Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 maggio 2024, n. 13463 - Prova dell'origine professionale della malattia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto - Presidente
Dott. MARCHESE Gabriella - Rel. Consigliere
Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere
Dott. BUFFA Francesco - Consigliere
Dott. GNANI Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 9193-2019 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 61, presso lo studio dell'avvocato CLARA VENETO, rappresentato e difeso dall'avvocato DANIELA CARBONE;
- ricorrente -
contro
I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA, LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 162/2018 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 01/10/2018 R.G.N. 416/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2024 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.
Fatto
1. la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda originariamente proposta dalla parte privata, volta al riconoscimento di malattia professionale e alla condanna dell'INAIL alla corresponsione della conseguente prestazione previdenziale;
2. la Corte territoriale ha, in primo luogo, respinto l'eccezione di inammissibilità del gravame ai sensi degli artt. 342 e 434 cod. proc. civ.: l'atto di appello, infatti, indicava chiaramente i punti del provvedimento di cui si chiedeva la riforma e le circostanze in base alle quali emergevano gli errori di diritto e la loro rilevanza;
3. nel merito, la Corte di appello, richiamati i principi elaborati dalla Suprema Corte in tema di prova del nesso causale in presenza di malattia non tabellata e ad eziologia multifattoriale ha, nel concreto, osservato come il ricorso fosse carente della deduzione dei fatti costitutivi della pretesa. In particolare, erano genericamente dedotte le modalità concrete di svolgimento delle mansioni e, pertanto, non vi era prova, rispetto alla denunciata patologia multifattoriale, della origine professionale dell'affezione. La considerazione era decisiva rispetto ad ulteriori considerazioni, come, per esempio, il rilievo dell'emersione della broncopatia in età anziana, a circa 15 anni dalla cessazione dell'attività lavorativa e in soggetto fumatore per più di 50 anni;
4. avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte indicata in epigrafe, con tre motivi, illustrati con memoria;
5. l'INAIL ha resistito con controricorso;
6. il Collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni dall'adozione della decisione Camera di consiglio.
Diritto
7. con il primo motivo -ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 342 e 434 cod. proc. civ. Per parte ricorrente sarebbe errato il giudizio di ammissibilità dell'atto di appello dell'Inail;
8. il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
9. le censure sono, infatti, formulate senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. e dall'art. 369 n. 4 cod. proc. civ.;
10. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del "fatto processuale", l'esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall'estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (v. Cass., Sez. Un., n. 8077 del 2012; ex plurimis, tra le successive: Cass. n. 8450 del 2014; Cass. n. 20904 del 2019);
11. dal principio di diritto discende che quando, come nella fattispecie, il ricorrente assuma che l'appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati in ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l'atto di appello (Cass. nr. 181 del 2023, in motiv., Par. 10 con i richiami ivi effettuati); nella fattispecie, difetta la prima e sono trascritti i motivi di appello in via di mera sintesi. In definitiva, non sono offerti alla Corte gli elementi necessari a valutare la fondatezza dei rilievi;
12. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - è dedotta la violazione dell'art.132, comma 2, n. 4. cod. proc. civ.: per il ricorrente, la sentenza della Corte di appello di appello non disvelerebbe il percorso logico giuridico che ha condotto alla decisione;
13. il motivo è infondato;
14. il sindacato motivazionale consentito ad oggi è quello rapportato al c.d. "minimo costituzionale". È attribuito rilievo solo all'anomalia motivazionale (tra le recenti, Cass. sez. Un. n. 37406 del 2022, con richiami a Cass., sez. Un., nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014) che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, e che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass., sez. Un., n. 19881 del 2014; ex multis: Cass. n. 2889 del 2023);
15. nel caso di specie, in base a quanto riportato sinteticamente nello storico di lite, la sentenza impugnata non è affetta dal vizio denunciato, risultando chiaramente espresse le ragioni della decisione; l'esattezza o meno delle argomentazioni che sorreggono il decisum non riguarda il piano motivazionale;
16. con il terzo motivo -ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 117 cod.proc.civ. nonché dell'art. 2697 cod .civ. Si imputa alla Corte l'errata applicazione delle norme di legge e dei principi giurisprudenziali relativi al valore probatorio dell'interrogatorio libero e delle prove documentali in atti, quali il libretto del lavoro o la copiosa documentazione medica;
17. il motivo è inammissibile;
18. in primo luogo, i rilievi non colgono il nucleo argomentativo centrale. La Corte di appello ha sostenuto il difetto di allegazioni specifiche in ordine all'esposizione a rischio del lavoratore, segmento fattuale imprescindibile per l'accertamento dell'origine professionale della patologia;
19. le censure del ricorso, invece che incrinare specificamente le argomentazioni esposte, si dilungano su principi di valenza generale e sul valore probatorio dell'interrogatorio libero e degli elementi di prova offerti. La Corte di appello non contesta l'efficacia, sul piano probatorio, di detti elementi. Assume piuttosto, in estrema sintesi, che, in base al principio di circolarità degli oneri di allegazione e prova che caratterizza le vicende processuali, le circostanze non allegate (in ordine all'origine professionale della malattia) non potevano certo formare oggetto di prova;
20. i più puntuali rilievi sviluppati nella memoria sono tardivi e, comunque, non specifici;
21. sotto un diverso profilo, il richiamo agli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e all'art. 2697 cod. civ. non è pertinente;
22. come costantemente afferma la Corte una questione di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ e dell'art. 2697 c.c., può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d'ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori (per tutte, in motiv., Cass. n. 9132 del 2023);
23. nessuna delle predette situazioni è rappresentata nel motivo che, piuttosto, investe questioni di merito, con una diversa prospettazione degli elementi di causa;
24. conclusivamente il ricorso va rigettato, con le spese liquidate secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2024.
Depositata in cancelleria il 15 maggio 2024.