Cassazione Penale, Sez. 4, 18 giugno 2024, n. 24095 - Mancata valutazione del rischio di caduta per perdita di equilibrio nell'operazione di verniciatura dei manufatti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere
Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere
Dott. CIRESE Marina - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a C il omissis
B.B. nato a C il omissis
avverso la sentenza del 22/05/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;
udito il Pubblicò Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
È presente l'avvocato LUNARDON DARIO, del foro di VICENZA, in difesa di A.A. e B.B. Il difensore illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.
Fatto
1. Con sentenza in data 22.5.2023 la Corte d'appello di Venezia, in riforma della sentenza con cui il Gip del Tribunale di Vicenza in data 16.9.2018, all'esito di rito abbreviato, aveva assolto A.A. e B.B. dal reato loro ascritto perchè il fatto non costituisce reato, ha invece dichiarato gli imputati responsabili del reato di cui all'art. 590, commi 1, 3 e 5 cod. pen., condannandoli alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, convertita la pena detentiva nella pena pecuniaria di specie corrispondente, pari ad Euro 1200,00 di multa ciascuno.
2. L'addebito colposo loro mosso, nella qualità di soci amministratori della Verniciatura Viemme Snc, con sede legale in C e sede operativa in R, è quello di avere per colpa e cioè per imprudenza, imperizia e negligenza e comunque per inosservanza di disposizioni normative in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e precisamente degli artt. 28, comma 2, lett. a) e b) e 71, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2008, impiegando C.C. in opere di verniciatura di un manufatto, non valutando adeguatamente il rischio conseguente alla necessità di verniciare il pezzo nelle sue parti più alte, cagionato al medesimo, che durante le operazioni si sporgeva in avanti nel tentativo di arrivare con la pistola di erogazione nei punti più lontani, perdendo l'equilibrio e cadendo a terra, lesioni personali guaribili in oltre quaranta giorni.
3. Il fatto come ricostruito dalle sentenze di merito è il seguente:
- in data 20.6.2017 C.C., dipendente della ditta "Verniciatura Viemme Snc" dal settembre del 2016 con la qualifica di operaio verniciatore, era stato incaricato di verniciare a spruzzo un manufatto di grosse dimensioni che si trovava sopraelevato a circa 80 cm da terra utilizzando una scala portatile composta da tre gradini. Completata una prima fase di verniciatura, attendendo circa mezz'ora allo scopo di permetterne l'asciugatura, posizionava la scaletta di fronte al manufatto e vi saliva fino al terzo gradino iniziando a passare la seconda mano di vernice. Quindi, per verniciare il pezzo integralmente si sporgeva in avanti con il corpo cercando di non toccare con il busto il manufatto ricoperto di vernice fresca e nel fare ciò perdeva l'equilibrio e cadeva a terra. A seguito della caduta il C.C. riportava lesioni consistenti in "frattura scomposta pluriframmentata biossea gamba sx, sublussazione tibioperoneo-astragalica" con una prima prognosi di giorni 40, estesa successivamente fino al 25.10.2017 per una prognosi totale pari a giorni 128.
Il C.C. riferiva che durante lo svolgimento delle sue mansioni utilizzava sempre le protezioni consistenti in mascherina e ginocchiere e per la verniciatura di manufatti posizionati ad un'altezza di circa 80/100 cm delle scale portatili di n. 3 o di nn. 7/8 gradini.
Dal rapporto dello Spisal si evinceva che il C.C. era stato regolarmente assunto e che gli strumenti e le sostanze utilizzate erano a norma; per quanto riguardava il DVR si rilevava che, con riferimento alla specifica attività di verniciatura non era riportato all'interno del documento l'utilizzo di scale portatili come attrezzature di lavoro nè tantomeno era indicato il rischio di caduta derivante da tale utilizzo nonostante fosse emerso dalle dichiarazioni del C.C. l'uso regolare di dette scale per l'attività di verniciatura di manufatti sopraelevati. Si evidenziava quindi che l'uso di attrezzature di tal genere doveva essere valutato e riportato nel documento di valutazione dei rischi al fine di individuare le misure di prevenzione e di protezione atte a scongiurare il rischio di caduta. In particolare si indicavano quali alternative più idonee il trabattello dotato di protezioni atte ad evitare la caduta oppure la scala mobile con piattaforma dotata di parapetto che permette di lavorare in quota.
4. Il giudice di primo grado, all'esito del rito abbreviato, condizionato all'acquisizione integrale del documento di valutazione dei rischi redatto dall'azienda, pur ritenendo sussistente il fatto nella sua materialità ed il nesso causale tra condotta ed evento, ha tuttavia rilevato che i profili di colpa contestati attenevano alla mancata previsione del rischio specifico di caduta conseguente all'utilizzo di scale portatili utilizzate con regolarità, rischio che in realtà era stato effettivamente previsto dal DVR dove erano state individuate misure di prevenzione (garantire che le scale siano provviste di dispositivi antisdrucciolo, ancorare la scala ad un elemento fisso, garantire l'assistenza di altro personale per i lavori oltre i due metri di altezza).
La modesta altezza alla quale era stata compiuta l'operazione (cm 66) non presentava caratteristiche tali da richiedere l'utilizzo del trabattello anzichè della scala portatile.
L'utilizzo della scala era avvenuto senza l'ausilio di terzi onde evitare lo scivolamento ma da ciò non poteva derivare la responsabilità del datore di lavoro, posto che il sinistro era da attribuirsi ad un comportamento imprudente del lavoratore cui era correlabile un profilo di colpa del datore di lavoro non contestato ovvero la omessa sorveglianza sul lavoratore e senza che alla contestazione di colpa generica fosse data alcuna specificazione utilmente valutabile.
Sulla scorta di tali considerazioni concludeva quindi per l'assoluzione di entrambi gli imputati.
5. Interposto appello da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza, la Corte d'appello di Venezia, ribaltando l'esito del giudizio di primo grado, ha invece ritenuto entrambi gli imputati, in ragione della posizione di garanzia assunta, colpevoli del reato loro ascritto per non aver previsto nel DVR delle adeguate misure di prevenzione non potendosi peraltro configurare il comportamento anomalo del lavoratore.
Inoltre ha ritenuto che il profilo di colpa relativo alla omessa sorveglianza, lumeggiato ma escluso in difetto di specifica contestazione da parte del giudice di primo grado, sia comunque addebitabile agli imputati in quanto ricompreso nella contestazione di colpa generica.
6. Avverso detta sentenza entrambi gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, hanno proposto, con un unico atto, ricorso per cassazione articolato in quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo deducono la mancanza della motivazione rafforzata all'esito del giudizio di riforma della sentenza assolutoria di primo grado e la contestuale manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di sussistenza del profilo di colpa contestato ai datori di lavoro ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen. e l'erronea applicazione dell'art. 40 cod. pen. ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) cod. proc. pen.
Si assume che risulta superficiale e contraddittoria la stessa ricostruzione del fatto storico non risultando chiara quale sia stata l'effettiva dinamica dell'evento. Inoltre manifestamente illogiche appaiono le proposizioni riguardanti l'inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi non comprendendosi come la Corte di merito abbia potuto ritenere che il documento nulla prevedeva per i casi analoghi a quello per cui è processo.
Non si individua inoltre cosa avrebbe dovuto inserire il datore di lavoro nel documento di valutazione dei rischi al fine di prevenire efficacemente il rischio di caduta, così violando i principi in tema di nesso causale omissivo da responsabilità colposa.
Con il secondo motivo deducono la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione e la contestuale violazione delle regole processuali in punto di ragionevole dubbio e rinnovazione della prova ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Si assume che la sentenza impugnata viola il canone del ragionevole dubbio nella decisione di reformatio in peius, in assenza di una necessaria integrazione istruttoria, profilo strettamente legato alla mancanza di motivazione rafforzata.
Peraltro, la vicenda processuale de qua sconta due principali aspetti critici relativi all'impossibilità intrinseca di addivenire ad una ricostruzione univoca della dinamica dell'evento (stante l'illogicità del rapporto Spisal in ordine alle modalità della caduta) ed all'impossibilità di addivenire ad un giudizio di sicura adeguatezza delle prescrizioni relative alla sicurezza contenute nel DVR, con particolare riferimento all'uso della scala portatile. Su tale ultimo profilo la Corte di merito prima di riformare la sentenza di primo grado avrebbe dovuto munirsi di un sostegno istruttorio nuovo ed integrativo in assenza del quale la risposta è arbitraria.
Con il terzo motivo di ricorso deducono l'erronea applicazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in riferimento al profilo di colpa in vigilando ai sensi dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen.
Si censura la sentenza impugnata anche laddove ha fondato la responsabilità degli imputati sull'omessa sorveglianza, pur trattandosi di profilo di colpa non contestato e che si riferisce ad una fase storica diversa ed ulteriore rispetto a quella considerata nel capo di imputazione.
Con il quarto motivo di ricorso deducono la mancanza di motivazione sull'omessa concessione della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
Si rileva che la sentenza impugnata non ha offerto alcuna giustificazione in ordine all'omessa concessione della sospensione condizionale della pena.
Diritto
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato per le ragioni che si andranno di seguito ad esplicitare.
Il primo motivo è infondato.
Con riguardo al tema della motivazione rafforzata, la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che tale obbligo si impone per il giudice di appello tutte le volte in cui ritenga di ribaltare la decisione del giudice di primo grado di assoluzione non operando invece nel caso di conferma della sentenza di primo grado, perchè, in questa ipotesi, la motivazione della decisione di appello si salda con quella precedente fino a formare un unico complesso argomentativo. Per motivazione rafforzata deve intendersi quella che abbia una "forza persuasiva superiore", in grado cioè di conferire alla "nuova" decisione la maggior solidità possibile. La motivazione rinforzata presuppone ed impone, innanzitutto, una cautela decisionale, cioè un'attenzione valutativa ed una prudenza deliberativa per così dire maggiorate nella disamina di quel dato istituto di diritto sostanziale o processuale, ovvero per quel determinato aspetto fattuale della vicenda giuridica (Sez. 6, n.30779 del 13/04/2021).
Fare riferimento ad una "motivazione rafforzata" significa attendersi un apparato giustificativo nel quale siano esposte quelle tappe non eludibili del percorso che il giudice è tenuto a compiere nell'attività di giudizio che possono riguardare tanto profili di diritto sostanziale quanto di diritto processuale, segnate direttamente dalla legge oppure ricavabili da indicazioni giurisprudenziali espresse e consolidate.
Ebbene, dalla lettura della sentenza impugnata emerge che il giudice di appello ha assolto all'onere motivazionale nei termini evidenziati.
Ed invero, sia pure in forma sintetica, affrontando il tema oggetto della contestazione, basandosi sul rapporto dello Spisal e sul contenuto del DVR, ha ritenuto che nella specie non vi fosse stata da parte del datore di lavoro una adeguata valutazione del rischio di caduta in relazione ad un'attività, quale quella di verniciatura dei manufatti di grandi dimensioni, che era usuale e non sporadica in quanto costituiva l'attività propria della società. Ed a specificare tale affermazione ha elencato le misure prevenzionali previste nel DVR evidenziando come le stesse non fossero idonee a prevenire il rischio di caduta del lavoratore addetto in casi analoghi a quello di specie, dovendosi quindi prevedere altre soluzioni tecniche.
2. Il secondo motivo è del pari infondato.
Nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Rv. 282585).
Nella specie la Corte di merito, ha premesso di non reputare necessario procedere ad una integrazione istruttoria basandosi quindi sulla lettura degli atti e delle deposizioni assunte.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
In primis va rilevato che il profilo di colpa afferente al mancato assolvimento dell'obbligo di sorveglianza da parte dei datori di lavoro non costituisce la ratio decidendi della sentenza d'appello che ha invece fondato il giudizio di responsabilità nei confronti degli odierni imputati sulla mancata valutazione del rischio di caduta per perdita di equilibrio nell'operazione di verniciatura dei manufatti.
Pertanto la censura, non attingendo la ratio decidendi, è inammissibile.
In ogni caso al di là di tale rilievo preliminare e come tale assorbente, va ribadito che in tema di infortuni sul lavoro, qualora l'evento, del quale il datore di lavoro è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all'omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell'imputazione. Come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello tale profilo di colpa peraltro poteva essere ascritto ai prevenuti proprio in forza della contestazione di colpa generica enunciata nel capo di imputazione.
4. Il quarto motivo è infondato.
In tema di sospensione condizionale della pena, fermo l'obbligo del giudice d'appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Cassazione penale sez. un., 25/10/2018, n.22533), cosa che non è avvenuta nella specie.
In conclusione i ricorsi vanno rigettati. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2024.