Cassazione Penale, Sez. 1, 05 settembre 2024, n. 33807 - Taglia la corda di arrampicata del socio durante la manutenzione di un pallone aerostatico. Voleva mostrare alla vittima le conseguenze di infortuni dovuti alla mancata adozione delle giuste cautele
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta da
Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente
Dott. CENTOFANTI Francesco - Relatore
Dott. MAGI Raffaello - Consigliere
Dott. TOSCANI Eva - Consigliere
Dott. TONA Giovanbattista - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato a T il (Omissis)
avverso la sentenza del 22/11/2023 della Corte di appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marco Dall'Olio, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore di parte civile, avvocato Alberto de Sanctis, che ha chiesto il
rigetto del ricorso e la rifusione delle spese di lite;
udito il difensore dell'imputato, avvocato Massimo Pietrini, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
Fatto
1. A.A. è stato tratto a giudizio del Tribunale di Torino per rispondere di tentato omicidio ai danni di B.B.
Il 30 luglio 2018 l'imputato e la vittima lavoravano alla manutenzione straordinaria di un pallone aerostatico, sito in piazza (Omissis) a T. A.A. si era issato sul pallone oltre la linea equatoriale, in direzione del polo nord, mentre B.B. si trovava più in basso, in prossimità della linea stessa.
All'improvviso la corda di arrampicata, alla quale B.B. era appeso, veniva recisa dall'alto e non era più in grado di sostenerlo. B.B. precipitava al suolo, riportando trauma cranico commotivo, fratture multiple, contusioni polmonari e renali e rabdomiolisi.
2. Il Tribunale di Torino, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ha ritenuto:
- che il taglio della corda era stato messo in atto dall'imputato;
- che il taglio non era stato accidentale, né era riconducibile ad attività manutentiva svolta in modo imperito, essendo viceversa frutto della condotta dolosa dell'imputato, collegata ai compromessi rapporti personali tra lui e la vittima, soci nella conduzione dell'attività imprenditoriale di esercizio della mongolfiera;
- che il dolo non era tuttavia di omicidio, ma di lesione personale.
3. Secondo il Tribunale, A.A., avvedutosi che B.B. si era fermato durante l'arrampicata, era salito velocemente sulla sommità e aveva rotto la corda, dopo essersi assicurato che il socio non avesse oltrepassato la linea dell'equatore.
Tale circostanza dimostrava che non era intenzione dell'imputato far precipitare la vittima da un'altezza tale da determinarne il decesso. Dall'altezza in questione, l'attitudine della condotta a cagionare la morte era stata stimata dal consulente tecnico del pubblico ministero in un range percentuale standard compreso tra il 18 e il 34 per cento.
Il movente non sarebbe stato, del resto, quello di eliminare la vittima, per riprendersi la direzione tecnica della mongolfiera, quanto quello di mostrare alla vittima -nell'opinione dell'imputato attenta più al profitto, che alla sicurezza sul lavoro- le conseguenze di infortuni dovuti alla mancata adozione delle giuste cautele. Per un infortunio, infatti, l'imputato aveva inizialmente cercato di far passare l'occorso.
4. Il Tribunale, con sentenza pronunciata il 29 aprile 2022, ha dunque riqualificato il fatto di cui in imputazione nel reato di lesione personale, con durata della malattia superiore a quaranta giorni, e ha affermato la penale responsabilità di A.A. in tali termini.
5. Hanno interposto gravame imputato, pubblico ministero e parte civile B.B.
La Corte di appello di Torino, con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto le ultime due impugnazioni e ha ripristinato la qualificazione giuridica originaria di tentato omicidio.
6. La Corte di appello ha ribadito la dolosità dell'azione, in quanto ha osservato:
- che l'attività manutentiva, concordemente programmata per il 30 luglio 2018, era solo quella di prelevare campioni di tessuto, e non comprendeva la sostituzione delle corde;
- che, ciò nonostante, A.A. quella sera si era procurato, all'insaputa del collega, un imprecisato quantitativo di corda nuova; agendo all'insaputa, aveva fatto si che B.B. non sentisse la necessità di adottare misure prevenzionali atte a scongiurare la caduta (se B.B. avesse saputo della sostituzione delle corde, sarebbe, ad esempio, salito in simultanea con l'imputato, in modo da superare l'equatore e potersi, in caso di bisogno, sorreggere alla rete superiore del pallone);
- che, iniziata la manutenzione, A.A. aveva guadagnato in modo incredibilmente repentino il polo nord della mongolfiera, così da trovarsi lì durante l'ascesa della vittima; era salito munito di taglierino (cutter) e, una volta in cima, aveva proceduto al taglio della corda, senza prima collocare quella nuova e senza attendere il collega; una volta informato della caduta al suolo di quest'ultimo, anziché precipitarsi giù, aveva piazzato la corda nuova ed era tranquillamente ridisceso.
7. La Corte di appello ha poi superato il ragionamento del primo giudice, in punto di animus necandi, sulla base delle seguenti considerazioni:
- il fatto che A.A. aveva agito prima che B.B. avesse superato l'equatore non significava che volesse farlo cadere da altezza minore per scongiurarne la morte; in realtà, se egli avesse consentito alla vittima di salire ulteriormente, la vittima avrebbe potuto notarlo mentre recideva la corda; se gli avesse consentito di salire ulteriormente, la vittima si sarebbe comunque potuta aggrappare alla rete superiore del pallone ed evitare di cadere; senza contare che, oltre l'equatore, con la corda non più in massima tensione, B.B. avrebbe facilmente percepito l'azione di sollevamento che l'imputato stava per compiervi;
- il ragionamento sul movente non era determinante, perché il processo non aveva natura indiziaria e l'identità dell'agente era indubbia.
8. L'animus necandi era viceversa evidente, per il giudice di appello.
A.A. aveva raggiunto rapidamente il polo nord della mongolfiera, precedendo la vittima, priva di difese anticaduta; aveva scelto il momento preciso in cui farla rovinare al suolo, da altezza idonea a procurarle un traumatismo letale, solo fortuitamente non verificatosi in tutta la sua ampiezza; aveva deciso di procedere alla rottura della corda senza aver minimamente partecipato all'altro la sua intenzione.
Così operando, l'imputato aveva in mente non già di fare genericamente del male al collega, a scopo solo dimostrativo, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, ma aveva in mente di procurarne, almeno in via alternativa, la morte.
L'azione era, del resto, perfettamente idonea allo scopo, perché - al di là dell'opinabile dato statistico, generale ed astratto, riportato dal consulente tecnico - la caduta su terreno duro, dall'altezza di sette metri, indotta all'improvviso (e senza dunque che la vittima abbia avuto neppure il tempo di regolare la postura per attutire l'urto), era perfettamente in grado di cagionare la morte.
9. Ricorre per cassazione A.A., con il ministero del suo difensore di fiducia.
Il ricorso è sviluppato in un unico, articolato motivo.
In esso si denuncia la violazione degli artt. 43, 56 e 575 cod. pen. e il vizio di motivazione, anche per effetto di travisamento della prova.
9.1. Afferma anzitutto il ricorrente che l'univocità della condotta, la sua non equivoca direzione a cagionare la morte, sarebbe stata superficialmente valutata dalla sentenza impugnata, concentratasi piuttosto sui requisiti di idoneità dell'azione.
Non sarebbero stati esplicitati gli elementi comprovanti che A.A. si fosse rappresentato, con certezza o alta probabilità, che dalla recisione della corda, e dalla caduta conseguente, potesse derivare la morte della vittima. L'esistenza del dolo alternativo sarebbe stata, dunque, assertivamente proclamata.
A.A., d'altra parte, non avrebbe realmente saputo a che altezza si trovasse B.B., essendo il relativo calcolo frutto di una stima largamente approssimativa: i due uomini, nella posizione assunta durante le rispettive ascese, non erano in condizione di vedersi reciprocamente e comunicavano via radio. Sul punto si registrerebbe un travisamento del dato istruttorio.
Ammesso poi che A.A. avesse voluto, per le ragioni indicate dalla Corte di appello, recidere la corda prima che la vittima avesse raggiunto l'equatore del pallone aerostatico, tale circostanza sarebbe neutra e compatibile anche con il mero animus laedendi.
9.2. In punto di idoneità dell'azione, la ridotta percentuale di lesività mortale (decisamente inferiore al 50%), che in letteratura era dato riscontrare rispetto a cadute corrispondenti a quelle di causa, sarebbe stata illogicamente svalutata dalla sentenza impugnata.
Il dato costituirebbe, viceversa, un elemento imprescindibile di valutazione, indebitamente pretermesso anche a fronte di una lettura travisata della deposizione dibattimentale del consulente.
9.3. La ricostruzione del movente, giustamente operata dal Tribunale, conforterebbe le conclusioni cui il primo giudice era giunto.
E il movente sarebbe criterio sussidiario rilevante ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo del reato.
10. Il Procuratore generale requirente ha depositato memoria, in data 13 maggio 2024, in cui ha anticipato ed argomentato le conclusioni di merito rassegnate nel corso della discussione orale.
Analogamente ha operato, con memoria trasmessa tuttavia solo il 23 maggio 2024, la difesa della parte civile B.B.
Diritto
1. La memoria di parte civile risulta tardiva, in quanto presentata oltre il termine dei quindici giorni antecedenti la data della discussione, stabilito dall'art. 611, comma 1, cod. proc. pen. e applicabile anche ai ricorsi esaminati in udienza pubblica, una volta che sia stata richiesta e disposta la trattazione orale ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in legge 18 dicembre 2020, n. 176 del 2020.
L'inosservanza del termine esime la Corte di cassazione dal compito di prendere in esame il contenuto dì tale atto defensionale (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647-02).
2. Ciò premesso, il ricorso è fondato.
3. L'imputato era stato condannato, all'esito del giudizio di primo grado, per il meno grave reato di lesione personale.
La sentenza impugnata, viceversa, ne ha affermato la penale responsabilità per omicidio tentato, così riallineando l'accertamento giudiziale all'originaria contestazione.
Ineludibile risultava allora il rispetto dell'insegnamento, secondo cui la sentenza di appello deve confutare specificamente - pena altrimenti la violazione del canone di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, e il correlato vizio di motivazione - le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione meno gravosa, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti rilevanti in essa contenuti, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello; e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330-01; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233083-01; Sez. 4, n. 7630 del 29/11/2004, dep. 2005, Marchiorelo, Rv. 231136-01).
Il giudice di appello, che riformi in peius la decisione di primo grado, ha, in altre parole, l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non potendo limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio solo perché in tesi preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907-01; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327-01; Sez. 6, n. 39911 del 04/06/2014, Scuto, Rv. 261589-01; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005-01; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332-01; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638-01).
L'obbligo di motivazione rafforzata sussiste anche nel caso di diversa qualificazione giuridica del fatto in senso peggiorativo, conseguente alla difforme valutazione del compendio probatorio, non valendo ad escludere un tale obbligo il fatto che, in tale circostanza, la sentenza riformata già contenga un giudizio di colpevolezza dell'imputato (Sez. 6, n. 14444 del 21/02/2023, P., Rv. 284579-03).
4. Scrutinata alla luce di questi principi, la sentenza impugnata non supera il vaglio di questa Corte.
Ineccepibile essa risulta quanto alla rilevata e ribadita connotazione dolosa della condotta, che il ricorrente peraltro ha del tutto rinunciato, in questa sede, a contestare.
Sull'oggetto del dolo, invece, sul fatto cioè che si sia trattato di dolo omicida o di lesione, la motivazione appare largamente assertiva e non dotata di persuasività tale da ribaltare l'esito, in favorem rei, del giudizio di primo grado.
5. Il discrimine tra le fattispecie sta, come è evidente, nel diverso elemento psicologico che sorregge l'azione (Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, Tripodi, Rv. 257881-01; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, Bisotti, Rv. 248550-01; Sez. 1, n. 1950 del 20/05/1987, dep. 1988, Incamicia, Rv. 177610-01), diretta nell'un caso a cagionare la morte, senza esaurire la carica offensiva nell'evento minore, l'unico, nell'ipotesi sostitutiva, attinto dal dolo.
Nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, Sciuto, Rv. 262768-01; Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, Bellone, Rv. 250932-01; Sez. 2, n. 41649 del 05/11/2010, Vingiani, Rv. 248829-01) è costante l'affermazione per cui, ai fini dell'accertamento dell'animus necandi, rilevi l'idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell'obiettivo delittuoso, nonché l'univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta.
6. Le circostanze valorizzate dalla Corte di appello in punto di univocità della condotta, quali risultano dai parr. 7 e 8 della narrativa, essenzialmente comprovano che A.A. decise intenzionalmente di far cadere giù la vittima, ma non evidenziano, con altrettanta chiarezza, la direzione ultima dell'azione.
Esse non permettono di comprendere appieno, cioè:
- se la condotta dell'imputato fosse realmente diretta ad uccidere, ovvero se un tale esito fosse almeno accettato in via alternativa; corretta sarebbe, in entrambe le ipotesi, la qualificazione di omicidio volontario tentato;
- se l'esito letale fosse soltanto messo in conto a titolo di eventualità; tale circostanza sarebbe incompatibile, come noto, con la fattispecie del tentativo;
- o se, addirittura, l'intento dell'imputato fosse veramente e solo, come ritenuto in primo grado, quello di dimostrare i rischi che si sarebbero potuti correre in caso di incidente, allo scopo di rendere la vittima, che dirigeva le attività di volo, più attenta alle esigenze di sicurezza; in questo caso, la vittima sarebbe dovuta rimanere in vita e il dolo si configurerebbe come dolo di pura lesione.
7. Approfondire il tema del movente era dunque fondamentale in questo processo, in chiave ricostruttiva del reale elemento psicologico che animava l'agente.
La sua totale pretermissione, ad opera della sentenza impugnata, rappresenta un fattore di palese criticità della decisione.
8. Il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata appare insoddisfacente, a cospetto dei rilievi del giudice di primo grado, anche riguardo all'idoneità della condotta a cagionare la morte, in rapporto all'altezza dal suolo della vittima ad inizio caduta.
Dall'asserita consapevolezza, in capo all'imputato, dell'inefficienza causale della sua azione rispetto alla posizione della vittima la prima decisione aveva ricavato, in via concorrente, l'esistenza del dolo di lesione mera.
Non affrontando con la necessaria analiticità il tema dell'altezza, dell'idoneità della condotta al riguardo e della conoscenza che l'agente potesse nutrire di tali elementi, la sentenza impugnata non si pone in termini di adeguato confronto con la decisione appellata.
Il ribaltamento del suo esito non è sorretto, neppure sotto questo profilo, da motivazione adeguata e convincente.
9. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza di appello, con rinvio per rinnovato giudizio a norma dell'art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso il 29 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2024.