al lavoro, favorire l’occupazione e la competitività delle imprese. La presente legge, che, si attua a decorrere dal 1° gennaio 2023, favorisce la riduzione dell’orario di lavoro, fissando la durata settimanale dell’orario normale di lavoro nel pubblico, nel privato e nei collaboratori in 34 ore effettive a parità di retribuzione, fatti salvi gli aumenti salariali previsti dai contratti collettivi e individuali. Decorsi due anni, il Governo ne verifica gli effetti con le parti sociali, iferendo alle Camere. L’articolo 2 definisce l’ambito di applicazione: tutti i settori pubblici e privati, eccetto la gente di mare, il personale di volo e i lavoratori mobili. Il comma 2 individua alcune eccezioni (servizi di protezione civile, compresi VVFF, personale di strutture giudiziarie, penitenziarie e sicurezza, addetti in biblioteche, musei, aree archeologiche) in ragioni delle esigenze di servizio; è atteso un decreto interministeriale. È escluso il personale della scuola, delle forze di polizia, delle forze armate, della polizia locale, dei servizi di vigilanza privata. Le disposizioni si applicano agli apprendisti maggiorenni. L’articolo 3 istituisce, presso l’Inps, un Fondo di incentivazione alla riduzione dell’orario di lavoro, volto a erogare contributi in favore di datori di lavoro pubblici e privati che adottano un regime orario ridotto di almeno il 10% dell’orario settimanale; il contributo è riconosciuto anche in caso di aumento dell’occupazione, in seguito alla riduzione dell’orario di lavoro, o se la riduzione dell’orario è utile a salvaguardare situazioni di crisi. Il fondo è alimentato: con una imposta del 15% sulle maggiorazioni retributive per le ore di lavoro straordinario; dalle somme corrisposte dal datore di lavoro ai sensi dell’articolo 21; dalle maggiori entrate derivanti dall’articolo 4. È atteso un decreto ministeriale. Per due anni, una quota del 5% delle risorse del Fondo sociale per l’occupazione è trasferita a questo fondo incentivante. Le somme non impegnate sono impegnabili successivamente. L’articolo 4 introduce ulteriori disposizioni volte a finanziare il Fondo di ncentivazione, prevedendo un’imposta patrimoniale a carico di chi possiede grandi patrimoni (ricchezza netta superiore a 3 milioni di euro, con aliquota dello 0,8%, con imposta da versarsi entro il 30 novembre di ciascun anno, anche a rate). L’articolo 5 indica le modalità di erogazione dei contributi di incentivazione alla riduzione dell’orario di lavoro; il contributo è commisurato all’entità della riduzione dell’orario e all’incremento di occupazione o alla salvaguardia dei posti di lavoro, attraverso una comparazione fra la retribuzione spettante senza riduzione dell’orario e quella derivante dalla riduzione dell’orario. Il contributo, che vale per il periodo 2023-2025, è decrescente in base agli anni: 50%, 45% e 40% della differenza calcolata. Non può esserci una riduzione dei livelli delle retribuzioni mensili goduti dai lavoratori. Le agevolazione possono essere cumulate con l’assegno di solidarietà. È atteso un decreto ministeriale. L’articolo 6 prevede una riduzione delle aliquote contributive, con oneri a carico del fondo nel limite delle risorse disponibili, in funzione dell’entità della riduzione dell’orario di lavoro. Resta ferma la quota contributiva a carico del lavoratore, mentre per il datore di lavoro il contributo è ridotto, con oneri a carico del fondo, del 15% (20% in caso di imprese con meno di 15 dipendenti) per orario ridotto con orario settimanale da 18 a 24 ore (o con corrispondente orario mensile o annuale); del 12% (17% in caso di imprese con meno di 15 dipendenti) per orario ridotto con orario settimanale superiore a 24 ore e fino a 30 ore (o con corrispondente orario mensile o annuale); del 10% (15% in caso di imprese con meno di 15 dipendenti) per orario ridotto con orario settimanale superiore a 30 ore e fino a 32 ore (o con corrispondente orario mensile o annuale). Un ulteriore 5% di riduzione si applica alle imprese di Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna. Gli incentivi sono formulati in termini capitari e assegnati in base ai lavoratori coinvolti; serve sempre un accordo collettivo con riduzione corrispondente ad almeno il 50% dell’orario o per salvaguardare i posti di lavoro. Le disposizioni si applicano fino al 31 dicembre 2025; dal 30 giugno 2025, il Ministero del lavoro, sentite le parti sociali, verifica l’ipotesi di rimodulazione con decorrenza dal 1° gennaio 2026. L’articolo 7 fissa, con decorrenza 1° gennaio 2023, in 34 l’orario settimanale di lavoro per i dipendenti di tutti i datori di lavoro pubblici e privati e per i cococo. I Ccnl devono, di conseguenza, prevedere una riduzione dell’orario legale di lavoro ad un orario medio settimanale di 34 ore, fermi i vigenti limiti legali e contrattuali inferiori. Non deve esserci una riduzione dei livelli retributivi mensili goduti dai lavoratori interessati. Per tempo effettivo di lavoro, si intende quello compreso tra l’inizio e la fine della giornata, compresi i periodi di vigile attesa nonché le ore retribuite di assemblea, i permessi sindacali e per allattamento e altri congedi. La distribuzione dell’orario settimanale, nell’arco dell’anno, è stabilita in sede contrattuale ed è comunicata al lavoratore al momento dell’assunzione; eventuali variazioni sono consentite previo accordo sindacale e con il consenso del
lavoratore. In nessun caso, l’orario settimanale, comprensivo di straordinario, può superare le 40 ore e le otto ore giornaliere, salvo i casi previsti dal regio decreto 1955/1923 (articolo 10, manutenzione, e articolo 11, cause di forza maggiore). Si applica anche ai lavoratori impegnati al servizio continuativo di una azienda con modalità diverse dal lavoro dipendente. La reperibilità non può superare le otto ore giornaliere, tranne che per medici e personale paramedico. I lavoratori hanno diritto a regimi di flessibilità su inizio e termine prestazione, compatibilmente con le esigenze aziendali. L’articolo 8 fissa le pause di lavoro (prevista per orario di lavoro superiore a sei ore dal contratto collettivo e comunque non inferiore a 15 minuti) e il riposo giornaliero (almeno dodici ore continuative, salvo deroghe per prestazioni di pronto intervento). L’articolo 9 ribadisce il diritto alle ferie annuali non inferiore a quattro settimane, retribuite secondo quanto stabilito dai Ccnl; si applica anche a coloro che sono impegnati con modalità diverse dal lavoro dipendente. Salvo diversa previsione, il periodo deve essere goduto per due settimane nell’anno e la rimanente parte entro i diciotto mesi successivi. Non è ammessa una indennità sostitutiva, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. Ai sensi dell’articolo 10, per le attività usuranti, sempre tramite contrattazione, è prevista un’ulteriore riduzione pari ad almeno altre cinque ore settimanali dell’orario normale di lavoro; è atteso un decreto ministeriale per l’individuazione di altre attività particolarmente pericolose, insalubri e usuranti, oltre a quelle
indicate alla tabella A del decreto legislativo 374/1993. L’articolo 11 è relativo al lavoro straordinario, da intendersi come prestazione aggiuntiva prevista dai contratti collettivi; in ogni caso, il ricorso allo straordinario deve essere contenuto. Il limite massimo è fissato in due ore giornaliere e in sei ore settimanali, salvi i limiti annuali stabiliti dai Ccnl. La prestazione è richiesta in sede contrattuale. In ogni caso, non è ammesso in imprese o unità produttive: interessate da riduzione o sospensione dal lavoro di personale, anche nei sei mesi precedenti, o che fruiscono di altre forme di riduzione dell’orario di lavoro (contratti di solidarietà); dove ci sono dipendenti che fruiscono del trattamento di integrazione salariale (salvo il caso di impossibilità accertata di riutilizzo). Salvo altre disposizioni nei contratti collettivi, il lavoro straordinario è ammesso in caso di eccezionali esigenze e di impossibilità di assumere; nei casi di forza maggiore o se la mancata esecuzione della prestazione può causare un pericolo grave e immediato o un danno a persone o alla produzione; eventi particolari (mostre, fiere, manifestazioni o allestimenti, con comunicazione preventiva agli uffici competenti e alle rappresentanze sindacali aziendali). Fanno riferimento i contratti collettivi; in assenza è ammesso con accordo fra datore e prestatore per un periodo non superiore a 250 ore settimanali. Per eventi eccezionali, imprevedibili o che comportano gravi rischi, il lavoro straordinario può essere disposto unilateralmente dal datore di lavoro per un massimo di tre giornate lavorative. Spetta alla
contrattazione collettiva nazionale individuare la maggiorazione retributiva che, comunque, non può essere inferiore al 40% della retribuzione del lavoro ordinario e al 50% per festivi o notturni, salvo migliori condizioni nei contratti collettivi, anche aziendali; è previsto il versamento del 15% al Fondo incentivante. La retribuzione legata al lavoro straordinario costituisce base imponibile per il calcolo dei contributi Inps. Allo straordinario non si applicano le agevolazioni contributive per sgravi fiscali. In sede di contrattazione, si possono prevedere riposi compensativi. Ai sensi dell’articolo 12, l’orario di lavoro notturno non può superare le otto ore in media nelle 24, fatto salvo quanto previsto nei contratti collettivi. L’orario notturno determina una riduzione del tempo di lavoro mensile e settimanale e una maggiorazione retributiva, definita dalla contrattazione collettiva. Le disposizioni non si applicano a lavorazioni con rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali. Nel settore della panificazione industriale, la media è riferita alla settimana lavorativa. Nelle unità produttive e amministrative con ricorso al lavoro notturno in via stabile o per più di 30 giorni, l’introduzione del lavoro notturno è preceduta da una consultazione con i lavoratori interessati. È vietato prevedere prestazioni di lavoro notturno immediatamente successivi per lo stesso lavoratore; l’eventuale introduzione di turni è negoziata. L’articolo 13 indica le limitazioni al lavoro notturno rispetto al singolo lavoratore, la cui inidoneità è accertata dalle competenti strutture sanitarie. Non possono essere adibite al lavoro
notturno, dalle 24 alle 6, le donne in stato di gravidanza e fino ad un anno di vita del bambino, mentre non sono obbligate a prestare lavoro notturno la lavoratrice madre o il padre fino a tre anni di vita del bambino, la lavoratrice (o il padre) unico genitore con figlio convivente di meno di 12 anni, la lavoratrice (o il lavoratore) adottiva o affidataria di minore nei primi tre anni dall’ingresso e comunque non oltre il dodicesimo anno di età (in caso di affidamento preadottivo con bambino di età non superiore a sei anni di età e per i primi tre mesi), la lavoratrice o il lavoratore con persona disabile nel nucleo familiare, aderenti a confessioni religiose con divieto di lavoro notturno. Sono fatte salve le condizioni dei contratti collettivi. Per effetto dell’articolo 14, l’introduzione del lavoro notturno deve essere preceduta da una consultazione con le rappresentanze sindacali in azienda aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto applicato in azienda o, in loro mancanza, con le organizzazioni territoriali delle organizzazioni firmatarie; la consultazione è effettuata e conclusa entro sette giorni. Deve essere informata la direzione provinciale del lavoro competente per territorio, salvo che l’esecuzione della prestazione sia disposta in forza di un contratto collettivo nazionale stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. l’articolo 15 detta le disposizioni in materia di salute e sicurezza per i lavoratori adibiti a prestazioni di lavoro notturno. Sono previsti accertamenti preventivi e periodici. Il datore di lavoro
garantisce servizi e mezzi di prevenzione e protezione, comprese adeguate misure di pronto soccorso, e fornisce tutte le informazioni utili sui rischi e le misure adottate. È prevista una informativa alle rappresentanze sindacali. L’articolo 16 è riferito al trasferimento al lavoro diurno in ragione di sopraggiunte condizioni di salute inidonee per la prestazione di lavoro notturno. In caso di infortunio con più di venti giorni, vi è il diritto ad essere assegnati a turni diurni vacanti, conformi alla qualificazione professionale. Vi è un rimando alla contrattazione collettiva. L’articolo 17 è finalizzato a demandare ai contratti collettivi la possibilità di prevedere orari individuali, collettivi, di gruppo e personalizzati su base mensile, semestrale e annuale, anche per venire incontro alle esigenze di armonizzazione dei tempi di lavoro con quelli di vita, sociali, della formazione, della cultura e dell’erogazione dei servizi; è possibile anche l’adozione di sistemi di banche di ore per il recupero compensativo di ore prestate in eccedenza. La procedura è quella definita all’articolo 14, nel rispetto della durata massima quotidiana e settimanale di lavoro. L’articolo 18 rimanda agli accordi sindacali aziendali per la definizione di regimi di orario speciali. In caso di dissenso o di mancata sottoscrizione da parte di uno o più dei soggetti collettivi o di richiesta da parte del 20% dei lavoratori interessati, l’efficacia dell’accordo è condizionata alla approvazione tramite referendum da parte della maggioranza dei lavoratori votanti interessati. La richiesta di consultazione deve essere
comunicata entro dieci giorni e deve essere resa pubblica mediante affissione in luogo accessibile a tutti dal datore di lavoro, tenuto ad adottare le misure necessarie per lo svolgimento del referendum. Il referendum ha luogo entro 15 giorni dalla sua richiesta, in orario di lavoro, con la direzione provinciale del lavoro che sovraintende alle operazioni. In ogni caso, l’accordo non può eccedere i limiti indicati all’articolo 7 né quelli dei contratti collettivi, se inferiori. Gli accordi prevedono i periodi entro cui ottenere la compensazione, le maggiorazioni o le riduzioni d’orario, le ipotesi di giustificato esonero. Non può essere richiesto lavoro straordinario nel periodo di vigenza degli accordi. Per effetto dell’articolo 19, nella definizione dei piani annuali di lavoro ai sensi dell’articolo 17, si deve tener conto della promozione e della partecipazione ai corsi di formazione, aggiornamento professionale e istruzione scolastica. Imprese e amministrazioni possono, previa concertazione con le rappresentanze sindacali, piani formativi aziendali con criteri di riduzione e distribuzione dell’orario di lavoro. I contenuti e le modalità sono comunicati al dipendente e alla rappresentanza sindacale. L’articolo 20 prevede la possibilità che il lavoratore e il datore di lavoro possano pattuire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro ridotto; decorsi almeno due anni, è possibile ripristinare il tempo pieno. Sono indicate le priorità: presenza di figli, genitori o coniuge con disabilità accertata; attività documentata di assistenza e cura
per persone disabili; attività documentata di volontariato presso una associazione registrata a livello regionale o una Onlus; figli entro i sei anni; iscritti ad un corso di formazione di almeno tre mesi; cui mancano meno di cinque anni al raggiungimento della pensione con assunzione di giovani. Si applicano gli sgravi previsti dall’articolo 6. L’articolo 21 prevede il sistema sanzionatorio. La violazione degli articoli 7 (limiti massimi) e 8 (riposi) è sanzionata con una multa pari a 500 euro per lavoratore per ora. La multa è di 1.000 euro per ogni violazione sul lavoro straordinario; stesso ammontare anche violazioni sui limiti del lavoro notturno (articolo 13). La vigilanza spetta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’articolo 22 contiene le norme finali e transitorie per le pubbliche amministrazioni, per le imprese esercenti servizi pubblici e per il personale navigante, mentre per quanto non previsto si rimanda al decreto legislativo 66/2003. Nel caso in cui il contratto collettivo vigente preveda limiti di orario superiori a quelli indicati sopra, esso deve essere adeguato alla prima scadenza contrattuale utile e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

La presente proposta di legge, fra le tre già presentate, è quella più complessa e, per molti versi, maggiormente stringente, in quanto fissa chiaramente e per tutti il paletto delle 34 ore di lavoro settimanale, a parità di stipendio. Attualmente, tale livello è abbastanza prossimo nel pubblico impiego, mentre è decisamente più lontano nel settore privato. la norma troverebbe applicazione per i lavoratori dipendenti e per tutte le altre figure ad essi assimilabili, ad iniziare dai collaboratori coordinati e continuativi, ai quali, al momento, non si applica il parametro temporale. Tenendo conto del fatto che la presente proposta di legge interviene a tutto campo sui vari aspetti legati all’orario di lavoro, è evidente che l’obiettivo principale è quello di favorire nuova occupazione, sia nel pubblico che nel privato, seppure per ragioni diverse. Nel pubblico, già oggi si registra una diffusa carenza di organico, mentre nel privato la questione è quella di riuscire ad assicurare la piena copertura dei turni, considerando i forti disincentivi al ricorso al lavoro straordinario. Da valutare con attenzione la congruità dello stanziamento del Fondo di incentivazione, considerando che si è davanti ad un obbligo di legge. Non convincono alcune delle coperture previste, come la maggiorazione del 15% sulle ore di straordinario e l’introduzione di una imposta patrimoniale. Gli articoli seguenti disciplinano vari aspetti legati all’orario di lavoro; è utile chiarire un coordinamento con la disciplina del decreto legislativo 66/2003 di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Da valutare con attenzione il contenuto dell’articolo 18 che rimanda agli accordi sindacali aziendali per la definizione di regimi di orario speciali. Il meccanismo prevede che, in caso di dissenso di uno o più soggetti collettivi o dietro richiesta da parte del 20% dei lavoratori interessati, l’efficacia dell’accordo sia condizionata all’approvazione tramite referendum. Si tratta di un punto delicato sul quale riflettere con attenzione, in quanto si presta ad un possibile uso strumentale da parte di soggetti collettivi o auto-organizzati. Gli accordi di gestione degli esuberi richiedono, per loro natura, l’assunzione di forti responsabilità da parte delle organizzazioni sindacali, le quali guardano all’interesse collettivo non sempre coincidente con quello del singolo. È già accaduto in passato che alcune intese sottoscritte dalla maggioranza della rappresentanza sindacale siano poi state bocciate dalla maggioranza dei partecipanti al voto, con la conseguenza che la mancata attuazione dell’accordo ha portato alla chiusura dell’azienda. Non si tratta di mettere in discussione il diritto democratico del lavoratore di partecipare al processo decisionale; si tratta, però, di ridurre gli effetti potenzialmente negativi legati alla previsione contenuta all’articolo 18. Molto interessante il contenuto dell’articolo 19 sulla possibilità per le imprese e le amministrazioni pubbliche di definire dei piani annuali per la promozione e la partecipazione dei lavoratori a corsi di formazione e di riqualificazione professionale, aspetto quanto mai centrale nell’attuale fase di transizione produttiva, ambientale e digitale. Anche la gestione del tempo parziale andrebbe ricondotta ad un accordo collettivo, indicante i criteri generali di accesso che possono coincidere con quelli dell’articolo 20 della presente proposta di legge. L’articolo 21 rafforza il principio che le 34 ore di lavoro settimanale sono un vincolo di legge molto stringente, in quanto le parti firmatarie avrebbero un anno di tempo per adeguare i contratti collettivi a tale limite orario.

PdL 1000 (Conte) – Disposizioni sperimentali concernenti la riduzione dell’orario di lavoro mediante accordi definiti nell’ambito della contrattazione collettiva

L’articolo 1 indica l’oggetto e la finalità della presente legge, vale a dire l’adozione di forme flessibili di organizzazione del lavoro, con interventi sull’orario di lavoro, per promuovere l’occupazione, incrementare la produttività e migliorare la conciliazione dei tempi. Ai sensi dell’articolo 2, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le articolazioni territoriali o aziendali possono stipulare contratti per ridurre l’orario di lavoro a parità di retribuzione. Detti contratti possono ridurre l’orario fino a 32 ore settimanali; la riduzione può riguardare l’orario giornaliero o il numero delle giornate lavorative settimanali (fino a 4 giornate; in tal caso, le ore eccedenti le otto non sono considerate straordinario). I contratti individuano criteri e modalità di individuazione dei lavoratori interessati all’applicazione, anche su base volontaria. In assenza di contratto collettivo, almeno il 20% dei lavoratori dell’impresa o unità produttiva o il datore di lavoro possono presentare una proposta di contratto per la riduzione, fino a 32 ore, dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione. Entro 90 giorni, la proposta è sottoposta ad approvazione tramite referendum, sotto la supervisione di un delegato dell’ente bilaterale competente per territorio (ove esistente), anche di un settore affine. La proposta è approvata a maggioranza dei dipendenti; nel caso in cui la proposta sia sta presentata dai dipendenti stessi, la proposta è attuata se il datore di lavoro dà il proprio assenso entro 30 giorni dal referendum. In caso di esito negativo del referendum, la proposta può essere ripresentata decorsi almeno 180 giorni. L’articolo 3 prevede un esonero contributivo, in via sperimentale per gli anni 2024. 2025 e 2026, in ragione della quota di retribuzione corrispondente alla riduzione dell’orario di lavoro. Il limite massimo dell’esonero contributivo è fissato in 8mila euro annui, riparametrato su base mensile, fermo restando l’aliquota di computo della prestazione pensionistica. Ai datori di lavoro che assumono lavoratori in relazione alla quota di riduzione dell’orario di lavoro è concesso un esonero contributivo nell’ammontare indicato sopra per un massimo di 24 mesi in caso di lavoratore subordinato a tempo indeterminato e di 18 mesi in caso di contratto a tempo determinato che diventano 24 se viene successivamente trasformato a tempo indeterminato. Il limite di spesa è fissato in 250 milioni annui per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 con monitoraggio Inps. È prevista una verifica entro il 31 dicembre 2026, con presentazione di una relazione alle Camere da parte del Governo. L’articolo 4 prevede l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro, in via sperimentale per gli anni 2024, 2025 e 2026, con sede presso l’Inapp, con il compito di raccogliere e elaborare dati statistici e socio-economici. L’Osservatorio trasmette una relazione annuale alle Camere. È atteso un decreto ministeriale con le modalità di costituzione e di funzionamento dell’Osservatorio. Non sono previsti nuovi o maggiori oneri. L’articolo 5 rinvia alla contrattazione collettiva nazionale e di secondo livello stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative e alle loro articolazioni territoriali o aziendali per disciplinare ulteriori modalità di attuazione. L’articolo 6 rinvia al Fondo per le esigenze indifferibili (articolo 1, comma 200, della legge 190/2014) per la copertura finanziaria. L’articolo 7 indica l’entrata in vigore: giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta ufficiale.

La presente proposta di legge non introduce un obbligo, ma lascia alle parti, sia a livello nazionale che territoriale/aziendale, la possibilità di sottoscrivere degli accordi collettivi per la riduzione dell’orario di lavoro, fino ad una soglia settimanale limite di 32 ore. La riduzione può avvenire anche attraverso l’adozione della settimana di quattro giorni lavorativi. Non è immediatamente chiaro, però, se l’adozione della settimana corta debba passare da una riduzione dell’orario di lavoro o, semplicemente, da una diversa distribuzione dell’orario. Sembrerebbero, infatti, possibili entrambi le ipotesi. Da valutare con estrema attenzione l’ipotesi che la riduzione dell’orario di lavoro possa partire dal 20% dei dipendenti; il rischio, in questo caso, è quello di alimentare un forte contenzioso nell’azienda, in quanto il datore di lavoro potrebbe non essere convinto della riduzione dell’orario di lavoro, fino a 32 ore, a parità di stipendio. L’incentivo sotto forma di esonero contributivo potrebbe, infatti, non essere così appetibile per il datore di lavoro, soprattutto nei casi di nuove assunzioni. L’Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro potrebbe avere sede al Cnel, piuttosto che in Inapp.

PdL 1505 (Scotto) – Agevolazione contributiva per favorire la stipulazione di contratti collettivi volti a sperimentare la progressiva riduzione dell’orario di lavoro

La proposta di legge si compone di un solo articolo, finalizzato a favorire la sottoscrizione di contratti collettivi tra le imprese e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per la definizione di modelli organizzativi per la sperimentazione di una progressiva riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario, anche in forma di turni su quattro giorni a settimana. In tal senso, la dotazione del Fondo Nuove Competenze, che assume la denominazione di Fondo Nuove Competenze, Riduzione dell’orario di lavoro e Nuove forme di prestazione lavorativa, è incrementata di 100 milioni per il 2024 e in 200 milioni per il 2025 e il 2026. Ai datori di lavoro (esclusi agricoli e domestici) cui si applicano i contratti collettivi previsti al comma precedente, si applica, per la durata della sperimentazione, in proporzione alla riduzione di orario di lavoro concordata, l’esonero dal versamento dei contributi in misura pari al 30% dei contributi previdenziali dovuti, esclusi i premi e i contributi Inail. La riduzione è del 40% in caso di lavorazione usurante o particolarmente faticosa (dlgs 67/2011 e allegato B della legge 205/2017). È atteso un decreto ministeriale da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. L’efficacia delle disposizioni è condizionata alle norme Ue, mentre per la copertura si fa riferimento al Fondo di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 190/2014 (Fondo esigenze indifferibili).

La proposta di legge si caratterizza per lasciare la massima disponibilità alle parti di sperimentare forme di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, compresa l’adozione della settimana corta su quattro giorni. Si tratta di una ipotesi che, in questa fase, appare coerente con l’obiettivo di favorire una migliore organizzazione del lavoro, limitando l’impatto che potrebbe arrivare da una legge, con un vincolo stringente sull’orario settimanale. Corretto il riferimento al Fondo Nuove Competenze, uno strumento che ha permesso, in questi anni, di gestire in maniera più diffusa la riqualificazione del personale dipendente. Da valutare la congruità dello stanziamento che appare insufficiente, soprattutto se si dovesse mostrare un particolare interesse da parte delle imprese e delle organizzazioni sindacali.


fonte: documenti.camera.it