Cassazione Penale, Sez. 4, 26 luglio 2024, n. 30616 - Crollo della Torre dei Piloti


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. MICCICHÈ Loredana - Relatore

Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale presso Corte d'Appello di Genova dalla parte civile;

A.A. nato a P il (Omissis);

nel procedimento a carico di:

B.B. nato a B il (Omissis),

nel procedimento a carico di quest'ultimo;

C.C. nato a T il (Omissis);

D.D. nato a C il (Omissis);

E.E. nato a G il (Omissis);

F.F. quale membro Comm Rel 3 Comm Cslp nato a R il (Omissis);

G.G. nato a G il (Omissis);

inoltre:

H.H. nato a M il (Omissis);

I.I. nato a P il (Omissis);

J.J. nato a M il (Omissis);

K.K. nato a P il (Omissis);

L.L. nato a B il (Omissis);

M.M. nato a M il (Omissis);

N.N. nato a M il (Omissis);

Assoc. Naz. Lavorat. Mutil. e Inv. Lav. Onlus - Anmil;

Assoc. Volont, "Vittime Del Dovere" Onlus;

Ministero della Difesa;

Ministero delle Infrastrutture e Trasporti;

Autorità Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Corrente di G;

O.O. deceduto nato a L il (Omissis);

P.P. nato a G il (Omissis);

avverso la sentenza del 10/03/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHÈ;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE FIMIANI che ha concluso chiedendo,

il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso del Procuratore Generale e della parte civile.

Udito il difensore.

Preliminarmente la Corte dà atto che per l'imputato non ricorrente Ing. F.F. era stato nominato un difensore d'ufficio: non essendo all'epoca ancora pervenuta la memoria dall'Avvocatura dello Stato.

Il Presidente fa presente che il difensore di ufficio presente è esonerato dal suo incarico essendo presente l'Avvocato NOVARESI GIUSEPPE del foro di GENOVA.

È presente l'avv. GUARINI ALESSANDRA del foro di BIELLA, difensore della parte civile ricorrente A.A. e dell'ASSOCIAZIONE ANMIL che insiste per raccoglimento del ricorso depositando la nota spese.

È presente l'avvocato BIGLIAZZI STEFANO del foro di GENOVA in difesa di M.M. e N.N. che insiste per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata come da conclusioni scritte e nota spese depositate in udienza.

L'avv. BIGLIAZZI deposita nomina a sostituto processuale dell'avv. SORRENTINO ARMANDO del foro di PALERMO, difensore della parte civile ricorrente B.B. ed insiste per l'annullamento della sentenza, depositando conclusioni scritte e nota spese.

È presente l'avvocato BULGHERONI CESARE GRAZIANO del foro di MILANO in difesa di J.J. che insiste per l'annullamento della sentenza impugnata, come da conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese.

È presente l'avvocato GABRIELLI MASSIMILIANO del foro di ROMA difensore di K.K. che si riporta alle conclusioni già presentate chiedendo di accogliere il ricorso del PG ed in subordine quello della parte civile.

È presente l'avvocato SCIELLO ANDREA del foro di GENOVA in difesa della parte civile I.I. che insiste per l'annullamento della sentenza impugnata riportandosi alle conclusioni scritte depositate in udienza unitamente alla nota spese.

È presente l'avvocato MACCIONI STEFANO del foro di ROMA in difesa dell' ASSOC. VOLONT. "VITTIME DEL DOVERE" ONLUS che chiede l'accoglimento del ricorso del PG come da conclusioni scritte depositate in udienza unitamente alla nota spese.

È presente l'avvocato OLCESE EMANUELE del foro di GENOVA, in sostituzione dell'avv. FOSSA GIORGIO del foro di GENOVA difensore del responsabile civile AUTORITÀ SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE OCCIDENTALE CORRENTE DI G che si riporta alla memora già presentate.

È presente l'avvocato LEMBECK GIORGIO del foro di GENOVA difensore dei responsabili civili MINISTERO DELLA DIFESA e MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, che si riporta alle conclusioni già presentate.

È presente l'avvocato VERNAZZA SIMONE del foro di CHIAVARI in difesa di G.G. che chiede la conferma della sentenza impugnata riportandosi alle conclusioni del PG.

È presente l'avvocato MONTEVERDE ERNESTO del foro di GENOVA in difesa di C.C. che riportandosi alla memoria già depositata chiede la conferma della sentenza della sentenza impugnata.

È presente l'avvocato FRANZONE SABRINA del foro di GENOVA in difesa di D.D. che chiede la conferma della sentenza impugnata.

È presente l'avvocato SCIACCHITANO GIUSEPPE del foro di GENOVA in difesa di E.E. che si associa alle richieste del Procuratore Generale, chiedendo il rigetto del ricorso del PG.

È presente l'avvocato NOVARESI GIUSEPPE del foro di GENOVA in difesa di F.F., quale membro comm. rel. 3 comm. C.S.L.P. che chiede la conferma della sentenza impugnata.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Genova, con sentenza del 10 marzo 2023, in riforma della sentenza del Tribunale di Genova del 15 settembre 2020, ha assolto D.D., E.E., F.F., C.C. e G.G. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato, revocando le statuizioni civili nei confronti degli imputati e dei responsabili civili Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero della Difesa e Autorità Portuale di G. Dichiarava non doversi procedere per morte del reo nei confronti di O.O.

1.1. Agli imputati erano state elevate le seguenti contestazioni.

1.2. A E.E. e D.D. il reato di cui all'art. 113, 589 commi 1 e 3, perché, quali dirigenti tecnici del Consorzio Autonomo del Porto di G, D.D. quale ingegnere capo e E.E. quale dirigente, in cooperazione tra loro, per colpa derivante da negligenza, imprudenza e imperizia, redigevano il progetto precontrattuale per la costruzione della Torre Piloti del Porto di G, che prevedeva l'inserimento della suddetta torre a cavallo della banchina, senza tenere conto delle azioni non ordinarie che incidevano sulla struttura, quali l'urto delle navi in manovra nello spazio acqueo. In esecuzione di detto progetto, la Torre era stata quindi costruita in assenza di qualsiasi protezione in adiacenza ad un'area di manovra ed evoluzione delle navi, ciò con specifica inosservanza di norme, in particolare della Circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 9 novembre 1978 e 24 maggio 1982, che prevedeva di considerare le azioni non ordinarie tra le quali erano citate gli urti, e comunque in violazione di specifiche discipline per la buona costruzione delle strutture portuali, in particolari nelle zone adiacenti all'area di manovra. Difatti, a seguito dell'urto della nave Q.Q. con la Torre, si verificava il crollo della struttura ed il conseguente decesso di nove persone nonché il grave ferimento di altre quattro, presenti all'interno della Torre per motivi di servizio.

Ai predetti imputati era stato altresì contestato il reato di cui all'art. 113, 449, 434 e 40, comma 2, cod. pen. per aver cagionato il crollo della Torre Piloti del porto di G, e delle palazzine annesse, con l'aggravante di cui all'art. 61, comma 9, cod. pen., per avere commesso il fatto con violazione dei doveri derivanti da pubblica funzione o da pubblico servizio.

1.3. Al F.F. i reati erano stati contestati quale membro della Commissione relatrice della III sezione del Consiglio Superiore dei lavori pubblici con competenza specifica sul controllo tecnico delle opere marittime e portuali, poiché approvava, rendendo parere favorevole sia in relazione alla costruzione sia in relazione al posizionamento della Torre, il progetto precontrattuale per la costruzione della Torre Piloti del Porto di G, che presentava le carenze sopra descritte.

1.4. C.C. era stato chiamato a rispondere del reato di omicidio e lesioni colpose, nonché del reato di crollo colposo poiché, in qualità di ufficiale comandante della Capitaneria di porto di G, con la qualifica di direttore marittimo e capo compartimento marittimo ai sensi dell'art. 17 del codice della navigazione e con obblighi di garantire la sicurezza e i poteri derivanti dagli artt. 62, 63 e 81 cod. nav. e dell'art. 59 del regolamento per la navigazione marittima, in presenza di una situazione di particolare pericolo costituita dalla presenza di una torre alta oltre 50 mt in vetro e cemento posizionata a cavallo della banchina in area prospiciente ad una zona di manovra ed evoluzione delle navi anche di grandi dimensioni, totalmente priva di qualunque protezione rispetto agli urti delle navi, ometteva di adottare le specifiche e doverose disposizioni atte ad eliminare il rischio di incidenti in caso di avarie o errori di manovra delle navi che si muovevano nell'area situata a pochi metri dalla struttura.

1.5. Ad C.C. era stato contestato anche il reato omicidio colposo e lesioni colpose in riferimento all'art. 2087 cod. civ. e agli artt. 17, 28 e 33 del D.Lgs. n.81/2008, perché, quale datore di lavoro dei militari della Capitaneria di Porto Guardia Costiera di G, vittime del disastro, non adottava le misure idonee a tutelare la loro integrità fisica. In particolare, avendo adibito e continuato ad adibire a luogo di lavoro i locali della Torre Piloti del porto di G situata a ciglio banchina in area prospiciente allo spazio di manovra di navi di rilevanti dimensioni, aveva omesso di valutare il notorio rischio derivanti da urti di navi in manovra, non aggiornando il documento di valutazione dei rischi e non predisponendo alcuna misura atta a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori in relazione a tali eventi.

1.6. Al G.G. veniva elevata la medesima contestazione dell'C.C., in riferimento all'art. 2087 cod. civ., in qualità di datore di lavoro poiché capo della Corporazione dei Piloti.

2. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito.

2.1. Il 7 maggio 2013, alle ore 22.16, la nave Q.Q. aveva mollato gli ormeggi della banchina R.R., sede del terminal della società S.S., iniziando la manovra per uscire dal Porto di G attraverso l'uscita T.T.. Detta manovra consisteva nel procedere a marcia indietro lungo il canale di U.U. al fine di raggiungere il bacino dell'avamporto ed iniziare la manovra di evoluzione una volta raggiunto il cd taglio della V.V., che segna il confine tra il canale e il bacino dell'avamporto. All'interno del predetto bacino la nave avrebbe proceduto all'evoluzione in senso antiorario e con l'ausilio di due rimorchiatori, orientando la prora verso l'imboccatura di T.T., per poi procedere in avanti e uscire dal porto. Al fine di invertire il senso di marcia, attese le caratteristiche dell'unico motore in dotazione, occorreva arrestare il motore, predisporre l'asse a camme nella direzione di marcia opportuna e riavviare il motore. Per arrestare la spinta dell'elica occorreva infatti arrestare il motore. La Q.Q. aveva dunque attraversato il taglio della V.V. alle ore 23.53 alla velocità di 3.4 nodi. All'uscita dal canale di U.U. era stata fermata la macchina e dato l'ordine di andare avanti molto adagio. La macchina invece non era ripartita e di ciò chi stava al comando se ne era avveduto circa un minuto dopo, quando la nave si trovava a soli 70 metri dalla Torre Piloti e stava procedendo ad una velocità di circa tre nodi. Quindi, alle ore 22,59 lo spigolo sinistro della poppa della Q.Q. era entrato in contatto con la Torre Piloti causandone il crollo. La causa immediata della tragedia era dunque stata, secondo la ricostruzione effettuata nel giudizio di primo grado, la mancata ripartenza del motore a marcia avanti. Al sesto piano della Torre vi era la sala operativa della capitaneria di Porto ed erano ivi presenti i dipendenti. Al piano sottostante operavano i piloti della Corporazione piloti e i dipendenti della società Rimorchiatori riuniti. In seguito al crollo erano deceduti W.W., X.X., Y.Y., Z.Z., A.A.A., B.B.B., C.C.C., D.D.D. e E.E.E., mentre I.I., F.F.F., G.G.G. e H.H. avevano riportato lesioni personali.

2.2. Va rilevato che questa Corte si è pronunciata (Sez. 4, n. 6490 del 26/11/2020 Ud. (dep. 19/02/2021), PG in proc H.H.H.) in ordine alla posizione dei membri dell'equipaggio, affermandone la penale responsabilità. A seguito del passaggio in giudicato delle sentenze di merito, risulta accertato definitivamente che la nave era partita con l'avaria del contagiri in plancia, che impediva un adeguato controllo circa la ripartenza del motore; durante la manovra, nonostante il suono dell'allarme, non era stato tempestivamente rilevato che il motore non era ripartito, pur in presenza di elementi sintomatici (velocità elevata, traiettoria anomala, vicinanza alla Torre), la procedura di riavvio era stata condotta erroneamente, non riportando la leva del telegrafo sullo "stop"; era stato ordinato con grave ritardo di dare fondo alle ancore; non era stato ordinato di spostare il timone a destra. L'avaria del contagiri in plancia riguarda un apparato fondamentale per la sicurezza della navigazione, la cui presenza in plancia è imposta da normative internazionali e nazionali. A seguito di tale avaria avrebbe dovuto quantomeno essere vietato di mantenere il controllo della propulsione della nave in plancia, come invece era stato disposto dal Comandante, in palese violazione delle regole di sicurezza della navigazione. Del resto, è proprio a causa del mancato funzionamento del contagiri che il personale apicale presente in plancia non aveva preso tempestivamente coscienza del mancato avvio del motore, venendosi così a determinare un colpevole ritardo nell'adozione di contromisure idonee ad evitare o attenuare l'urto contro la Torre.

3. LA SENTENZA DI PRIMO GRADO

3.1. Il primo giudice, dato atto che la società proprietaria della nave Q.Q. e i soggetti coinvolti nella manovra erano stati separatamente giudicati, ha condannato i progettisti D.D. e E.E. e il P.P. (assolto in appello) che aveva approvato il progetto; nonché il F.F., membro della Commissione lavori pubblici; ha dichiarato altresì responsabile per i reati ascritti l'C.C. e il G.G., con le conseguenti statuizioni in favore delle parti civili costituite. Infine, ha condannato i responsabili civili Ministero della Difesa, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Autorità di sistema portuale del Mar ligure occidentale al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

3.2. Ha ritenuto il primo giudice, quanto alla posizione dei progettisti D.D., E.E. e P.P. (in seguito deceduto) l'insussistenza del profilo di colpa specifica contestato, legato alle prescrizioni delle circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 18591/78 e 22631/82 che prevedevano, nell'ambito della costruzione di strutture in ambito portuale, la necessità di considerare le azioni "non ordinarie", tra le quali gli urti. Le predette circolari, però, si riferivano espressamente alle progettazioni effettuate con il metodo costruttivo degli "stati limite", mentre la Torre Piloti era stata pacificamente progettata e realizzata sulla base del differente metodo costruttivo delle "tensioni ammissibili". In ordine a tale metodo, erano invece applicabili le differenti prescrizioni contenute nel D.M. 30.5.1972 ove non vi era cenno alcuno delle azioni eccezionali. Il primo giudice si è quindi concentrato sulla ricerca nell'ambito dei saperi tecnici compendiati in raccomandazioni generali relative alla ingegneria marittima e portuale. Si dà conto, nella sentenza di primo grado, che i testi paranormativi considerati si occupano prevalentemente dell'analisi delle azioni eccezionali nei casi, diversi da quello che aveva portato la Q.Q. a urtare contro la Torre piloti, in cui la nave si trovava in fase di accosto verso la banchina di ormeggio e non erano applicabili nell'ordinamento italiano. Il primo giudice, sulla scorta della ricognizione operata dai CT del PM, ha poi esaminato le pubblicazioni di autorevoli associazioni internazionali: la IAPH (International Association Port and Harbour) e PIANC (Permanent International Association of Navigation Congress), attinenti alle buone pratiche da seguire in ordine alla costruzione di strutture portuali. È stata quindi compiuta una analisi della documentazione costituita dalla raccolta delle raccomandazioni predette, ricavandosene, quanto al testo IAPH denominato "Guidelines of Port Safety and enviromental protection", che è espressamente affermato il rischio di collisioni non solo tra navi in movimento all'interno del porto, ma anche tra una nave in movimento ed una ormeggiata in banchina; relativamente al testo "Port Engeneering", dedicato alle raccomandazioni da seguire per la progettazione delle aree portuali destinate alle manovre ed di evoluzione, quale quella che aveva interessato la Q.Q. la sera del tragico incidente, che l'area di manovra doveva essere pari al doppio della lunghezza della nave se la manovra è effettuata con l'ausilio dei rimorchiatori (stesse raccomandazioni si ricavano dai testi "The Damage Inflicted BY Ships With Bulbous bows on underwater structures, Techical standards for ports and harbour facilities in Japan, Port design, Guidelines and recommendations , Proceedings of eleventh conference). La sentenza di primo grado ha quindi concluso che la necessità di distanziare adeguatamente le strutture e le istallazioni dal ciglio della banchina, pur non positivizzata in una regola cautelare scritta, "risulta chiaramente implicata dall'esame delle indicazioni, ricavabili dai testi del settore, relative ai pericoli di urto nel corso della navigazione e della manovra portuale". La conclusione, dunque, è stata nel senso che non vi è certamente una regola espressa, ma ricavabile implicitamente dai testi di riferimento, in particolare dal testo "The damage inflicted by ships with bulbous bows on uderwater structures", del 1990, che contemplava particolari accorgimenti per evitare il danneggiamento delle strutture dei muri di sponda e ei pali delle banchine (posti sott'acqua) da parte della prua di navi "a bulbo".

3.3. La sentenza di primo grado ha poi analizzato le conclusioni del CT sullo stato dei luoghi, evidenziando che all'epoca della progettazione il molo I.I.I. era più ampio (con diametro di circa 600 metri, e ridotti a 550 allo stato attuale in ragione del tombamento della calata J.J.J.) e quindi presentava una misura adeguata, nonché la tipologia di manovre di evoluzione che potevano essere eseguite in avamporto, in particolare la manovra in entrata e la manovra in uscita, del tipo di quella eseguita la sera del sinistro (ingresso di prua all'interno del canale di U.U. ruotando in uscita all'ingresso dell'avamporto, dopo aver percorso a marcia indietro il canale). La sentenza di primo grado ha dato atto che, all'epoca della progettazione, la percentuale delle manovre di evoluzione in avamporto non era elevata ed era sicuramente inferiore alle manovre invece eseguite negli anni successivi, in seguito alla crescita del traffico navale e alle modificazioni del porto. Ma il fatto che comunque l'avamporto fosse destinato alle manovre di navi avrebbe dovuto far dubitare i progettisti della sicurezza della struttura, posta sul ciglio della banchina senza protezioni. Il primo giudice ha rilevato che la adeguata larghezza del bacino di evoluzione, la minore incidenza di manovre in avamporto all'epoca, gli apparati che rendevano sicure le manovre di cui trattasi (ausilio di rimorchiatori e sistemi di pilotaggio) non erano elementi sufficienti ad escludere la colposa sottovalutazione dei rischi per la sicurezza dell'edificio. In proposito, ha osservato che "Il dato relativo agli urti di navi contro strutture portuali era prevedibile, in quanto posto a fondamento dei vari testi di riferimento per l'ingegneria portuale all'epoca della progettazione e direttamente attingibile dalle statistiche relative alla incidentalità marittima allora disponibili, oltre che dalla stessa esperienza all'interno del porto di G". Altrettanto prevedibili dovevano essere gli ordinari fattori di causazione degli urti, ossia l'errore umano e la avaria delle macchine che infatti avevano determinato il disastro nel caso concreto, contro i quali era certamente insufficiente la cautela rappresentata dalla ampiezza del bacino di evoluzione. Né poteva affermarsi che il rischio di urti era possibile solo per le banchine di ormeggio, sussistendo, invece, fattori quali l'errore o l'avaria che potevano determinare il rischio di urti anche per le manovre in evoluzione, cosa che emergeva anche dalla lettura delle raccomandazioni prima elencate. Il giudizio circa la prevedibilità dell'evento non poteva essere confuso con la scarsa probabilità della sua verificazione, in quanto anche l'evento scarsamente probabile, se prevedibile ed evitabile, impone l'adozione di idonee regole cautelari da parte dell'agente modello. Secondo il primo giudice, la giurisprudenza di legittimità confortava tale conclusione, poiché aveva ribadito che gli eventi rari rientrano nell'alveo della prevedibilità. Non era invece necessario costruire la Torre piloti nel punto sul quale era stata costruita. Né poteva essere presa in considerazione la concreta concatenazione causale che aveva determinato, in concreto, l'evento accaduto, e cioè la enorme gravità degli errori compiuti dall'equipaggio della nave, in quanto il giudizio di prevedibilità deve riguardare non l'evento concretamente verificatosi, ma la classe di eventi cui appartiene il fatto accaduto. Tale classe andava dunque individuata nell'urto contro le strutture portuali determinato da errore umano o avaria delle navi in manovra in fase di ormeggio e in fase di evoluzione. Tanto premesso, con riguardo alla capacità dell'agente di prevedere tale evento, tenendo presente il parametro del cd agente modello, ossia dell'uomo ejusdem condicionis et professionis, non era revocabile in dubbio che gli imputati D.D. e E.E., ingegneri, componenti dell'ufficio tecnico del CAP, appartenevano al circolo di persone in grado di conoscere ed applicare tutto il compendio normativo dell'epoca e prevedere quindi l'urto contro le strutture portuali delle navi in manovra, sia di ormeggio che di evoluzione. Non poteva sostenersi che la collocazione sul ciglio del molo I.I.I. fosse l'unica possibile per la Torre, in quanto ciò non era necessario per assicurare l'operatività dei piloti che dovevano salire a bordo delle navi per aiutare i comandanti nelle manovre, essendo per ciò sufficiente la mera vicinanza tra la stazione dei piloti e la darsena di stazionamento delle cd " pilotine", ossia i mezzi usati per raggiungere le navi. Ancora, non poteva sostenersi l'unicità del punto in cui costruire la Torre sulla base del fatto che il molo I.I.I. era l'unico punto che offriva la completa visuale dell'avamporto e della imboccatura del porto: la necessità di tale punto di osservazione si poneva per il caso di pilotaggio da remoto (non a bordo), in cui il pilota ha necessità di vedere la nave che stata coadiuvando nella manovra, non è invece necessaria per il pilotaggio a bordo, quale quello che attualmente si esegue nel Porto di G a seguito del crollo della Torre Piloti e del posizionamento nella Torre in altra sede (ponte K.K.K.) in cui non si vede l'imboccatura del porto e l'avamporto. Né era ostativa la considerazione per cui la vecchia Torre piloti non avrebbe potuto essere sopraelevata sussistendo un vincolo, poiché detto vincolo avrebbe potuto essere rimosso in considerazione di una doverosa rivalutazione degli interessi concernenti la sicurezza, ove rappresentati. Inoltre, era emersa, per stessa ammissione del D.D., la possibilità di costruire la Torre in zona fieristica, zona che avrebbe permesso la visuale completa sul porto, ma a ciò non si era proceduto per non intralciare lo sviluppo della zona predetta, con evidente sottovalutazione dell'interesse della sicurezza rispetto a quello dello sviluppo della zona. La indispensabilità della collocazione non era emersa neppure per i rimorchiatori, ed a riprova di ciò bastava il fatto che, a seguito del crollo, gli edifici in cui erano ospitati i piloti e i rimorchiatori non avevano visuale sulla imboccatura del porto, senza disservizio alcuno. Il comportamento che i progettisti avrebbero dovuto adottare, dunque, era, se non proporre un'altra ubicazione, progettare un sistema di protezione dagli urti compiutamente descritto dal CT del PM, protezione che non avrebbe significativamente ristretto il bacino e sarebbe stata efficace.

3.4. Quanto agli imputati O.O. (poi deceduto) e F.F., la sentenza di primo grado, riprendendo parte delle considerazioni evidenziate per i progettisti, dopo aver esaminato i verbali dell'Adunanza del CSLP (Comitato Superiore Lavori Pubblici) ha dichiarato la responsabilità penale degli imputati poiché avrebbero dovuto prevedere che un manufatto, privo di protezioni, posizionato a cavallo di una banchina portuale, era soggetto a rischio di urti da parte delle navi. Il comportamento che avrebbe dovuto adottare l'Ing. F.F. era dunque quello di sollecitare un supplemento di informazioni all'Autorità Portuale che aveva richiesto il parere, e, dopo averle acquisite, dare un parere negativo che avrebbe con ogni probabilità impedito che il progetto costruttivo fosse portato a termine, mentre il parere favorevole aveva di fatto grandemente agevolato la realizzazione dell'opera. La condotta esigibile da parte dell'Ing. F.F. rientrava infatti nei compiti che la legge assegna al Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, i quali, anche secondo la deposizione chiarificatrice dell'Ing. L.L.L., segretario del CSLP all'epoca, consistevano nel valutare la bontà tecnica del progetto.

3.5. Venendo alla posizione dell'ammiraglio C.C. quale Comandante del Porto, la sentenza di primo grado, in ordine alla posizione di garanzia rivestita, ha riconosciuto che è l'Autorità portuale (e non l'autorità marittima, quale l'C.C.) ad avere competenza sulle opere portuali (come la Torre) e in generale sulla sicurezza delle "operazioni portuali". Il primo giudice ha considerato che secondo l'art. 6 della legge n. 84 del 1994, letta in combinato disposto con le norme citate nel capo di imputazione, al Comandante del porto - autorità marittima- spetta la competenza sulla sicurezza del Porto comprensiva anche delle strutture.

Il ragionamento sulla ritenuta responsabilità di C.C. è stato così articolato:

1) quale comandante di un porto di rilievo internazionale, l'agente modello avrebbe proceduto ad una attenta disamina di rischi del porto affidato alla sua competenza;

2) egli, dotato delle specifiche competenze di cui era portatore, avrebbe dovuto rendersi conto del fenomeno del cd gigantismo navale, e cioè del fatto che, dopo che l'opera era stata costruita, erano aumentate le dimensioni delle navi; avrebbe dovuto tener conto dell'aumento del traffico nel bacino del molo I.I.I., che nel frattempo si era ristretto a causa dei lavori di tombamento della calata oli minerali;

3) l'aumento delle dimensioni delle navi e delle manovre eseguite nel bacino all'epoca dei fatti avrebbero dovuto rendere prevedibile il rischio, con una adeguata presa di coscienza dei fattori di causazione degli incidenti, ossia l'avaria e l'errore umano;

4) le indagini avevano permesso di acquisire dati dai quali si rilevava la incidentalità del porto di G, in particolare si erano verificati tra il 2000 e il 2013 n. 32 incidenti relativi ad urti di navi contro le strutture portuali;

5) detti incidenti avrebbero dovuto essere conosciuti all'C.C., che avrebbe dunque dovuto valutarli e prevedere l'evento verificatosi;

6) nel 1999 la motonave M.M.M., diretta al molo N.N.N., aveva urtato contro le strutture portuali del Molo I.I.I. (in sentenza si dà atto della totale diversità del fatto rispetto a quello verificatosi il 7 maggio 2013);

7) alla capitaneria di porto erano state comunicate due avarie della nave Q.Q. e O.O.O., riguardanti il mancato avviamento del motore, verificatesi nel porto di G nel 2007 e 2008 e l'Ammiraglio C.C. avrebbe dovuto conoscerle.

Il Tribunale, pur riconoscendo che nessuno mai aveva segnalato al Comandante C.C. pericoli di sorta, nonostante che egli avesse a ciò sollecitato gli organi competenti, ha reputato che "la circostanza che nessuno abbia previsto e segnalato il rischio non esime il garante dal dover prevedere il rischio medesimo, laddove lo stesso sia prevedibile" e che comunque i piloti non lo avrebbero segnalato (nonostante che, come detto, nel corso del giudizio abbiano escluso di averli percepiti), per una sorta di "metus". Il primo giudice ha dato altresì atto che la Q.Q. la sera dell'incidente era partita con il motore in avaria senza segnalarlo alla Capitaneria di porto come da ordinanza n. 28 del 2012 dell'Ammiraglio C.C., osservando però che l'ordinanza non era stata emanata per prevenire gli urti contro le banchine in avamporto e pertanto non era idonea a prevenire ed evitare l'evento. Il primo giudice ha quindi affermato che "la verifica della individuabilità ex ante delle regole che avrebbero dovuto essere adottate doveva essere svolta con riguardo alla tipologia di manovra svolta la sera dei fatti dalla nave Q.Q.", ipotizzando dunque quale avrebbe dovuto essere la regola cautelare da adottare da parte dell'C.C. proprio con riferimento alla tipologia di manovra della Q.Q., ossia quella di introdurre un divieto di navigazione ad una determinata distanza da un obiettivo sensibile, nonché di imporre un limite bassissimo di velocità all'uscita del cd taglio della V.V., vietando, per le navi monoelica, la sola inversione di marcia del motore che sarebbe dovuta intervenire in un momento anteriore a quello della fase di rotazione.

3.6. Quanto alla posizione C.C. e G.G. nella qualità di datori di lavoro, la sentenza di primo grado ha osservato che il rischio verificatosi la sera del sinistro è configurabile come rischio non governabile dal datore di lavoro sulla base delle modalità e delle procedure di cui agli artt. 17 e 28 D.Lgs. 81/2008. Non è dirimente se il rischio provenga dall'interno dell'ambiente lavorativo o se si tratti di un rischio esterno; quello che è importante è che possa essere gestito dal datore di lavoro con gli strumenti e le modalità previste dal D.Lgs. 81/2008. Vi sono infatti dei rischi che, pur esterni, interferiscono normalmente con il luogo e l'ambiente di lavoro (es. rischi da investimento di automobili per il casellante, rischio d rapina per l'impiegato della banca): si tratta, in casi come questi, di rischi che il datore può valutare e gestire con accorgimenti che rientrano nella sua disponibilità (es. barriere per la postazione del casellante e identificazione di percorsi protetti per raggiungere la postazione; servizi di guardiania e vetri antiproiettile ecc). Ne deriva che il rischio degli urti delle navi in manovra non è rischio gestibile con gli strumenti connessi ai poteri datoriali: tale rischio non è governabile, quindi eliminabile o depotenziabile attraverso la relativa individuazione nel DVR e l'attivazione delle varie procedure di cui al D.Lgs. 81/2008. La sentenza di primo grado ha quindi concluso che "i rischi riguardanti la stabilità e solidità dei luoghi di lavoro, derivanti da interazioni provenienti dall'esterno, qualora non siano governabili dal datore di lavoro, non devono formare oggetto di DVR", osservando però che "la valutazione dei rischi prevedibili non esaurisce certo gli obblighi di protezione e di attivazione derivanti dalla posizione di garanzia gravante in capo al datore di lavoro". Il primo giudice ha così compiuto una distinzione tra gli obblighi datoriali rientranti nella previsione dell'art. 28 TU (redazione DVR) e gli "obblighi di protezione e di attivazione derivanti dalla posizione di garanzia gravante in capo al datore di lavoro". Sulla base di tale distinzione, ha assolto i Responsabili del servizio di prevenzione e protezione per non aver commesso il fatto, in quanto, ai sensi dell'art. 33 TU, il RSPP è il consulente del datore di lavoro cui è demandato (non in via esclusiva, poiché resta ferma la posizione di garanzia sul datore) l'obbligo di valutazione dei rischi. Siccome l'urto delle navi contro la struttura non era rischio governabile con gli strumenti di cui al D.Lgs. 81/2008 (la cui individuazione è altresì demandata ai RSPP), la penale responsabilità dei RSSPP è stata esclusa. Quanto ai datori di lavoro, il primo giudice ha operato una differenziazione rispetto alla posizione dei RSPP, assumendo che "i datori di lavoro sono i primari e diretti destinatari di posizione di garanzia, e pertanto dei correlati obblighi di attivazione al fine di preservare e tutelare la salute e l'integrità fisica dei loro dipendenti, e che, sulla base di quanto previsto dall'art. 2087, sono tenuti ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare la integrità fisica dei lavoratori" . Poiché gli art. 63 e 64 del D.Lgs. 81/2008 stabiliscono che i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti di cui all'ALL. IV, cioè devono possedere le caratteristiche di solidità e stabilità anche con riferimento alle "caratteristiche ambientali", ciò ricomprende anche tutte le possibili azioni esterne che possano operare sull'edificio, quale il rischio di urti delle navi in manovra.

4. LA SENTENZA DELLA CORTE D'APPELLO

4.1. La Corte territoriale, in accoglimento degli appelli proposti, è pervenuta alla assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non costituisce reato, escludendo l'elemento soggettivo.

4.2. Relativamente alla posizione dei progettisti D.D. e E.E., la Corte territoriale ha considerato che, come anche riconosciuto dal primo giudice, non era stata violata la norma contestata a titolo di colpa specifica e che il compendio di raccomandazioni evocato dal primo giudice contemplava il rischio di urti contro le banchine di ormeggio, e non nei bacini di evoluzione. Ha inoltre dato atto che era stato definitivamente accertato, nel processo contro l'equipaggio della nave, che la Q.Q. era partita con li contagiri del motore in avaria che avrebbe impedito la partenza della nave, ed a ciò era seguita la serie di errori che avevano poi condotto al sinistro.

Tanto premesso, ha concordato con il giudizio del Tribunale in ordine alla esclusione della condotta dell'equipaggio quale unica causa dell'evento, considerando astrattamente ipotizzabile una efficacia concausale delle condotte contestate, il cui rilievo penale era però da escludersi per mancanza dell'elemento soggettivo, difettando la prevedibilità dell'evento. La Corte ha osservato, accogliendo le prospettazioni difensive, che il giudizio di prevedibilità deve essere notoriamente riferito non all'evento verificatosi, ma alla classe di eventi cui ascrivere il fatto accaduto, riprendendo la nota sentenza Thyssen di questa Corte, secondo cui la classe di eventi va individuata operando una generalizzazione, nella quale siano ricomprese certe particolarità del caso e non altre, anche in considerazione del decorso causale dell'evento, onde comprendere se il predetto evento rientri in quelli presi in considerazione dalla regola violata. Nel caso scrutinato nella sentenza Thyssen, dunque, andava preso in considerazione non qualsiasi rischio di incendio, ma lo specifico rischio concretizzatosi, ossia il flash fire (vaporizzazione dell'olio sotto pressione e generazione dell'onda di fuoco). La classe di eventi che concretizza il rischio, nel caso in esame, non era quella generica dell'urto di navi contro le strutture portuali, ma il rischio di urto nei casi di manovre di evoluzione in bacini con quelle caratteristiche. I giudici d'appello hanno dunque ricostruito la condotta esigibile dall'agente modello, considerando, propriamente, il bagaglio di conoscenze dell'epoca di elaborazione del progetto; in particolare, hanno rilevato come, all'epoca della progettazione, vi fosse la necessità di dotare il Porto di G di una torre di controllo simile alle strutture esistenti in ambito aereoportuale, per avere una visione completa del porto e che la collocazione del molo I.I.I. si poneva come ubicazione migliore per assicurare la visibilità completa su tutto il Porto di G. La Corte ha altresì rilevato che il molo I.I.I., costruito nel lontano 1888, ospitava già edifici portuali; che non era destinato all'ormeggio delle navi e si poneva al di fuori del rischio tipico contemplato dalle linee guida per le costruzioni portuali vigenti al momento della redazione del progetto (1992); che non era mai stato teatro di alcun incidente sin dalla sua esistenza, risalente alla fine del secolo scorso; che nel 1992 l'avamporto aveva un circolo il cui diametro era di 600 metri, ancora più ampio di quello esistente all'epoca del tragico evento; che vi erano altre zone di evoluzione delle navi, (quali la calata J.J.J.) sicché la tipologia di manovra di evoluzione di poppa, quale quella eseguita la sera del drammatico incidente dalla nave Q.Q., erano infrequenti. La Corte territoriale, in conclusione, ha ritenuto che la costruzione così come realizzata non potesse, in base al bagaglio di conoscenze posseduto dai progettisti dell'epoca, prevedibilmente e concretamente subire potenziali pericoli di urto delle navi di passaggio in avamporto ovvero urti delle navi che effettuavano la manovra di evoluzione. I giudici di appello hanno inoltre osservato che nel molo antico del porto di G insiste un edificio che si estende in lunghezza (cd " magazzini del cotone) a soli 5 metri dall'acqua, ivi ormeggiano barche a vela e Yacht di lusso con equipaggio costantemente a bordo, lungo tutto il molo vi è un passeggio assiduamente frequentato da cittadini e turisti, che insiste a meno di un metro dall'acqua; detto molo è potenzialmente soggetto a urti delle navi da crociera che si staccano dall'ormeggio per uscire dal porto, non essendovi alcuna protezione fisica, sì che, nelle situazioni quali quella che ha interessato la nave Q.Q. la sera del tragico evento, la nave andrebbe sicuramente ad urtare il molo, colpendo gli yacht ormeggiati con personale a bordo, le palazzine, le persone a passeggio. Si doveva dunque considerare che il regolare funzionamento della circolazione portuale, a differenza del traffico stradale, non è rimessa al singolo utente privo di specifiche qualifiche, ma a personale dotato di elevata professionalità, soggetto a verifiche ispettive, che, in particolare, prima della partenza, è strettamente tenuto al check della strumentazione di bordo (cosa che l'equipaggio della Q.Q., pacificamente, non eseguì), al rispetto di presidi articolati che, fino al giorno dell'evento, avevano escluso rischi quale quello verificatosi in avamporto. In conclusione, l'evento verificatosi non era concretamente prevedibile, come avvalorato, ad abundantiam, dalle risultanze della perizia relativa ai dati cd AIS acquisiti agli atti, sulla quale più avanti si tornerà.

4.3. Quanto all'ing. F.F., la decisione della Corte territoriale si basa su due passaggi argomentativi. In primis, vengono ribadite le considerazioni già espresse in ordine alla responsabilità dei progettisti circa la inesistenza di una regola cautelare che vietasse di realizzare manufatti sul ciglio delle banchine non destinate all'ormeggio. Anche se i componenti del CSLP avessero richiesto informazioni ulteriori, le risposte che avrebbero potuto acquisire sarebbero state nel senso che la banchina non era destinata all'ormeggio di navi. Pertanto, si è ribadito il ragionamento in ordine alla prevedibilità in concreto circa la classe di eventi quale quello verificatosi. A ciò, la Corte ha aggiunto una ulteriore considerazione, riguardante le effettive competenze del CSLP, ricavabili da testo della legge n. 1460 del 1942, vigente all'epoca. In particolare, l'art. 15 della legge citata stabilisce il valore economico delle opere sulle quali il CSLP doveva pronunciarsi. Secondo la Corte, tale norma è indice della volontà del legislatore di portare all'attenzione del CSLP solo quei progetti che, per il loro valore elevato, dovevano essere sottoposti alla validazione di un organo tecnico indipendente che ne doveva pertanto accertare l'utilità, nonché la congruità dei costi. Era pertanto fuori dalle competenze del F.F. ogni altra valutazione di natura tecnica. In più, comunque, l'Ing. F.F. era uno strutturista e la sua attività si era limitata all'aspetto dei calcoli strutturali.

4.4 In ordine alla posizione dell'Ammiraglio C.C. nella qualità di Comandante del Porto di G, la Corte territoriale ha rilevato, in sintesi: a) la assoluta contraddittorietà tra la chiara testimonianza dei piloti, che hanno dichiarato in giudizio di non aver mai percepito pericoli, e le conclusioni del primo giudice; b) I 'adempimento, da parte dell'imputato, dei propri doveri quanto alla sollecitazione delle opportune segnalazioni delle situazioni di pericolo in porto; c) riprendendo le considerazioni riguardanti i progettisti, la classe di eventi presa in considerazione dal Tribunale (ossia tutti gli urti verificabili nel porto) non era corretta, dovendo invece riguardare la prevedibilità dell'accaduto con riferimento a urti contro le strutture portuali nei bacini di evoluzione delle navi; d) la regola cautelare che prescriveva l'ampiezza dei bacini di evoluzione era comunque da ritenersi idonea, in astratto ed ex ante, a scongiurare il rischio di eventi infausti; e) in tutte le attività pericolose le regole cautelari atte a prevenire i rischi sono sempre migliorabili, ma con giudizi tratti dalla esperienza e gli studi disponibili; f) non poteva esistere un agente modello capace di avere capacità predittive per tutte le possibili classi di eventi.

4.5. La Corte ha poi disposto una perizia riguardate l'acquisizione dei dati AIS (acronimo per" Authomatic Information System", ossia i dati che rilevano i tracciati dei percorsi delle navi), poi riportati su cartografia, riguardanti le manovre delle navi di tipologia della Q.Q. (aventi determinate caratteristiche di manovra, che avevano perciò concretizzato il rischio di incidente). I dati erano riferiti al 2010/2013, e si era visto che in tutte le manovre eseguite era stata mantenuta una distanza dalla Torre di almeno 90/100 mt, solo in un caso di mt. 68. Ciò a dimostrazione del fatto che la regola cautelare esistente - in assenza di specifiche segnalazioni di pericoli - era idonea astrattamente a prevenire l'evento, e che non poteva rientrare nella prevedibilità dell'imputato, per quanto dotato di competenze tecniche elevatissime in materia navale. La Corte ha poi concluso le proprie argomentazioni citando dettagliatamente il contenuto dell'ordinanza adottata da C.C. nel marzo del 2012, confutando il giudizio di genericità e inidoneità a prevenire l'evento operato dal Tribunale.

4.6. Sulla posizione di C.C. e G.G. quali datori di lavoro la sentenza di appello, in primo luogo, ha rilevato la totale contraddittorietà tra l'assoluzione dei RSPP e gli imputati datori di lavoro, considerando che, se è vero che il rischio urto di navi contro le strutture portuali non è governabile con gli strumenti indicati dal D.Lgs. 81/2008, poiché tali sono gli strumenti che la legge conferisce al datore di lavoro, non è coerente la decisione assolutoria dei RSPP e la condanna di G.G. e C.C. che, in virtù della posizione di garanzia rivestita e oggetto di contestazione, avrebbero potuto disporre dei medesimi strumenti. La Corte ha osservato che il Tribunale era pervenuto a diverse interpretazioni delle norme di riferimento a seconda che la loro applicazione riguardasse il RSPP o i datori di lavoro. Per il RSPP aveva concluso che la locuzione "sistemazione" dei luoghi di lavoro significasse dislocazione all'interno dell'ambiente di lavoro di strumenti e apparecchiature, escludendo che si potesse far riferimento alla "ubicazione" della Torre Piloti; per i datori di lavoro invece aveva rilevato che questi avrebbero dovuto attivarsi per prevenire ed evitare il rischio di urti delle navi contro la Torre, in relazione proprio alla ubicazione della Torre sulla banchina, escludendo però che tale rischio avrebbe dovuto essere valutato nel DVR. Stessa contraddittorietà e diversità di interpretazione era stata ripetuta anche in ordine ai requisiti di stabilità e solidità dell'edificio in cui si svolge l'attività lavorativa (art. 63 e 64 TU, in relazione all'IV D.Lgs. n.81/2008). In riferimento ai RSPP la sentenza di primo grado aveva affermato che si doveva trattare sempre di rischi che il datore doveva governare con le varie misure previste nel D.Lgs. 81/2008; per C.C. e G.G., poche pagine dopo, aveva affermato che " pur non dovendoli valutare nel DVR in quanto ingovernabili sulla base dei modi e le procedure del decreto 81/2008, i datori di lavoro dovevano tenerne conto, se la solidità e stabilità dei luoghi di lavoro sono esposti a rischi provenienti dall'ambiente circostante". Ciò, a parere dei giudici di secondo grado, comporta una lettura e interpretazione degli artt. 63 e 64 diversa e opposta per le due figure, non condivisibile neppure in base ad una analisi delle norme. Ha concluso la Corte che il contenuto precettivo delle regole cautelari specifiche citate non consentono di includere tra gli obblighi previsti quelli di valutare rischi per la solidità e la stabilità connessi all'ambiente esterno e circostante, quali, appunto, il rischio di urti di navi in manovra. Sotto il profilo della diligenza, la Corte territoriale ha richiamato i principi relativi all'agente modello, rilevando che secondo il primo giudice, l'agente modello appartenente alla cerchia di persone cui appartenevano C.C. e G.G., si sarebbe attivato per raccogliere i dati relativi alla incidentalità portuale, così rendendosi conto del pericolo di urti.

Ciò posto, la sentenza impugnata ha riportato, sul punto delle conoscenze acquisibili al momento del fatto, tutte le testimonianze qualificate acquisite al giudizio, tra cui quella dell'ex capo pilota P.P.P., oltre a quella di altri tre ex capo piloti, di altri piloti del porto di L, che altro non sono che persone dotate dello stesso bagaglio di conoscenze degli imputati, e quindi da considerare quali parametro per valutare il grado di diligenza richiesto. Sempre ai fini di accertare se fosse ricostruibile una regola cautelare ex ante, come già esposto, la Corte d'Appello ha proceduto all'espletamento di una perizia per verificare, alla luce dei dati registrati dal sistema AIS ("Authomatic identification System") la distanza concretamente mantenuta in avamporto in ordine alle manovre eseguite dalle navi Q.Q. e O.O.O. nel periodo 2010/2013. Detta perizia aveva permesso di accertare che la distanza era stata sempre abbondantemente mantenuta, il che avvalora la imprevedibilità di quello specifico evento, ossia il rischio di urto di navi in evoluzione nell'avamporto, proprio ed in relazione al periodo di riferimento. Inoltre, la Corte ha riportato i dati di incidentalità nel porto di G che nel periodo 2010/1018 non avevano mai riguardato il molo I.I.I. e l'avamporto, precisando, inoltre, che detti dati erano in realtà ben inferiori rispetto a quelli riportati nel giornale "Porto crash" cui si era riferito il primo giudice. Ha infine analizzato la radicale diversità dell'episodio riferito alla motonave M.M.M. del 1999 e la sostanziale irrilevanza del restringimento del bacino di evoluzione, concludendo, come detto, per la assoluta imprevedibilità dell'evento e l'assoluzione degli imputati.

5. I RICORSI

5.1 II Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione.

5.2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 606, c. 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in ordine al decorso della prescrizione. La Corte aveva erroneamente ritenuto che il reato di crollo colposo, contestato a tutti gli imputati, non fosse prescritto (pag. 199 sentenza impugnata). La Corte d'Appello, seppur con un obiter dictum, prosciogliendo nel merito gli imputati, aveva affermato che doveva ritenersi maturato il termine di prescrizione. Sul punto, pur avendo correttamente premesso che la disciplina applicabile era quella riferibile al momento della condotta, e non a quello dell'evento, sicché non poteva essere applicata la normativa introdotta con la legge 5 dicembre 2005, n. 251, non aveva poi fatto riferimento alla disciplina previgente alla cd legge ex Cirielli secondo cui il termine di prescrizione dei delitti puniti con la pena non inferiore ad anni cinque era anni dieci, con aumento della metà per effetto dell'atto interruttivo ex art. 160, ultimo comma, nel testo vigente all'epoca. Dunque, non essendovi differenze tra le due discipline, e non essendovi quindi normativa più favorevole successiva, era applicabile la disciplina medio tempore intervenuta con legge n. 251/2005, che ha previsto il raddoppio dei termini.

5.2 Con il secondo motivo, denuncia vizio di carenza e illogicità della motivazione e travisamento della prova nonché violazione di legge in relazione agli artt. 113, 42 e 43 cod. pen, in relazione alla posizione degli imputati D.D. e E.E. La sentenza impugnata aveva assolto gli imputati perché il fatto non costituisce reato escludendo l'elemento soggettivo sotto il profilo della prevedibilità in concreto. Sul punto, la Corte territoriale non aveva assolto l'obbligo di fornire una motivazione puntuale e adeguata, atta a confutare le argomentazioni del primo giudice. L'obbligo di motivazione puntuale e adeguata vige invero anche in caso di riforma in senso assolutorio (SU, n.14800 del 22 dicembre 2017, Pg in proc Troise), obbligo tanto più stringente quanto più diffuse e approfondite siano le argomentazioni della pronuncia che si intende confutare. La Corte d'Appello non si era confrontata con i fondamenti del ragionamento probatorio e giuridico del primo giudice basato sulle risultanze della cd prova scientifica, neppure criticata con il riferimento alle argomentazioni dei consulenti della difesa. Il fatto che il confronto fosse necessario era dimostrato dal fatto che anche gli imputati avevano chiesto l'espletamento di una perizia in grado di appello e che il Pubblico Ministero avesse richiesto la rinnovazione del contraddittorio tecnico tra il consulente d'ufficio e i CT di parte. La Corte aveva eluso le predette istanze, nonostante avesse mostrato la necessità di verificare in prima persona quale fosse lo scenario dell'evento con le connesse problematiche tecniche (posizione della torre, distanze, spazi di manovra) ponendo in essere un irrituale sopralluogo al di fuori del contraddittorio, puntualmente contestato dalla Pubblica accusa. Inoltre, la Corte aveva proceduto al rinnovo della perizia su un aspetto del tutto marginale ed inidoneo a scardinare e a fornire supporto argomentativo alle tesi dibattute sul piano tecnico nel corso del giudizio di primo grado. In particolare, si deducono le seguenti lacune motivazionali: 1) i giudici di secondo grado avevano considerato, con motivazione concisa, come del tutto irrilevante l'imponente analisi affidata a tre consulenti di fama internazionale circa lo stato delle conoscenze in materia di navigazione e costruzioni di opere marittime, sulle regole e migliori prassi suggerite dall'esperienza e/o tratte dalle indicazioni normative dell'epoca in cui avevano operato i due progettisti D.D. e E.E. Sul punto, la sentenza impugnata aveva considerato che non potevano esservi indicazioni valide in linea generale per tutti i porti, diversi come conformazione e caratteristiche, e che le indicazioni avrebbero riguardato il rischio di urto tra le navi e le banchine destinate all'ormeggio, mentre il molo I.I.I., ove era ubicata la Torre piloti, non era destinato all'ormeggio. Dette considerazioni non erano affatto idonee a scardinare le corpose argomentazioni che si snodavano per quasi trenta pagine della sentenza di primo grado, che riportava le risultanze dell'analisi dei consulenti del PM, dalle quali risultava come dalla letteratura scientifica in materia, dalle regole applicate in sede internazionale, dal quadro normativo italiano emergessero regole precauzionali nella progettazione delle opere portuali dirette a fronteggiare il rischio, ritenuto mediamente alto, dell'urto di navi contro le infrastrutture portuali. Erano altresì stati ben indicati i rischi di collisione connesse alle manovre delle navi, non limitate soltanto all'ormeggio. Sul punto, la decisione della Corte si basava su una limitata argomentazione di uno dei CT della difesa, che erano state espressamente confutate dal primo giudice. Il nucleo della decisione di secondo grado era una mera presa d'atto della pacifica circostanza che non sussistevano i profili di colpa specifica originariamente contestati ai ricorrenti, cui era stata addebitata la violazione della circolari del Ministero dei lavori pubblici, riportate in rubrica, che prescrivevano la valutazione di azioni eccezionali sulla struttura, quali gli urti, che non era risultata applicabile alla progettazione concretamene eseguita, secondo il sistema di calcolo delle tensioni ammissibili, adottato dagli imputati. Ma la ricognizione della normativa interna, tra cui le istruzioni tecniche del CNR del 1985 diretto al Ministero dei lavori pubblici, divenute punto di riferimento degli operatori, aveva consentito al Tribunale di ricostruire, con la mediazione del sapere esperto, i modelli circolanti nel settore professionale e ricostruire così la regola cautelare generica. Dunque, pur in assenza di espressi obblighi per il progettista di valutare azioni eccezionali, quali gli urti e, nel caso che interessa, le collisioni con le navi, il quadro normativo italiano, vigente alla data di redazione del progetto, delineava un obbligo di conoscenza del progettista di tutte le condizioni di sollecitazione. La Corte territoriale, onde confutare dette complesse e corpose argomentazioni, si era limitata a rilevare l'assenza di regole cautelari specifiche e il fatto che i modelli circolanti nel settore di competenza erano riferiti solo agli urti in fase di ormeggio, laddove il molo I.I.I. non era destinato all'ormeggio, così violando l'obbligo di motivazione rafforzata. Ancora, la Corte, richiamando i principi della nota sentenza Thyssen Krupp, e in particolare il principio della specificità del rischio da individuare, aveva concluso che nel caso in esame la classe di eventi che concretizza il rischio tipico va operata non già individuando un pericolo astratto di urto di navi con strutture portuali ma il pericolo concreto dell'urto di navi nel porto di G e la Torre piloti collocata in testa al molo I.I.I.. La specificazione operata dalla Corte territoriale, partendo dal presupposto che la classe di eventi individuata dal Tribunale era troppo generica, era, al contrario, troppo concreta, finendo con l'identificarsi proprio con l'evento realmente accaduto, introducendo l'elemento della localizzazione. Peraltro, il Tribunale aveva operato la propria descrizione categoriale mediante l'apporto del sapere tecnico, che aveva considerato tutte le possibilità di collisioni di navi con strutture portuali, senza limitarsi solo alle manovre di navi nelle banchine di ormeggio. Invece, la regola cautelare legata alla prevedibilità (e conseguente evitabilità) dell'evento non poteva che essere quella della necessità di collocazione di strutture ad adeguata distanza dalle banchine, ovvero prevedendone una protezione strutturale adeguata. La Corte territoriale, in conclusione, aveva confuso il piano della individuazione della regola cautelare (che non poteva che essere quella sopra descritta) dalla sua esigibilità alle condizioni concrete di verificazione del fatto, secondo il parametro dell'agente modello. La Corte territoriale aveva inoltre considerato, anche in questo caso senza adeguata confutazione, gli assunti tratti dalle tesi degli imputati secondo cui il molo I.I.I. sarebbe stato l'unico luogo idoneo, all'interno del porto, ove costruire la Torre, in quanto avrebbe offerto la migliore visuale (attesa la progettata costruzione di un superbacino, poi non realizzata) e data la necessità di alloggiare i piloti in una struttura adiacente, sicché il molo I.I.I. avrebbe permesso, in base allo spazio esistente, tale possibilità. Su tali punti il Tribunale aveva speso diffuse argomentazioni, da un lato sulla esclusione della necessità che i piloti fossero alloggiati in struttura adiacente alla Torre, dall'altro osservando che il molo I.I.I. non fosse stato ab initio individuato come unico punto possibile di costruzione della Torre essendo stata anche individuata altra zona, cd La Foce, più lontana dallo specchio d'acqua (ove poi effettivamente la Torre era stata ricostruita). La Corte aveva poi del tutto ingiustificatamente parificato I' attività portuale ad una attività intrinsecamente pericolosa, quale la circolazione stradale, traendone la conseguenza che tutte le strutture portuali possono essere a rischio di collisione, senza confutare il ragionamento del giudice di primo grado, il quale aveva acutamente osservato che occorreva distinguere tra le costruzioni e le attività da effettuare necessariamente in banchina (ad esempio il posizionamento delle gru per le operazioni di carico e scarico di merci) e, invece, la costruzione di una Torre Piloti. La Corte d'Appello aveva assertivamente affermato, ai fini di argomentare un difetto di prevedibilità in concreto, in sintesi, che: 1) nessuna indicazione normativa e tecnica imponeva di rispettare distanze nella costruzione di strutture portuali, tranne che per le costruzioni nelle banchine di ormeggio, sicché i progettisti avevano applicato le prescrizioni esistenti; 2) il molo I.I.I. non era destinato all'ormeggio, era operativo ed ospitava strutture con personale; 3) dal 1901, data della prima struttura di controllo, il molo I.I.I. non era mai stato interessato da urti di navi in transito o in evoluzione; nessuna segnalazione di rischio si era mai verificata; 4) esistevano presidi di altra natura (quali il pilotaggio a bordo obbligatorio) per garantire la sicurezza, oltre a regole generali per la navigazione analoghe a quelle che regolano la circolazione stradale. Orbene, era contraddittorio che tale argomentazione sul piano concreto doveva essere considerata alternativa a quella ricostruita dal Tribunale sul piano astratto, quando la Corte aveva negato dette premesse, senza adeguata motivazione. Restava quindi un salto logico nella argomentazione cui si era affidata la Corte, vale a dire la mancata considerazione delle evidenze derivanti dalla analisi del rischio che conducevano in direzione opposta. L'intero paragrafo 4.5 della sentenza del primo giudice, che si snodava su oltre trenta pagine, aveva confutato la tesi della concreta imprevedibilità dell'evento, seguendo le premesse dei consulenti tecnici circa l'analisi del rischio costituito dagli urti delle navi in manovra contro le strutture portuali, secondo il complesso di regole elaborate dalla comunità scientifica e professionale. Già nel periodo in cui il progetto della Torre piloti era stato predisposto e approvato vi era un elevato grado di consapevolezza del rischio di urti di navi contro le strutture portuali, individuato dal documento della Associazione internazionale dei porti come rischio medio alto. Il Tribunale aveva dato ampiamente conto del contraddittorio tecnico svolto in merito alla analisi del rischio e alla prevedibilità dell'evento, scardinando i rilievi dei CT di parte in ordine alla bassa frequenza degli eventi, anche in base alla considerazione che un evento "raro" non poteva perciò solo essere ritenuto imprevedibile, come ben chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (sez. 4, n. 27186/2019, D'Ottavio). Per cui, se l'evento, benché raro, non era ignoto all'esperienza e alla conoscenza tecnica, non poteva considerarsi del tutto eccezionale e dunque imprevedibile. La Corte di appello si era limitata a riprodurre l'impostazione difensiva per cui la realizzazione della Torre, con quelle modalità, era garantita da idonei presidi, e cioè l'ampiezza del bacino di evoluzione e le regole imposte in ambito portuale. La Corte aveva totalmente ignorato le argomentazioni svolte dal Tribunale su tali punti, argomentazioni basate sul fatto che detti presidi non tenevano conto della incidenza, statisticamente imponente, di fattori come l'avaria delle navi o l'errore umano. Inoltre, la Corte aveva proceduto ad una rinnovazione istruttoria del tutto irrilevante, mirante al riepilogo dei dati AIS relativi al percorso della nave Q.Q. e della sua gemella O.O.O. nelle manovre di evoluzione nell'avamporto prospiciente la Torre. Tale perizia, che apparentemente era chiesta per acquisizione di dati conoscitivi, si era invece risolta in conclusioni valutative del perito, che aveva concluso la relazione assumendo che "l'unica manovra ritenuta ed evidenziatasi pericolosa è quella che ha portato all'evento della collisione della Q.Q. con la Torre Piloti di G". L'apporto valutativo aveva dunque portato ad una limitazione del contraddittorio. Detta scelta istruttoria, che non rientrava nei binari della assoluta necessità come dimostrato anche dal ridotto apporto alla sentenza della Corte, aveva aggiunto un dato probatorio irrilevante: di fatto era stato accertato, rispetto alla classe di eventi rilevante (urto delle navi contro le strutture portuali) che quando le manovre erano state correttamente eseguite, la Torre era rimasta in sicurezza. L'analisi compiuta era incompleta, in quanto si era limitata ad analizzare le manovre delle sole navi Q.Q.Q., nell'arco di un triennio, mentre il rischio riguardava tutte le navi che facevano evoluzione in avamporto. Anche se erano state esaminate le manovre che creavano un rischio di collisione con la Torre (cioè quelle per cui la poppa della nave, nella fase di rotazione, si direziona verso la Torre), il consulente aveva rilevato che il momento del pericolo è solo quello di allineamento momentaneo con la Torre e, anche in caso di avaria, il personale di bordo avrebbe potuto porvi rimedio adottando una procedura di emergenza. Si era dunque concluso che era imprevedibile la serie di violazioni commesse dall'equipaggio della Q.Q. Questo ragionamento confonde la prevedibilità con la probabilità e introduce in giudizio la concatenazione di eventi che hanno portato al disastro, al fine di delimitare i contorni dell'evento prevedibile. Infine, significativo riscontro dell'insufficiente sforzo motivazionale della Corte d'Appello rispetto alla decisione del Tribunale, che aveva concluso, in base alle risultanze delle elaborazioni peritali, come "la Torre piloti di G risulta, all'interno del panorama dei porti mondiali, l'unica costruzione posizionata a cavallo di una banchina e pertanto di fatto collocata in mare, prospiciente ad uno spazio acqueo destinato al transito e alla manovra di navi" era la considerazione, contenuta nella sentenza di secondo grado, secondo cui tale asserita unicità sarebbe frutto di una ricognizione sicuramente non esauriente ma "equivarrebbe alla censura preventiva di qualunque scostamento dalle pratiche correnti, con condanna all'immobilismo". Si trattava di un giudizio radicalmente inidoneo a scardinare la prova scientifica cui era invece saldamente ancorata la decisione del primo giudice.

5.3. In ordine alla posizione dell'imputato F.F., il Procuratore Generale deduce vizio di carenza, illogicità della motivazione e travisamento della prova; violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 113, 42 e 43 cod. pen., artt. 14, 15 della legge n. 1460 del 142. La Corte aveva fornito una interpretazione del tutto errata del complesso normativo di cui alla legge 1460 del 1992, limitandola ad una valutazione della utilità delle opere da realizzare e la congruità dei costi, e non dell'esattezza tecnica dell'opera. Detta interpretazione era in totale contrasto con la lettera della legge, che mirava evidentemente solo ad includere nella necessità dei controlli le opere di costo rilevante, evitando che tutte le opere pubbliche, indistintamente, fossero sottoposte a detto iter procedurale, ma imponeva chiaramente un controllo tecnico e non solo di congruità economica sul progetto. Inoltre, le valutazioni circa l'impegno di spesa e l'opportunità della costruzione implicavano anche una valutazione circa una eventuale incongrua localizzazione, come nel caso di specie. Peraltro, vi era un palese travisamento della prova, riguardante la testimonianza dell'ingegnere capo segretario generale del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, ing. L.L.L., il quale aveva riferito che il parere riguardava la bontà tecnica del progetto. La Corte aveva escluso, sulla base delle medesime argomentazioni esposte per i coimputati progettisti, la colpa dell'imputato in considerazione della imprevedibilità in concreto dell'evento, trascurando del tutto (e sul punto si richiamavano le precedenti osservazioni) le argomentazioni del Tribunale fondate sul sapere esperto, nonché ogni valutazione - con riferimento al parametro dell'agente modello - della competenza particolarmente qualificata dell'imputato, che in seno al Consiglio dei lavori pubblici si occupava di opere portuali.

5.4. In ordine alla posizione degli imputati C.C. e G.G., il Procuratore Generale lamenta carenza e illogicità della motivazione e travisamento della prova nonché violazione di legge in relazione agli artt. 113, 42 e 43 cod. pen. Richiamati i passaggi fondanti la condanna degli imputati e la motivazione della sentenza di appello (che aveva escluso che il rischio di urto delle navi in manovra dovesse essere oggetto del DVR, essendo rischio in gestione a terzi), si deduce che comunque la Corte non aveva osservato l'obbligo di motivazione rafforzata. La Corte, come negli altri casi, aveva del tutto disatteso la prova desunta dal sapere scientifico, affermando che lo spazio marittimo di manovra era considerato adeguato da tutti gli operatori, che gli imputati non avevano ricevuto alcuna segnalazione circa la pericolosità della collocazione della Torre; che l'assenza di dati statistici circa pregressi incidenti costituiva un riscontro circa la imprevedibilità degli eventi e quindi la conseguente inesigibilità delle condotte atte a prevenirli. La sentenza impugnata non aveva adeguatamente confutato l'argomentazione del Tribunale secondo cui lo spazio acqueo in cui le navi dovevano fare manovra era oggettivamente ristretto, tanto da rendere pericolosa la posizione della Torre. La sentenza impugnata richiama l'esperienza consolidata di piloti ed operatori di gestire le manovre, con un ragionamento che nega la premessa, ossia la possibilità di perdita di controllo della nave per avaria o errore umano. Non era stato considerato, inoltre, che nell'arco di un decennio si era verificato un altro urto al molo I.I.I. e che le navi Q.Q.Q. andavano in avaria con una certa frequenza, in quanto navi a unico propulsore. La Corte aveva palesemente errato nel ritenere che l'elemento della imprevedibilità consistesse nel fatto che gli errori dell'equipaggio della Q.Q. fossero "difficilmente immaginabili", vieppiù poiché a bordo della nave vi era un comandante di provata esperienza. La motivazione non teneva conto della istruttoria espletata e di quanto accertato nel procedimento a carico dell'equipaggio, ove si erano inequivocabilmente dimostrati l'avaria (il motore non era ripartito) e l'errore umano nella mancata attivazione delle manovre di emergenza. In proposito, la Corte aveva affermato che l'affermazione di responsabilità non poteva basarsi sulla mera posizione (per l'C.C. quale comandante del porto), perché ciò non teneva conto delle condizioni concrete e richiedeva l'adozione di misure precauzionali sempre possibili nello svolgimento di una attività pericolosa, ma non doverose. Sul punto, il convincimento si era basato sulle conclusioni della perizia svolta sulla esecuzione delle manovre di evoluzione delle navi, in ordine alle quali erano richiamate le censure esposte.

6. IL RICORSO DELLA PARTE CIVILE A.A.

6.1. Ha proposto ricorso la parte civile A.A., ai soli effetti civili e limitatamente ai capi di sentenza con i quali era stata esclusa la penale responsabilità di C.C., con conseguente revoca delle statuizioni civili.

6.2. Con II primo motivo lamenta la violazione del principio del contraddittorio, nonché la erronea applicazione degli art. 71 e 20 del Codice dell'amministrazione digitale (CAD) e dell'art. 2702 del codice civile, vizio motivazionale per illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza e dell'ordinanza del 14 aprile 2022. Deduce che all'udienza del 23 marzo 2022 il Procuratore generale aveva denunciato una iniziativa assimilabile ad una ispezione adottata dal Collegio giudicante in violazione del principio del contraddittorio. Su punto, la Corte emetteva ordinanza con la quale rappresentava di aver effettuato un accesso sul molo I.I.I., ma non si poteva considerare alla stregua di una ispezione, non essendovi tracce del reato da rilevare né era necessario procedere ad una descrizione dei luoghi, che era ampiamente contenuta negli atti processuali. Si era trattato di una mera presa di visione diretta dell'area dell'avamporto, al fine di rendere il contesto fattuale meglio intellegibile. Disposto il rinvio dell'udienza, la Corte, con ordinanza del 14 aprile 2022 rimetteva il processo in istruttoria, accogliendo soltanto l'istanza proposta dall'imputato C.C., che aveva richiesto l'acquisizione dei dati AIS ("Authomatic identification system") dal 2010 al 2013 che permetteva di visualizzare le informazioni riguardanti le imbarcazioni Q.Q.Q.. Acquisiti i dati, la Corte disponeva una perizia, con l'incarico di sviluppare su un piano cartografico i dati AIS e quindi visivamente le manovre di evoluzione in avamporto delle navi Q.Q. e O.O.O., indicando in particolare a quale distanza dalla Torre piloti si erano venite a trovare dette navi nel corso delle manovre. Veniva altresì richiesta la trasmissione delle planimetrie che rappresentavano il porto di G all'epoca della progettazione della Torre e nel maggio 2013, con indicazione delle distanze intercorrenti tra i punti cospicui (in gergo nautico, quei punti avvistabili che costituiscono punti di riferimento per la navigazione). L'oggetto della perizia era certamente collegato al sopralluogo eseguito, del tutto irritualmente, dalla Corte. In punto di diritto, la parte ricorrente deduce l'assenza di motivazione dell'ordinanza del 14 aprile 2022 con la quale era stato disposto il supplemento istruttorio. La motivazione adottata, infatti, era meramente apparente, facendo riferimento, in modo tautologico, alla necessità ai fini della decisione. La rinnovazione è infatti un istituto di carattere eccezionale, e pertanto il giudice deve dare conto delle ragioni della decisività dell'incombente: di conseguenza l'ordinanza, in quanto totalmente priva di motivazione, era radicalmente nulla. Inoltre, deduce la violazione del contraddittorio nella formazione della prova, avendo la Corte compiuto una attività istruttoria a tutti gli effetti, ossia una ispezione dei luoghi, senza che fosse preceduta da formale provvedimento ex art. 603 cod. proc. pen., e senza garantire il contraddittorio tra le parti processuali.

6.3. Ancora, la ricorrente lamenta violazione di legge in ordine al valore probatorio dei dati AIS, rientrante nella più ampia questione circa il valore probatorio dei dati informatici. La Corte territoriale aveva ritenuto che i predetti dati, in quanto estrapolati da pubblici ufficiali, avevano natura fideifacente. In realtà, sono muniti di pubblica fede solo i verbali di estrazione dei dati, rispetto a quanto rilevato e avvenuto in presenza dell'incaricato. Il pubblico ufficiale, invece, non può assicurare che il dato estrapolato corrisponda al dato originale. La Corte aveva erroneamente attribuito ai dati AIS l'efficacia prevista dall'art. 2702 cod. civ. Invece, ai sensi dell'art. 20 del CAD, il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia di cui all'art. 2702 cod. civ. se è formato attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AGID ai sensi dell'art. 71 del CAD con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e la sua riconducibilità all'autore. Orbene, l'art. 71 CAD rinvia, per la individuazione delle predette modalità, ad apposite linee guida che, al momento della raccolta dei dati, non erano ancora state emanate. Di conseguenza, i predetti dati non potevano avere valore fideifacente. Sul punto, la Corte aveva rigettato l'eccezione proposta osservando, erroneamente, che la procedura della raccolta dei dati era stata attuata dal perito, nel contraddittorio delle parti, presso il Comando generale delle capitanerie di porto di R; pertanto, l'assunto difensivo per cui non si potrebbe escludere che i dati fossero stati oggetto di dispersione era frutto di una mera congettura; la sicura affidabilità dei dati raccolti presso il Comando generale delle capitanerie di porto è dimostrata dal fatto che proprio in base a tali dati avviene la tracciatura e il controllo dei movimenti delle navi nel sistema marittimo nazionale; il teste R.R.R. aveva precisato che nonostante l'assenza del regolamento la procedura dì conservazione era sostanzialmente conforme alle linee guida poi emanate. Si trattava di una motivazione illogica, posto che la testimonianza non può colmare il dato normativo, ed inoltre i dati non potevano essere stati certificati dal perito, poiché l'attività di raccolta dei predetti dati era stata disposta all'udienza del 14 aprile 2022. Era errata l'affermazione secondo cui il consulente di parte non aveva sollevato obiezioni nel corso della procedura di estrazione, essendo invece state sollevate plurime censure, verbalizzate in sede di operazioni e riversate dal CT di parte in una relazione tecnica, in cui si segnalava che la perizia si era basata su dati duplicati a seguito dello smarrimento del supporto informatico originariamente formato in contraddittorio, che però non coincidevano avendo marcatori (HASH) diversi. La Corte aveva erroneamente richiamato i principi della prova atipica, quando invece l'uso dei dati AIS non poteva non essere ricollegato esclusivamente al loro valore fideifacente. Inoltre, la Corte aveva sostanzialmente affidato al perito la soluzione del caso. Il perito, invero, aveva formulato conclusioni nel senso che l'unica manovra ritenuta ed evidenziatisi pericolosa era quella che ha portato all'evento della collisione. Detta conclusione era basata sull'analisi di poche manovre, riferite ai pochi dati AIS estrapolati, e raggiunta senza nemmeno precisare il campione statistico esaminato, peraltro diventando la prova decisiva sulla quale si era basata la Corte per assolvere gli imputati.

6.4. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione e vizio di violazione di legge in ordine alla valutazione del rischio, al parametro dell'agente modello e alla prevedibilità dell'evento. In particolare, deduce vizio di legittimità in relazione all'art. 2087 cod. civ., 17, 28, 29 64 in relazione ali. IV, punto 1.1.1. D.Lgs. n. 81/2008. La Corte aveva ritenuto, contrariamente al Tribunale, che le disposizioni citate non consentissero di estendere il loro contenuto precettivo ad ambienti estranei ai luoghi di lavoro e quindi di includere tra gli obblighi del datore di lavoro quelli di valutare il rischio (gestito da terzi) del crollo a seguito dell'urto di una nave in manovra, anche in considerazione dell'assoluzione disposta dallo stesso Tribunale del RSPP. La Corte era incorsa nell'erronea applicazione della legge penale, che invece attribuisce al datore di lavoro l'obbligo di individuare e prevenire ogni rischio ipotizzabile, anche i rischi esterni, se inscindibilmente connessi all'ambiente di lavoro (ad esempio la società autostrade deve valutare il rischio di investimenti del casellante da parte degli autoveicoli). Il Giudice di primo grado aveva rilevato che il rischio urto doveva essere considerato dal datore di lavoro, e che detto rischio era governabile dal datore, a differenza che dal RSPP, poiché l'imputato C.C., per la sua qualità, era perfettamente in grado di rendersi conto del rischio relativo alla stabilità e solidità della struttura essendo un ammiraglio esperto in materia di traffico marittimo. Quindi, i precetti di cui agli art. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/2008 non potevano ritenersi soddisfatti con l'acquisizione del certificato di agibilità della struttura. In proposito si richiama la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla vicenda del crollo del soffitto del liceo S.S.S. di R, in cui nonostante gli interventi strutturali fossero a carico della provincia, era stata ritenuta la responsabilità del dirigente della scuola, datrice di lavoro, incombendo su quest'ultimo l'adozione di misure rientranti nella propria possibilità quali la previa individuazione dei rischi esistenti con l'obbligo di disporre anche la interruzione dell'attività ove non sia possibile garantire un adeguato livello di sicurezza. Il primo giudice aveva invece anche correttamente individuato il comportamento alternativo lecito, consistente nella immediata dismissione del luogo di lavoro in quanto non garantiva l'integrità fisica dei prestatori di lavoro. Era inoltre errata l'affermazione secondo cui sarebbero dovuti intervenire altri garanti, quali ad esempio l'autorità portuale, in quanto l'obbligo di impedire l'evento sussiste pure in presenza di altri garanti. Inoltre, la pronuncia non aveva tenuto conto della rilevanza di un altro sinistro verificatosi, pur senza conseguenze, nel 1999, riguardante la gasiera "M.M.M." che in fase di ormeggio al molo N.N.N., attiguo alla Torre piloti, aveva urtato la palazzina. Tale antecedente era certamente rilevantissimo ai fini della prevedibilità dell'evento. L'agente, invero, è tenuto a prendere in considerazione anche i rischi rari o rarissimi, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità. L'urto non era certamente evento impossibile atteso il volume imponentissimo del traffico portuale a G.

6.5. Ancora, si deduce vizio di violazione di legge in ordine all'art. 43 cod. pen. relativamente al paradigma dell'agente modello. La Corte, a differenza del primo giudice, ha condotto il giudizio del livello di esigibilità della condotta doverosa omessa senza considerare le peculiari competenze tecniche dell'imputato C.C., che era anche il Comandante del porto di G, parametrandosi al livello di diligenza richiesto a un qualsiasi altro datore di lavoro, che non era Comandante del porto. Così decidendo, la Corte non aveva considerato la fattispecie e le abilità dell'agente in concreto. Era viziato il ragionamento della Corte laddove aveva richiamato le testimonianze acquisite al giudizio di primo grado, e riferite ad addetti alla capitaneria, comandanti di porto, piloti, dai quali si ricavava l'assenza di elementi indicativi circa elementi di rischio in ordine alla posizione della Torre. In tal modo, la Corte aveva trasferito di fatto la valutazione del rischio in capo ad altri soggetti cui invece non incombeva. Infine, la Corte aveva erroneamente parcellizzato la classe di evento presa in considerazione, limitandola alla incidentalità delle manovre di evoluzione effettuate nell'avamporto, in specchi acquei analoghi e a tipologia di manovre quali quella effettivamente avvenuta la sera del disastro. Si era infatti precisato che l'indagine peritale era stata circoscritta alle manovre delle navi Q.Q.Q. in quanto erano quelle che avevano causato l'evento e poi perché si trattava di una tipologia di imbarcazioni che, per la tipologia della propulsione, presentavano più problemi in termini di sicurezza. Tale ragionamento era contrario al principio di diritto ripetutamente espresso dalla Corte di legittimità, secondo cui la prevedibilità dell'evento non può essere riferita allo specifico fatto così come accaduto, ma alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo. A dimostrazione della erroneità dell'assunto dei giudici dì secondo grado si rileva come la perizia, e poi le stesse conclusioni del perito, si erano limitate ad analizzare solo una decina di manovre delle navi Q.Q.Q. mentre i dati prodotti dalla stessa difesa dell'imputato C.C. indicavano, negli anni 2010/2013, un totale di oltre 19 mila arrivi e 18 mila partenze. Quindi, anche a voler ritenere la manovra un unicum pericoloso, la stessa, adottando la stessa classe di evento, non risulta così eccezionale da risultare imprevedibile.

7. LE MEMORIE DIFENSIVE DEI RESPONSABILI CIVILI, DEGLI IMPUTATI, DELLE PARTI CIVILI

7.1. L'Avvocatura dello Stato ha ritualmente depositato memoria ex art. 611 cod. proc. pen. nell'interesse del prof, F.F. e del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti unitamente al Ministero della Difesa.

7.2. Nella memoria depositata nell'interesse dell'Ing. F.F. si deduce, quanto al primo motivo di ricorso del PG, secondo cui la Corte territoriale avrebbe disatteso e conclusioni dei periti basate sul cd "sapere scientifico", che le conclusioni dei periti avevano clamorosamente omesso di valutare quanto era incontestabilmente emerso dal processo celebratosi e conclusosi a carico del comandante, dell'equipaggio e dell'armatore della nave Q.Q., e cioè il fatto che la nave, la sera dell'incidente, era partita presentando l'avaria del contagiri. Tale situazione, anche secondo quanto dichiarato dai tre alti ufficiali escussi nel giudizio di primo grado, tra cui I.I., sopravvissuto al disastro, comportava l'assoluto divieto di navigazione e contravveniva all'ordinanza n. 28 del 2012 emanata dall'allora comandante del Porto, ammiraglio C.C. E sul punto, si sottolinea che non aveva ancora avuto inizio il processo relativo alle false certificazioni di idoneità alla navigazione della nave Q.Q. Inoltre, si deduce la irritualità del motivo di impugnazione, basato esclusivamente sulla mera comparazione tra la sentenza di primo e la sentenza di secondo grado, ma il giudizio di legittimità non può certamente consistere in una opzione a favore o contro un giudizio espresso dall'uno e dall'altro giudice. I motivi dedotti, dunque, presentavano certi profili di inammissibilità. Invero, in vari punti della sentenza di appello (precisamente, a pag. 100, 116, 180) si era dato atto dei fatti accertati con sentenza passata in giudicato, appunto, quindi, della circostanza che la nave Q.Q. la sera dell'incidente era partita con il contagiri in avaria. Il ricorso del Procuratore generale non aveva speso neppure una parola per confutare quanto affermato sul punto dalla Corte territoriale, quanto al divieto di navigazione della Q.Q. la sera dei fatti. Detto passaggio non era presente nella sentenza di primo grado, emessa anteriormente alla definizione del giudizio riguardante l'equipaggio della nave. Quindi, non essendosi impugnato tale fondamentale passaggio, ne consegue che non si può più parlare di errore umano o avaria sopravvenuta, essendosi accertata definitivamente l'avaria del contagiri al momento della partenza che avrebbe dovuto impedire la navigazione. Con riferimento, quindi, alla classe di eventi, la quale, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, va definita anche in relazione al decorso causale dell'evento preso in considerazione, si palesava del tutto generico e aspecifico il motivo di ricorso del Procuratore Generale che rimprovera la mancata considerazione della più ampia classe di "urti di navi all'interno di un porto", in quanto tale non poteva essere, alla luce di quanto accertato e neppure messo in discussione nel ricorso, l'evento prevedibile. Ancora, il ricorso del PG aveva attinto un solo passaggio motivazionale che aveva condotto la Corte alla assoluzione del prof. F.F., senza però aggredire un altro punto essenziale parimenti conducente alla pronuncia assolutoria, con conseguente inammissibilità della relativa doglianza, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, l'ing F.F. era stato assolto sia perché si era ritenuto che al Consiglio Nazionale dei Lavori Pubblici competesse esclusivamente la valutazione della congruità dell'opera sotto il profilo della opportunità tecnica della spesa; sia perché si era ritenuta mancante la posizione di garanzia in ragione della specializzazione dell'ing. F.F. e del ruolo da questi rivestito nell'ambito della Terza Sezione (opere marittime) del CSLP. Era stato infatti accertato che il meccanismo di funzionamento prevedeva che ciascun membro fosse deputato allo svolgimento di peculiari e distinti compiti tecnici. La Corte aveva rimarcato che l'ing. F.F. era uno strutturista e pertanto deputato alla verifica delle strutture in cemento armato, e dunque alla correttezza dei calcoli, senza che gli competesse alcun altro obbligo di ulteriori controlli. Orbene, il PG si era limitato a formulare una critica al primo capo, relativo alle generali competenze del Consiglio superiore dei lavori pubblici, omettendo di impugnare anche il capo della decisione sopra descritto, fondante, però, una autonoma ragione conducente alla pronuncia assolutoria. Ciò determinava, da un lato e per la ragioni dette, la inammissibilità del motivo e, comunque, il passaggio in giudicato della autonoma statuizione assolutoria. Quanto, comunque, al tenore del motivo, incentrato sulla interpretazione - secondo il PG errata - della legge 1460 del 1942 in ordine al ruolo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il PG si era basato unicamente sulle dichiarazioni testimoniali del teste L.L.L., segretario della Terza sezione del CSLP, con il compito di verbalizzare in sede di Adunanza, il quale aveva dichiarato, con espressione di natura squisitamente valutativa, che il CSLP valutava la " bontà tecnica del progetto". Si trattava, dunque, di una deposizione di contenuto valutativo che non poteva essere presa in considerazione, per di più del tutto generica ed atecnica. Era invece corretta l'interpretazione operata dalla Corte territoriale, fondata proprio sulla piana lettura delle norme della legge istitutiva del CSLP, che imponeva il parere solo in caso di opere pubbliche che superavano un determinato tetto di spesa, il che conduceva a ritenere che la valutazione del CSLP non dovesse riguardare la sicurezza delle opere (caratteristica che, a prescindere dai costi, tutte le opere pubbliche dovevano possedere), ma la utilità del progetto per la collettività e la congruità dei costi previsti. Nel caso in esame, emergeva dalla lettura degli atti processuali, e in particolare dal contenuto del verbale della adunanza del CSLP del 15 dicembre 1993 (contenuto ai doc. 107 A) e 146 A) del fasc. dib.) che l'oggetto della valutazione consisteva nella valutazione dell'interesse pubblico della costruzione; della congruità dei costi, della completezza del progetto.

7.3. Con la memoria depositata nell'interesse dei Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero della Difesa l'Avvocatura dello Stato ha dedotto quanto segue.

7.3.1. Sul ricorso della parte civile A.A. la difesa erariale rileva, in primo luogo, l'inammissibilità del ricorso, essendo stata l'assoluzione pronunciata con la formula "il fatto non costituisce reato". La formula assolutoria, dunque, non avrebbe precluso l'accertamento davanti al giudice civile. In ogni caso, anche a voler aderire all'opposto orientamento, che ammette l'interesse alla impugnazione ai fini civili, doveva considerarsi come il giudice di primo grado, pur pronunciando condanna degli imputati al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite, aveva rilevato che, nel corso del giudizio a carico dell'equipaggio della nave Q.Q., alle predette parti civili era stato liquidato il danno nella misura massima prevista dalle tabelle vigenti. Per tali ragioni non aveva liquidato in favore delle parti civili costituite alcuna provvisionale. Detta statuizione non era stata impugnata dalla ricorrente A.A., ed era dunque passata in giudicato. Dunque, il Tribunale aveva sostanzialmente negato qualsiasi pretesa risarcitoria della signora A.A. all'interno del processo penale, con la conseguenza che nessun effetto favorevole potrebbe trarre dall'accoglimento del presente ricorso. Inoltre, il ricorso della parte civile A.A. doveva considerarsi inammissibile per non aver attaccato il punto della sentenza di appello da solo sufficiente a fondare l'assoluzione dell'ammiraglio C.C., e, in particolare, l'idoneità della ordinanza n. 28/2012 emessa dall'ammiraglio C.C. ad evitare il sinistro, posto che, come più volte ripetuto nella sentenza impugnata, era accertato che il Comandante della Q.Q. aveva lasciato gli ormeggi con il contagiri in avaria senza segnalarlo alla autorità marittima. Detta circostanza comportava, invero, anche l'assenza di responsabilità dell'C.C. quale datore di lavoro, trattandosi comunque del medesimo soggetto che aveva adottato una misura certamente idonea ad evitare l'evento. Benché dette considerazioni debbano ritenersi assorbenti, venendo all'esame delle doglianze inerenti l'acquisizione dei dati AIS, la difesa erariale riporta il testo del verbale di udienza del 14 aprile 2022 dal quale risulta che, in ordine alla acquisizione dei dati, la medesima parte civile aveva richiesto la decriptazione in sede peritale, nominando il proprio CT di parte. Non poteva, dunque, lamentarsi proprio per l'adozione della perizia che ella stessa aveva richiesto. Inoltre, fermo restando che l'obbligo di motivazione in ordine alla disposizione di un mezzo istruttorio in fase di appello sussiste solo in caso di diniego, in più parti la sentenza impugnata aveva diffusamente spiegato le ragioni della decisione di procedere alla consulenza espletata (pag. 192 della sentenza). Del tutto congetturale e sfornita di qualsiasi appiglio era, da un lato, la qualificazione come ispezione del sopralluogo della Corte al Porto di G nonché le conseguenze che la stessa Corte ne avrebbe tratto sul piano delle decisioni istruttorie. Quanto, poi, alla censura riguardante i dati AIS, il motivo non coglie le ragioni della decisione in quanto la sentenza impugnata non aveva mai attribuito ai dati predetti il valore di cui all'art. 2702 cod. civ., ma aveva compiuto un articolato giudizio sulla affidabilità di detti dati, ancorato ad elementi probatori acquisiti al processo, rilevando che nel processo penale non esiste il concetto di prova legale. Era inoltre inconferente il richiamo al concetto della "catena di custodia", riguardante atti della PG riguardanti dati informatici, volta a impedirne l'alterazione: nel caso di specie, come rilevato nella sentenza impugnata, la acquisizione dei dati si era svolta di fronte ai periti ed operata dal personale addetto alla rilevazione dei dai AIS nazionali, come tale rientranti in un accertamento tecnico, secondo la giurisprudenza di legittimità. Era, peraltro, pienamente applicabile l'art. 23 bis del CAD, essendo l'estrazione dei dati avvenuta presso il Comando Nazionale delle Capitanerie di porto, da parte di una apposita commissione nominata all'uopo, che non poteva che rivestire la qualità di pubblico ufficiale.

7.3.2. Anche il secondo motivo formulato dalla parte civile, attinente alle motivazioni della assoluzione dell'C.C. nella qualità di datore di lavoro, deve considerarsi inammissibile, risolvendosi in mere considerazioni generiche circa la ingiustizia della sentenza di appello e nella esattezza di quella di primo grado. Il motivo non teneva minimamente conto delle amplissime argomentazioni spese nella sentenza impugnata per ritenere il rischio di urti da parte delle navi in manovra non governabile dal datore di lavoro, non attaccando il complessivo ed articolato ragionamento della Corte territoriale sulla interpretazione degli artt. 63 e 64 del D.Lgs. 81/2008. La sentenza impugnata era invece conforme ai consolidati principi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il garante è il soggetto che gestisce il rischio, e che le norme prevenzionistiche, di cui si contesta la violazione in capo all'C.C., sono poste a tutela della integrità fisica connaturali all'esercizio di attività lavorative. Il richiamo alla sentenza pronunciata in relazione al caso del liceo S.S.S. di R dimostrava la bontà del ragionamento della Corte, trattandosi di crollo di un solaio, e quindi di un apparato interno della struttura scolastica, e difatti era stato condannato anche il RSPP, contrariamente a quanto accaduto nel caso in esame. Del tutto aspecifica rispetto alla ampia motivazione offerta dalla Corte territoriale era poi la critica riguardante l'episodio del 1999 riguardante la motonave M.M.M.. Del tutto generica, poi, anche la critica in ordine alla prevedibilità dell'evento, che non attaccava l'amplissima disamina della Corte circa l'analisi delle poderose risultanze istruttorie prese a parametro delle conoscenze in capo all'agente modello posto a base del giudizio di colpevolezza. Anche in ordine al punto della individuazione della classe di eventi, era stato censurato un passaggio parziale della sentenza di appello: la Corte territoriale aveva fatto invece riferimento non solo all'evento accaduto, ma alla tipologia di evento quale "urti contro strutture in specchi acquei quali quello dell'avamporto", così facendo corretta applicazione del principi della nota sentenza Thyssen, che, nella definizione della classe di eventi, fa riferimento alla generalizzazione ma che include alcune particolarità del caso concreto.

7.4. In ordine al ricorso della Procura generale presso la Corte d'Appello di Genova, la difesa erariale ne deduce l'inammissibilità per difetto di specificità ed autosufficienza. I motivi si limitano a richiamare la sentenza di primo grado esaltandone la correttezza, senza alcuna specifica critica ai lunghi passaggi motivazionali della decisione impugnata. Bastava, al riguardo, rilevare, a mero titolo di esempio, che il PG si era limitato a richiamare l'episodio della motonave M.M.M. del 1999 per criticare il giudizio di imprevedibilità, senza minimamente attaccare l'ampia motivazione resa dalla Corte d'Appello per spiegare la radicale diversità dell'episodio rispetto all'accaduto. Ancora, secondo il PG la Corte non avrebbe adeguatamente confutato il fatto che il bacino di avamporto, seppur conforme alle regole costruttive e alle buone prassi internazionali, era "oggettivamente ristretto". Il PG non aveva opposto alcuna critica alla compiuta motivazione offerta nella sentenza impugnata alle pag. 178 e seguenti, che invece confutavano ampiamente il dato della asserita insufficienza e pericolosità dell'area di manovra. Ancora, erano replicabili gli stessi rilievi di inammissibilità esposti per il ricorso della parte civile per la mancata impugnazione di un punto essenziale riguardante la posizione di C.C., ossia l'adozione dell'ordinanza n. 28 del 2012 che era idonea a scongiurare l'evento. Erano inammissibili e comunque infondati il secondo, terzo e quarto motivo inerenti alla determinazione, da parte della Corte d'Appello, della classe di eventi.

7.5. Erano parimenti inammissibili e infondate le censure opposte alla assoluzione dell'ing. F.F., per le quali si ripetono le considerazioni svolte dalla medesima difesa erariale sulla specifica posizione. Quanto alla assoluzione dell'Ammiraglio C.C. nella qualità di datore di lavoro, il motivo di ricorso non aveva specificamente censurato né la rilevata diversa interpretazione rilevata circa l'applicazione ai RSPP e ai datori di lavoro degli artt. 62 e 63 D.Lgs. 81/2008, né, soprattutto, l'amplissima disamina delle testimonianze dalle quali la Corte aveva tratto il parametro dell'agente modello, né le ampie considerazioni relative alla classe di eventi considerata in ordine alla prevedibilità, né, infine, l'elemento cardine della fattispecie, ossia che la nave Q.Q. la sera del sinistro, non era in condizioni di navigare.

8. Ha presentato memoria il responsabile civile Autorità portuale di G, deducendo la inammissibilità del ricorso del PG per genericità, nonché la ineccepibile esattezza delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. In primo luogo, la ricognizione normativa effettuata dai periti del PM aveva condotto alla dimostrazione che l'unica tipologia di urti considerati dalle buone prassi costruttive era quello relativo alle strutture ubicate sulle banchine di ormeggio; non erano stati rilevati nemmeno dal Tribunale profili di colpa specifica; nonostante ciò, il Tribunale si era basato su una figura di agente modello parametrandolo alle conoscenze che, all'epoca, non esistevano. Pertanto, era del tutto corretta ed aderente alle risultanze processuali la valutazione della Corte d'Appello, e non coglieva nel segno il motivo di ricorso, ancorata alla "scomparsa del contraddittorio tecnico", posto che proprio sulla base delle conclusioni dei periti la Corte aveva argomentato. Ancora, non coglievano nel segno i rilievi relativi alla selezione della classe di eventi: la Corte, pur richiamando il luogo "molo I.I.I.", si era riferita alle manovre di evoluzione in avamporto, applicando correttamente i principi della sentenza Thyssen, secondo cui la categorizzazione non può prescindere dallo sviluppo causale dell'evento. Inoltre, era stato ampiamente dimostrato come nel 1992 il cerchio di evoluzione era ancora più ampio; che poche navi facevano manovra in avamporto, che la meccanica delle navi di quel periodo non consentiva la manovra a mezzo del motore, essendo dunque irrilevante la avaria. Non erano stati adeguatamente criticati tutti gli elementi, analiticamente vagliati dalla Corte, che rendevano concretamente imprevedibile, nel 1992, il sinistro poi verificatosi più di venti anni dopo: il ricorso si era limitato a richiamare le argomentazioni del primo giudice, senza invece adeguatamente attaccare la sentenza impugnata. Era del tutto erroneo il richiamo alle tabelle per la valutazione del rischio, risalenti al 2012 e al 2016. La Corte aveva esaurientemente e correttamente argomentato in ordine alla collocazione della Torre sul punto prescelto, né era chiarito quale sarebbe stato il comportamento alternativo lecito che avrebbero dovuto porre in essere D.D. e E.E., essendo stata peraltro dimostrata, in sede di consulenza tecnica, l'inutilità delle barriere di protezione. Infine, era stato adeguatamente argomentata la scelta di ricorrere alla rinnovazione istruttoria (pag. 165 della sentenza di appello) con argomentazioni logiche ed incensurabili in sede di legittimità, e peraltro irrilevanti riguardo alla posizione dei progettisti, la cui posizione deve essere valutata con riferimento al 1992.

9. Ha depositato memoria la difesa E.E. che deduce, quanto al primo motivo di ricorso del PG, riguardante la prescrizione, l'inammissibilità in quanto attinente ad un mero obiter dictum, e non ad un capo autonomo di sentenza, suscettibile di passaggio in giudicato. Quanto al secondo motivo, se ne rileva la infondatezza: in primis, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, non sussiste obbligo di rinnovazione istruttoria in caso di riforma in senso assolutorio. Inoltre, era adeguatamente ed ampiamente motivata la decisione relativa alla corretta selezione della classe di eventi operata dalla Corte territoriale, con ampie considerazioni sviluppate alle pag. 114/120, ivi compreso l'elemento della grave avaria della nave Q.Q. che non ne avrebbe consentito la partenza. Quindi, per selezionare la classe di eventi, non poteva considerarsi il caso di urti contro le banchine di ormeggio, quale non era il molo I.I.I., e doveva ricomprendersi, nell'alveo della prevedibilità, anche la grave avaria verificatasi prima della partenza. Il concetto in questione era stato tracciato a partire dallo storico caso di P, in cui la Corte di legittimità aveva statuito che l'agente doveva rappresentarsi non tutte le possibili conseguenze lesive della sua condotta, ma una categoria di queste. Non è dunque corretta la prospettazione del PG secondo cui esisterebbe un grande genere di eventi potenzialmente lesivi (ossia gli urti di navi in banchina) che doveva essere prevedibile dal progettista, in quanto detta prospettazione non teneva conto della eccezionalità dell'evento concretamente verificatosi e non era riconducibile alla concretizzazione del rischio che le regole costruttive riguardanti i porti miravano a prevenire.

10. Ha depositato memoria D.D. Deduce, riguardo ai motivi di ricorso del PG, che la Corte d'Appello non aveva affatto contraddetto o omesso la valutazione del cd sapere tecnico. La Corte aveva colto, sulla base del corretto ragionamento in ordine alla categorialità degli eventi, l'insufficienza del cd sapere tecnico in relazione alla categoria di evento "urto contro la struttura portuale". La riprova di ciò era costituita dal ragionamento sviluppato dal PG, riferito al generico concetto di "adeguatezza" della distanza. La Corte, inoltre aveva correttamente rilevato come fossero molteplici le strutture collocate sulle banchine. La regola cautelare che presidia la sicurezza, nel caso di specie, è la regola che presidia la sicurezza della navigazione. La Corte ha correttamente sottolineato che la circolazione marittima è affidata ad esperti, come rilevato anche da uno dei CT del PM. E, difetti, nessuna struttura insistente sulla banchina era stata mai spostata o evacuata, a conferma della assoluta eccezionalità dell'evento. In ordine alla perizia disposta dalla Corte d'Appello, si rileva che l'approfondimento era stato reso necessario dalla osservazione del CT del PM T.T.T. il quale aveva osservato come solo le navi che provenivano dal canale di U.U. potevano puntare la Torre. Pertanto, era stato correttamente condotto il ragionamento riguardante la prevedibilità, in concreto, dell'evento. Gli errori commessi dalla Q.Q. costituivano una incredibile sequenza di ben 12 eventi, e non si può definire prevedibile un evento che non abbia una possibilità di accadimento superiore a un certo limite. Il primo giudice aveva confuso gli eventi prevedibili con gli eventi meramente possibili. Riguardo, poi, alla analisi dei rischi citata nei motivi di ricorso del PG, deve rilevarsi che è sempre consentito un rischio accettabile, non essendo ipotizzabile un "rischio zero". Nelle analisi dei rischi non si considerano eventi complessi composti da più eventi singoli, se relativamente poco frequenti o rari, poiché anche il presidio offerto dai più sofisticati dispositivi può essere messo in discussione da errori umani imprevedibili. Facendo buon governo di tali principi, la Corte era pervenuta al giudizio assolutorio escludendo la prevedibilità del disastro verificatosi in concreto. Quanto alla collocazione della Torre, si sottolinea che il cd "Superbacino" era già esistente, e non in costruzione, e pertanto ciò impediva di avvistare le navi provenienti da T.T.. La esclusione della zona Fiera era dovuta ai limiti del piano regolatore. La posizione era stata definita ottimale anche dai CT del PM. Ed era proprio la conclusione dei CT del PM che aveva condotto alla impossibilità di individuare il comportamento alternativo lecito concretamente esigibile, posto che i predetti CT si erano trovati d'accordo non solo sul fatto che la Torre non poteva essere definita un unicum, ma che neppure le opere di protezione della Torre sarebbero state efficaci, potendo paralizzare il traffico portuale ed essere così maggiormente pericolose.

11. È stata presentata memoria nell'interesse di C.C. Si deduce la inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale, che si era limitato a richiamare tautologicamente le posizioni del Tribunale senza formulare alcuna specifica analisi critica alle argomentazioni della sentenza impugnata. Invero, mancava una specifica confutazione dell'articolato ragionamento della Corte territoriale riguardante la contraddittorietà della esclusione della responsabilità dei RSPP e l'affermazione della medesima responsabilità in capo all'C.C., basata su un lungo ragionamento interpretativo delle norme del D.Lgs. n. 81/2008; né del rilievo per cui il Tribunale non aveva basato l'affermazione di responsabilità sulla violazione dell'art. 2087 cod. civ., ma pur sempre sulla violazione degli artt. 63 e 64 del TU, interpretati però diversamente per i RSPP. Parimenti, era generico il rinvio ai rilievi in ordine alla prevedibilità e alla classe di eventi già mossi ai progettisti, in quanto non si confrontavano con la parte della sentenza riguardante C.C. Quanto al punto inerente la classe di eventi, la sentenza impugnata aveva fatto ineccepibile applicazione dei principi delle sentenze di legittimità. Né il PG si confrontava adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata quanto alla lamentata erroneità della motivazione riguardante un supposto affidamento del comandante del porto sulle abilità dei comandanti delle navi, senza considerare l'ampio spazio che la motivazione aveva dedicato alla consapevolezza, da parte dell'C.C., dei possibili errori dei comandanti e alla adozione delle misure per scongiurarli, riportati nella ordinanza n. 28 del 2012. Non coglievano nel segno le critiche mosse all'oggetto della indagine peritale poiché limitata alle manovre delle navi Q.Q.Q., non essendosi considerato che proprio il CT del PM, T.T.T., le cui dichiarazioni venivano riportate, aveva dichiarato che i pericoli per la Torre erano costituiti dalle navi che facevano manovra di evoluzione in uscita, quali le Q.Q.Q.. Non era stato neppure confutato l'ampio ragionamento della Corte riguardante la adeguatezza della citata ordinanza n. 28 del 2012 dell'C.C. Ineccepibile e non adeguatamente confutato era il ragionamento che aveva considerato come la categoria di agente modello non poteva essere ideale e astratta, ma riferita al grado di diligenza concretamente esigibile. Ancora, perfettamente motivato e coerente era il ricorso alla perizia, necessario per superare, attraverso proprio il cd sapere esperto, le obiezioni circa la asserita ristrettezza del cerchio di evoluzione delle navi e della pericolosità delle manovre. Relativamente, poi, al ricorso della parte civile, era inammissibile il motivo inerente alla asserita violazione dell'art. 2087 cod. civ. e 63 e 64 del D.Lgs. 81/2008, era inoltre inconferente il richiamo alla sentenza relativa al liceo S.S.S. di R, perché riferito a rischi evidenti; nessun confronto vi era in ordine all'episodio della motonave M.M.M.. Erano altresì inammissibili, oltre che infondate, le censure mosse in ordine alla figura dell'agente modello così come delineate dalla Corte. Quanto al denunciato travisamento della prova, il motivo non indicava quali prove sarebbero state travisate. Del tutto infondati, inoltre, erano i motivi attinenti alla selezione della classe di evento, stante per di più l'erroneità del dato comparativo, e cioè quello delle 19 mila manovre che si riferivano a tutte le manovre eseguite nel porto, e non quelle al molo I.I.I.. Infine, con riferimento ai motivi relativi alla acquisizione dei dati AIS e della disposta perizia si rileva, da un lato, come non vi sia alcun obbligo di specifica motivazione; come sia stata la stessa parte civile a richiedere la perizia sui dati e come siano inconferenti le critiche alla supposta "ispezione" effettuata dalla Corte, cui la sentenza impugnata non fa alcun accenno e pertanto del tutto irrilevante nella decisione adottata. Quanto alla violazione dell'art. 2702 cod. civ., il motivo era manifestamente infondato posto che la sentenza non si basa affatto sul valore fideifaciente dei dati, non applicando dunque la citata norma, ma sull'affidabilità degli stessi e sul principio di atipicità della prova. Infine, era del tutto inconferente il richiamo alla cd "catena di custodia", riferibile ad atti della PG.

12. Ha depositato memoria G.G. Sui motivi di ricorso del PG, deduce il G.G. che non coglie nel segno il rilievo circa la erroneità del giudizio relativo alla ricostruzione del cd "classe di eventi", identificata invece correttamente dalla Corte territoriale sulla base della nota sentenza Thyssen. Ancora, la Corte aveva fatto corretto riferimento ad una figura concreta di agente modello, ed aveva preso in considerazione ampiamente il cd sapere esperto, affidando al CT ammiraglio U.U.U. la perizia in ordine allo studio dei dati AIS per verificare lo svolgimento delle manovre delle navi potenzialmente pericolose nell'area interessata. Il PG era caduto in contraddizione da un lato censurando la sentenza impugnata per avere disatteso il cd sapere esperto, dall'altro criticando proprio il ricorso al sapere esperto che i giudici di appello avevano compiuto. Contrariamente a quanto lamentato dal PG, la perizia si era svolta nel pieno contraddittorio delle parti. La Corte aveva poi correttamente richiamato l'ordinanza n. 28 del 2012 dell'ammiraglio C.C. che imponeva di non navigare in presenza di avarie, come era avvenuto la sera del sinistro. La Corte aveva giustamente sottolineato che mai nessuno dei piloti aveva riferito al G.G. la percezione di qualsivoglia pericolo durante le manovre condotte con gli stessi piloti a bordo. Era infondata la doglianza del PG in ordine agli obblighi del G.G., quale datore di lavoro, di procedere allo sgombero della Torre in quanto avrebbe dovuto sovraintendere alla stabilità dell'edificio, in quanto detto obbligo non poteva che esaurirsi nei poteri effettivamente esercitabili, che non riguardavano rischi esterni quali il potenziale urto di navi in manovra. Il G.G., assunta la qualità di Comandante dei piloti, aveva compiuto quanto rientrante nelle proprie attribuzioni, verificando la regolarità dell'edificio adibito a luogo di lavoro, con il certificato di agibilità e i permessi della Autorità Portuale. La giurisprudenza di legittimità aveva sempre fatto riferimento a rischi e fattori di pericolo esistenti all'interno dell'azienda, e non all'esterno. Peraltro, il rischio relativo alla manovra della nave la sera dell'incidente non era certamente gestito dal capo Pilota, ma proprio dal pilota che stava a bordo. La applicazione dell'art. 2087 cod. civ. operata dal primo giudice trasmodava, quindi, in una forma di responsabilità oggettiva. Il richiamo al precedente riguardante il Liceo S.S.S. dimostrava come può essere gestito dal datore ed imporre lo sgombero solo un rischio strutturale palese ed evidente. Nel giudizio di merito era stato adeguatamente confutato dai consulenti di parte anche il tanto enfatizzato fenomeno del "gigantismo navale", dimostrandosi che solo navi che rispettavano determinati requisiti avrebbero potuto entrare in porto; e che comunque all'aumentare della stazza delle navi corrispondeva una migliore strumentazione; seguendo il ragionamento del PG e del primo giudice, nessuna struttura portuale sarebbe sicura; era stato adeguatamente confutato il rilievo dell'incidente al molo N.N.N. e la rilevanza dei filmati introdotti dalle parti civili; era corretta e motivata in modo amplissimo la ricostruzione dei saperi dell'agente modello di riferimento operata dalla Corte territoriale, e le risultanze circa la ricostruzione delle manovre delle navi Q.Q.Q. avvaloravano dette conclusioni.

13. La parte civile ricorrente A.A. ha ribadito le ragioni svolte nei motivi di ricorso, richiamando il recente sinistro accaduto a B il 26 marzo scorso, che aveva dimostrato proprio come le strutture non si fossero affatto adeguate al fenomeno ed del "gigantismo navale".

14. Hanno presentato memoria le parti civili B.B. e L.L. lamentando l'irritualità del sopralluogo operato dalla Corte d'Appello sul luogo del sinistro, la mancanza di motivazione della decisione di acquisizione dei dati AIS e di disporre perizia; la limitatezza del dato statistico esaminato con conseguente irrilevanza ai fini della disposta assoluzione degli imputati. Con riferimento alla posizione dell'ammiraglio C.C., deducono vizio di motivazione e di violazione di legge della sentenza impugnata. Era totalmente errato il giudizio circa l'individuazione del grado di diligenza dell'agente modello; la Corte, per escludere la prevedibilità dell'evento, si era basata su dati statistici del tutto marginali; era stato violato l'art. 2087 cod. civ. quale norma di chiusura del sistema che impone al datore di lavoro l'adozione di tutte le cautele necessarie a garantire la sicurezza dei lavoratori, anche in assenza, appunto, di specifiche regole codificate. Era stato colpevolmente ignorato l'episodio della motonave M.M.M. e, inoltre, la Corte territoriale aveva violato il principio per cui la prevedibilità riguarda anche gli eventi rari o rarissimi; infine, aveva erroneamente considerato idonea l'ordinanza dell'C.C. riguardante le regole di circolazione del porto, disattendendo le ineccepibili considerazioni del primo giudice, che ne aveva rilevato le lacune, non avendo limitato neppure la velocità nelle zone ove si svolgevano manovre pericolose.

15. Ha depositato memoria la parte civile J.J., richiamando le argomentazioni del PG quanto alla erroneità della ritenuta prescrizione delle condotte ascrivibili ai progettisti. Ha poi censurato la violazione dell'obbligo di fornire motivazione rafforzata rispetto alla sentenza di primo grado e la erroneità della ricostruzione delle cd classe di eventi operata dai giudici di appello, la carenza motivazionale circa la necessità di costruzione della Torre sul molo I.I.I., l'erroneità, carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prevedibilità dell'evento, come dedotto dal PG nei motivi di ricorso. Ha avanzato inoltre le medesime doglianze elevate dalla parte civile A.A. in relazione alla carenza di motivazione dell'ordinanza di rinnovazione istruttoria del 14 aprile 2022 e ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi della predetta parte civile e del Procuratore Generale.

16. Hanno depositato memoria le parti civili M.M. e N.N., deducendo l'erroneità del giudizio della Corte in ordine alla ricognizione della classe di eventi, avendo la Corte, lungi dal generalizzare, fatto riferimento proprio allo specifico evento verificatosi. La Corte aveva eliminato dalla classe di eventi proprio il caso della avaria o errore umano, che invece erano del tutto prevedibili. Era erronea la ritenuta idoneità della ordinanza emanata nel marzo 2012 dal Comandante C.C., in quanto le cautele anche stradali, cui si rapporta la Corte, prevedono precisamente dei limiti di velocità. Infine, era erronea la ritenuta prescrizione dei reati.

 

Diritto


1. La posizione dei progettisti E.E. e D.D.

1.1. Vanno preliminarmente esaminate le censure proposte nel ricorso del PG inerenti al merito della decisione, riguardando il primo motivo la prescrizione del reato contestato, logicamente subordinato alla risoluzione delle questioni poste in ordine alla assoluzione degli imputati.

1.2. La doglianza con la quale si lamenta la violazione dell'obbligo di motivazione cd "rafforzata", vertendosi in un caso di radicale riforma della sentenza di primo grado, è infondata.

2. È certamente principio acquisito che il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, pur non avendo l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Pg in proc. Troise, Rv. 272430-01; Sez. 5, n. 19730 del 16/04/2019, imputato P., Rv. 275997-01; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056-01). La motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore.

2.1. Tanto premesso, occorre chiarire e delimitare i punti sui quali si è svolto il giudizio nelle fasi di merito per individuare, alla luce delle questioni esaminate ai fini della decisione della fattispecie in esame, se nell'analisi delle dette questioni la sentenza di secondo grado abbia fornito un apporto motivazionale tale da fornire una adeguata, razionale ed argomentata giustificazione alla decisione adottata.

2.2. Orbene, l'indagine dei giudici di merito circa la fondamentale questione dibattuta, ossia la sussistenza o meno dell'elemento soggettivo del reato (esclusa, come già esposto, la rilevanza interruttiva del nesso causale della condotta dell'equipaggio della nave Q.Q.) è stata correttamente condotta attraverso lo schema della preventiva individuazione della regola cautelare, cui deve attenersi il gestore del rischio, anche ricomprendente regole cautelari non positivizzate pertinenti a tale gestione, alla luce delle conoscenze scientifiche, tecniche o esperienziali. I giudici di merito hanno infatti proceduto alla ricerca di una regola cautelare connotante profili di colpa specifica, e poi, constatata la mancanza di questa, alla ricerca di precetti non positivizzati, la cui violazione fosse idonea a connotare le condotte contestate agli imputati come colpose. L'indagine ha quindi riguardato l'esistenza di regole che imponessero l'adozione di determinati canoni costruttivi e, in particolare, prescrivessero il mantenimento di una certa distanza tra la struttura e la banchina portuale mirante alla prevenzione degli urti delle navi in manovra o in transito.

2.3. Quanto alla verifica delle regole cautelari specifiche disciplinanti la costruzione della Torre all'interno del porto, le sentenze di merito danno atto che era stato contestato ai progettisti un profilo di colpa specifica, legato alle disposizioni di cui alle circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 18591/78 e 22631/82 che prescrivevano, nell'ambito delle regole tecniche da osservare per la costruzione dì strutture in ambito portuale, la necessità di considerare le azioni "non ordinarie", tra le quali gli urti. Le previsioni delle predette circolari, però, si riferivano espressamente alle progettazioni effettuate con il metodo semiprobabilistico degli "stati limite", mentre la Torre Piloti era stata pacificamente progettata e realizzata sulla base del differente metodo costruttivo delle "tensioni ammissibili". In ordine al metodo costruttivo delle "tensioni ammissibili", erano invece applicabili le prescrizioni contenute nel D.M. 30.5.1972, ove non vi era cenno alcuno alle azioni eccezionali, tra cui, appunto, gli urti.

Escluse quindi regole cautelari positive, l'analisi ricostruttiva dei giudici di merito si è, come detto, correttamente orientata nella verifica della sussistenza di altre regole ricavabili con certezza da conoscenze tecniche, scientifiche o esperienziali.

2.4. Ora, lamenta il PG, con il motivo di ricorso, che sul punto non vi sarebbe stata esaustiva confutazione della analisi ricostruttiva del primo giudice circa l'affermata sussistenza di norme presenti nell'ambito dei saperi tecnici compendiati in raccomandazioni generali relative alla ingegneria marittima e portuale. In proposito, il primo giudice ha citato (pagg. 48 e ss.gg.) le raccomandazioni vigenti, in Germania, dal 1990 e consistenti nelle "Recomendations Comittee for waterfront structures EAU"; le norme tecniche per la progettazione vigenti in Spagna (compendio di raccomandazioni e buone pratiche relative sempre alle opere di ingegneria portuale); il "British Standard code of maritime structures" operante nel Regno Unito, tutte facenti riferimento alla necessità che la progettazione di strutture sulle banchine tenessero conto di carichi consistenti in collisioni e impatti. Il primo giudice, sulla scorta della ricognizione operata dai CT del PM, ha inoltre analizzato le pubblicazioni di autorevoli associazioni internazionali, IAPH ("International Association Port and Harbour") e PIANC ("Permanent International Association of Navigation Congress"), compendiate in 13 raccolte di raccomandazioni, attinenti alle buone pratiche da seguire in ordine alla costruzione di strutture portuali. All'esito di tale ricognizione viene constatato nella medesima sentenza di primo grado, e opportunamente rimarcato da giudice di appello, che i testi paranormativi considerati si occupano dell'analisi delle azioni eccezionali costituite dagli urti nei casi in cui la nave si trova in fase di accosto verso la banchina di ormeggio (pag. 38 della sentenza di primo grado, pag. 99 pronuncia di appello).

È, invece, bene evidenziare che la Torre piloti, pacificamente, non era ubicata su una banchina destinata all'ormeggio delle navi, ma sul molo I.I.I., sito in un bacino ove le navi non ormeggiavano, bensì eseguivano la cd manovra di "evoluzione", ossia la manovra consistente nell'"evoluire" (gergo navale), eseguendo una rotazione al fine di invertire la direzione ed uscire dal porto. La sentenza di primo grado ha dunque riconosciuto espressamente che i testi di riferimento del settore, compiutamente analizzati, non stabilivano alcuna regola relativa ad una distanza minima tra il ciglio della banchina, l'area dì evoluzione delle navi e le strutture poste sulla banchina. Secondo il primo giudice la necessità di distanziare adeguatamente le strutture e le istallazioni dal ciglio della banchina, pur non positivizzata in una regola cautelare scritta, risulta però chiaramente ricostruita attraverso le indicazioni, ricavabili dai testi del settore, relative alla segnalazione dei pericoli di urto nel corso della navigazione e della manovra portuale. Si cita, in particolare, il testo "The damage inflicted by ships with bulbous bows on uderwater structures", del 1990, che contemplava particolari accorgimenti per evitare il danneggiamento delle strutture dei muri di sponda e dei pali delle banchine (posti sott'acqua) da parte della prua di navi "a bulbo". L'analisi del primo giudice, richiamata del PG nel motivo di ricorso, si completa riportando diffusamente i dati relativi agli incidenti conseguenti agli urti delle navi nei porti, emergente dagli studi compiuti in materia dagli organismi sopra citati.

Va poi segnalato che nella sentenza di primo grado si dà compiutamente atto che nel testo "Port Engeneering", dedicato alle raccomandazioni da seguire per la progettazione delle aree portuali destinate alle manovre cd. di evoluzione, quale quella che aveva interessato la Q.Q. la sera del tragico incidente, è prescritto che l'area di manovra doveva essere pari al doppio della lunghezza della nave se la manovra è effettuata con l'ausilio dei rimorchiatori (stesse raccomandazioni si ricavano dai testi " The Damage Inflicted BY Ships With Bulbous bows on underwater structures, Techical standards for ports and harbour facilities in Japan, Port design, Guidelines and recommendations , Proceedings of Eleventh conference).

2.5. Tanto chiarito, deve in primo luogo evidenziarsi che, a ben vedere, e contrariamente a quanto affermato dal PG ricorrente, la stessa pronuncia di primo grado conclude nel senso che non esisteva una "raccomandazione" cautelare, nemmeno nel poderoso compendio di linee - guida esaminato, che prevedesse ed imponesse precisi obblighi di distanza delle costruzioni dalle banchine non destinate all'ormeggio delle navi. Non coglie nel segno, dunque, la considerazione per cui sarebbe stata individuata dal primo giudice la "regola cautelare", attraverso l'apporto del cd "sapere tecnico". La stessa sentenza di primo grado, invero, non potendo individuare una precisa norma cautelare in ordine alla distanza delle costruzioni dalle banchine non destinate all'ormeggio di navi, ricorre alla ricostruzione dell'elemento soggettivo in termini di prevedibilità dell'evento, prevedibilità ricavabile dal compendio complessivo delle "raccomandazioni" esaminate, le quali facevano riferimento al generale rischio di urti delle navi nei porti, non solo tra le navi medesime, ma anche contro le strutture. Di fatto, però, non risulta individuata alcuna prescrizione espressa, tale non potendo considerarsi quella contenuta nella raccomandazione "The damage inflicted by ships with bulbous bows on uderwater structures", del 1990, che contemplava particolari accorgimenti per evitare il danneggiamento delle strutture dei muri di sponda e dei pali delle banchine (posti sott'acqua) da parte della prua di navi "a bulbo". Si tratta, infatti, di previsione specifica riguardante un determinato tipo di danno e dettata proprio in considerazione della morfologia delle navi quale causa di potenziale impatto con le strutture sommerse, riferita, peraltro, sempre alla fase di ormeggio e non di evoluzione. L'unica regola esistente, in ordine al bacino di evoluzione, riguarda il rispetto della imprescindibile ampiezza dello specchio acqueo nel quale eseguire la manovra, considerata pertanto idonea a prevenire gli urti delle navi contro le strutture portuali.

2.6. Si impone allora una prima considerazione: la Corte territoriale non doveva confutare, adottando una motivazione dotata di maggiore persuasività, gli approdi della sentenza di primo grado che, secondo il PG ricorrente, avevano individuato la regola cautelare, posto che neppure il primo giudice aveva evidenziato ed indicato la sussistenza di un precetto specifico. Va anche precisato che, se è vero che la individuazione del compendio di "raccomandazioni" e indicazioni tecniche in materia di costruzione dei porti sono state individuate attraverso l'ausilio del cd "sapere esperto", non si verte comunque nell'ambito della "prova scientifica", in assenza di uno studio accreditato dalla comunità scientifica e, sotto tale profilo, non può muoversi alla Corte territoriale il rimprovero di aver disatteso una qualsivoglia risultanza di evidenza scientifica.

In conclusione, la confutazione da parte della Corte di merito delle argomentazioni spese dal primo giudice attiene al punto che necessariamente risulta il vero snodo qualificante dell'elemento soggettivo, ossia quello della prevedibilità del rischio, ex ante e in concreto. E, in proposito, la sentenza impugnata soddisfa appieno gli obblighi motivazionali gravanti sulla stessa, ed è altresì rispettosa del principio costantemente affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui, qualora manchi una regola cautelare connotante un profilo di colpa specifica, l'individuazione della regola cautelare non scritta eventualmente violata non deve essere frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto e in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto, ma deve discendere da un processo ricognitivo che individui i tratti tipici dell'evento, per poi procedere formulando l'interrogativo se questo fosse prevedibile ed evitabile "ex ante", con il rispetto della regola cautelare in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico - scientifiche e delle massime di esperienza (Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, Di Pietro, Rv. 269254-01; Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871-01; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, PG c/ Castaldo, Rv. 281997-17).

Seguendo tale percorso logico, infatti, la Corte genovese ha operato la ricognizione dei tratti tipici dell'evento, secondo i principi ricostruttivi segnati nella nota sentenza delle Sezioni Unite n. 38343 del 14 aprile 2014, Espenhan, che impongono, ai fini del giudizio di prevedibilità ed evitabilità, non già di considerare lo specifico fatto verificatosi, ma la cd "classe di eventi" che concretizza il rischio tipico che la cautela deve scongiurare. Nel caso ivi trattato, e richiamato dalla Corte territoriale, si precisava che non doveva farsi riferimento al generico rischio di incendio in uno stabilimento industriale, bensì alla tipologia di incendio effettivamente verificatasi, ossia il fenomeno del cd "flash fire".

2.7. Quanto esposto introduce la tematica oggetto del reale dibattito, e consente di esaminare la seconda parte del motivo, con il quale il ricorso del PG lamenta l'errore in diritto compiuto dalla Corte territoriale nella individuazione della classe di eventi da inserire nell'area della concreta prevedibilità. In particolare, viene censurato dal PG il riferimento, da parte della Corte territoriale, agli "urti tra navi in evoluzione nelle acque del porto di G e la Torre piloti collocata in testa al molo I.I.I.", che si riferisce espressamente al luogo in cui l'incidente era avvenuto. Nel corpo del motivo, si critica il passaggio motivazionale della sentenza impugnata secondo cui il Tribunale non avrebbe correttamente individuato la classe di evento facendo riferimento ad una categoria troppo generica, ossia gli "urti di navi contro strutture portuali", laddove il primo giudice aveva richiamato la classe di "eventi in conseguenza di urti, determinati da errore umano o avaria delle macchine, delle navi in manovra, non solo di accosto al fine di ormeggio, ma anche di evoluzione, contro le banchine e le strutture portuali".

2.8. La doglianza, seppur suggestiva, non coglie nel segno.

È opportuno richiamare anche in questa sede i principali passaggi della nota sentenza delle Sezioni Unite (SU, n. 38343 del 14 aprile 2014, Espenhan), in ordine alla individuazione della classe di evento. Viene infatti in quella sede chiarito che "qualunque problema di prevedibilità impone che sia definito l'oggetto della previsione che, nella specie è costituito dall'evento che, conseguentemente, deve essere "descritto". Il tema è delicato, di rilevante importanza pratica e ricco d'implicazioni teoriche. Esso va affrontato tenendo in conto la finalità della detta descrizione. Essa è funzionale all'individuazione di un esito lesivo che costituisca espressione del rischio specifico che una determinata disciplina cautelare era chiamata a governare. Affermata la necessità di fare riferimento all'evento ai fini del giudizio di prevedibilità che fonda la colpa, occorre determinare il criterio in base al quale individuare le particolarità dell'evento nella sua complessità che vengono selezionate ai fini della sua definizione. Si tratta, appunto, del problema della descrizione dell'evento prevedibile, che con grande frequenza compare nei casi giudiziari per illeciti colposi di evento. Al riguardo sono astrattamente possibili due approcci: uno che descrive l'evento così come si è storicamente verificato, con tutti i suoi contingenti dettagli; l'altro che, invece, coglie lo stesso evento in senso generalizzante, come un evento del genere di quello prodotto. Sono evidenti le diverse conclusioni applicative cui conducono le due opposte soluzioni: l'una restringe a dismisura l'area del prevedibile, giacché esisterà sempre una descrizione abbastanza ricca da cogliere la irripetibilità ed unicità di ciascun evento che verrà così sottratto ad ogni possibilità di ripetizione; l'altra la amplia, in relazione alle diverse modalità con le quali si conduce la selezione degli aspetti del fatto considerati ai fini della costruzione in senso generalizzante della tipologia o classe di evento. La scelta attinge ad una matrice logica. È stato osservato che il giudizio di prevedibilità altro non è che il giudizio circa la possibilità di previsione di eventi simili e, dunque, di eventi che hanno in comune con il risultato concreto prodottosi determinate caratteristiche. Appurare se un evento è prevedibile implica allora l'elaborazione di una generalizzazione, una descrizione nella quale siano incluse certe particolarità del caso e non altre. In dottrina non si dubita che in materia di colpa la prevedibilità non debba essere accertata rispetto al solo evento finale, ma anche in relazione al decorso causale, almeno nelle sue linee essenziali. Si tratta di porre a confronto il decorso causale che ha originato l'evento concreto conforme al tipo con la regola di diligenza violata; e di controllare se tale evento sia la realizzazione del pericolo in considerazione del quale il comportamento dell'agente è stato qualificato come contrario a diligenza. Si tratta quindi di verificare se lo svolgimento causale concreto fosse tra quelli presi in considerazione dalla regola violata. Peraltro, occorre ribadirlo, anche sotto il profilo causale la pur necessaria prevedibilità dell'evento non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma la classe di eventi in cui quello oggetto del processo si colloca. La Corte di cassazione (Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007, Marchesini, Rv. 237880) ha già avuto occasione di considerare che la descrizione dell'evento non può discendere oltre un determinato livello di dettaglio e deve mantenere un certo grado di categorialità; giacché un fatto descritto in tutti i suoi accidentali ragguagli diviene sempre, inevitabilmente, unico ed in quanto tale irripetibile ed imprevedibile. Facendo applicazione di tali principi emerge chiaramente che nella fattispecie non è in discussione un generico rischio di incendio, che può avere le più molteplici cause e richiedere cautele anche fortemente differenziate, bensì lo specifico rischio di flash fire"."

2.8. Dai passaggi significativamente qui citati, e riportati anche nella sentenza impugnata - secondo cui la classe di evento va individuata sia evitando eccessive generalizzazioni, sia la considerazione dell'evento così come verificatosi, in quanto unico e irripetibile, ma comunque avendo riguardo anche allo sviluppo causale - discende che la cd "classe di evento" va sempre ricercata partendo dalla descrizione di quanto, in concreto, è avvenuto, per poi procedere all'inserimento dell'accaduto in una categoria più ampia (in tal senso, più recentemente, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, PG/ Castaldo). Il procedimento di inserimento dell'evento verificatosi nella categoria generale è stata correttamente ricostruita dalla Corte di appello avuto riguardo alla tipologia di manovra eseguita la sera del tragico incidente, ossia la manovra di evoluzione nel bacino acqueo ove l'evoluzione poteva svolgersi (non potendo, ovviamente, svolgersi in tutte le aree portuali) ed escludendo, altrettanto correttamente, l'ormeggio, il disormeggio e le altre differenti tipologie di manovra, tutte, in astratto, potenzialmente foriere di urti, come tutte potenzialmente foriere di potenziali rischi dovuti ad avaria o errore umano (come prospettato dal primo giudice). Proprio facendo applicazione dei principi esposti, risulta evidente che l'incidente concretamente avvenuto nel corso di una manovra di evoluzione, e nello spazio acqueo a ciò destinato, ha un proprio decorso causale diverso da quello che può innescarsi nel corso della esecuzione di un altro tipo di manovra e può richiedere l'adozione di cautele differenti, caratterizzandosi per un grado dì pericolosità e di rischio differente. Ma nella ipotesi, come quella di cui si tratta, ricollegabile al verificarsi di incidenti di navi in movimento in un porto, non può non assumere rilievo l'individuazione del luogo ove l'evento è accaduto, non potendosi prescindere, nel giudizio di prevedibilità, dal considerare la realtà morfologica, geografica e spaziale del luogo di verificazione del sinistro. Diverse possono essere infatti le caratteristiche delle aree di passaggio e di manovra; può mutare il numero dei luoghi destinati alla evoluzione, al transito o all'ormeggio delle imbarcazioni; può conseguentemente mutare la frequenza di determinate manovre in determinate aree, e così via. In conclusione, la Corte territoriale, nella elaborazione della classe di eventi, ha tenuto correttamente conto sia del luogo dell'evento sia della tipologia di manovra che poteva svolgersi nel bacino di avamporto ove la Torre era ubicata.

Alla luce dei principi sopra indicati, sono immuni da censure le considerazioni della Corte territoriale che individuano in tal senso la classe di evento.

2.9. Venendo al successivo giudizio di prevedibilità in concreto dell'evento così come individuato, va ribadita la validità del ricorso al parametro dell'agente modello basata sulla pluriennale elaborazione della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. ancora Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261106-01, Espenhahn) secondo cui, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (in senso conforme, Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia, Rv. 263283-01; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Galdino in proc. Castellano; Rv. 274500-01; Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri, Rv. 276238-01; Sez. 4, n. 9745 del 12/11/2020, Dutu, Rv. 280696-01). In tal modo, esemplificativamente, è stata esclusa la prevedibilità di un evento infausto da parte di un semplice medico specializzando sprovvisto delle nozioni che avrebbe potuto avere un medico di provata esperienza e specializzazione; così come la prevedibilità, da parte di agenti di polizia, della potenzialità lesiva con effetti letali di una manovra di immobilizzazione del reo catturato, ovvero , al contrario, della possibilità, per un medico in fase ormai finale del corso di specializzazione, di rendersi conto dei possibili effetti infausti di un dosaggio errato. Secondo detta elaborazione, dunque, l'agente modello non corrisponde ad una figura ideale ed astratta (foriera delle critiche che hanno riguardato il ricorso al predetto parametro, in quanto potenzialmente lesivo del principio di colpevolezza), ma deve riguardare la capacità effettiva di uniformarsi alla regola, tenendo in considerazione il grado di conoscenze concrete e di professionalità posseduto.

2.10. Ciò posto, i giudici della Corte d'Appello hanno correttamente proceduto alla verifica della possibilità, per gli imputati, di rappresentarsi l'evento accaduto oltre venti anni dopo dall'epoca della progettazione, prendendo in considerazione la posizione rivestita dai predetti imputati (dirigenti tecnici del Consorzio autonomo del Porto di G) e il bagaglio di conoscenze da questi posseduto e da questi conoscibile, riferite anche al luogo di costruzione della struttura (Porto di G) all'epoca della progettazione.

Rileva la sentenza impugnata che, secondo i dati emersi dall'istruttoria (relazione del CT; dichiarazione del comandante V.V.V., capo dei piloti del porto di G fino al 1993, per 25 anni), risultava che: 1) era necessario dotare il Porto di G di un torre di controllo simile alle strutture esistenti in ambito aereoportuale, per avere una visione completa del porto (imbocco di T.T., avamporto, canale di U.U., porto vecchio): 2) il molo I.I.I. non era mai stato teatro di alcun incidente al momento della progettazione; 3) il predetto molo I.I.I. si poneva come ubicazione migliore per assicurare la visibilità completa su tutto il Porto di G (fatto riconosciuto anche dal CT del Pm, ing. W.W.W., pagg. 112 della sentenza di appello); 3) il molo I.I.I., costruito nel lontano 1888, ospitava già edifici portuali, quali la caserma della Guardia di Finanza e una vecchia torre piloti edificata nel 1928, tanto che la costruzione della nuova torre piloti era stata considerata quale mero "adeguamento funzionale" ; 4) il molo I.I.I. non era destinato all'ormeggio delle navi e dunque si poneva al di fuori del rischio tipico contemplato dalle linee guida per le costruzioni portuali vigenti al momento della redazione del progetto (1992). La Corte territoriale ha così ampiamente approfondito l'ulteriore aspetto connesso alla prevedibilità concreta dell'evento in rapporto alle conoscenze dell'agente modello, verificando, sulla base degli elementi acquisiti al giudizio, se la costruzione così come realizzata potesse, in base al bagaglio di conoscenze posseduto dai progettisti dell'epoca, prevedibilmente e concretamente subire potenziali pericoli di urto delle navi di passaggio in avamporto, nonché urti delle navi che effettuavano la manovra di evoluzione. Sui predetti punti la Corte osserva (pag. 113): a) c'era un transito di navi davanti al molo I.I.I., in entrata o in uscita dal porto, dirette alle banchine di ormeggio o al molo ed N.N.N., destinato alle riparazioni, ma per il passaggio le navi dovevano rispettare la distanza di 40 metri dal limite delle strutture, e, inoltre, il passaggio avveniva procedendo di prua, a bassa velocità, in posizione perpendicolare rispetto al molo, senza, dunque, "puntare" la costruzione con la prua o la poppa; b) I 'area di evoluzione , all'epoca, era ancora più ampia e interessata a poche manovre. Infatti, nel 1992 l'avamporto aveva un circolo il cui diametro era di 600 metri, ancora più ampio di quello esistente all'epoca del tragico sinistro (era stato infatti ridotto a 550 metri, spazio considerato comunque più che sicuro in base alle linee guida sopra riportate); c) nel 1992, inoltre, vi erano altre zone di evoluzione delle navi, (quali la calata J.J.J.) sicché le tipologie di manovra di evoluzione di poppa, quale quella eseguita la sera del drammatico incidente dalla nave Q.Q., erano infrequenti.

2.11. Orbene, come confermato dai CT di tutte le parti, e come emerso dall'esame di tutte le linee guida internazionali, per le navi in evoluzione con l'ausilio dei rimorchiatori, era necessario un diametro complessivo pari al doppio della lunghezza delle navi, e la sicurezza delle manovre era garantita anche dalla presenza di un pilota a bordo, che, a partire dal 1992, era obbligatoria. Infine, al momento della elaborazione del progetto non constavano segnalazioni di pericoli per le manovre in avamporto, né segnalazioni di incidenti o anche di semplici anomalie (compendio di dichiarazioni testimoniali citato alla pag. 116 della sentenza impugnata).

2.12. Alla luce di quanto esposto, la Corte d'Appello ha valorizzato il dato storico e le fonti dichiarative confutando esaurientemente le argomentazioni della sentenza di primo grado, che aveva trascurato detti elementi, fondando il giudizio di prevedibilità su "raccomandazioni" genericamente riferite ad un rischio di urti, valorizzate erroneamente come "sapere tecnico". Ciò nonostante la mancanza di norme cautelari di riferimento, di dati statistici specifici inerenti alle manovre di evoluzione delle navi e in presenza, al contrario, di convergenti indicazioni sui criteri generali di dimensionamento del bacino acqueo ai fini della sicura evoluzione delle navi durante le operazioni di manovra, dimensioni pacificamente rispettate nel caso in esame, ma non ritenute sufficienti dal primo giudice al fine di escludere la prevedibilità dell'evento.

2.13. Verificata la correttezza del metodo di individuazione della classe di evento, possono esaminarsi le critiche alla ritenuta non prevedibilità dell'evento verificatosi. Sul punto, non colgono nel segno le censure mosse nei motivi di ricorso del PG secondo cui le citate conclusioni cui pervengono i giudici di secondo grado sarebbero "assertive" e non sorrette da adeguata confutazione delle argomentazioni del primo giudice. Il ricorso riprende nuovamente, sul terreno della prevedibilità in concreto, le argomentazioni del primo giudice relative al documento dell'Associazione internazionale dei porti, circa il rischio di incidenti causati dagli urti delle navi contro le strutture portuali. Detto argomento è pienamente confutato da quanto sopra ampiamente esposto con riguardo, da un lato, alla ragionata esclusione di una "raccomandazione" specifica circa la costruzione di strutture su banchine non destinate all'ormeggio; dall'altro, dalla altrettanto ampia argomentazione, diffusamente contenuta nella sentenza di appello, circa la distinzione tra rischio generale di urti all'interno di un porto (cui si riferiva il documento in questione e la letteratura esaminata dal primo giudice) e invece individuazione e previsione corretta della classe di evento , e cioè di urto contro una struttura posta su una banchina portuale di un determinato luogo destinata alla manovra di evoluzione.

Secondo il PG, anche a voler considerare la classe di eventi sopra indicata, la Corte sarebbe incorsa in vizio di motivazione e di erronea applicazione della legge penale escludendo la prevedibilità in concreto del rischio di urti delle navi in evoluzione contro la struttura portuale, ritenendo questo rischio salvaguardato dal rispetto delle misure del bacino di evoluzione e dall'elevato grado di qualificazione degli addetti alle manovre delle navi, e ritenendo altresì il predetto rischio comunque escluso dall'alveo della concreta prevedibilità in quanto, fino all'epoca di progettazione della Torre, mai verificatosi. In proposito, sottolinea il PG che dalla prevedibilità può essere escluso solo l'evento eccezionale, ma non l'evento raro, e che comunque la motivazione della Corte territoriale sarebbe contraddittoria in quanto, pur affermando la eccezionalità della condotta gravemente colposa dell'equipaggio della nave, non l'aveva ritenuta idonea ad interrompere il nesso causale. Al riguardo, nel motivo si richiama la pronuncia di questa Sezione n. 27186 del 10/1/2019, D'Ottavio, Rv 276703-01, secondo cui "in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, nel caso in cui la lavorazione comporti un numero elevato di azioni ripetitive, è obbligo del datore di lavoro, quale titolare della posizione di garanzia, prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un "evento raro" la cui realizzazione non sia però ignota all'esperienza e alla conoscenza della scienza tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l'evento. (Fattispecie in tema di omessa valutazione del rischio di esplosione verificatasi per l'omessa adozione di procedimento da seguire durante l'operazione, svolta quotidianamente e sempre con le medesime modalità, di pulitura di una pressa ad iniezione, necessitata, nel caso di specie, dalla formazione di un grumo di materiale plastico all'interno che aveva occluso sia un ugello, sia il foro di ingresso del materiale, evenienza, quest'ultima, rara, ma non straordinaria in quanto verificatasi, altrove, sul medesimo macchinario, almeno altre due volte negli ultimi trent'anni).

2.14. Il richiamo non è conferente, in quanto il principio si inserisce nel differente ambito della prevenzione degli infortuni sul lavoro e degli obblighi ricadenti sul datore di lavoro con riferimento alla previsione, e conseguente redazione, del documento di valutazione dei rischi specifici di ogni lavorazione eseguita nell'ambito dell'impresa: si precisa, con riferimento ad una particolare tipologia di macchinario in uso all'azienda, che un peculiare malfunzionamento, per quanto raro statisticamente, era comunque noto perché già verificatosi nella concreta lavorazione, e perciò prevedibile come rischio e, come tale, da inserire nel documento prevenzionistico. Il principio, pertanto, è stato enunciato in relazione ad una determinata tipologia di macchinario e ad un evento già successo, per quanto raramente.

Va quindi rilevato che è del tutto diverso l'ambito di operatività e gestione del rischio prevenzionistico rispetto al caso di specie, riguardante le precauzioni da seguire in ordine alla costruzione di strutture portuali. E, alla luce di quanto chiarito con riferimento alla correttezza del ragionamento seguito dalla Corte territoriale circa la individuazione della classe di evento, sulla quale appuntare il giudizio di prevedibilità in concreto (urto delle navi contro le strutture poste in una banchina del Porto di G destinata alla evoluzione), assume peculiare rilevanza proprio il fatto che, concretamente, al momento della progettazione, non si fosse mai verificato alcun incidente, e mai alcun urto dal 1888 (epoca di costruzione del molo) al 1992 (epoca della progettazione). Trattasi di situazione del tutto differente dal caso esaminato e richiamato nel motivo di ricorso, in cui, per quanto raramente, comunque si erano verificati malfunzionamenti che avevano evidenziato, proprio in concreto, rischi connessi alla lavorazione con quel determinato macchinario. In questo senso, non vi è e alcuna violazione del principio di diritto richiamato nel motivo di ricorso, facendo lo stesso riferimento proprio ad un evento prevedibile perché già verificatosi, per quanto con bassa frequenza statistica; laddove, all'epoca della progettazione della Torre, alcun evento riconducibile a urti di navi in manovra contro la banchina era mai avvenuto.

2.15. Né sono fondate le censure che si appuntano sulla supposta contraddittorietà tra l'esclusione della condotta dell'equipaggio quale causa sopravvenuta da sola sufficiente e determinare l'evento e la sua valorizzazione ai fini di escludere invece la prevedibilità dell'evento, così come la doglianza inerente alla insufficienza del richiamo alla conformità dell'ampiezza del bacino alle dimensioni regolamentari, senza considerare il dato statistico della incidentalità ricollegabile ad avaria o errori umani. Quanto al primo punto, è sufficiente rilevare che si tratta di due profili distinti, e cioè quello relativo alla causalità naturale o giuridica (in ordine al quale i giudici di merito hanno confermato il ruolo di concausa della posizione della Torre), e quello relativo alla prevedibilità dell'incidente, rispetto al quale, invece, l'azione gravemente colposa dell'equipaggio della nave è un elemento di sicuro rilievo. Relativamente, poi, alla asserita omessa considerazione del dato statistico della incidentalità causata da avaria o errori umani, il motivo non specifica il riferimento alle manovre di evoluzione.

2.16. Ancora, non colgono nel segno i motivi di ricorso del PG che lamentano travisamento della prova circa la ubicazione della Torre, deducendo che la Corte territoriale aveva errato nel considerare dimostrato che, all'epoca della progettazione, il sito individuato fosse l'unico possibile e non vi sarebbe stata alcuna alternativa. Sul punto, non si rinviene alcun travisamento del dato probatorio, in quanto la motivazione della sentenza impugnata non ha affatto escluso che vi fosse la possibilità di edificare la Torre piloti in altro sito, ma ha semplicemente concluso che, secondo le valutazioni dell'epoca, il molo I.I.I. era stato individuato quale punto di migliore visibilità da un esperto qualificato come il V.V.V., capo dei piloti per 25 anni. Inoltre, il punto nodale del ragionamento dei giudici di secondo grado è se, in base alle regole cautelari specifiche (la cui esistenza è stata pacificamente esclusa), alle "raccomandazioni" e le buone pratiche esistenti all'epoca (di cui si è già diffusamente detto), alle conoscenze disponibili al momento della progettazione (tra cui il verificarsi di sinistri in quella zona dell'avamporto), era prevedibile la tipologia di evento del 7 maggio 2013. Per quanto sopra esposto, tale prevedibilità è stata esclusa in concreto con le argomentazioni sopra esposte, rispettose dei principi di diritto costantemente affermati da questa Corte di legittimità.

2.17. Parimenti infondate, infine, sono le doglianze relative all'accertamento peritale disposto dalla Corte territoriale in ordine alla acquisizione dei dati riferiti alle manovre delle navi Q.Q.Q.. Il motivo si concentra sul difetto di decisività della perizia, in violazione dell'art. 603 cod. proc. pen; sulla dimensione minima del dato acquisito, riferito alle sole manovre della Q.Q. e delle navi simili; sul fatto che sarebbe stato disatteso "il risultato della prova scientifica e del sapere esperto". Orbene, basti considerare che detto accertamento viene richiamato nella motivazione riguardante la posizione dei progettisti in modo necessariamente residuale e meramente rafforzativo del giudizio già espresso, poiché riguardante dati inerenti al periodo 2010/2013, totalmente fuori dal raggio del giudizio che i giudici di secondo grado esprimono in ordine alla prevedibilità dell'evento, rapportabile necessariamente all'epoca della elaborazione del progetto (1992).

3. Può adesso esaminarsi, sempre con riferimento ai motivi di ricorso del PG, la posizione dell'Ing. F.F. In proposito, si deduce vizio di carenza, illogicità della motivazione e travisamento della prova, nonché violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 113, 42 e 43 cod. pen., artt. 14, 15 della legge n. 1460 del 1942. La Corte avrebbe fornito, secondo tale impostazione, una interpretazione del tutto errata del complesso normativo di cui alla legge 1460 del 1992, limitandola ad una valutazione della utilità delle opere da realizzare e della congruità dei costi, e non dell'esattezza tecnica dell'opera.

3.1. Il motivo dedotto in merito alla interpretazione degli artt. 14 e 15 della legge 1460 del 1942 è fondato. Secondo l'art. 1 della predetta legge, nel testo vigente all'epoca, "il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, quale massimo corpo tecnico consultivo dello Stato in materia di Opere Pubbliche, dà parere nei casi previsti dalla legge". La norma definitoria fa espresso riferimento alle competenze tecniche dell'organo, le cui valutazioni non possono quindi ritenersi limitate ad una mera verifica della congruità dei costi e di utilità pratica del progetto. L'art. 15 preso a parametro dalla Corte territoriale, secondo cui "le sezioni del CSLP si pronunciano secondo la loro rispettiva competenza per materia sui progetti di massima o esecutivi da eseguire a cura dello Stato di importo di oltre Lire 100.000.000" è chiaramente volto non già a individuare, quale competenza del CSLP, una valutazione di congruità di costi, ma a delimitare gli ambiti di intervento di quello che è definito" massimo organo tecnico consultivo dello Stato in materia di opere pubbliche". All'evidenza, detta competenza non è riferita a qualsiasi progetto di opera pubblica, ma ai casi in cui sia ingente la spesa stanziata per la relativa esecuzione, connotando tale dato l'importanza dell'opera medesima, così da richiedere un procedimento di maggiore complessità che presuppone il parere del CSLP. A conferma di tale interpretazione va richiamato il materiale istruttorio esaminato dal primo giudice (pag. 156 della sentenza di primo grado), consistente nel verbale della Adunanza del CSLP sulla pratica relativa al progetto Torre piloti del Porto di G, in cui sono riportate indicazioni, da parte del CSLP ai competenti organi di approfondimenti non collegati alla congruità dei costi dell'opera o ad una mera valutazione astratta della sua utilità. In particolare, si dà atto che dal verbale di Adunanza risulta come il parere era stato favorevole, subordinatamente all'adempimento delle seguenti prescrizioni: conformità al vigente piano regolatore; acquisizione del parere degli Enti Urbanistici, adeguato svolgimento delle indagini di fondazione della struttura. Si tratta, all'evidenza, di prescrizioni implicanti valutazioni di carattere squisitamente tecnico.

3.2. Ciò chiarito, la pronuncia assolutoria resiste comunque ampiamente alle proposte censure. Vanno infatti ribadite, in capo ai tecnici facenti parte del CSLP, e quindi per la posizione dell'Ing. F.F. (l'ing O.O. è deceduto) le medesime considerazioni svolte per i progettisti in ordine alla impossibilità di prevedere l'evento: non esisteva una regola cautelare che vietasse di realizzare manufatti sul ciglio delle banchine non destinate all'ormeggio; le "raccomandazioni" di prescrizioni costruttive riferite al bacino di evoluzione imponevano esclusivamente un certo dimensionamento del bacino, ampiamente rispettato. Il ragionamento della Corte territoriale, nel ribadire le argomentazioni espresse per i progettisti, sottolinea che nessuna condotta omissiva è imputabile all'ing. F.F., in assenza di disposizioni normative che vietassero la costruzione di manufatti sul ciglio dei moli destinati alle manovre di evoluzione e neanche alcuna violazione di regola tecnica nell'esprimere il parere favorevole alla progettazione, essendo stata fatta dal medesimo corretta applicazione del metodo di costruzione delle "tensioni ammissibili" e non del metodo probabilistico degli "stati limite", secondo il quale soltanto per le valutazioni riguardanti la stabilità delle costruzioni devono essere considerate le azioni eccezionali, tra le quali gli urti.

Va, infine, rilevato che i motivi di ricorso non attaccano l'ulteriore argomentazione proposta dalla Corte territoriale a sostegno della pronuncia assolutoria in capo al F.F., ossia la considerazione che, all'interno delle Sezione del CSLP, al F.F., in qualità di strutturista, erano demandati i calcoli del cemento armato, senza compiti di valutazione di altri aspetti del progetto.

4. Va adesso trattata la posizione dell'ammiraglio C.C. relativamente ai reati di crollo colposo e di omicidio colposo.

4.1. Deve brevemente premettersi, per chiarezza espositiva, che viene qui in considerazione la posizione di garanzia dell'C.C. nella sua qualità di ufficiale comandante della Capitaneria del Porto di G, con la qualifica di direttore marittimo e di capo compartimento marittimo ai sensi dell'art. 17 del codice della navigazione e con gli obblighi di garantire la sicurezza e i poteri descritti dagli artt. 62, 63, 81 del Codice della Navigazione e dell'art. 59 del regolamento di attuazione. In tale qualità, secondo la prospettazione accusatoria, egli avrebbe omesso di adottare le specifiche disposizioni atte a eliminare o ridurre il rischio di incidenti e di gravissime conseguenze per le persone in caso di avarie o errori di manovra delle navi a pochi metri della struttura.

Si rileva altresì che, ai sensi dell'art. 17 del codice della navigazione, il direttore marittimo nonché capo compartimento marittimo è a capo di una "zona" marittima. Secondo gli artt. 62 e 63 cod. nav., egli ha anche il compito di regolare le manovre e gli ormeggi e di poter disporre l'esecuzione coattiva. Provvede, ai sensi dell'art. 81 cod. nav., per tutto quanto concerne "la sicurezza e la polizia del porto o dell'approdo e delle relative adiacenze".

4.2. La sussistenza della posizione di garante è stata affermata dai giudici di merito, che hanno precisato quanto segue.

Con la legge n. 84/1994 è stata regolamentata la struttura e il funzionamento delle Capitanerie di Porto, distinguendosi, al suo interno, il Comando generale del Corpo delle Capitanerie, che è autorità marittima, e sostituendo al preesistente Consorzio autonomo del porto (CAP) l'autorità portuale. Al porto di G operano sia l'Autorità portuale, con competenza su tutto ciò che riguarda il porto (strutture e operazioni che ivi si svolgono), sia l'Autorità marittima, con competenze sulla navigazione, regolata dalle norme sopra citate. Non in tutti i porti esistono Autorità portuale e Autorità marittima, e, nei porti in cui non vi è Autorità portuale, tutte le competenze sono esercitate dalla Autorità marittima. Pur riconoscendosi che è l'Autorità portuale (e non l'Autorità marittima, quale era l'C.C.) ad avere competenza sulle opere portuali (come la Torre) e in generale sulla sicurezza delle "operazioni portuali", I'interpretazione dell'art. 6 della legge n. 84 del 1994, letta in combinato disposto con le norme del codice della navigazione sopra citate, consente di affermare, secondo tale prospettazione, che al Comandante del porto - autorità marittima - spetti la competenza sulla sicurezza del porto comprensiva anche della strutture.

4.3. Tanto premesso, la pronuncia assolutoria della Corte d'Appello in ordine alla ritenuta responsabilità dell'C.C. nella qualità di Comandante del Porto di G è stata impugnata dal Procuratore generale (pag. 28 e 29 del ricorso) che ha lamentato l'erroneità del giudizio di imprevedibilità dell'evento, l'erronea individuazione della classe di evento, la conseguente erroneità della perizia inerente alla acquisizione dei dati AIS in ordine alle manovre delle navi Q.Q.Q.. Il PG ha poi dedotto vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio, compiuto dalla Corte, circa la valutazione della condotta dell'C.C. come diligente, avendo a parametro il cd "agente modello", con riguardo alla correttezza dell'esercizio, da parte di quest'ultimo, del potere di ordinanza relativo alla regolamentazione delle manovre delle navi nel porto. Censura, in proposito, il PG, il passaggio motivazionale della sentenza impugnata secondo cui, anche se l'C.C. avesse emanato una disciplina più puntuale circa i limiti e le coordinate per lo svolgimento delle manovre in avamporto, stanti le gravissime negligenze dell'equipaggio della Q.Q. la tragica notte del sinistro, dette disposizioni sarebbero state comunque violate.

4.4. Al fine dell'esame del motivo di ricorso, è opportuno riportare i fondamentali passaggi della sentenza di primo grado e della successiva pronuncia assolutoria della Corte territoriale sul punto che, come sottolineato nelle memorie difensive dell'Avvocatura dello Stato, costituisce questione decisiva, avuto riguardo alla posizione di garanzia rivestita, ossia l'avere l'imputato adottato, nella qualità di soggetto preposto a regolare la sicurezza del porto ai sensi dell'art. 81 cod. nav., provvedimenti idonei ad evitare l'evento. È, infatti, emerso, (e la relativa questione è stata ampiamente dibattuta nei gradi di merito) che, con l'ordinanza n. 29 del 2012, emanata il 1 marzo 2012, l'Ammiraglio C.C. aveva dettato disposizioni relative alla esecuzione delle manovre in sicurezza nel porto di G. Nella predetta ordinanza, indirizzata ai comandanti delle navi mercantili di stazza lorda pari o superiore alle 300 tonnellate (quale era la Q.Q.), era prescritto, oltre che di effettuare la navigazione con particolare cautela nelle acque ricadenti nel compartimento marino di G e di controllare costantemente la propria posizione, altresì di rapportare immediatamente al centro VTS di G (acronimo per Vessel Traffic Service, ossia monitoraggio del traffico marittimo, gestito proprio dalla Torre Piloti): 1) qualsiasi incidente che pregiudichi o possa pregiudicare la sicurezza delle navi o delle persone a bordo, come collisioni, incagli, disfunzioni, guasti, allagamento o spostamento del carico, eventuali difetti riscontrati nello scafo o cedimenti della struttura; 2) qualsiasi incidente che comprometta la sicurezza della navigazione e delle persone a bordo, come guasti o difetti idonei ad alterare la capacità di manovra o la navigabilità della nave, qualsiasi avaria o disfunzione che alteri i sistemi dì propulsione o la macchina di governo, le istallazioni per a produzione di elettricità, la apparecchiature di navigazione o comunicazione".

4.5. La sentenza di primo grado, pur dando atto che la Q.Q. la sera dell'incidente era partita con il motore in avaria senza segnalarlo alla Capitaneria di porto come da ordinanza n. 28 del 2012 dell'Ammiraglio C.C., ha osservato che l'ordinanza non era stata emanata per prevenire gli urti contro le banchine in avamporto e che si appalesava come eccessivamente generica. Secondo il primo giudice la condotta esigibile, con valutazione ex ante, consisteva nella fissazione di altre e diverse regole che il Comandante del porto avrebbe dovuto appositamente emanare, non sussistendo alcuna specifica disposizione atta a disciplinare, in maniera idonea ed efficace, i comportamenti da seguire durante le manovre nell'avamporto. Per giungere a tale conclusione, nella sentenza di primo grado viene analizzato il regolamento portuale e constatata l'assenza di norme idonee a regolare il caso della interferenza tra navi in manovra in avamporto e Torre piloti; tale non era l'art. 69 del regolamento, che imponeva l'osservanza della distanza minima di 40 metri di passaggio delle navi dalla banchina, poiché riferito solo alle imbarcazioni di diporto; inoltre, l'art. 66 del regolamento, riguardante i limiti di velocità delle navi, era del tutto generico e non prevedeva limiti di velocità adeguati; il ridottissimo limite di tre nodi, imposto per altre aree portuali, non era previsto per l'attraversamento dell'area di manovra di fronte alla Torre piloti, seppur affacciata sul ciglio della banchina. Il Comandante del porto avrebbe dovuto adoperarsi al fine di imporre prescrizioni più dettagliate per scongiurare il rischio di urto delle navi contro la banchina a cavallo della quale era stata costruita la Torre piloti, trattandosi di regole individuabili ex ante avuto riguardo alla tipologia di manovra svolta la sera dei fatti dalla nave Q.Q. Il primo giudice indica quale avrebbe dovuto essere la regola cautelare da adottare da parte dell'C.C. proprio con riferimento alla tipologia di manovra della Q.Q., ossia quella di introdurre un divieto di navigazione ad una determinata distanza da un obiettivo sensibile, nonché di imporre un limite bassissimo di velocità all'uscita del cd taglio della V.V., limite che mancava, poiché certamente l'imposizione di un limite di velocità avrebbe "depotenziato" il rischio. Sul punto la sentenza di primo grado sottolinea la testimonianza del P.P.P., ex capo pilota, secondo cui l'azione dei rimorchiatori è tanto più efficace quanto più bassa è la velocità.

Il primo giudice descrive dettagliatamente la regola cautelare che l'C.C., in qualità di Comandante del porto, avrebbe dovuto adottare, basandosi sulle prassi seguite dai migliori capi pilota (teste P.P.P.), e cioè di "vietare, per le navi monoelica, la sola inversione di marcia del motore, inversione di marcia che dovrebbe intervenire in un momento anteriore a quello della fase di rotazione". La sentenza riconosce che si trattava di regole e prassi "proprie di comandanti di navi e piloti portuali", appartenenti a "circoli differenti dall'C.C." ma di cui egli non poteva essere ignaro. L'Ammiraglio avrebbe dovuto procedere, secondo il parametro dell'agente modello, alla ricognizione di tutte le prassi migliori per procedere in sicurezza alla manovra di evoluzione, senza fare affidamento alla libera scelta dei comandanti delle navi.

4.6. La Corte d'Appello, riprendendo le considerazioni riguardanti i progettisti, rileva che la classe di eventi da prendere in considerazione, ossia tutti gli urti verificabili in porto, non era corretta, dovendo invece riguardare la prevedibilità dell'evento con riferimento a urti contro le strutture portuali nei bacini di evoluzione delle navi; che la regola cautelare che prescriveva l'ampiezza dei bacini di evoluzione era comunque da ritenersi idonea, in astratto ed ex ante, a scongiurare il rischio di eventi infausti; che per tutte le attività pericolose le regole cautelari atte a prevenire i rischi sono sempre migliorabili, ma con giudizi tratti dalla esperienza e gli studi disponibili; che non poteva esistere un agente modello capace di avere capacità predittive per tutte le possibili classi di eventi. Confutando il giudizio di genericità delle prescrizioni e della loro inidoneità a prevenire l'evento operato dal Tribunale, considera, invece, che l'ordinanza del 1 marzo 2012 prevedeva regole imposte sulla velocità della circolazione marittima nell'area portuale e come tali a contenuto elastico (come, in generale, le regole della circolazione stradale), e per di più indirizzate non a qualsiasi guidatore, ma a comandanti di navi, dotati di competenze elevatissime e quindi di provate capacità di adattare le regole al caso concreto; dunque l'ordinanza emanata era pienamente idonea ad evitare il tragico evento occorso.

4.7. Tanto premesso, la pronuncia in senso assolutorio della Corte territoriale resiste pienamente alle prospettate censure, seppur con le precisazioni che seguono.

4.8. In primo luogo, va rilevato che il primo giudice, al fine di dimostrare l'inidoneità delle prescrizioni dettate dal Comandante del Porto, compie un giudizio, sopra descritto, volto a ritagliare una specifica e dettagliata prescrizione della manovra nell'area del molo I.I.I. avuto riguardo, ex post, proprio alla specificità dell'accaduto. Va, invece, ribadito il principio già enunciato con riferimento alla posizione dei progettisti precedentemente esaminata, secondo cui l'individuazione della regola cautelare non scritta eventualmente violata non deve essere frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto (Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, Di Pietro, Rv. 269254-01, Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871-01; Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, PG, Castaldo, Rv. 281997-17). La metodologia seguita dal primo giudice, invece, individua il comportamento doveroso omesso dall'imputato ragionando, ex post, proprio sull'evento accaduto, ed individuando l'omissione nella mancata redazione ed emanazione di una particolare e specifica regolamentazione proprio della tipologia di manovra che era stata eseguita dalla nave Q.Q. la sera del sinistro. In tal modo il giudicante ha creato, sostanzialmente, una peculiare disposizione disciplinante l'esecuzione della manovra che aveva originato il disastro.

In secondo luogo, va rilevato che le due pronunce si muovono, sebbene giungendo a conclusioni opposte, sul piano del giudizio di prevedibilità dell'evento, la prima per concludere nel senso che, avendo l'C.C. la possibilità di rappresentarsi il disastro in ragione della qualità rivestita, avrebbe dovuto adottare la prescrizione specifica che, appunto, il primo giudice descrive con tipico ragionamento ex post; la pronuncia d'appello, invece, concludendo nel senso che il Comandante non aveva possibilità di prevedere l'evento così come accaduto, giudica che l'C.C. non avrebbe potuto emanare ulteriori e specifiche disposizioni di sicurezza e che le disposizioni emanate non erano generiche, in quanto adattabili dai singoli comandanti alla peculiarità delle manovre da eseguire.

4.8. Va, invece, chiarito che il corretto accertamento ai fini della verifica della sussistenza del reato così come contestato al Comandante del porto deve essere condotto secondo il classico schema di indagine proprio dell'accertamento dei reati omissivi, ossia in base ai canoni del giudizio controfattuale. Nel caso di specie, avuto riguardo a quanto accaduto nella realtà storica, occorre infatti verificare se l'adempimento delle prescrizioni contenute nell'ordinanza del 1 marzo 2012 sarebbe stato idoneo ad evitare il tragico incidente. In altre parole, il profilo da accertare è se l'C.C. abbia o meno compiuto l'azione doverosa che, secondo l'imputazione, si assume omessa, ossia abbia adottato misure precauzionali adeguate a scongiurare l'incidente occorso.

4.9. Questa Corte ha più volte affermato che, in materia di reato omissivo improprio, il giudizio controfattuale - imponendo di verificare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento (cd. giudizio predittivo) richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto (cd. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta. Solo dopo aver accertato che cosa è realmente avvenuto è possibile infatti chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa (cfr. Sez. 4, n. 23339 del 31/1/2013, Giusti, Rv. 256941-01; in applicazione di tale principio, la Corte di legittimità ha censurato la decisione del giudice di appello che aveva affermato la responsabilità di un medico per avere, sulla base di un'errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio cesareo, causandone il decesso, ritenendo non provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale e, quindi, la circostanza che il feto potesse essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all'attenzione del medico, se quest'ultimo fosse tempestivamente intervenuto; conf. Sez. 4 n. 34296 dell'8/5/2015, Dolce, non mass.; Sez. 4, n. 416 del 12/11/2021 Ud. (dep. 11/01/2022), Castriotta in proc. Annunziata, Rv. 282559-01).

4.10. Come sopra esposto, nell'ordinanza del 1 marzo 2012 l'C.C. aveva chiaramente ed espressamente prescritto ai Comandanti delle navi di segnalare alla Torre di controllo "qualsiasi incidente che comprometta la sicurezza della navigazione e delle persone a bordo, come guasti o difetti idonei ad alterare la capacità di manovra o la navigabilità della nave, qualsiasi avaria o disfunzione che alteri i sistemi di propulsione o la macchina di governo, le istallazioni per la produzione di elettricità, la apparecchiature di navigazione o comunicazione. Orbene, è opportuno richiamare in proposito il preciso passaggio della sentenza di questa Corte riguardante la responsabilità del Comandante della Q.Q.: è infatti sceso il giudicato sul fatto che la Q.Q., la sera dell'incidente, era partita con il contagiri in plancia in avaria. Ciò aveva determinato il ritardo nel rendersi conto che la nave non era ripartita a marcia avanti durante la manovra, continuando ad andare indietro fino ad urtare contro la Torre.

Nella sentenza pronunciata da questa Corte in ordine alla responsabilità dei membri dell'equipaggio così si legge: "secondo il ricorrente (X.X.X., comandante della Q.Q., n.d.r) la sentenza impugnata non ha posto nella dovuta evidenza che l'unica vera causa che ha determinato il fatto è stata la mancata ripartenza dell'unico motore della nave, con la conseguente mancata possibilità di riprendere la marcia in avanti. Rispetto a tale situazione, sarebbe irrilevante l'avaria del ripetitore del contagiri in plancia, atteso che la sala controllo macchine era presidiata. Il motore, del resto, era stato già spento e riavviato per almeno tre volte durante la navigazione nel canale di U.U.. Né il Comandante avrebbe potuto controllare ogni singolo gesto posto in essere dai suoi collaboratori, principali responsabili del disastro. Si tratta di considerazioni prive di pregio, che non intaccano in alcun modo l'esauriente e logica rappresentazione dei fatti e della responsabilità del X.X.X. di cui si dà atto nella sentenza impugnata. I giudici di merito hanno, in primo luogo, evidenziato che il X.X.X. era il Comandante della nave, cui era affidato lo specifico compito di dirigere la manovra e di assicurarsi del perfetto funzionamento degli apparati di bordo. X.X.X., invece, subito dopo la partenza, prende atto che il contagiri in plancia non funziona e non adotta, al riguardo, alcuna misura doverosa diretta ad ovviare al guasto (vale a dire: il ritorno in banchina per effettuare la riparazione, il trasferimento dei comandi in sala macchine o il collegamento continuo di comunicazione). Durante la manovra, nonostante il suono dell'allarme, non si accorge che il motore non è ripartito, pur in presenza di elementi sintomatici (velocità elevata, traiettoria anomala, vicinanza alla Torre). Appreso della indisponibilità del motore, sbaglia la procedura di riavvio, non riportando la leva del telegrafo sullo "stop"; ordina con grave ritardo di dare fondo alle ancore; non ordina di spostare il timone a destra. I giudici di merito hanno correttamente attribuito importanza fondamentale alla circostanza costituita dall'avaria del contagiri in plancia, rispetto alla quale il comportamento omissivo (per non dire passivo) del Comandante è stato ritenuto imprudente e negligente, trattandosi di un apparato fondamentale per la sicurezza della navigazione, la cui presenza in plancia è imposta da normative internazionali e nazionali. A seguito di tale avaria avrebbe dovuto quantomeno essere vietato di mantenere il controllo della propulsione della nave in plancia, come invece è stato disposto dal X.X.X., in palese violazione delle regole di sicurezza citate nella sentenza impugnata. Del resto, è proprio a causa del mancato funzionamento del contagiri che il personale apicale presente in plancia (essenzialmente X.X.X. e Y.Y.Y.) non prende tempestivamente coscienza del mancato avvio del motore, venendosi così a determinare un colpevole ritardo nell'adozione di contromisure idonee ad evitare o attenuare l'urto contro la Torre. È stato inoltre evidenziato l'errore nella procedura di riavvio del motore, dopo l'allarme di starting failure, nel corso della quale il Comandante aveva maldestramente azionato il telegrafo senza ripassare dallo "stop", così impedendo il riavvio del motore. Infine, è stata altresì evidenziata la rilevanza causale del ritardo con cui il X.X.X. ha ordinato di dare fondo alle ancore, che se fossero state calate subito dopo il suono dell'allarme di mancato avvio del motore, quando la nave era a circa duecento metri dalla Torre, avrebbero quantomeno potuto rallentarla, evitando l'urto contro tale costruzione.".

Costituisce, dunque, accertamento ormai incontrovertibile che se il Comandante si fosse attenuto alla direttiva dell'C.C., comunicando immediatamente l'avaria del contagiri in plancia al centro VTS, l'incidente si sarebbe evitato. Proprio dall'accertamento dell'accaduto, secondo i principi sopra esposti, è possibile risalire con assoluta sicurezza al giudizio predittivo: la direttiva data da C.C. ai comandanti per la gestione della sicurezza del traffico portuale era idonea alla protezione dei rischi da incidenti quali quello verificatosi.

4.11. Deve quindi concludersi - in questo senso precisando sul punto la motivazione assolutoria della Corte territoriale - che l'C.C. ha posto in essere la condotta contestatagli come omessa, avendo adottato, nella qualità di Comandante del porto, disposizioni che, ove eseguite, avrebbero impedito l'evento. Se, infatti, l'avaria del contagiri in plancia, constatata alla partenza, fosse stata segnalata proprio al personale presente nella Torre Piloti (come prescritto nell'ordinanza del 1 marzo 2012) la nave non avrebbe potuto lasciare gli ormeggi, e, ove fosse stata riparata, ciò avrebbe permesso di segnalare in tempo la mancata ripartenza del motore, evitando il tragico impatto.

5. Vanno adesso esaminate le posizioni di C.C. e di G.G., il primo quale Ammiraglio e quindi datore di lavoro dei militari della Capitaneria di porto di G (W.W., X.X., Y.Y. , Z.Z., A.A.A., B.B.B., C.C.C., D.D.D., E.E.E.), deceduti, a seguito del tragico sinistro, nonché dei militari che avevano riportato lesioni (I.I., F.F.F., G.G.G., H.H.), il secondo quale datore di lavoro in quanto capo dell'ente Corporazione Piloti, in ordine al decesso di D.D.D. e C.C.C. Ai predetti è stata elevata la contestazione di cui rispettivamente ai capi 11. 1 (C.C.) e 14 (G.G.) perché, in violazione delle norme poste a tutela degli infortuni sul lavoro (art. 2087 cod. civ. e artt. 17, 28, 33 D.Lgs. 81/2008) non avevano adottato misure che, secondo la particolarità di lavoro, l'esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro. In particolare, pur avendo adibito e continuato ad adibire a luogo di lavoro i locali della Torre Piloti del Porto di G situata a ciglio banchina in area immediatamente prospiciente all'area di manovra della navi, anche di rilevante dimensione, e come tale particolarmente esposta a pericolo, non avevano predisposto alcuna misura atta a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori dai pericoli derivanti dall'urto delle navi in manovra legati a errori umani o avarie.

5.1. Preliminarmente, si rileva che, con riferimento alla posizione di C.C. nella qualità di datore di lavoro, la pronuncia assolutoria è stata impugnata, oltre che dal Procuratore Generale, anche dalla parte civile A.A. Nel ricorso della parte civile si deduce (pag. 4) di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Genova limitatamente alla esclusione della penale responsabilità dell'C.C. per il reato di cui al capo di imputazione 11), con riferimento al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme a protezione della sicurezza sul lavoro. I motivi di ricorso si appuntano, infatti, sulla contestazione elevata all'C.C. quale datore di lavoro, come emerge anche dalla intestazione dei motivi di ricorso (in particolare, motivo 2.1, intitolato "vizio di legittimità in relazione all'art. 2087 cod. civ., art. 2, lett. a), 17, 18; 29 64 in relazione all'all. IV D.Lgs. n.81/2008"; motivo 2.2, con il quale si contesta la violazione del parametro dell'agente modello in ordine al giudizio di prevedibilità dell'evento, sempre nella qualità di datore di lavoro dotato di particolari conoscenze in quanto comandante del porto di G).

5.2. Ciò posto, va esaminata, per priorità logica, la questione sollevata dall'Avvocatura dello Stato in ordine alla ammissibilità del ricorso della parte civile. Si deduce che, essendo stata l'assoluzione pronunciata con la formula "il fatto non costituisce reato", ciò non avrebbe precluso l'accertamento davanti al giudice civile, con conseguente carenza di interesse in ordine alla proposizione del ricorso anche a fini civili. La difesa erariale, pur dando atto della esistenza di un opposto orientamento che ritiene ammissibile il ricorso a fini civili in casi analoghi, ha evidenziato che il giudice di primo grado, pur pronunciando condanna degli imputati al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite, aveva rilevato che, nel corso del giudizio a carico dell'equipaggio della nave Q.Q., alle predette parti civili era stato liquidato il danno nella misura massima prevista dalle tabelle vigenti. Per tali ragioni non aveva liquidato in favore delle parti civili costituite alcuna provvisionale. Detta statuizione non era stata impugnata dalla ricorrente A.A., ed era dunque passata in giudicato. Dunque, il Tribunale aveva sostanzialmente negato qualsiasi pretesa risarcitoria della signora A.A. all'interno del processo penale, con la conseguenza che la stessa nessun effetto favorevole potrebbe trarre dall'accoglimento del presente ricorso.

5.3. Come noto, l'art. 652 cod. proc. pen. stabilisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno promosso da danneggiato costituito parte civile. Secondo un orientamento di questa Corte di legittimità, invocato dalla difesa erariale, si è affermato essere inammissibile per carenza di interesse il ricorso della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato", trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (così Sez.4, n.33255 del 9/7/2019, PC Gancia c/ Lupa rei li Rv.276598; Sez.4, n. 25141 del 14/3/2019, Aloi C/ De Torna, Rv. 276338; Sez.4, n.18781 del 12/3/2019, Comellini C/ Montaguti, Rv.275761; Sez. 3, n. 24589 del 15/03/2017, PC in Proc. Saporito, Rv. 270053). Da tempo, però, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato l'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione "perché il fatto non costituisce reato", sebbene detta sentenza sia priva di efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo promosso per le restituzioni o il risarcimento del danno (Sez. Un., n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815, in motivazione). Si è poi precisato che chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall'inizio (Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021 , p.c. Sisti Maroni in proc. Morelli, Rv. 281016-01) osservandosi altresì che il diritto all'impugnazione, che è riconosciuto in termini generali alla parte civile dall'art. 576 cod. proc. pen., "non soffre alcuna limitazione in relazione alla formula di assoluzione, dato che la scelta di esercitare i propri diritti in sede penale implica che la parte abbia la prerogativa di percorrere l'intero itinerario processuale previsto per le impugnazioni a nulla rilevando le limitazioni all'efficacia di giudicato previste dall'art. 652 cod. proc. pen., che non incidono sull'estensione del diritto all'impugnazione, ma operano sul piano dell'efficacia del giudicato penale nel giudizio civile" (cfr. Sez. 5, n. 27318 del 07/03/2019, Mazzini, Rv. 276640; Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, Tola, Rv. 275416; Sez. 2, n. 11934 del 05/10/2022, Ciollo, Rv. 284444-01).

5.4. In linea con l'orientamento espresso dalla giurisprudenza più recente di questa sezione (Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021 , p.c. Sisti Maroni in proc. Morelli, Rv. 281016-01) può dunque concludersi nel senso che il ricorso della A.A. non è inammissibile. Inoltre, non rileva che la parte civile ricorrente abbia ottenuto (così come rimarcato dal primo giudice, con statuizione passata in giudicato sul punto) il massimo dell'importo risarcibile secondo i criteri di liquidazione adottati dai giudici civili, nulla impedendo al danneggiato di allegare e dimostrare danni ulteriori rispetto a quelli liquidati con il procedimento, di tipo equitativo, di cui alle tabelle in uso nei Tribunali ordinari.

6. Tanto chiarito può passarsi all'esame dei motivi di ricorso del PG e della parte civile in ordine alla assoluzione degli imputati dal reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica.

6.1. Al riguardo, deve ribadirsi che l'aggravante relativa alla violazione della normativa antinfortunistica ricorre allorquando venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio "lavorativo", non essendo all'uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Pg in proc. Castaldo, Rv. 281997-01). Si è in proposito precisato che la violazione va riferita ad eventi nei quali risulti concretizzato il rischio lavorativo, per essere detti eventi causati dalla violazione di doveri cautelari correlati a tale tipo di rischio. Per rischio lavorativo deve intendersi quello che ha ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima situazione del lavoratore (cosi, in motivazione, sent. n. 32899/2021, cit; Sez. 4, n. 31478 del 26/05/2022, Gatti, Rv. 283457-01).

6.2. Occorre dunque chiarire se, nel caso di specie, può ritenersi, in via astratta, che gli imputati fossero destinatari di una regola cautelare volta a prevenire un rischio che può concretizzarsi in ragione dello svolgimento dell'attività lavorativa.

6.3. È utile ripercorrere, sinteticamente, il ragionamento svolto sul punto dai giudici di merito.

Il primo giudice, operando una differenziazione della posizione degli imputati rispetto alla posizione dei Responsabili del servizio di prevenzione e protezione, assume che "i datori di lavoro sono i primari e diretti destinatari di posizione di garanzia, e pertanto dei correlati obblighi di attivazione al fine di preservare e tutelare la salute e l'integrità fisica dei loro dipendenti, e che, sulla base di quanto previsto dall'art. 2087 cod. civ., sono tenuti ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare la integrità fisica dei lavoratori" (pag.279 sentenza di primo grado). Secondo tale prospettazione gli art. 63 e 64 del D.Lgs. 81/2008, pur non contestati nel capo di imputazione sono richiamabili quali specificazione del generale dovere cautelare di cui al citato art. 2087. Dette norme stabiliscono che i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti di cui all'All. IV, vale a dire devono possedere le caratteristiche di solidità e stabilità anche con riferimento alle "caratteristiche ambientali". Ciò ricomprende anche tutte le possibili azioni esterne che possano incidere sulla stabilità dell'edificio, quindi non solo gli eventi atmosferici (quali vento e mareggiate) ma anche, se prevedibili, i rischi connessi alle attività che si svolgono nell'ambiente circostante al luogo di lavoro, ivi compreso il rischio di urti delle navi in manovra. Il comportamento alternativo richiesto non poteva essere altro che la dismissione del luogo di lavoro e il trasferimento presso altra sede. Pertanto, in ordine all'Ammiraglio C.C., essendo il primo giudice già pervenuto al giudizio di prevedibilità dell'evento, e trattandosi di evento idoneo a mettere in pericolo la sicurezza delle persone che lavoravano all'interno della Torre, la sentenza di primo grado conclude nel senso che "non pare possa vertersi in dubbio che il Comandante del porto debba fare tesoro, per il riferimento ai dati esperienziali contenuto nell'art. 2087 cod. civ., delle conoscenze che, sulla base del parametro dell'agente modello, è tenuto ad acquisire in funzione della prevenzione dei rischi cui può andare soggetta la sicurezza della navigazione in rapporto alla integrità delle strutture presenti all'interno del porto". Stesse considerazioni per G.G.: nella sentenza di primo grado si rileva che "l'agente modello all'interno del circolo di persone cui apparteneva l'imputato G.G., quale Capo pilota all'interno di un porto internazionale caratterizzato da un consistente traffico di navi, si sarebbe attivato per raccogliere tutti i dati relativi alla incidentalità portuale, tali da rendere prevedibili gli eventi quale quello poi accaduto, anche perché, sin dal 2005 l'ex capo pilota P.P.P. aveva diramato un ordine di servizio che prevedeva la segnalazione di ogni incidente al capo pilota, né il G.G. avrebbe potuto fare affidamento sull'operato dell'autorità marittima (Comandante C.C.), date le prescrizioni del tutto generiche emanate da quest'ultimo, che peraltro non comprendevano disposizioni per le manovre nella zona dell'avamporto". Il comportamento richiesto, dunque, era lo sgombero della Torre, né ciò avrebbe potuto comportare l'interruzione del servizio, posto che, come era stato dimostrato da quanto accaduto dopo il crollo, si erano comunque reperiti altri locali e si stava procedendo a ricostruire la torre in altro sito; inoltre, le segnalazioni alla autorità concessionaria della struttura, ossia I' Autorità portuale, avrebbero con alta probabilità portato alla realizzazione a strutture di protezione della Torre che avrebbero potuto evitare l'evento.

Il primo giudice, richiamando l'art. 2087 cod. civ., muove agli imputati un rimprovero di colpa specifica proponendo una peculiare interpretazione di cui agli artt. 63 e 64 del TU.

Osserva, invece, la Corte territoriale che la lettura della disposizione di cui al punto 1.1.1. dell'All. IV, del D.Lgs. n. 81/2008, richiamato dagli artt. 63 e 64 TU, stabilisce che "gli edifici che ospitano i luoghi di lavoro devono essere stabili e possedere una solidità che corrisponda al loro tipo di impiego e alle caratteristiche ambientali", e l'analisi delle disposizioni successive, a quest'ultima collegate, elencano una serie di prescrizioni che conducono sempre all'ambiente interno, e mai all'ambiente esterno al luogo di lavoro (ivi infatti si fa riferimento , esemplificativamente ad "altezze, cubature, pavimenti, muri, porte, scale ed uscite di emergenza"). Ciò anche quanto al requisito della "solidità", sempre di cui al citato All. IV, che deve corrispondere alle "caratteristiche ambientali" del luogo di lavoro, sempre però riferite all'ambiente di lavoro interno (a titolo di esempio, si cita il riferimento alle banchine e alle rampe di carico che devono essere adeguate alle dimensioni dei carichi trasportati). Sul punto il giudice di appello conclude - condivisibilmente -che il contenuto precettivo delle regole cautelari specifiche citate non consente di includere tra gli obblighi previsti quello di valutare i rischi per la solidità e la stabilità dell'edificio adibito a luogo di lavoro connessi all'ambiente esterno e circostante, quali, appunto, il rischio di urti di navi in manovra. A questa affermazione fa seguito una attenta disamina delle dichiarazioni degli ufficiali di PG operanti nell'ambito della prevenzione che avevano svolto accertamenti nella fase delle indagini preliminari, i quali avevano chiarito che gli obblighi datoriali dovevano riguardare difetti strutturali palesi, nonché la conformità dell'edificio alle prescrizioni di sicurezza igiene e salubrità attestate dal certificato di agibilità, non potendosi richiedere una ulteriore verifica che non rientrava nelle competenze datoriali, essendo mutuate dagli organi competenti dotate di sapere esperto.

6.4. In ordine ai suesposti passaggi motivazionali, nei motivi di ricorso della parte civile si deduce la violazione di legge riguardo ai precetti di cui agli art. 63 e 64 D.Lgs. 81/2008. L'adempimento delle prescrizioni contenute nelle citate norme non poteva ritenersi soddisfatto con l'acquisizione del certificato di agibilità della struttura. In proposito, si richiama la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla vicenda del crollo del soffitto del liceo S.S.S. di R, secondo cui, nonostante gli interventi strutturali sugli edifici scolastici fossero a carico della Provincia, era stata ritenuta la responsabilità del dirigente scolastico, datore di lavoro, incombendo su quest'ultimo l'adozione di misure quali la previa individuazione dei rischi esistenti, disponendo anche la interruzione della attività nell'impossibilità di garantire la sicurezza dell'edificio.

6.5. La doglianza è del tutto infondata.

La vicenda processuale richiamata nel ricorso della parte civile riguarda la vigilanza su cedimenti strutturali degli edifici adibiti a luoghi di lavoro dipendenti da difetti, vizi o lesioni, appunto, delle strutture costruttive. Il motivo neppure considera la ratio deciderteli della sentenza di primo grado, che si è riferita ad un rischio dell'edificio adibito a luogo di lavoro derivante da pericoli esterni, e non ad un pericolo di cedimento per problematiche inerenti alla struttura costruttiva, all'evidenza al di fuori della tematica processuale, riguardante la configurabilità di un dovere di vigilanza del datore di lavoro sui rischi, per l'edificio adibito a sede lavorativa, provenienti dall'ambiente esterno. Di conseguenza, la doglianza non si palesa idonea ad attaccare le ragioni della confutazione, da parte della Corte d'Appello, della decisione del primo giudice sul punto in questione.

In ogni caso, sullo specifico punto, la disamina delle norme richiamate (artt. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/2008), lette in combinato disposto con l'All. IV del medesimo TU, consente di condividere le conclusioni cui è pervenuto il giudice d'appello, laddove ha escluso, alla luce della lettera delle norme e della ratio, posta a fondamento delle stesse, che le predette prescrizioni siano dirette alla protezione dei lavoratori da rischi provenienti da fattori esterni al luogo in cui si svolge la prestazione lavorativa.

7. Tornando al tema della ricerca della regola antinfortunistica violata, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la violazione delle norme specifiche del Testo Unico riguardanti la stabilità degli edifici adibiti a luogo di lavoro, in quanto le stesse sono riferite ai rischi derivanti da problemi strutturali interni.

La Corte territoriale ha poi altrettanto, correttamente escluso la violazione dell'art. 2087 cod. civ. (pag. 146), quale norma generale di chiusura del sistema, non essendo configurabile alcuna altra omissione a carico del datore di lavoro nell'adozione di misure e/o accorgimenti ai fini della tutela della integrità fisica dei lavoratori.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (sez. 4, 29 aprile 1994, n. 10164, Kuster, Rv.200158, in cui, ad esempio, si è rilevato che, a prescindere da specifici obblighi imposti, il datore di lavoro ha il dovere di adeguare le tecnologie alle innovazioni idonee ad assicurare la migliore protezione dei lavoratori; più di recente, ex multis, cfr. Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265052-01; Sez. 4, n. 9745 del 12/11/2020, Dutu, Rv. 280696-02). E la persistente efficacia della norma di cui all'art. 2087 cod. civ. quale norma generale di chiusura del sistema prevenzionistico è stata ancora da poco ribadita dalla pronuncia intervenuta nel caso del disastro ferroviario di Viareggio, (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, PG c/ Castaldo, Rv. 281997-02) ove si è ricordato, in motivazione, come non si possa dubitare che la disposizione pone a carico del datore di lavoro un obbligo di garanzia avente ad oggetto la salute e la vita dei lavoratori.

Ciò premesso in linea di principio, i giudici di appello hanno considerato che, secondo la normativa, l'esperienza e la tecnica disponibili, non vi era alcuna situazione di pericolo derivante da urti di navi in manovra dalla quale proteggere i lavoratori destinati a svolgere le loro attività all'interno della Torre piloti.

7.1. Può a questo punto passarsi all'esame censure del PG e della parte civile in ordine alla prevedibilità della situazione di pericolo sulla quale viene fondato l'obbligo di protezione dei lavoratori. In sintesi, analogamente alla posizione dei progettisti, il PG lamenta la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata, la sottovalutazione della prova desunta dal sapere scientifico, l'errata individuazione della classe di eventi, la illogicità della affermazione secondo cui lo spazio marittimo di manovra era considerato adeguato da tutti gli operatori, con un ragionamento che negava la premessa, ossia la possibilità di perdita di controllo della nave per avaria o errore umano. Lamenta inoltre la mancata considerazione dell'incidente occorso alla motonave M.M.M. e della obliterazione del dato, acquisito al giudizio, secondo cui le navi Q.Q.Q. andavano in avaria con una certa frequenza, in quanto navi a unico propulsore. Deduce l'erroneità della considerazione per cui gli errori dell'equipaggio della Q.Q. fossero "difficilmente immaginabili", non tenendosi conto della istruttoria espletata e di quanto accertato nel procedimento a carico dell'equipaggio, nonché l'erroneità del giudizio in ordine alla valutazione della peculiare condizione dell'C.C. quale Comandante del porto. Critica, infine, la fallacia del convincimento della Corte basato sulle conclusioni della perizia svolta sulla esecuzione delle manovre di evoluzione delle navi, in ordine alle quali erano richiamate le censure esposte relativamente alla posizione dei progettisti. Le doglianze della parte civile si sovrappongono a quelle del PG in ordine alla ritenuta irrilevanza dell'incidente della nave M.M.M. e alla erroneità della parcellizzazione della classe di eventi, avuto riguardo all'oggetto della indagine peritale sui dati AIS. Si deduce vizio di legittimità in ordine all'art. 43 cod. pen. in ordine al paradigma dell'agente modello, non essendo state considerate le peculiari competenze tecniche dell'imputato C.C., che era anche il Comandante del porto di G, e si censura anche la illogica svalutazione delle fonti dichiarative rivelatrici della preoccupazione delle vittime.

7.2 Le argomentazioni della Corte territoriale in ordine alla prevedibilità resistono alle prospettate censure.

Richiamate le considerazioni già espresse in ordine alla corretta individuazione della classe di eventi esposte al par. 2.8, deve rilevarsi che, sotto il profilo della diligenza, risulta correttamente utilizzato il parametro dell'agente modello, secondo i criteri illustrati al precedente paragrafo 2.9. La Corte territoriale riporta (pag. 150 e seg.) tutte le testimonianze qualificate acquisite al giudizio, tra cui quella dell'ex capo pilota P.P.P., oltre a quella di altri tre ex capo piloti, di altri piloti del porto di L, che altro non sono che persone dotate dello stesso bagaglio di conoscenze degli imputati, e quindi da considerare quali parametro per valutare il grado di diligenza richiesto. Tutti i predetti capo piloti, e soprattutto P.P.P., considerato anche dal Tribunale "di indiscussa esperienza e capacità", avevano radicalmente escluso di aver mai percepito pericoli (testimonianze riportate minuziosamente da pag. 153 a pag. 165 della sentenza di appello).

È dunque conforme ai principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte la valutazione dei giudici di appello secondo cui il giudizio di diligenza, ai fini di ricostruire la prevedibilità dell'evento, con la conseguente adozione del comportamento doveroso idoneo ad evitarlo, non può essere rapportato ad un agente ideale, astratto, ma a quello che in concreto operava sulla base delle conoscenze proprie della cerchia di coloro che disponevano, per le qualità rivestite, del medesimo patrimonio esperienziale e delle medesime competenze professionali. E detto patrimonio di conoscenze deponeva per una totale assenza di percezione concreta dei rischi di urto.

A tal proposito, più in dettaglio, la Corte rileva:

A. la possibilità di rischio urto era stata massicciamente esclusa non solo da tutti i capo piloti, ma da tutti i comandanti di nave e tutti gli addetti alla capitaneria di porto escussi (pag. 155 a pag. 165 sentenza appello; precisamente, Z.Z.Z., comandante della nave passeggeri A.A.A.A., della lunghezza di oltre 330 mt, che ha affermato di aver scalato il Porto di G per oltre un decennio e che non aveva mai percepito, durante le manovre in avamporto, alcun pericolo, né gli era mai capitato di trovarsi a distanza ravvicinata dalla Torre; il comandante B.B.B.B., pilota per 32 anni, che ha riferito di non aver nutrito, nel corso della sua attività, alcuna preoccupazione né gli era giunta alcuna segnalazione da parte di operatori portuali, rimorchiatori, comandanti; dello stesso tenore le testimonianze di altri piloti e addetti alla sala operativa della Torre (C.C.C.C. e D.D.D.D.); nel medesimo senso le dichiarazione dell'ammiraglio E.E.E.E., dei contrammiragli F.F.F.F. e G.G.G.G., che avevano tutti svolti incarichi di rilievo presso il Porto di G, degli altri comandanti escussi (pagg. 157 e 158 della sentenza impugnata); degli operatori VTS che lavoravano all'interno della Torre e dei rimorchiatori (pag. 161 - 165 della sentenza impugnata). Particolarmente significativo è il riferimento alla deposizione della parte civile I.I., operatore rimasto ferito nel disastro, che aveva escluso di aver mai percepito pericoli concreti, dichiarando, al riguardo, su domanda del giudice, che durante i suoi turni non aveva mai percepito la pericolosità della manovra di ingresso in avamporto di prua, evoluzione e ingresso di poppa nel bacino, precisando che, qualora avesse percepito pericoli, lo avrebbe segnalato ufficialmente anche nella sua qualità di ufficiale;

B. l'assenza, dunque, di qualsivoglia segnalazione pervenuta agli imputati C.C. e G.G.; in proposito, quanto all'C.C., si sottolinea (pag. 195 e 188) che il predetto C.C., nella qualità di Comandane, indiva riunioni periodiche con i capi reparto e i capi servizio e nessuno aveva mai segnalato alcunché;

C. i dati relativi agli incidenti nel porto di G nel periodo 2010/2018 non avevano mai riguardato il molo I.I.I. e l'avamporto. Al riguardo, la Corte territoriale riporta la testimonianza dell'ufficiale della GdF H.H.H.H., in servizio presso la Stazione navale di G, il quale ha dichiarato, sulla base della documentazione raccolta nel corso delle indagini preliminari, che nell'avamporto di G, nel periodo citato, si era verificato soltanto l'incidente della Q.Q., che gli incidenti occorsi nel Porto di G nel periodo in questione avevano riguardato manovre in fase di ormeggio o disormeggio;

D. la radicale diversità dell'episodio della motonave M.M.M. accaduto nel 1999: la nave, uscita dal bacino di carenaggio, doveva ormeggiare al molo N.N.N., dedicato alle riparazioni navali, mentre il molo era occupato dal un'altra imbarcazione; eseguita la manovra di ormeggio con l'ausilio dei rimorchiatori, si era appoggiata alla finestra di una palazzina adiacente alla Torre piloti provocando un lieve danno. Dopo l'accaduto, era stata interdetta la possibilità di collocare altre navi nella medesima posizione, eliminando la fonte del pericolo. In proposito, la Corte territoriale sottolinea che si trattava di una manovra della fase di ormeggio in un molo adiacente al molo I.I.I., che non si era neppure trattato di un errore di manovra, ma di un problema di collocazione della nave in quella posizione, cosa che era stata successivamente vietata; che, pertanto, la tipologia di quel sinistro era del tutto inidonea a far presagire l'accaduto nella tragica sera del 7 marzo 2013, anche avuto riguardo alla classe di eventi così come individuata;

E. la sostanziale irrilevanza, ai fini del giudizio di prevedibilità, del restringimento del bacino di evoluzione. In proposito, nella sentenza impugnata si sottolinea che, già molto prima del tombamento della calata J.J.J., la predetta calata non era più utilizzata come bacino di evoluzione a causa dell'ormeggio di navi di grandi dimensioni nella banchina adiacente (calata Oli minerali), e ciò già dalla fine degli anni 90; che, a fronte di ciò, nel 2000 vi erano comunque state significativi interventi consistenti nella rimozione del cd "dente della V.V." che aveva agevolato le manovre in avamporto, ampliando gli spazi: ciò infatti consentiva alle navi di uscire dal canale di U.U. in modo più agevole e di anticipare la manovra di rotazione in avamporto con maggiore facilità;

F. quanto al fenomeno del cd "gigantismo navale", i giudici di appello rilevano come sia incontestato il rilievo secondo cui all'incremento delle dimensioni delle navi corrispondeva anche un incremento tecnico delle rispettive dotazioni strumentali e di manovra, tanto che le navi di recente costruzione eseguono la manovra di evoluzione ruotando su sé stesse (quindi in modo differente rispetto alla manovra delle navi della tipologia Q.Q.Q.) e che, in ogni caso, era stata sempre rispettata la proporzione richiesta rispetto alla dimensioni del bacino di evoluzione, secondo la vigente regola cautelare più volte enunciata;

G. quanto alla foto postata su facebook dal A.A.A. prima della tragedia, valorizzata dal primo giudice, la Corte ne ridimensione la rilevanza con argomentazioni non illogiche, osservando, da un lato, che le espressioni utilizzate non erano univocamente deponenti per la percezione del pericolo; che il predetto non avrebbe mai affidato a un social network una denuncia di pericolosità del luogo di lavoro, anzi, in qualità di sottoufficiale, era consapevole che avrebbe dovuto inoltrare formalmente tale tipo di denunce; che nessuno dei colleghi, sentiti come testi, aveva riferito della percezione di pericolosità riguardo alla ubicazione del luogo di lavoro o che il A.A.A. avesse con loro condiviso detta percezione, spiegando anzi che vi sarebbe stato un difetto di prospettiva nella foto, in quanto la nave sarebbe stata più lontana di quanto appariva.

In considerazione delle argomentazioni offerte dalla Corte territoriale, può ritenersi del tutto infondata la doglianza, reiterata anche in questa sede da parte del PG, secondo cui la Corte territoriale avrebbe violato l'obbligo di motivazione rafforzata, risultando invece una lunga ed analitica disamina della prova dichiarativa, ingiustificatamente obliterata dal primo giudice. Risulta, inoltre, adeguatamente argomentata la scarsa significatività delle fonti dichiarative inerenti alla supposta preoccupazione delle vittime, smentita da una consistente mole di altre risultanze processuali; nonché tutti gli altri punti (rilevanza dell'incidente della motonave M.M.M., omessa valutazione dei dati di incidentalità portuale) che, a mente dei motivi di ricorso, costituirebbero vizi di manifesta illogicità della motivazione, non ravvisabili nel caso di specie.

7.3. Ciò posto, reputa questa Corte di legittimità che l'indagine condotta dai giudici di appello mediante l'acquisizione dei dati AIS circa la distanza concretamente mantenuta in avamporto in ordine alle manovre eseguite dalle navi Q.Q. e O.O.O. nel periodo 2010/2013 ha funzione di completamento di un quadro già chiaro in ordine alla formulazione di un giudizio di imprevedibilità, avendo detta indagine conoscitiva finalità di avvalorare scrupolosamente quanto già emerso dai dati probatori evidenziati (assenza di qualsiasi percezione di pericoli da parte degli agenti esperti appartenenti al medesimo circolo degli imputati, assenza di segnalazioni, assenza di dati di incidentalità nel bacino antistante la Torre Piloti, tale non potendosi ritenere, per le ragioni esaurientemente esposte, l'incidente al molo N.N.N., irrilevanza del ed gigantismo navale e della concreta incidenza del tombamento della Calata J.J.J.). Detta indagine conoscitiva, invero, ha semplicemente evidenziato che anche le manovre potenzialmente più pericolose, ossia quelle condotte dalle navi Q.Q.Q. che avevano una tipologia di motore meno sofisticato che rendeva la manovrabilità maggiormente insidiosa, erano state sempre eseguite in sicurezza, ad ulteriore conferma della piena adeguatezza della regola cautelare posta a presidio della sicurezza portuale, ossia l'ampiezza del bacino di evoluzione in rapporto alle dimensioni delle navi che potevano eseguire manovra nello specchio acqueo.

7.4. Vanno a questo punto analizzate nel loro complesso le censure dedotte dal PG e dalla parte civile in ordine all'ammissione, all' espletamento del supplemento istruttorio ed alla utilizzabilità dei dati AIS.

Dette doglianze sono infondate.

7.5. Quanto alle nullità scaturenti dell'ipotizzato atto ispettivo condotto dal Collegio della Corte territoriale, non vi è alcuna evidenza che eventuali risultanze del sopralluogo compiuto abbiano costituito elemento di prova nel processo. L'argomento per cui a seguito del sopralluogo sia stato disposto il rinnovo istruttorio è del tutto congetturale e totalmente disancorato dai dati processuali.

7.6. Relativamente, poi, alla dedotta nullità dell'ordinanza che ha disposto il supplemento istruttorio, la giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità è assolutamente costante nel ritenere che, in caso di ammissione ufficiosa del mezzo istruttorio, è pienamente sufficiente la valutazione di necessità ai fini della decisione, sussistendo invece un obbligo di motivazione soltanto in caso di rigetto della richiesta della parte, ove la prova non ammessa si riveli decisiva (Sez. U n. 41281 del 17/10/2006, Pg in proc. Greco; Rv. 234907-01; Sez. 2, n. 35742 del 28/09/2020, D'Agata; Rv. 280358-01; Sez. 4, n. 5898 del 17/01/2019, Borsi, Rv. 275266-02; Sez. 6, n. 17360 del 13/04/2021, Prevete, Rv. 280968-01, Sez. 5, n. 18264 del 29/01/2019, imputato S., Rv. 276246-01). Si è altresì precisato che l'acquisizione di una prova nuova in appello, adottata in assenza del presupposto dell'assoluta necessità dell'integrazione, non determina l'inutilizzabilità della prova (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, imputato G, Rv. 274230-01; Sez. 3, n. 35986 del 06/10/2020, imputato B, Rv. 280426-01).

7.7. Sono poi infondate tutte le censure relative alla inattendibilità dei dati AIS.

Innanzi tutto, la Corte territoriale non ha mai affermato il valore fideifacente dei dati AIS nonostante la mancata emanazione delle linee guida previste dal CAD per attribuire valore fideifacente ai dati informatici. Ha invece affermato che la procedura di raccolta dei dati era stata attuata in sede peritale, presso la sede del Comando generale delle Capitanerie di Porto, nel contraddittorio delle parti, senza alcuna contestazione in ordine alla loro provenienza. La stessa parte civile ammette di aver partecipato, con la presenza del proprio consulente, alla procedura di estrazione dei dati, contestando solamente l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui non sarebbero state sollevate contestazioni. Si deduce, in proposito, che "il consulente formulava plurime censure, in ordine alla assenza di una catena di custodia dei dati, del mancato calcolo di un valore Hash e/o creazione di una marcatura temporale dei file generati e alla parzialità dei dati relativi alla Q.Q., non solo verbalizzate in sede di operazioni, ma riversate in una relazione tecnica depositata da questa difesa". Orbene, in primo luogo la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte di legittimità, ha ampiamente motivato in ordine al rigetto della richiesta di acquisizione della relazione del CT di parte, in quanto non ne era stata richiesta l'audizione in contraddittorio con il perito nominato dalla Corte, né era utilizzabile la memoria difensiva riproduttiva della relazione del CT di parte, poiché nel giudizio di appello non può essere introdotta ed acquisita come memoria la consulenza tecnica (Sez. 2, n. 10968 del 18/12/2018, Rv. 275769, Sez 1, n. 29845 del 19/6/2019, Rv 276494). La decisione di non acquisire la memoria difensiva, peraltro, non risulta oggetto di impugnazione. Ciò posto, è dunque ineccepibile l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale è frutto di mere congetture che i dati possano essere inaffidabili o oggetto di dispersione, e ciò in considerazione non solo della evidente genericità delle contestazioni elencate a pag. 19 del motivo di ricorso e relative a "assenza di una catena di custodia dei dati, del mancato calcolo di un valore Hash e/o creazione di una marcatura temporale dei file generati", ma della mancanza di richiesta di una rituale audizione del perito di parte in contraddittorio. Ed altresì è incensurabile la considerazione per cui è proprio in base ai dati AIS, elaborati e raccolti presso il Comando generale delle Capitanerie di Porto, che avvengono la tracciatura e il controllo dei movimenti delle navi dell'intero sistema marittimo nazionale; ciò a conferma del fatto che si tratta certamente di dati attendibili ed affidabili. In tale contesto, non può essere invocata alcuna violazione dell'art. 2702 cod. civ., poiché la Corte d'Appello non ha mai affermato il valore di pubblica fede dei dati AIS, ma ha rilevato che ne era accertata la provenienza dal Comando generale delle Capitanerie perché la procedura di estrapolazione si era ivi svolta, nel contraddittorio, e che, riguardo alla affidabilità, si tratta di dati utilizzati a livello nazionale per la tracciatura di tutti i movimenti navali. In tale contesto, è parimenti incensurabile il riferimento alla testimonianza del Direttore dell'Ufficio del Comando generale delle Capitanerie di porto, R.R.R., che ha riferito in ordine alla procedura di acquisizione e conservazione dei dati, affermando che (pag. 168 sentenza) i dati cd spuri o contaminati non vengono registrati, ma vengono registrati solo quelli integri, e che le procedure di conservazione dei dati era sostanzialmente conforme a quanto riportato nelle linee guida AGID, anche se emanate successivamente. Del pari ineccepibile è l'osservazione per cui la prova non deve necessariamente essere basata su dati avente valore legale, vigendo, nel giudizio penale, il principio della atipicità della prova, in presenza di plurimi elementi, quali quelli indicati, che confermino la validità e affidabilità degli elementi probatori acquisiti.

7.8. Ciò posto, va dunque evidenziato che l'acquisizione dei dati AIS e la ricostruzione delle manovre avvenute in avamporto nel periodo antecedente al tragico evento da parte delle navi della tipologia Q.Q.Q. aveva permesso di accertare che la distanza minima dalle strutture portuali era stata sempre abbondantemente mantenuta. Le navi, infatti, non erano mai arrivate ad una distanza dalla Torre inferiore a 68 mt (comunque sicura), come verificatosi solo in un caso, mentre, quanto alle altre manovre esaminate, la distanza accertata era stata sempre superiore a mt.100. Tanto avvalora il giudizio di imprevedibilità del rischio di urto di navi in evoluzione nell'avamporto, proprio ed in relazione al periodo di riferimento, stante la sufficiente ampiezza del bacino di evoluzione.

7.9. Quanto, infine, alle censure con le quali si deduce la illogicità della affermazione secondo cui lo spazio marittimo di manovra era considerato adeguato da tutti gli operatori, negando la possibilità di perdita di controllo della nave per avaria o errore umano, vanno richiamate le superiori considerazioni esposte in ordine al giudizio assolutorio dell'Ammiraglio C.C. Invero, va ricordato che nessuna avaria si era verificata durante la manovra in avamporto della nave Q.Q. la sera dell'incidente, ma, come ripetutamente esposto e come accertato nel precedente giudizio a carico dell'equipaggio, l'avaria, consistente nel malfunzionamento del contagiri, era stata rilevata prima della partenza della nave e non avrebbe consentito alla medesima nave di lasciare gli ormeggi. Può aggiungersi, ragionevolmente, che il rischio di avaria durante una manovra di evoluzione in fase di uscita dal porto non poteva ragionevolmente essere previsto, dovendo le navi in partenza eseguire gli ordinari controlli prima di lasciare il porto e dovendo segnalare le avarie al centro VTS, come era stato prescritto dal Comandante nell'ordinanza del 1 marzo 2012.

8. Alla luce di quanto esposto i ricorsi devono essere rigettati, restando così assorbita la questione relativa al decorso del termine di prescrizione per i reati contestati agli imputati dedotta con il primo motivo di ricorso del Procuratore Generale.

Segue al rigetto del ricorso la condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso del Procuratore Generale. Rigetta il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 7 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2024.