Cassazione Penale, Sez. 4, 21 giugno 2024, n. 24565 - Ribaltamento del bobcat durante il caricamento sul camion: prassi lavorativa scorretta e rischiosa
Nota a cura di Guariniello Raffaele, in Igiene & Sicurezza del Lavoro 8-9/2024 "Imprese in difficoltà su formazione e vigilanza"
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere
Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Rel.
Dott. MARI Attilio - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a C il (Omissis)
B.B. nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 15-05-2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE';
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
udito il difensore
E' presente l'avvocato VIRGILI TULLIO del foro di MODENA in difesa di:
C.C. Srl anche per l'avv FORMAGLIO TIZIANA in difesa di A.A. e B.B. con delega depositata in aula
Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso dell'avvocato FORMAGLIO TIZIANA
E' presente l'avvocato MALSANO GRAZIA CONCETTA del foro di CATANIA in difesa di:
A.A.
B.B.
Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso
Fatto
1. Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, ha assolto B.B. e A.A. in ordine al reato di cui agli artt. 113, 81, 589 cod. pen.
1.1. La sentenza è stata totalmente riformata dalla Corte d'Appello di Trieste che, con sentenza emessa il 15 maggio 2023, ha condannato i due imputati alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione ciascuno. Agli imputati è stato contestato di aver cagionato per colpa la morte del lavoratore D.D., dipendente della C.C. Srl, della quale il A.A. era Presidente del CdA e B.B. vicepresidente e responsabile tecnico.
1.2. I fatti così emergono dalle sentenze di merito. In data 12 settembre 2012, nel corso dei lavori per la posa di cavi di fibra ottica nel comune di C, durante la fase di sgombero del cantiere, D.D., escavatorista, riportava gravi lesioni cranio encefaliche in esito al ribaltamento del macchinario utilizzato presso il cantiere, denominato "bobcat", ribaltamento avvenuto mentre il bobcat veniva caricato su un camion. Agli imputati si era rimproverato, in punto di colpa specifica, la violazione degli artt. 36, comma 2, lett. a), 37, comma 1, 73, comma 4, D.Lgs. n. 81-2008, per aver omesso di dare adeguata informazione e formazione sui rischi specifici connessi alle attività di carico e scarico del mini escavatore con l'ausilio delle rampe di carico, per non aver fornito corretta formazione ed informazione in ordine all'utilizzo di escavatori e rampe di carico, costituenti attrezzature di lavoro richiedenti conoscenze particolari; nonché dell'art. 17 D.Lgs. n.81-2008 per non aver valutato i rischi della lavorazione consistente nell'attività di carico e scarico del mini escavatore dal camion con l'ausilio delle rampe di carico.
2. Il Tribunale considerava che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di giungere con certezza alla effettiva ricostruzione dei fatti che avevano condotto al decesso di D.D. Secondo tutti i testimoni escussi in giudizio, il D.D. si trovava alla guida del bobcat quando il mezzo era caduto durante l'operazione di carico; si era rovesciato su un lato ed il lavoratore era stato sbalzato dall'abitacolo. Secondo la consulenza del PM, il D.D. non si sarebbe trovato alla guida del bobcat, che invece gli era precipitato addosso, colpendolo con la benna, mentre il lavoratore si trovava sul cantiere a poca distanza. Riteneva comunque il primo giudice che, qualsiasi fosse l'ipotesi ricostruttiva, non poteva dirsi dimostrato il nesso eziologico tra le omissioni contestate agli imputati e l'evento. Accedendo all'ipotesi per cui il lavoratore fosse alla guida del mezzo, il predetto lavoratore aveva tenuto una condotta imprudente, consistita nel mancato uso della cintura di sicurezza e nella guida del bobcat con la benna in avanti, che ne aveva determinato lo sbilanciamento. Nel caso, invece, della ipotesi ricostruttiva dell'infortunio indicata dal CT del PM, comunque il predetto lavoratore non solo si era trovato in una zona adibita al passaggio di mezzi in movimento, ma per di più transitava sul cantiere senza indossare i dispositivi di protezione individuale, quali il casco, che lo avrebbe protetto dall'impatto mortale. Posto che era dimostrata l'avvenuta formazione dei lavoratori nonché l'adempimento degli obblighi di sicurezza, le conseguenze mortali dell'infortunio erano ascrivibili esclusivamente al lavoratore.
3. La Corte d'Appello di Trieste ribaltava la decisione del primo giudice. In primo luogo, escludeva che il lavoratore si trovasse alla guida del mezzo al momento del ribaltamento, alla luce della ricostruzione effettuata dal CT del PM e dal medico legale.
In particolare, il CT aveva rilevato che la caduta dalle rampe del bobcat non avrebbe potuto determinare lo sbalzamento del D.D., come sostenuto dai testimoni, poiché il bobcat procedeva troppo lentamente per determinare lo sbalzo del lavoratore all'esterno ad una distanza di 5 metri; inoltre il lavoratore avrebbe riportato danni in altre parti del corpo mentre egli era deceduto per un colpo alla nuca, plausibilmente riportato a seguito di una caduta all'indietro dopo essere stato colpito al volto: difatti la vittima presentava, sul viso, il segno del bullone della benna.
Riteneva la Corte che il ribaltamento del mini escavatore fosse stato causato da una serie di fattori quali l'erroneo carico del bobcat con la benna in avanti e lo scorretto fissaggio delle sponde al pianale dell'autocarro. Inoltre, evidenziava l'assoluta mancanza di formazione dei lavoratori, secondo cui era prassi non fissare le rampe di carico, nonché la mancata previsione, da parte del POS della C.C., della valutazione dei rischi per la fase di scarico e carico dei mini escavatori, nonchè l'assenza di prova circa l'avvenuta frequentazione di appositi corsi, da parte degli operai addetti, in ordine alla corretta esecuzione delle procedure di carico e scarico dei mini escavatori. Osservavano quindi i giudici di merito che il ribaltamento del mezzo si era certamente verificato a causa della scorretta esecuzione della manovra di carico con la benna in avanti e del difettoso fissaggio della rampa; che, in seguito al ribaltamento, il lavoratore era stato colpito mortalmente; che l'assenza di formazione e di valutazione del rischio connesso all'operazione avevano, quindi, provocato l'infortunio, atteso che, se la procedura fosse stata eseguita correttamente, l'evento non si sarebbe verificato. Infine, la Corte escludeva che si dovesse procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale non venendo in considerazione una questione inerente la attendibilità dei testi, ma una diversa valutazione del compendio probatorio acquisito.
4. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trieste hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, i due coimputati.
5. Con il primo motivo lamentano violazione di norme processuali previste a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c cod. proc. pen.). La Corte d'appello non aveva proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, pur addivenendo alla riforma della sentenza di primo grado in senso sfavorevole agli imputati. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 14426 del 2019, Pavan, aveva chiarito che la deposizione del perito è una prova dichiarativa e, pertanto, se risulti decisiva, vi era obbligo di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria nel caso di riforma della sentenza di assoluzione in caso di diverso apprezzamento della prova stessa. Nel caso di specie, vi era stato certamente un differente apprezzamento della prova dichiarativa, in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto attendibile la dinamica ricostruttiva del sinistro offerta dal CT del PM, che invece era stata disattesa in primo grado. La Corte aveva inoltre totalmente ignorato le tesi espresse dal CT di parte. La rinnovazione avrebbe dovuto riguardare anche l'ispettore E.E., le cui dichiarazioni erano state poste alla base della dichiarazione di responsabilità degli imputati.
6. Con il secondo motivo deducono violazione dell'art. G03 comma 3-bis cod. proc. pen. e del principio dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio. La corte non aveva minimamente argomentato sulla diversa ipotesi ricostruttiva ritenuta possibile dal CT del PM, secondo cui la vittima avrebbe potuto essere stata colpita prima della salita del mezzo sulle rampe. Era stata omessa la valutazione delle risultanze testimoniali secondo cui l'operaio sarebbe stato alla guida del mezzo e sbalzato fuori.
7. Con il terzo motivo lamentano vizio di cui all'art. GOG, comma 1, lett. d) ed e). La Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione in ordine alla ragioni della ritenuta mancanza di formazione e informazione dei lavoratori sulle operazioni di carico e scarico del mini escavatore; in particolare disattendendo totalmente, senza nemmeno farne menzione, le prove documentali e testimoniali acquisite al giudizio, quali il documento di valutazione dei rischi della C.C., il medesimo POS, ce conteneva tutte le procedure per eseguire le operazioni alle pagg. 11 e 12 del documento; l'attestato di partecipazione della vittima, D.D., del 7 agosto 2011, al corso di formazione riguardante la procedure di sicurezza per l'uso di macchine movimento terra; la deposizione del teste F.F., addetto alla formazione per l'azienda di consulenza G.G..
8. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione e vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 19, 20 e 73 del D.Lgs. n. 81-2008. La Corte territoriale si era uniformata ad un modello di responsabilità oggettiva del datore di lavoro e non al modello collaborativo, recepito dalla più recente giurisprudenza. In particolare, era stato ampiamente dimostrato che fossero state fornite ai lavoratori tutte le attrezzature di sicurezza, comprese le rampe di carico e scarico e le relative linguette per il loro fissaggio, che non erano poi state utilizzate. L'incidente era dipeso dunque da una non corretta esecuzione della prestazione lavorativa, nonostante il datore di lavoro avesse fornito le attrezzature e le relative informazioni sul loro utilizzo. Si era così innescato un rischio del tutto nuovo ed eccentrico rispetto a quello governato, in modo preciso e corretto, da datore di lavoro. La sentenza impugnata non aveva neppure considerato che la società aveva nominato un preposto, H.H., presente sul cantiere il giorno dell'infortunio, sul quale gravava quindi l'obbligo di vigilanza. Sulla predetta circostanza, sottoposta al vaglio dei giudici di merito nel dibattito processuale, la Corte d'appello non aveva fornito alcuna argomentazione.
9. Con l'ultimo motivo si deduce vizio di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento delle attenuanti. Le attenuanti generiche erano state considerate equivalenti alle contestate aggravanti senza alcuna motivazione.
10. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Il primo motivo è infondato.
2. Il principio secondo cui il giudice di appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva è obbligato, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale -principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 27620 del 28-04-2016, Dasgupta, Rv. 267489), anche con riferimento all'ipotesi di giudizio abbreviato (Sez. U, n. 18620 del 19-01-2017, Patalano, Rv. 269785) -, si riferisce alla diversa valutazione della attendibilità di una fonte dichiarativa decisiva, ed è stata estesa, di recente, anche alle dichiarazioni dei periti in dibattimento (Sez. U - n. 14426 del 28-01-2019, Pavan, Rv. 275112 01). Proprio nella suindicata pronuncia si ribadisce che, per farsi luogo alla rinnovazione, la prova deve avere il carattere di decisività, così significativamente descritta: ": a) deve trattarsi di prova che può avere ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative perché la norma non consente interpretazioni restrittive di alcun genere; b) dev'essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni), perché questo è l'unico mezzo che garantisce ed attua i principi di oralità ed immediatezza: di conseguenza, in essa non possono essere ricompresi quei mezzi di prova che si limitano a veicolare l'informazione nel processo attraverso scritti o altri documenti (art. 234 cod. proc. pen.); c) dev'essere decisiva essendo stata posta dal giudice di primo grado a fondamento dell'assoluzione. E, relativamente al concetto di decisività, non resta che ribadire quanto, sul punto, già affermato da Sez. U. Dasgupta, secondo le quali "(....) ai fini della valutazione del giudice di appello investito di una impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, devono ritenersi prove dichiarative "decisive" quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa "proscioglimento-condanna". Appaiono parimenti "decisive" quelle prove dichiarative che, ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell'esito di condanna. Non potrebbe invece ritenersi "decisivo" un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che in sè considerato non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell'affermazione della responsabilità (....)". d) di essa il giudice di appello deve dare una diversa valutazione. Solo ove sussistano, congiuntamente, tutte le suddette condizioni, il giudice di appello ha l'obbligo di rinnovare l'istruttoria" (sentenza Pavan, in motivazione).
3. Nel caso in esame, la riforma della pronuncia assolutoria non è stata basata sull'accertamento della ricostruzione del sinistro (ritenuto, invece, non dimostrato dal primo giudice), bensì sulla esclusione di una ipotesi di comportamento abnorme del lavoratore e del rilievo di un preciso profilo di colpa da parte del datore di lavoro, consistente nella omessa formazione circa le corrette operazioni di carico e scarico del bobcat sui mezzi di trasporto e nella omessa vigilanza circa l'adozione di prassi lavorative scorrette e rischiose. Dette omissioni, avuto riguardo al tessuto motivazionale della sentenza di primo grado, hanno certa incidenza causale sia ove si fosse ritenuto che il lavoratore si trovasse all'interno del bobcat, sia che, come affermato dalla Corte territoriale, il lavoratore si trovasse nelle immediate vicinanze, ma non alla guida del mezzo. A ciò si deve aggiungere che, come precisato da ultimo dalle sezioni semplici di questa Corte, in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria, sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria quando la prova decisiva riguardi le dichiarazioni rese in dibattimento dai consulenti tecnici e dai periti, ancorché siano state acquisite le loro relazioni, là dove nella motivazione della sentenza di "overturning" tali dichiarazioni siano state autonomamente valorizzate e rivalutate (Sez. 5 -, n. 7379 del 21-11-2023, Fontanella, Rv. 285980 -01). Orbene, dalla semplice lettura della sentenza di appello può rilevarsi come i giudici di merito abbiano fatto riferimento alla relazione peritale, e non alle dichiarazioni del perito, diversamente valutate. Quanto, infine, alla richiesta di rinnovazione delle dichiarazioni dell'ispettore E.E., non risulta, dall'esame delle due sentenze di merito, che le predette dichiarazioni siano state diversamente valutate e apprezzate, poiché ambedue le pronunce hanno dato atto che - come emerge dalla deposizione dell'ispettore ASL - non erano state correttamente fissate le rampe di risalita della benna escavatrice sul camion, in quanto non erano state utilizzate le apposite linguette. Non sussiste, dunque, il presupposto per far luogo alla rinnovazione, ossia la differente ed opposta considerazione di una prova dichiarativa con carattere di decisività.
4. Tanto premesso, la Corte territoriale ha comunque argomentato in modo lineare e convincente sulla valutazione della assoluta plausibilità della tesi del CT del PM e la assoluta illogicità di qualsiasi ricostruzione alternativa, considerando, alla luce della ricostruzione effettuata dal CT del Pm e delle risultanze dell'esame autoptico (mai valutato dal primo giudice) che: 1) la caduta dalle rampe del bobcat non avrebbe potuto determinare lo sbalzamento del D.D., poiché il bobcat procedeva troppo lentamente per determinare una spinta centrifuga così forte da provocare lo sbalzo del lavoratore che pesava circa 90 kg all'esterno ad una distanza di ben 5 metri; 2) il lavoratore avrebbe riportato danni in altre parti del corpo mentre egli era deceduto per un colpo alla nuca, plausibilmente riportato a seguito di una caduta all'indietro dopo essere stato colpito al volto; 3) come emerge dalla relazione del medico legale, infatti, la vittima presentava, sul viso, il segno del bullone della benna, non altrimenti spiegabile. Quanto esposto conduce a ritenere la infondatezza del secondo motivo, incentrato sulla violazione del principio dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio. Va rammentato il principio secondo cui la condanna può essere pronunciata solo se l'imputato risulti colpevole "oltre ogni ragionevole dubbio", non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva una ricostruzione alternativa del fatto emersa in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale differente prospettazione sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice, il quale abbia individuato gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta posti a base della condanna, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 1, n.53512 del 17 luglio 2014, Rv. 261600; Sez.4, n. 22257 del 25 marzo 2014, Rv. 259204). Orbene, la violazione del principio, secondo il ricorrente, si appunta nell'aver trascurato la considerazione, parimenti espressa dal CT del pm su domanda della difesa, secondo cui in ipotesi, sarebbe stato possibile inscenare anche una caduta accidentale: si tratta, come è agevole rilevare, di una ricostruzione alternativa rimasta nell'alveo delle mere congetture, laddove la tesi ricostruttiva affermata dalla Corte territoriale poggia sugli elementi di fatto sopra evidenziati che sono dotati di indiscutibile tenuta logica. E, a riprova di ciò, basti considerare che, con i motivi di ricorso, la coerenza del ragionamento della Corte territoriale non è stata mai posta in discussione con argomentazioni idonee a scardinare la tenuta della motivazione in rapporto al compendio istruttorio esaminato (si ripete, esame autoptico attestante la tipologia delle lesioni, possibilità, in rapporto alla velocità del mezzo, di essere sbalzati a distanza di ben 5 metri, segno del bullone della benna sulla fronte del lavoratore vittima di infortunio).
5. Anche il terzo motivo è infondato. E' indiscusso che il bobcat era stato fatto salire sull'autocarro con la benna in avanti (con evidenti rischi di ribaltamento) e che il pianale era stato montato in modo non corretto, ossia senza procedere al fissaggio con le apposite linguette. Tanto risulta, come dà atto la Corte territoriale, dalla deposizione dell'ispettore E.E. (invero, a seguito del fatto, erano state mosse specifiche contestazioni alla C.C.), e la circostanza viene considerata del tutto pacifica anche dal giudice di primo grado (cfr. pag. 7). Ciò posto, la sentenza impugnata dà rilievo alla deposizione dei lavoratori I.I.. e J.J., secondo cui era prassi appoggiare le rampe di carico al pianale senza fissarle con le linguette.
Orbene i ricorrenti, senza mettere in discussione la risultanza probatoria valorizzata dalla Corte d'appello, lamentano la mancata valutazione dell' attestato di formazione del lavoratore vittima di infortunio in ordine all'uso dei mezzi escavatori, nonché l'aver disatteso la deposizione del teste F.F., addetto alla formazione per l'azienda G.G., specializzata in corsi di formazione per la sicurezza sul lavoro, che avrebbe "precisato le tematiche impartite in ambito formativo e informativo in relazione alla attività d'impresa" . La doglianza, oltre palesarsi generica e carente del requisito di autosufficienza (di cui in seguito si dirà), non intacca comunque la coerenza dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in quanto, come si evince anche dal tenore del motivo - che fa generico riferimento alle" tematiche impartite in ambito formativo e informativo" - non viene neppure dedotto che sarebbe stata dispensata ai dipendenti, se non al D.D. (unico per il quale risulterebbe un attestato) una formazione specifica circa l'uso delle macchine movimentatrici. Nulla, inoltre, è precisato in ordine alla formazione specifica circa non solo l'uso delle macchine escavatrici, ma alle procedure di carico e scarico delle macchine predette. Soprattutto, la doglianza non è idonea a superare il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi "contra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4 -, n. 20092 del 19-01-2021, Rv. 281174-01; Sez. 4 -, n. 10123 del 15-01-2020, Rv. 278608 -01). Le prassi diffuse in un'impresa o anche in un determinato ambito imprenditoriale non possono infatti superare le prescrizioni legali, in quanto non hanno natura normativa e, seppure assurgessero a vere e proprie consuetudini, resterebbero norme di rango inferiore (v., anche Sez. 4, n. 26294 del 14-03-2018 ud. - dep. 08-06-2018, Rv. 272960 01, secondo cui, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi" contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche).
6. In conclusione, l'accertata prassi di non assicurare con gli appositi strumenti il corretto montaggio del pianale sul quale doveva salire il bobcat integra un sicuro profilo di colpa del datore di lavoro, non essendo neppure contestata la certa incidenza causale della scarsa stabilità del pianale sul ribaltamento del bobcat, con le gravissime conseguenze per il lavoratore (sia che egli si trovasse alla guida, sia che si trovasse nelle vicinanze del camion).
7. Fermo restando quanto precisato in ordine all'esercizio delle prassi scorrette da parte dei lavoratori, va rilevato, quanto all'ultima doglianza, secondo cui la Corte non avrebbe considerato che vi era il preposto sul cantiere, che detta doglianza si palesa del tutto generica e comunque carente del requisito di autosufficienza.
Invero, secondo la prospettazione del ricorso, l'esistenza della figura di un preposto sul cantiere sarebbe emersa dalla deposizione del teste K.K. sia dalle deduzioni della memoria difensiva depositata in grado di appello (il ricorso richiama in nota la pag. 19 non già della memoria, ma della relazione tecnica di parte dell'ing.Omissis, e senza allegare alcunchè). Orbene, è del tutto costante l'indirizzo secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (Sez. 4, n. 46979 del 10-11-2015, Bregamotti, Rv. 265053 -01; Sez. 2, n. 20677 del 11-04-2017, Schioppo. Rv. 27007101 Sez. 1 -, n. 48422 del 09-09-2019, Novella, Rv. 277796 -01).
8. Infine, è infondato anche l'ultimo motivo. Va invero rammentato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25-02-2010 Ud. (dep. 18-03-2010) Rv. 245931 -01, Sez. 2, n. 31543 del 08-06-2017 Ud. (dep. 26-06-2017) Rv. 270450 -01). La Corte ha motivato il giudizio di equivalenza valorizzando, in modo congruo e non illogico, la gravità dei profili di colpa, attese le accertate prassi lavorative di sicura pericolosità. Infine, va ricordato il consolidato il principio per cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. peno con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa", essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27-04-2017 ,Rv. 271243; Sez. 2, n. 36245 del 26-06-200 9, Rv. 245596 -01). Non può cogliersi, dunque, alcun vizio di motivazione riguardo alla dosimetria della pena.
9. Si impone quindi il rigetto del ricorso. Segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2024
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2024