REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, composto dai signori Magistrati
Francesco CORSARO, Presidente,
Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore,
Stefano FANTINI, Primo Referendario,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA SUI RICORSI RIUNITI
n. 2532/2004 e n. 9497/2004, entrambi proposti dalla CONFEDERAZIONE GENERALE DELL'INDUSTRIA ITALIANA – CONFINDUSTRIA, dalla CONFEDERAZIONE GENERALE DELL’AGRICOLTURA ITALIANA – CONFAGRICOLTURA e dall’ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA – ABI, con sedi in Roma, dalla BANCA NAZIONALE DEL LAVORO – BNL s.p.a. e dalla NORTEL NETWORKS s.p.a., correnti in Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonché dal sig. C. S., n.q. di titolare dell’omonima impresa agricola con sede in Cirò (KR), tutti rappresentati e difesi dal prof. Luciano SPAGNUOLO VIGORITA e dagli avvocati Marialucrezia TURCO e Maria Alessandra BAZZANI ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via delle Botteghe Oscure n. 4,
CONTRO
- l’ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO – INAIL, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dal prof. Mario SANINO e dagli avvocati Luigi LA PECCERELLA e Luciana ROMEO ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via IV Novembre n. 144 e
- il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del sig. Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria,
PER L’ANNULLAMENTO
A) – quanto al ricorso n. 2532/2004, della circolare Inail n. 71 del 17.12.2003, avente ad oggetto i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, il relativo rischio e diagnosi di malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative pratiche; B) – e, quanto al ricorso n. 9497/2004, del DM 27 aprile 2004 (in G.U. n. 139 del 10 giugno 2004), recante l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui inserisce nella lista II) il gruppo 7) «Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro»;
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 5 maggio 2005 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, i proff. SPAGNUOLO VIGORITA e SANINO, gli avvocati LA PECCERELLA e BAZZANI e l’Avvocato dello Stato BRUNI;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La CONFINDUSTRIA e consorti assumono d’essere alcune tra le più importanti associazioni dei datori di lavoro dell’impresa italiana e, rispettivamente, imprenditori dei settori industriale, commerciale ed agricolo.
La CONFINDUSTRIA e consorti dichiarano altresì che l’INAIL, con la circolare n. 71 del 17 dicembre 2003, ha inteso regolare l’approccio dei propri organismi accertatori ai disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro (il c.d. mobbing) ed al relativo rischio e diagnosi di queste come malattia professionale, stabilendo inoltre le modalità di trattamento delle relative pratiche. A detta della CONFINDUSTRIA e consorti detta circolare, aldilà del suo nomen juris, non farebbe che dettare prescrizioni sulla definizione e la diagnosi del mobbing, di fatto elevandolo a vera e propria malattia professionale tipizzata. Sicché essa esulerebbe dalla natura meramente ricognitiva ed esplicativa propria delle circolari, assumendo statuizioni conformative, ad effetto immediato, nei confronti dei poteri degli ispettori dell’ente medesimo e contro la sfera giuridica degli imprenditori, così da renderla immediatamente impugnabile.
Avverso detta circolare, quindi, la CONFINDUSTRIA e consorti si gravano innanzi a questo Giudice con il ricorso n. 2532/2004, deducendo svariati profili di censura. Resiste in giudizio l’intimato INAIL, il quale l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa attorea.
Nelle more del predetto giudizio, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha emanato il DM 27 aprile 2004 (in G.U. n. 139 del 10 giugno 2004), recante l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124. Al riguardo, nella lista II) al gruppo 7) sono contemplate le «Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro», ossia quelle generatrici del mobbing di cui alla circ. INAIL n. 71/2003, pur se, a detta della CONFINDUSTRIA e consorti, non vi siano serie evidenze scientifiche che ne giustifichino la presa in considerazione a’sensi dell’art. 10 del Dlg 23 febbraio 2000 n. 38, ai fini dell’aggiornamento dell’elenco delle malattie ex art. 139 del DPR 1124/1965. Pertanto, la CONFINDUSTRIA e consorti adiscono nuovamente, con il ricorso n. 9497/ 2004 in epigrafe, questo Giudice per l’annullamento di tal DM 27 aprile 2004, nella parte in cui ha disposto l’inserimento delle predette malattie. S’è costituito nel presente giudizio il Ministero intimato, il quale eccepisce articolatamente l’infondatezza della pretesa attorea.
Tutte le parti hanno ritualmente depositato documenti e memorie. All’udienza pubblica del 5 maggio 2005, su conforme richiesta delle parti, i due ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. – Come già accennato in epigrafe e più diffusamente nelle premesse in fatto, la CONFINDUSTRIA e consorti hanno promosso due distinti, ma sostanzialmente simili gravami, intesi ad ottenere l’annullamento sia della circolare Inail n. 71 del 17.12.2003 ¾avente ad oggetto i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro (c.d. mobbing), il relativo rischio e diagnosi di malattia professionale, nonché le modalità di trattamento delle relative pratiche (ricorso n. 2532/2004), sia del DM 27 aprile 2004 (in G.U. n. 139 del 10 giugno 2004), laddove, nel formulare l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124, v’ha inserito anche il gruppo delle «Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro» (ricorso n. 9497/2004). Come si vede, in entrambi i casi, la res controversa s’incentra sull’opposizione a che il c.d. mobbing, attraverso vari mezzi, assurga a malattia tipizzata indennizzabile in assenza di definizioni scientifiche certe.
2. – Ciò posto, i due ricorsi in epigrafe, in ragione della sostanziale identità d' oggetto e della loro connessione soggettiva, vanno riuniti e contestualmente decisi con la presente sentenza.
3.1. – Iniziando la disamina dal ricorso n. 2532/2004 in epigrafe, non sfugge certo al Collegio che esso si rivolge avverso la circ. INAIL n. 71/2003, ossia nei confronti d’un atto che, di per sé, non sarebbe idoneo o, comunque, deputato a recare statuizioni ma, nella specie e ad onta del suo nomen juris, esso in realtà tende alla modificazione dell’assetto delle malattie indennizzabile, attraverso la considerazione ed il trattamento del mobbing.
3.2. – Va allora disattesa l’eccezione dell’ente intimato, che assume la propria circ. n. 71 a guisa di mero atto interno, destinato solo ad uniformare le prassi amministrative degli uffici destinatari.
Ora, tal circolare muove dalla considerazione che, tra le cause di malattie professionali, occorra annoverare oggidì, «… secondo un'interpretazione aderente all’ evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi …», anche i fattori di nocività legati all’«…organizzazione aziendale delle attività lavorative… (che) … ricorrono esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo…».
Fin qui, reputa il Collegio, detta circolare non ha un effetto conformativo di potestà accertatrici in capo agli uffici ispettivi dell’ente e, correlativamente, delle soggette posizioni datoriali. Invero, aldilà delle malattie c.d. “tabellate” a’sensi degli artt. 3 e 211 del DPR 1124/1965 per le quali vige la presunzione relativa di derivazione eziologica della patologia dall’attività lavorativa, sono indennizzabili pure le malattie professionali diverse da queste, ove ne sia accertata con rigore la causa di lavoro. Da ciò il Collegio ben può dedurre che, ferma sempre la possibilità d'integrare le tabelle delle patologie con le modalità ex art. 10 del Dlg 23 febbraio 2000 n. 23, una malattia non “tabellata” non può esser legittimamente trattata dall’INAIL come se godesse di detta presunzione relativa. Non può infatti l’ente invertire sua sponte e discrezionalmente l’onere della prova spettante al prestatore d’opera in ordine al nesso eziologico, ma si deve limitare ad indicare soltanto gli elementi essenziali della patologia in base a definizioni scientifiche serie e rigorose.
Ciò non è accaduto nella specie, ché l’impugnata circolare non si limita ad offrire agli uffici destinatari solo un complesso di elementi identificativi del mobbing quali, p.es., un elenco esemplificativo di condotte illecite, o no, per meglio uniformarne la capacità d'accertamento e guidarne il discernimento, ma fa di più. Essa indica l’obbligo d'accertare i presupposti oggettivi della c.d. costrittività organizzativa, non solo per riscontrare quanto dichiari l’interessato, ma soprattutto per integrare gli elementi probatori recati da costui in ordine all’esistenza delle condizioni indicate quali forme di siffatta costrittività. Indica altresì che, ferma la rimessione al medico legale della valutazione della malattia psichica da costrittività organizzativa, la patologia in tanto è indennizzabile dall’INAIL in quanto sia esclusivamente riconducibile alla sindrome da disadattamento cronico o a quella post-traumatica o da stress cronico. Indica infine che la trattazione delle pratiche di mobbing sia effettuata a livello locale e non, come prima, presso la Direzione generale dell’ente.
Non è allora chi non veda come l’approccio dell’ente alle vicende di mobbing segue la struttura logica dell'accertamento delle malattie c.d. “tabellate”. L'impugnata circolare individua un complesso di determinati e specifici fattori di nocività già di per sé soli atti ad indurre malattie psichiche o psicosomatiche ed un elenco di queste ultime che ritiene che possano derivare dai tali fattori, peraltro senza che sul punto vi sia quell'effettivamente consolidata e seria letteratura che deve sussistere per supportare tale relazione biunivoca. Indizio di ciò si rinviene proprio in quella parte della circolare che s’occupa delle modalità di trattazione delle pratiche. laddove approfondisce le questioni sull’accertamento della sussistenza dei fattori di nocività e sulla diagnostica delle patologie che da questi potrebbero derivare, senza, però, nulla dire sul nesso di causalità, invece sempre necessario ed il cui onere probatorio è e resta addossato in capo al solo lavoratore. Rettamente allora i ricorrenti stigmatizzano queste assenze, le quali non son certo la denuncia d’un eventuale e mero errore in un’altrimenti anodina interpretazione propugnata dall'impugnata circolare, tale, in fondo, da non aver grande eco e da soccombere nel confronto con la giurisprudenza. Tali assenze non sono che il tentativo dell’ente, al fine d’eludere la questione del nesso di causalità, di tralasciare la complessità della dimostrazione dell’origine lavorativa di alcune patologie ad origine multifattoriale quali quelle riscontrabili in genere nei casi di mobbing, per concentrarsi su quei soli comportamenti la cui capacità di produrre malattie psichiche sia, con alta probabilità, oggettivamente univoca e, quindi, facilmente deducibile in presunzione.
3.3. – Assodato, quindi, che l’impugnata circolare non è che un vero e proprio provvedimento mirante ad integrare surrettiziamente il complesso delle malattie c.d. “tabellate”, essa viola palam et aperte l’art. 10, c. 1 del Dlg 38/2000, nella misura in cui siffatta integrazione deriva non già dal rigoroso accertamento da parte della Commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e 211 del DPR 1124/1965, né tampoco dall’espressa volizione dei Ministeri a ciò competenti, bensì da un comitato interno all’ente e senza le garanzie, pure partecipative, recate dal citato Dlg 38/2000.
In secondo luogo, detta circolare è stata emessa senza tener conto delle direttive all’uopo emanate dal Comitato d’indirizzo e vigilanza – CIV dell’ente in data 20/ 26 novembre 2001, segnatamente nella parte in cui quest’ultimo incaricò gli organi di gestione d’integrare il predetto comitato con medici di fiducia delle parti sociali e di svolgere uno studio e l’esame sugli orientamenti della giurisprudenza sulla complessa tematica del mobbing, come si vede del tutto disattesi nella procedura di formazione e nel contenuto stesso della circolare medesima.
Viceversa, non pare al Collegio significativa la censura attorea sulla circostanza che la tematica del mobbing sia attualmente all’esame degli organi dell’Unione europea ai fini d’una regolamentazione comune, essendo ciò inopponibile alla volontà dei singoli Stati membri che, nelle more, intendano provvedervi, senza che ciò impedisca il giudizio di compatibilità tra la norma nazionale e l’eventualmente difforme norma europea.
Se non può il Collegio seguire l’assunto attoreo in ordine all’opportunità o meno dell’emanazione in sé dell’impugnata circolare perché ciò si risolve essenzialmente in una censura di merito, si deve invece condividere il motivo d’impugnazione che contesta il contenuto dell’interpretazione evolutiva colà propugnata. Invero, ad una serena lettura della circolare e, in particolare, della parte relativa alla necessità d’adeguarsi alle nuove forme d’organizzazione dei processi produttivi, questa si basa su un’erronea lettura del sistema c.d. “misto” della tutela del lavoratore dagli infortuni sul lavoro e dalle malattie professionali. Detto sistema, per vero, si basa sì sull’indennizzo sia delle malattie c.d. “tabellate”, sia delle patologie non predefinite, ma solo nel senso che la malattia professionale è indennizzata, indipendentemente dalla sua inclusione nelle tabelle allegate al DPR 1124/1965, se ne sia accertata la sua derivazione causale dall’esercizio d’una delle lavorazioni di cui al precedente art. 1. Non v’è, quindi, indennizzo se non per il rischio lavorativo specifico, onde non basta affermare la rilevanza in sé delle malattie non “tabellate”, occorrendo verificare se esse diano luogo all’esposizione del lavoratore ad una specifica lavorazione morbigena, ossia assunta come in sé pericolosa direttamente dal legislatore. Il limite legislativo dell’assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro si base, come rettamente affermano i ricorrenti, proprio sull’equilibrio tra requisiti soggettivi ed oggettivi ai fini della concessione dell’indennizzo, senza possibilità di forzature, quale quella rinvenibile nel contenuto dell’impugnata circolare, del sistema c.d. misto dell’ assicurazione contro gli infortuni del lavoro.
Parimenti da accogliere è la censura attorea sull’irrigidimento della definizione di costrittività organizzativa, quale pratica morbigena indennizzabile, in assenza non solo di un'esatta definizione normativa della stessa e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma soprattutto del doveroso approfondimento scientifico-medico al riguardo. Osserva invero il Collegio, con ciò condividendo la censura attorea sul punto, che non è legittimo, né possibile ricondurre tutte le dinamiche delle relazioni di lavoro all’interno di un’impresa alla c.d. “costrittività organizzativa”, giacché essa non è certo la garanzia del “diritto” del lavoratore ad operare in un ambiente professionale asettico, irenico o, comunque, cordiale, al più potendosi pretendere comportamenti di buona fede da tutte le parti del rapporto di lavoro, indipendentemente, quindi, dai dati caratteriali dei singoli attori di quest’ultimo. Osserva altresì il Collegio che l’impugnata circolare tende a confondere, attraverso il predetto irrigidimento definitorio, il mobbing quale fonte di risarcimento con vicende illecite che già l'ordinamento reprime a favore della dignità del lavoratore, in particolare in base all’art. 2708 c.c. ed all’art. 9 St. lavor., nonché contro le condotte discriminatorie, di cui al successivo art. 15, I c., lett. b).
Si può forse discettare se la trattazione accentrata delle vicende inerenti alla c. d. costrittività organizzativa s’appalesi più opportuna e più efficace, rispetto a quella, oggidì posta dall’impugnata circolare, decentrata a livello locale. La questione è un’ altra: a fronte di un’ampia messe di disposizioni interne dello stesso INAIL concludenti per la miglior efficacia della trattazione accentrata, non basta mutar parere per non incappare nel vizio di contraddittorietà, quando, essendo immutato il quadro normativo e scientifico di riferimento in cui la precedente prassi si formò, non si fornisca seria ed ampia contezza circa le ragioni obbiettive della trattazione locale delle medesime questioni.
4. – Ad una radicalmente diversa conclusione deve il Collegio pervenire per ciò che attiene all’impugnazione spiegata con il ricorso n. 9497/2004 in epigrafe.
Reputa il Collegio far presente anzitutto che, a’ sensi dell’art. 139 del DPR 1124/1965, è obbligatoria per ogni medico, che riconosca l’esistenza, la denuncia delle malattie professionali, come indicate nell’elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute. Ora, in virtù dell’art. 10, c. 3 del Dlg 38/2000, l’elenco ex art. 139 può contenere anche liste di malattie di probabile o di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle di cui agli artt. 3 e 211 dello stesso DPR 1124/1965. La lista II) dell’impugnato DM 27 aprile 2004, emanato in forza dell’art. 10 del Dlg 38/2000, indica le malattie psichiche o psicosomatiche da costrittività organizzativa tra quelle a limitata probabilità d’origine lavorativa. Ebbene, è di tutt’evidenza che detto DM non solo non legittima a posteriori la circ. INAIL n. 71/2003 ¾giacché esso riguarda solo i casi ex art. 139 del DPR 1124/1965 e non consente certo l'indennizzo automatico per i casi di mobbing contemplati, né tampoco in via generale¾, ma soprattutto non ha altra funzione che quella della raccolta del dato epidemiologico, per verificare l’eventuale modificazione o integrazione di tali tabelle.
D’altronde, la circostanza che le malattie de quibus siano state indicate tra quelle a bassa probabilità, ben lungi dall’appalesarsi un intervento inopportuno o intempestivo, in realtà attua nella specie il principio di precauzione in una vicenda, quale quella del mobbing, ove l’assenza di norme nazionali definite, la complessità degli accertamenti e fattuali e la probabile regolazione da parte dell’UE devono indurre a trattare i casi patologici emergenti con estrema prudenza e con i dovuti serietà e rigore d’approccio.
5. – In definitiva, i due gravami in epigrafe vanno accolto l’uno e rigettato l’altro, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, così dispone: A) – riunisce i due ricorsi in epigrafe; B) – accoglie il ricorso n. 2532/2004 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, l’impugnata circolare Inail n. 71/2003, meglio indicata in premessa; C) – respinge il ricorso n. 9497/2004 in epigrafe; D) – dispone l’integrale compensazione inter partes delle sperse di giudizio.
Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 maggio 2005.
Francesco CORSARO, PRESIDENTE
Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE