Cassazione Civile, Sez. Lav., 14 maggio 2024, n. 13250 - Infortunio durante la manutenzione di un macchinario. Azione di regresso



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto - Presidente

Dott. MARCHESE Gabriella - Rel. - Consigliere

Dott. BUFFA Francesco - Consigliere

Dott. SOLAINI Luca - Consigliere

Dott. CERULO Angelo - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso 14727-2019 proposto da:

A.A., B.B. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato GABRIELE PAFUNDI, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato LAURA FORMICHINI;

- ricorrenti -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati ANDREA ROSSI, LETIZIA CRIPPA, che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 907/2018 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/11/2018 R.G.N. 1000/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2024 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento dell'azione di regresso dell'INAIL nei confronti degli odierni ricorrenti (società datrice di lavoro e legale rappresentante) per il costo sostenuto in relazione all'infortunio occorso ad un lavoratore;

2. la Corte territoriale ha osservato che era intervenuto un giudizio penale, con accertamento della responsabilità del legale rappresentante;

3. ha rilevato come, ai sensi del D.P.R. nr. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, il giudicato penale giovasse all'INAIL per ciò che riguardava l'accertamento della sussistenza del fatto e l'affermazione che l'imputato lo aveva commesso;

4. nel caso di specie, la Corte condivideva gli esiti del giudizio penale. In particolare, era da confermare la valutazione del giudice penale secondo cui l'odierno ricorrente, nella qualità di amministratore unico della società, doveva controllare che l'attività di manutenzione della macchina avvenisse mentre la stessa non era in funzione; ciò che in concreto non era stato e aveva condotto all'infortunio;

5. il legale rappresentante era, al contempo, titolare del rapporto di lavoro e destinatario principale degli obblighi di sicurezza sul lavoro ovvero colui che nell'ambito dell'organizzazione aveva la responsabilità dell'esercizio o del mancato esercizio dei poteri datoriali in materia di sicurezza;

6. avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le parti indicate in epigrafe, con due motivi;

7. l'INAIL ha resistito con controricorso;

8. il Collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni dall'adozione della decisione in Camera di consiglio.

 

Diritto


9. Con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr.3 cod. proc. civ. - è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto; in particolare dell'art. 2087 cod. civ. in relazione al D.Lgs. nr. 626 del 1994, per avere la Corte di appello richiamato norme di diritto non ascrivibili al caso di specie. Si assume l'"errata valutazione delle risultanze del procedimento penale" e l'"insussistenza di responsabilità";

10. il motivo è inammissibile;

11. la violazione di legge è argomentata in relazione a circostanze fattuali diverse da quelle accertate in sentenza;

12. parte ricorrente, infatti, sotto l'apparente formulazione di un error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata;

13. in proposito, deve allora ribadirsi che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei ristretti limiti di cui all'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. (tra le tante: Cass. nr. 816 del 2020, punto 4.2);

14. è inammissibile, pertanto, la critica che fondi il presunto errore di sussunzione su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione;

15. con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. - è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte di appello omesso di valutare la sussistenza dei profili di colpevolezza a carico del ricorrente;

16. si imputa alla Corte territoriale di non aver considerato quanto dedotto sin dal primo grado di giudizio ovvero che la pretesa era illegittima nei confronti del legale rappresentante; questi, infatti, non doveva essere chiamato a rispondere con il proprio patrimonio atteso che la sua condanna in sede penale era stata determinata solo dal ruolo formale dallo stesso rivestito;

17. anche il secondo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;

18. nel paradigma normativo dell'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. non è certamente inquadrabile la questione della responsabilità patrimoniale del legale rappresentante, in cui si sostanzia la censura;

19. come ripetutamente chiarito dalla Corte, l'art. 360, comma 1, nr. 5 cod. proc. civ., riformulato dal D.L. nr. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla legge nr. 134 del 2012, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico relativo all'omesso esame di un "fatto", nozione riferita ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo alle "questioni" o "argomentazioni" (in argomento, tra le più recenti, Cass. nr. 24826 del 2023);

20. per quanto innanzi, il ricorso è inammissibile; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 15.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre

spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2024.