Ricorso degli eredi di XX, deceduto il 14 maggio 1996 a seguito di un infortunio sul lavoro: essi chiedevano il risarcimento dei danni biologico, morale e materiale patiti.

Era accaduto che XX,  dipendente della società N.F. Fu R. con mansioni di operaio, subito dopo il rientro dalla pausa pranzo, si era messo alla guida di un carrello elevatore diesel OM, privo di carico, noleggiato dalla ditta S.P.Z. di Reggio Emilia, e, mentre stava percorrendo l'area cortiliva esterna allo stabilimento, al presumibile scopo di prelevare materiale da un magazzino, subito dopo un cambiamento di traiettoria del mezzo, dovuto alla percorrenza di una curva eseguita in corrispondenza di uno spigolo dello stabile, dopo un tratto rettilineo, veniva schiacciato dal carrello in seguito a ribaltamento;

 

La Corte d'appello, nel rigettare il ricorso, afferma che:

"La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 21590/08, n. 3786/09, n. 3788/09 ed altre) ha, più volte, affermato il principio che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., è di carattere contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

Nel caso di specie, non possono essere ravvisati profili di responsabilità a carico del datore di lavoro, odierno appellato, neppure sotto il profilo della violazione del principio della massima sicurezza tecnologicamente sostenibile.

Il datore di lavoro, infatti, aveva messo a disposizione del XX un carrello elevatore, adatto per l'uso esterno, che, pur presentando caratteristiche tecniche in parte difformi rispetto a quelle dei muletti elettrici già in dotazione, era del tutto conforme alla normativa antinfortunistica vigente all'epoca del sinistro.

 

Come acutamente osservato dal consulente tecnico d'ufficio, le cause effettive dell'infortunio sul lavoro dipendono non solo, o meglio, non tanto dalle modalità con le quali il XX stava conducendo il veicolo al momento del sinistro, bensì dalla caratteristiche tecniche costruttive del muletto e, in particolare, dalla conformazione del tetto di protezione e dall'assenza di dispositivi sul sedile atti a trattenere il conducente, come le cinture di sicurezza.

Tuttavia, in questo specifico caso addossare la responsabilità del sinistro sul datore di lavoro, significa estendere il limite della responsabilità datoriale fino a farlo sconfinare nella responsabilità oggettiva.

Se, infatti, la normativa dell'epoca non prevedeva, in particolare, l'obbligo di dotare i carrelli delle cinture di sicurezza, se erano ancora in discussione, sotto il profilo tecnico e costruttivo, le questioni connesse alla individuazione dei rischi specifici derivanti dall'uso del carrelli, se ancora non era possibile acquistare sul mercato gli strumenti necessari per rettificare i carrelli già in circolazione e renderli così più sicuri, non può, certamente, concludersi che il proprietario o l'utilizzatore del carrello potessero non solo porre rimedio alla grave lacuna normativa riscontrata, ma anche rendersi conto della sua stessa esistenza."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA

SEZIONE LAVORO

La Corte d'Appello di Bologna, sezione lavoro, composta dai signori Magistrati

DOTT. Giuseppe MOLINARO Presidente

DOTT. Giovanni BENASSI Consigliere rel.

DOTT. Maria G. D'AMICO Consigliere

Ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Nella causa civile iscritta al n. 748 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2003, posta in decisione all'udienza collegiale del 26 novembre 2009, promossa da:

O. A., C. C., C. S., nella loro qualità di eredi di XX, rappresentati e difesi per mandato in calce al ricorso in appello, dagli avvocati Canzio Bonazzi del Foro di Reggio Emilia e S. Onofri, elettivamente domiciliati in Bologna, via della Grada n. 19, presso lo studio del secondo

APPELLANTI

contro

N.F.F.R. S.A.S., F.R. e F.E.R., in proprio, rappresentati e difesi per mandato a margine della memoria di costituzione in appello, dagli avvocati Bruno Rocchetti e Maria Pia Rocchetti del Foro di Reggio Emilia, elettivamente domiciliati in Bologna, via Garibaldi n. 1, presso lo studio dell'avvocato Aldo Scuderi

APPELLATI

E contro

M.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante, dott. Gianni Collari in forza di atto a ministero Notaio Mario Grossi in data 9 novembre 2005, rep. n. 114564, rappresentata e difesa per procura rilasciata in calce alla memoria di costituzione in appello, dagli avvocati Eugenio Chierici del Foro di Reggio Emilia e Luca Cicognani, elettivamente domiciliata in Bologna, strada Maggiore 28, presso lo studio del secondo

APPELLATA

E contro

A.I. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

APPELLATA CONTUMACE

Avente ad oggetto: risarcimento danno da infortunio sul lavoro

 

CONCLUSIONI

Il procuratore degli appellanti chiede e conclude: "in riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, Giudice del lavoro n. 262/03 del 22 gennaio 2003, depositata il 12 febbraio 2003, notificata il 20 maggio 2003 in via preliminare istruttoria:

a) disporre il rinnovo della CTU effettuata sulla persona della ricorrente O. A.; nel merito:

b) accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità del legale rappresentante di Nino F.F.R. S.n.c. di Cav. Geom. N.F. e Figli e di F.R. quale Responsabile della Prevenzione e della Protezione dei rischi in ordine all'infortunio sul lavoro occorso a XX il 14 maggio 1996 presso lo Stabilimento di Corte Tegge di Cavriago (RE) e, conseguentemente,

c) condannare la A.I. S.r.l., in persona del legale rappresentante, che ha acquistato la Nino F.F.R. S.n.c. di Cav. Geom. N.F. e Figli, nonché F.R. e F.E. R. nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della Nino F.F.R. S.n.c. di Cav. Geom. N.F. e Figli, tutti in solido tra loro, a pagare a O. A., C. C., C. S., nella loro qualità di aventi diritto del defunto XX, a titolo di risarcimento per i danni biologico, morali e materiali patiti, la somma di Euro 425.467,46 o quella maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia;

d) condannare i convenuti come sopra indicati, in solido tra loro, a pagare a O. A., C. C., C. S., nella loro qualità di aventi diritto del defunto XX, una ulteriore somma a titolo di risarcimento per i danni da svalutazione monetaria; in ogni caso con gli interessi di mora dal giorno dell'infortunio al saldo; con vittoria di spese, competenze e onorari di causa";

Il procuratore degli appellati N.F. Fu R. S.a.s., F.R. e F.E. R. chiede e conclude: "rigettarsi in ogni sua parte l'interposto appello, con conseguente conferma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Reggio Emilia, Giudice del Lavoro, n. 262/03 del 22 gennaio 2003, depositata il 12 febbraio 2003; con vittoria di spese del presente giudizio";

Il procuratore della appellata M.A. S.p.a. chiede e conclude: "contrariis reiectis voglia l'Ecc. Corte di Appello di Bologna rigettare l'appello perché infondato e confermare in ogni sua parte la sentenza n. 262/03 in data 22 gennaio - 12 febbraio 2003 del Tribunale di Reggio Emilia Sezione Lavoro; condannare gli appellanti al pagamento delle spese competenze ed onorari del giudizio di appello".

 

LA CORTE D'APPELLO

 

Udita la relazione della causa fatta dal Giudice Relatore dott. Giovanni Benassi;

Udita la lettura delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti;

Esaminati gli atti e i documenti di causa, ha ritenuto:

 

 

Fatto

 

Con ricorso depositato il 12 gennaio 2000, O. A., C. C. e C. S., rispettivamente madre, sorella e fratello di XX, deceduto il 14 maggio 1996 a seguito di un infortunio sul lavoro, hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, la S.n.c. N.F. Fu R. di Cav. Geom. N.F. e Figli, la S.r.l. A.I., F.R. e F.E. R., nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della S.n.c. N.F. Fu R., chiedendo la condanna in solido, previo accertamento della esclusiva responsabilità del legale rappresentante di N.F. Fu R. S.n.c. di Cav. Geom. N.F. e Figli e di F.R., quale responsabile della prevenzione e protezione de rischi, in ordine all'infortunio occorso a XX il 14 maggio 1996 presso lo stabilimento di Corte Tegge di Cavriago, della A.I. S.r.l., quale società acquirente della N.F. Fu R. S.n.c., nonché di F.R. e di F.E. R., nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili, al risarcimento dei danni biologico, morale e materiale patiti, da liquidarsi nella somma di Lire 712.450.000, oltre interessi e rivalutazione.

 

Premesso che il defunto XX, dopo l'uscita della sorella C. dal nucleo familiare avvenuta nel 1987, provvedeva al sostentamento materiale ed economico della madre e del fratello S., affetto da insufficienza mentale medio - grave, i ricorrenti, nella loro qualità di aventi diritto dal loro congiunto deceduto, hanno esposto quanto segue:

* Il giorno dell'infortunio, verso le ore 12,30 subito dopo il rientro dalla pausa pranzo, il XX, dipendente della società N.F. Fu R. con mansioni di operaio, si era messo alla guida di un carrello elevatore diesel OM, privo di carico, noleggiato dalla ditta S.P.Z. di Reggio Emilia, e, mentre stava percorrendo l'area cortiliva esterna allo stabilimento, al presumibile scopo di prelevare materiale da un magazzino, subito dopo un cambiamento di traiettoria del mezzo, dovuto alla percorrenza di una curva eseguita in corrispondenza di uno spigolo dello stabile, dopo un tratto rettilineo, il carrello si era ribaltato;

* Nel ribaltarsi, la copertura superiore del carrello aveva schiacciato il capo del XX che era reciso di netto all'altezza dell'orecchio, provocando la lesione mortale;

* Il giudizio penale, avviato a seguito delle indagini condotte dai Carabinieri di Cavriago e dal SMPIL dell'AUSL di Reggio Emilia - Distretto di Montecchio Emilia, era stato definito con decreto del 18 marzo 1998 con il quale il GIP presso la Pretura di Reggio Emilia, accogliendo la conforme richiesta del PM, aveva disposto l'archiviazione del procedimento sul presupposto che non fossero emerse violazioni colpose specifiche o generiche in connessione causale con l'evento;

* In senso contrario alle conclusioni cui era pervenuta l'inchiesta penale, doveva essere evidenziato che, nel corso delle indagini, era, comunque, emerso che i pneumatici del carrello non erano sufficientemente gonfi, che il cortile, percorso dal mezzo, presentava degli avvallamenti e dei dossi e che il datore di lavoro aveva omesso di eseguire una formazione specifica per i conducenti dei carrelli e non aveva dotato il veicolo, come prescritto dal d.p.r. n. 459/1996 che, pur essendo stato emanato successivamente all'infortunio sul lavoro, aveva comunque recepito il contenuto di numerose direttive CEE emanate negli anni precedenti, di cinture di sicurezza o di altri dispositivi analoghi;

* Di conseguenza, l'eventuale condotta imprudente dell'infortunato, ove dimostrata, non era idonea ad assumere alcuna rilevanza, avendo contribuito al versificarsi dell'evento altre concause da ricollegarsi ad omissioni del datore di lavoro e rientrando la condotta del lavoratore nell'ambito dell'attività professionale;

* A seguito dell'infortunio mortale, la ricorrente O. A., alla quale il defunto lavoratore corrispondeva l'intera retribuzione per il mantenimento della famiglia, aveva patito un danno patrimoniale quantificabile in Lire 151.200.000 ed, essendo stata colpita da una gravissima crisi depressiva divenuta per presto patologica, aveva subito un danno biologico pari al 20% da liquidarsi, secondo le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, in Lire 61.250.000;

* Il danno morale poteva essere quantificato, per O. A., in Lire 300.000.000, per C. C., sorella non convivente, in Lire 50.000.000 e per C. S. in Lire 150.000.000.

Radicatosi il contraddittorio con tutti i convenuti, all'udienza del 24 maggio 2000, il giudice del lavoro ha autorizzato la chiamata in causa della M.A. S.p.a., che, costituitasi in giudizio, ha chiesto, in via principale, il rigetto della domanda, e, in via subordinata, che, in caso di riconoscimento della responsabilità della società datrice di lavoro nella causazione del sinistro, l'onere risarcitorio fosse limitato al massimale di polizza, corrispondente a Lire 250.000.000.

 

Il Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 262 del 22 gennaio 2003, depositata il 12 febbraio 2003, ha rigettato la domanda.

 

Il primo giudice, premesso che non vi era controversia sulla dinamica ultima del sinistro, verificatosi a seguito del ribaltamento di un carrello elevatore diesel OM, privo di carico, a causa del quale la copertura del mezzo aveva schiacciato la testa del lavoratore causandone la morte, che non erano note le incombenze alle quali il XX era stato adibito al momento del sinistro, verificatosi per altro in orario prossimo a quello della pausa pranzo, verso le ore 12,30 circa, e che erano, invece, controverse le ragioni del ribaltamento del mezzo, ha osservato, in ordine alle circostanze di fatto poste a fondamento dell'azione di responsabilità del datore di lavoro:

* Relativamente alla mancanza, a bordo del mezzo, di cinture di sicurezza, come disposto dal par. 3.2.2 del d.p.r. n. 459/96, che la norma di prevenzione, invocata dai ricorrenti, era entrata in vigore in epoca successiva all'infortunio; che l'adozione si una siffatta misura non era rispondente a quanto esigibile dal datore di lavoro per una più efficiente organizzazione del lavoro, dal momento che il carrello, adibito al trasporto di materiale nell'ambito dello stabilimento per spostamenti brevi e frequenti, aveva un utilizzo che mal si conciliava con l'impiego delle cinture di sicurezza, le quali, poi, erano funzionali alla prevenzione del pericolo di brusca estromissione del conducente dall'abitacolo cioè per un'evenienza che, in considerazione della modesta velocità che il veicolo poteva raggiungere e delle frequenti soste e manovre che caratterizzavano il suo impiego, era improbabile anche se non impossibile; che, invece, il carrello era dotato di una protezione superiore contro il rischio di cadute da oggetti, cioè contro il rischio dell'evenienza più probabile nel corso delle manovre che erano proprie del mezzo;

* Relativamente alla violazione dell'art. 35, comma IV, del d.p.r. n. 626/94, contestata dallo SPSAL nel corso delle indagini, dalla quale si poteva ipotizzare che la perdita di stabilità del mezzo potesse essere ricondotta alla scarsa pressione dei pneumatici del carrello, che la tesi dei ricorrenti non aveva trovato alcuna conferma nel corso del procedimento penale; che il consulente tecnico, in quella sede nominato, aveva precisato che non era possibile accertare se il difetto di pressione fosse antecedente o successivo al sinistro; e che trattandosi di movimento senza alcun carico la circostanza era comunque irrilevante;

* Relativamente alla insufficiente manutenzione della pavimentazione del cortile in cui si era verificato il sinistro, che i risultati dell'istruttoria penale e di quella condotta nel corso della causa civile avevano evidenziato che il teatro dell'infortunio appariva una normale area cortiliva ghiaiosa, caratterizzata da quelle variabilità nella distribuzione del terreno e della sua copertura che non potevano non essere presenti in aree di analoga struttura; che gli avvallamenti non erano particolarmente pronunciati; e che le condizioni generali del cortile erano buone;

* Relativamente alla omessa formazione specifica del dipendente in merito all'utilizzo del carrello, con particolare riguardo alle modalità di conduzione ed alla necessità di moderare la velocità, che non era contestato che il XX già da cinque anni lavorava per conto della società con quelle mansioni; che (teste B.i) faceva uso quotidiano, in particolare, del carrello elevatore a bordo del quale si trovava il giorno del sinistro; che l'omissione a carico della società datrice di lavoro (violazione dell'art. 22 del d. legs. n. 626/94) consistente nella mancata organizzazione di corsi di formazione specifica per i singoli addetti alle diverse lavorazioni, non aveva alcuna rilevanza causale con l'evento mortale perché, se era vero che la causa del sinistro, come emerso dalla consulenza in sede penale, poteva essere stata la conduzione del mezzo ad una velocità eccessiva per la manovra di sterzata posta in essere, era altrettanto vero che ben poco avrebbe potuto aggiungere un corso di formazione a quella che era la pluriennale esperienza del lavoratore, trattandosi di un'attività di immediata percezione nelle sue implicazioni pratiche a differenza di quanto poteva capitare con macchine a complesso funzionamento ovvero di parti non immediatamente visibili all'operatore; che, in altre parole, la prolungata esperienza di guida di un veicolo aziendale pareva esaustiva delle esigenze di sicurezza connesse alla conduzione del mezzo, quanto meno in ipotesi come quella di specie in cui il sinistro risultava essersi verificato per una imprudenza del tutto generica; e che non poteva sostenersi che l'evento sia stato determinato dalla novità del veicolo e dalla scarsa conoscenza delle sue caratteristiche tecniche perché la relativa esiguità delle ore di utilizzo del veicolo (circa 37) appariva compensata dalla circostanza che gran parte delle stesse erano state effettuate proprio dal XX e dalla sua complessiva esperienza dei veicoli quali quello in questione.

 

Secondo il primo giudice, quindi, poiché non risultava nella specie provata una colpevole violazione da parte del datore di lavoro di una norma di prevenzione e protezione volta alla tutela della integrità fisica dei lavoratori, non sussisteva alcuna responsabilità delle parti convenute nella causazione del sinistro mortale, non potendo ravvisarsi un nesso causale fra una omissione (quanto meno colposa) delle cautele da parte dell'imprenditore e l'evento mortale.

 

Avverso la detta decisione, notificata il 20 maggio 2003, O. A., C. C. e C. S., con ricorso depositato il 18 giugno 2003, hanno proposto appello, articolato su due motivi, cui resistono la N.F. Fu R. S.a.s., F.R. e F.E. R. in proprio nonché la M.A. S.p.a., chiedendo il rigetto del gravame.

La A.I. S.r.l., benché regolarmente citata non si è costituita ed è stata, quindi, dichiarata contumace.

All'udienza del 26 novembre 2009, i procuratori delle parti hanno concluso come in epigrafe e la causa, dopo la discussione orale, è stata decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura.

 

 

Diritto

 

 

1. Con il primo motivo, gli appellanti censurano l'impugnata sentenza, sostenendo che il Tribunale Reggio Emilia, nel ritenere che la normativa contenuta nel par. 3.2.2 del d.p.r. n. 459/96, secondo la quale i carrelli, muniti di struttura di protezione, devono essere dotati di cinture di sicurezza o altri dispositivi analoghi al fine di evitare infortuni sul lavoro in caso di ribaltamento, non è applicabile al caso in esame perché non ancora in vigore alla data del sinistro mortale, non ha tenuto conto che trattasi di disposizioni legislative che recepiscono il contenuto di Direttive CEE antecedenti di diversi anni (la n. 392/89, n. 368/91, la n. 44/93 e la n. 68/93), con la conseguenza che, essendo il datore di lavoro tenuto, ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., a dotare i propri macchinari di tutte quelle misure di sicurezza che sono imposte dalla particolarità del lavoro, mettendo in pratica ogni dispositivo che si ispiri alla esperienza ed alla tecnica, la società appellata aveva comunque l'obbligo di dotare il carrello protetto da roll - bar di apposite cinture di sicurezza o di altri idonei dispositivi che salvaguardassero il lavoratore in caso di ribaltamento; il silenzio della legge fino al 1996 era colmato sia da apposite Direttive CEE, poi recepite nel 1996, sia da altre normative che, comunque, imponevano al datore di lavoro l'adozione di ogni misura che fosse atta a garantire la sicurezza dei carrelli (capo V del d.p.r. n. 547/55, il d.l. 10 settembre 1991 n. 304, la normativa ISO UNI n. 3691/1983; nella specie, quindi, la mancanza di una norma nazionale specifica di prevenzione non esonera il datore di lavoro, che abbia violato gli obblighi di comportamento suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento e dai criteri dettati anche da altre normative legalmente non cogenti, dalla responsabilità conseguente ad un infortunio sul lavoro.

 

Gli appellanti sostengono, poi, che non è condivisibile l'altra affermazione del primo giudice, secondo cui l'uso delle cinture o di altro dispositivo analogo avrebbe reso più disagevole l'impiego del carrello, tenuto conto delle particolari modalità di utilizzo del veicolo, perché la comodità e la praticità del lavoro, così come la miglior produttività e la volontà dei lavoratori non possono esonerare il datore di lavoro dall'obbligo di garantire, in ogni caso ed anche contro la volontà degli stessi lavoratori, l'utilizzo effettivo delle misure di prevenzione che siano in concreto adottabili.

 

Quanto al difetto di manutenzione dei pneumatici del carrello, con conseguente ripercussione sulla perdita di stabilità dello stesso, gli appellanti deducono che il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla consulenza tecnica svolta in sede penale, secondo cui sarebbe difficile accertare se il difetto di pressione fosse antecedente o successivo al sinistro e sarebbe comunque irrilevante, trattandosi di movimento senza alcun carico, è destituito di fondamento sol che si consideri il tempo intercorso tra il verificarsi dell'infortunio e l'espletamento della consulenza; infatti, i tecnici della SPSAL, intervenuti subito dopo il sinistro, avevano riscontrato e sanzionato la violazione dell'art. 35, comma IV, del d. legs. n. 626/94, poiché i pneumatici erano, in quel momento, a una pressione pari al 50% di quella corretta.

 

Secondo gli appellanti, non possono, altresì, essere condivise le conclusioni del primo giudice in ordine all'effettivo stato di manutenzione del cortile, in cui si era verificato l'infortunio; infatti, un'attenta lettura degli elementi istruttori disponibili, con particolare riguardo a quelli che descrivono la condizione del cortile nell'immediatezza del sinistro, evidenziano come il muletto si fosse ribaltato in corrispondenza di un avvallamento della pavimentazione in ghiaia del cortile e come la presenza di tale avvallamento si inserisse come fattore determinante del ribaltamento.

 

Per quanto concerne, poi, la violazione dell'art. 22 del d. legs. n. 626/94, che imponeva al datore di lavoro una formazione specifica del dipendente in merito all'utilizzo del carrello, gli appellanti censurano il rilievo del primo giudice, secondo cui, essendo il XX esperto nella conduzione del mezzo di cui faceva uso quotidiano, l'omissione datoriale non aveva avuto alcuna incidenza nel determinismo causale del sinistro, sostenendo che esso non tiene conto di quanto emerso dall'istruttoria e, cioè, che il XX utilizzava da poco tempo il muletto che aveva cagionato il sinistro; che l'impiego concreto del mezzo era limitato (38 ore da gennaio a maggio); che il nuovo muletto era sensibilmente diverso da quelli precedenti perché "a nafta" e, quindi, in grado di sviluppare una maggiore velocità rispetto a quelli elettrici e perché dotato di ruote sterzanti posteriori; che la maggiore velocità combinata con la struttura alta e stretta del mezzo, lo sterzo posteriore e la conformazione del percorso incideva negativamente sulla stabilità del veicolo; che l'azienda non aveva assolutamente assolto all'obbligo di formazione del dipendente sul nuovo mezzo, acquistato di recente.

 

Secondo gli appellanti, sussiste, quindi, un evidente nesso di causalità tra l'infortunio e la nocività dell'ambiente di lavoro, derivante dalla omessa effettuazione, nei confronti del dipendente, della formazione necessaria sull'impiego, sulle particolari caratteristiche e sui pericoli del nuovo mezzo al medesimo fornito; dalla omessa manutenzione della pavimentazione del cortile; dalla omessa informazione al dipendente della particolare situazione di rischio costituita dalle caratteristiche del nuovo muletto e dalla suddetta situazione della pavimentazione del cortile; dalla omessa manutenzione del veicolo, relativamente alla pressione dei pneumatici; dall'omessa dotazione del veicolo di idonei dispositivi di sicurezza imposti dalla normativa vigente (cinture di sicurezza); quanto, poi, alla velocità di marcia del muletto deve ritenersi, sulla base delle dichiarazioni rilasciate nell'immediatezza del fatto, dai testi P. e M., poi in seguito ritrattate, che la velocità non fosse particolarmente elevata.

 

Non attendibili, secondo gli appellanti, sono le dichiarazioni del teste P., perché non risulta confermata la sua presenza sul luogo di lavoro al momento del verificarsi del sinistro.

 

Gli appellanti sostengono che non è prova di una condotta imprudente da parte del lavoratore; che, in ogni caso, se, come dedotto dal datore di lavoro, il XX era esperto nella conduzione del carrello ed erano cinque anni che svolgeva siffatte mansioni, un suo comportamento, eventualmente imprudente, non poteva essere considerato abnorme ed esorbitante dal procedimento di lavoro e dalle disposizioni impartite.

 

2. Il motivo non è fondato.

 

Va premesso, come risulta dalla documentazione relativa al procedimento penale, prodotta dagli appellanti, che i Carabinieri della Stazione di Cavriago, prontamente intervenuti presso lo stabilimento della società appellata, situata in via dell'I. n. 6, nel verbale di sopralluogo eseguito alle 13,30 del giorno 14 maggio 1996, hanno riferito di avere rinvenuto un muletto di colore giallo, ribaltato sul lato destro, completamente appoggiato al terreno e di avere trovato, all'interno del mezzo, il corpo esanime di XX nonché, andando all'indietro del muletto, sul suolo dei solchi visibili ma poco profondi, lasciati dal veicolo durante la fase di ribaltamento. Tali strisciate avevano inizio alcuni metri prima del muletto, nei pressi di un leggero avvallamento del terreno, contenente acqua stagnante.

I Militari, dato atto che il muletto era un Fiat OM di colore giallo con telaio n. DIM 255 S 108127, omologazione DGM e tipo 8035.02.355, che lo strumento conta ore segnava 37,89 ore e che le benne erano chiuse e completamente abbassate e spostate sulla destra rispetto al mezzo, hanno ritenuto, in base agli accertamenti svolti e alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni oculari, che il muletto si fosse ribaltato a causa dell'eccessiva velocità del mezzo, come dedotto anche dai solchi rinvenuti posteriormente al veicolo, provocati dalle due benne anteriori.

Lo stesso giorno 14 maggio 1996, alle ore 13.14, P.G., presente nel cortile aziendale, ebbe a dichiarare di avere notato, verso le ore 12.30, mentre stava terminando la pausa pranzo, il XX a bordo del muletto che si stava dirigendo dal magazzino verso il parcheggio a media velocità.

Vedevo altresì che il muletto effettuava una curva alla sua sx, rispetto alla posizione del conducente, subito dopo avere iniziato la manovra di svolta il veicolo entrava dentro una buca, preciso avvallamento sulla destra. Altro non sono in grado di dire anche perché subito dopo portammo soccorso.

 

Presente al fatto era anche M.F., il quale, sempre lo stesso giorno 14 maggio 1996, ebbe a riferire di avere visto il XX a bordo del muletto, precisando nel fare una curva a sx rispetto al guidatore, vedevo che il mezzo rimbalzava sul terreno ove vi è un lieve avvallamento, subito dopo il muletto si ribaltava sul lato dx...e il guidatore restava schiacciato dalla cabina di sicurezza...non so il motivo per il quale il XX si trovasse alla guida del muletto...da quanto ho visto il muletto era scarico.

 

P. e M. si presentarono presso la Caserma dei Carabinieri qualche giorno dopo, più precisamente il 23 maggio 1996, per riferire, entrambi, che il XX stava procedendo a velocità abbastanza elevata.

In particolare il P. ebbe a dichiarare:...io ero molto confuso e spaventato per quello che era accaduto, quindi quando feci le dichiarazioni messe a verbale omisi, involontariamente, di dire che il muletto sul quale si trovava il XX, poco prima della curva a sx, andava ad una velocità abbastanza elevata e lo stesso mezzo, più volte, lo vedevo perdere aderenza sul terreno, proprio in relazione alla velocità.

Aggiungo, infine, che nella curca a sx, nei pressi della cabina dell'E.N.E.L., poco prima che il muletto si ribaltasse, vedevo il veicolo scodare sulla ghiaia e sollevarsi sul lato sinistro e cappottarsi su quello dx.

Nel momento in cui vedevo il muletto scodare in curva - nei pressi della cabina E.N.E.L. - mi rendevo conto che il muletto si sarebbe, purtroppo, ribaltato.

Non dissimili furono le dichiarazioni rilasciate dal M., secondo cui il XX conduceva il muletto a velocità sostenuta...ma ripeto, subito dopo il fatto ero così sconvolto che non riuscivo proprio a fare un'affermazione di questo tipo anche se ripeto il XX correva. Voglio aggiungere che, poco prima di fare la famosa curva a sx, il mezzo saltellava vistosamente sul terreno, successivamente al momento di effettuare la svolta a sx il veicolo scivolava sulla ghiaia e le due ruote del lato sx erano già sollevate sul terreno.

 

E', poi, interessante leggere alcuni passaggi dell'informativa sull'infortunio sul lavoro trasmessa alla Procura della Repubblica il 12 giugno 1996 dagli Ispettori del Servizio di Medicina Preventiva e di Igiene del Lavoro presso l'Azienda USL di Reggio Emilia.

 

Secondo i verbalizzanti, il XX, appena rientrato dalla pausa pranzo (ore 12,34 marcatura del cartellino segnatempo), si era posto alla guida del carrello elevatore, privo di carico, e stava percorrendo l'area cortiliva interna.

 

L'infortunio era avvenuto in conseguenza del ribaltamento del mezzo verificatosi dopo un cambio di traiettoria dovuto alla percorrenza di una curva eseguita in corrispondenza di uno spigolo dello stabile.

Premesso che lungo la traiettoria percorsa potevano rilevarsi la presenza di un piccolo avvallamento ed una piccola pozzanghera, con tutta probabilità attraversati dal veicolo e che erano visibili, oltre alle tracce dei pneumatici lasciate durante la fase di perdita del controllo del mezzo da parte del conducente, due tracce lasciate da una forca del carrello sul terreno, i verbalizzanti evidenziarono che il carrello era già con la stabilità compromessa un paio di metri prima del ribaltamento.

I verbalizzanti individuarono, poi, tre possibili cause del sinistro, in ordine di importanza:

1. la conduzione del mezzo a velocità eccessiva in relazione alla traiettoria percorsa, caratterizzata da una brusca variazione di direzione (curva a 90° con limitato raggio di curvatura); la traiettoria seguita non dipendeva, però, dalle caratteristiche del cortile, ampio, ma da scelte del conducente e da possibili reazioni del mezzo condotto;

2. la scarsa pressione in particolare dei pneumatici posteriori che, affossandosi in curva, potevano avere contribuito, in modo però non quantificabile, alla perdita di stabilità, comunque evidenziando che si sarebbe trattata di una concausa evidenziata dalla velocità sostenuta, probabilmente di per sé eccessiva del mezzo;

3. il fondo stradale, in cui erano presenti due piccole asperità, dell'ordine di 2-3 centimetri di profondità, percorse proprio con le ruote esterne rispetto alla traiettoria seguita durante la curva; trattasi, però, della circostanza con la minore rilevanza causale da considerare, al più come concausa, in presenza dei precedenti due punti.

Per i verbalizzanti, però, il mezzo avrebbe potuto ribaltarsi anche in condizioni ottimali di pneumatici e del fondo, se condotto a velocità sostenuta su una traiettoria con limitato raggio di curvatura come quella che apparentemente ha seguito il mezzo.

All'azienda venne, poi, contestata la violazione dell'art. 22 del d. legs. n. 626/94 per non avere impartito la prescritta formazione specifica per i conducenti di carrelli elevatori, escludendo, però, la rilevanza causale tra la predetta violazione ed il sinistro perché il percorso era sicuramente noto all'infortunato; l'infortunato risultava il conducente abituale del carrello oggetto dell'incidente, in quanto era l'operatore che per mansione più frequentemente utilizzava il mezzo sul cortile della ditta; il carrello descritto è con motore endotermico, utilizzato prevalentemente per percorsi all'esterno, mentre il restante è elettrico.

E" interessante, ora, sottolineare come uno dei verbalizzanti, G.L., sentito come testimone nel corso del giudizio di primo grado, pur confermando l'informativa del 12 giugno 1996, abbia in qualche modo cercato di modificare le conclusioni in precedenza raggiunte, indicando come causa o concausa del sinistro la novità del muletto destinato al XX, sia perché da poco in uso all'azienda, cioè dall'11 gennaio 1996...sia perché trattavasi di muletto a nafta, un po" più veloce di quelli elettrici, adibiti all'utilizzo degli interni. Aggiungo ancora che non risultava essere stata impartita al XX la necessaria formazione di cui alla legge 626/94, come per altro contestato con apposito verbale di prescrizione...".

 

La Corte non può non rilevare l'evidente contraddizione tra le dichiarazioni testimoniali rilasciate dal L., secondo le quali la novità del muletto avrebbe rappresentato una causa o una concausa del sinistro, e le conclusioni che si leggono nell'informativa sottoscritta dallo stesso L. il 12 giugno 1996, nelle quali non solo la novità del mezzo non era stata, minimamente, indicata come causa o concausa dell'infortunio, ma anche era stata, apertamente, esclusa la rilevanza causale tra la violazione contestata dell'art. 22 del d. legs. n. 626/94 e l'evento mortale, per ragioni, per altro, confermate anche dall'istruttoria condotta in primo grado, e cioè che il percorso era sicuramente noto all'infortunato, il quale era anche il conducente abituale del carrello.

 

Infatti, proprio la teste B.L. ha riferito che il XX era il conducente abituale del carrello, del quale aveva fatto uso quotidiano: "confermo che il sig. XX era a suo tempo addetto alla cantina e doveva fare uso quotidiano di carrello elevatore ed in particolare quello a bordo del quale si trovava il giorno della disgrazia".

 

Sentito dal primo giudice, l'Ufficiale di P.G. Vincenzo R., nel confermare le indagini e i sopraluoghi a suo tempo eseguiti dai militari dell'Arma, ha riferito che, nell'immediatezza del fatto, un certo signor Pandzic - del quale ha esibito il verbale delle sommarie informazioni - aveva affermato, contrariamente a quanto dichiarato inizialmente dal P. e dal M., poi ritrattato qualche giorno dopo, che il XX stava conducendo il muletto a velocità particolarmente sostenuta.

 

3. Così ricostruite le circostanze di fatto che portarono al sinistro mortale per cui è causa, la Corte, a fronte dei rilievi contenuti nell'appello, si è fatta carico di approfondire, soprattutto sotto il profilo tecnico e normativo, l'indagine sulle cause dell'infortunio sul lavoro, affidando ad un consulente tecnico d'ufficio un quesito ampio ed articolato.

 

Le conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico d'ufficio non consentono, però, di accogliere, anche parzialmente, la domanda dagli eredi del lavoratore deceduto, ma, anzi, avvalorano, sotto il profilo tecnico, l'inesistenza di profili di responsabilità, civile o penale, a carico della società datrice di lavoro, odierna appellata.

 

La dinamica dell'incidente è stata così ricostruita dall'ausiliare, per altro sulla base di quanto emerso fin dal primo grado del giudizio: il XX stava procedendo alla guida del veicolo sul piazzale dell'azienda e, dopo un lungo tratto rettilineo percorso a velocità sostenuta, sterzava repentinamente verso sinistra, inducendo il rovesciamento del veicolo stesso.

Il carrello era sormontato da un telaio realizzato con tubolare e il tettuccio, che doveva provvedere al riparto rispetto alla caduta degli oggetti dall'altro, aveva una sagoma che eccedeva la larghezza in pianta del carrello stesso.

Pertanto, nel momento in cui il carrello si sdraiava a terra, non rimaneva spazio fra il terreno e il bordo del tettuccio, essendo proprio questa la zona in cui il capo del XX andava a collocarsi, a seguito del rovesciamento, provocandone lo schiacciamento con esito mortale.

 

E', poi, importante avere presente che le norme vigenti all'epoca di costruzione del carrello, realizzato alla fine degli anni settanta, cioè l'art. 194 del d.p.r. n. 547 del 1955, si limitavano ad esprimere l'obbligo di accertare, annualmente, lo stato di funzionamento e di conservazione del veicolo ai fini della sicurezza, nulla precisando con riguardo ad elementi specifici relativi al rovesciamento del carrello.

Nella circolare del Ministero del Lavoro 1 febbraio 1979, n. 9, dal titolo "Carrelli elevatori. Applicazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro", era stato fatto riferimento, rispetto all'art. 182 del d.p.r. n. 547/55, alla norma ISO 6055/78, nella quale, però, vi erano solo considerazioni di resistenza del tetto rispetto alla caduta di oggetti dall'alto, mentre non vi erano elementi che consigliassero, ad esempio, di ridurre la sagoma del tetto in modo tale da lasciare spazio, in caso di rovesciamento del carrello, fra il tetto ed il suolo così da evitare lo schiacciamento del lavoratore nel caso in cui questi si fosse venuto a trovare intrappolato fra tetto di protezione e suolo.

La predetta circolare non prendeva, però, in considerazione i rischi di rovesciamento.

La questione del ribaltamento venne, per la prima volta, affrontata dal d.p.r. 24 luglio 1996, n. 459 - entrato in vigore successivamente al sinistro mortale - nel quale vennero precisate alcune cautele da adottare per tutelare i lavoratori anche dai rischi derivanti dal ribaltamento dei veicoli semoventi (par. 3.2.1. - posto di giuda -; par. 3.2.2. - sedili, ove è prescritto l'uso di cinture di sicurezza o equivalenti; par. 3.4.3. - rischi connessi con il ribaltamento).

 

Tuttavia, a quell'epoca, cioè tra il 1995 e il 1998, in sede internazione si stava svolgendo un dibattito tecnico sui due termini ribaltamento - in inglese roll over - e rovesciamento - in inglese tip over.

Come riferito dal consulente tecnico d'ufficio, il termine rovesciamento identifica una rotazione laterale o longitudinale o mista di non più di 90° del mezzo, mentre il secondo, ribaltamento, è riferito ad una rotazione maggiore di 90°. In sostanza, il secondo può determinare anche la situazione in cui il veicolo rotoli più volte su se stesso come potrebbe avvenire, ad esempio, per un veicolo che, perso il controllo, precipiti giù per una scarpata; mentre il primo è esclusivamente riferibile ai carrelli elevatori per i quali si è ragionevolmente esclusa la possibilità di ribaltamento, in relazione alla loro forma, dimensione e condizioni di utilizzo. Il carrello elevatore, in altri termini, si può solo sdraiare su un fianco, ovvero può solo rovesciarsi.

Dunque, la norma riportata nel d.p.r. n. 459 del 1996, che aveva imposto l'uso della cintura di sicurezza per i veicoli soggetti al rischio di ribaltamento, non venne considerata cogente nel caso dei carrelli elevatori. Solo dopo due anni di riflessione, a partire dal 5 dicembre 1998, i costruttori europei cominciarono a dotare di serie i carrelli elevatori delle cinture di sicurezza e, sempre alla fine dell'anno 1998, cioè dopo un anno e mezzo il sinistro mortale, vennero immessi sul mercato i primi kit di cinture di sicurezza per la modifica dei carrelli già in circolazione, come quello che aveva causato il sinistro.

Solo con il d.l. n. 359 del 4 agosto 1999 e la circolare del Ministero dell'Industria dell'8 giugno 2001, n. 7808, venne, infine, imposto l'obbligo di installare le cinture di sicurezza e di progettare le strutture di riparo in modo tale da non costituire pericolo in caso di rovesciamento.

 

4. A giudizio del consulente tecnico d'ufficio, desunto dal rilievo planimetrico della zona dell'incidente redatto dai Carabinieri e dalle fotografie presenti in atti, il raggio di curvatura seguito dal XX al momento dell'incidente non doveva essere particolarmente stretto, con la conseguenza che la velocità che stava tenendo era, certamente, prossima a quella massima possibile per il carrello (circa 24 km/ora).

Il fondo ghiaioso del cortile, poi, avrebbe dovuto tendere a far scivolare il veicolo, allargando la traiettoria della curva, ovvero portando la traiettoria verso un maggiore raggio di curvatura.

Il carrello elevatore, poi, era conforme alla buona pratica e alla normativa antinfortunistica vigente all'epoca del sinistro e lo è stato anche successivamente all'entrata in vigore del d.p.r. n. 459 del 1996, almeno fino a tutto il 1998, ovvero per oltre un anno e mezzo dopo l'infortunio mortale.

Effettivamente, la presenza di sistemi di trattenuta del conducente sul sedile di guida, come appunto le cinture di sicurezza, o anche un più accorto dimensionamento del tetto di riparo del mezzo, avrebbero potuto evitare la morte del XX per schiacciamento del cranio fra suolo e struttura del tetto.

Tuttavia, le operazioni di modifica, che sarebbero state necessarie, contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, non potevano essere compiute, con la necessaria sicurezza, dagli utilizzatori del carrello, in particolare perché le case costruttrici di tali veicoli, quali ad esempio la OM - FIAT, immisero sul mercato gli opportuni kit di trasformazione molto tempo dopo l'infortunio.

Infine, la pressione dei pneumatici, per come rilevata in atti, non era stata influente rispetto alla dinamica del sinistro.

Nella relazione a chiarimenti, il consulente tecnico d'ufficio ha esposto altre tre interessanti precisazioni.

L'ausiliare ha, in primo luogo, ribadito che il carrello elevatore era idoneo per lavorare in esterno, riaffermando che l'eventuale imperfetta tenuta di strada - scivolamento delle gomme sul piazzale - avrebbe aiutato la stabilità del mezzo e che un avvallamento di due o tre centimetri, per come descritto e per quanto visibile nelle foto, avrebbe realizzato un'imperfezione del piazzale molto modesta, del tutto trascurabile ai fini della stabilità del mezzo.

In secondo luogo l'ausiliare ha rappresentato di non avere mai inteso calcolare la velocità del mezzo al momento dell'incidente, ma di essersi limitato ad osservare che, con le ruote sterzate al massimo, il carrello si poteva ribaltare ad una velocità (14 km/ora) di poco superiore alla metà della velocità massima possibile di 24 km/ora, traendone la conseguenza che non era affatto difficile realizzare una manovra che avrebbe potuto portare al ribaltamento dei carrello.

Da ultimo, il consulente d'ufficio ha ribadito che non era alla portata di un comune datore di lavoro l'operazione di rettifica dei carrelli elevatori con l'installazione di un dispositivo come le cinture di sicurezza, perché i relativi kit di modifica vennero immessi sul mercato soltanto alla fine del 1998, cioè un anno e mezzo dopo l'incidente mortale.

La disponibilità in commercio delle cinture di sicurezza per altri veicoli, come ad esempio le automobili, non significa che tale tecnologia fosse, automaticamente, applicabile anche ai muletti, come dimostrato dal fatto che, quando le cinture divennero obbligatorie, furono immessi sul mercato dai costruttori kit specifici. In sostanza, quando si tratta di oggetti complessi, non può essere considerato alla portata dell'utente il livello di conoscenza tecnica e tecnologica del costruttore. Di conseguenza, quando a livello di costruzione una certa soluzione non viene proposta, è fuori di ogni ragionevolezza richiederla all'utente, che non ha e non può avere conoscenze specialistiche superiori al costruttore.

 

5. Resta da esaminare, ora, la questione della formazione del XX in ordine all'uso del muletto a bordo del quale si è verificato il sinistro mortale.

E" incontestato che il carrello elevatore era da pochi mesi in uso presso la società appellata, che aveva delle caratteristiche tecniche diverse da quelle dei carrelli elettrici fino a quel momento utilizzati (muletto a nafta un poco più veloce degli altri in dotazione) e che il XX non ricevette alcuna specifica formazione sull'impiego di questo nuovo tipo di carrello.

 

Tuttavia, come già concluso anche nel corso delle indagini penali, l'eventuale difetto di formazione del XX non può essere considerato come un fattore causale o concausale del sinistro.

 

Come risulta provato in causa, il XX era un lavoratore esperto, che da circa cinque anni svolgeva la mansione specifica di cartellista. Risulta, inoltre, che il muletto FIAT - OM era stato, quasi, sempre utilizzato dal XX, il quale, per altro, non poteva non conoscere il percorso che doveva in quel momento seguire.

Del resto, come anche sottolineato dal consulente d'ufficio, la formazione che avrebbe potuto essere fornita, all'epoca, al XX avrebbe potuto consistere, sostanzialmente, nel mettere in guardia l'operatore dai rischi connessi all'alta velocità, alle brusche sterzate ed al ribaltamento, come espressione, più che altro, di buon senso e di comune prudenza piuttosto che di elementi tecnici precisi, posto che i veri pericoli, derivanti dall'uso del carrello e conseguenti alle sue specifiche caratteristiche tecniche, come la conformazione del tetto di protezione e la casistica degli incidenti del tipo in questione, al momento dell'incidente, erano ancora oggetto di dibattito in sede tecnica e progettuale e non erano stati ancora resi effettivamente accessibili al grande pubblico, come avvenuto solo qualche anno dopo il sinistro.

Dunque, le raccomandazioni che avrebbero potuto essere impartite al XX, nella forma in cui avrebbero potuto essere espresse, potevano già far parte del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore con la sua specifica esperienza di cartellista.

 

6. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 21590/08, n. 3786/09, n. 3788/09 ed altre) ha, più volte, affermato il principio che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., è di carattere contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

Nel caso di specie, non possono essere ravvisati profili di responsabilità a carico del datore di lavoro, odierno appellato, neppure sotto il profilo della violazione del principio della massima sicurezza tecnologicamente sostenibile.

Il datore di lavoro, infatti, aveva messo a disposizione del XX un carrello elevatore, adatto per l'uso esterno, che, pur presentando caratteristiche tecniche in parte difformi rispetto a quelle dei muletti elettrici già in dotazione, era del tutto conforme alla normativa antinfortunistica vigente all'epoca del sinistro.

Come acutamente osservato dal consulente tecnico d'ufficio, le cause effettive dell'infortunio sul lavoro dipendono non solo, o meglio, non tanto dalle modalità con le quali il XX stava conducendo il veicolo al momento del sinistro, bensì dalla caratteristiche tecniche costruttive del muletto e, in particolare, dalla conformazione del tetto di protezione e dall'assenza di dispositivi sul sedile atti a trattenere il conducente, come le cinture di sicurezza.

Tuttavia, in questo specifico caso addossare la responsabilità del sinistro sul datore di lavoro, significa estendere il limite della responsabilità datoriale fino a farlo sconfinare nella responsabilità oggettiva. Se, infatti, la normativa dell'epoca non prevedeva, in particolare, l'obbligo di dotare i carrelli delle cinture di sicurezza, se erano ancora in discussione, sotto il profilo tecnico e costruttivo, le questioni connesse alla individuazione dei rischi specifici derivanti dall'uso del carrelli, se ancora non era possibile acquistare sul mercato gli strumenti necessari per rettificare i carrelli già in circolazione e renderli così più sicuri, non può, certamente, concludersi che il proprietario o l'utilizzatore del carrello potessero non solo porre rimedio alla grave lacuna normativa riscontrata, ma anche rendersi conto della sua stessa esistenza.

 

Se, dunque, la colpa costituisce un elemento essenziale della responsabilità civile del datore di lavoro, pur negli ampi limiti delineati dalla giurisprudenza che interpretato l'art. 2087 cod. civ., nella fattispecie concreta, non è possibile individuare comportamenti antidoverosi imputabili ai responsabili della sicurezza della società appellata, i quali non potevano certo disporre delle stesse conoscenze tecniche che, all'epoca del sinistro, erano oggetto di discussione in sede internazionale e, al più erano nella disponibilità delle imprese costruttrici dei muletti.

 

Ma se anche fosse stato possibile rendersi conto del pericolo, i responsabili della società appellata non avrebbero potuto farvi fronte ed eliminarlo, non essendo disponibili sul mercato gli strumenti tecnici necessari per rettificare in modo del tutto sicuro i muletti.

 

L'unica colpa che, in qualche modo, potrebbe gravare sulla società appellata è quella relativa alla mancata formazione del XX.

 

Francamente, però, ad avviso del Collegio, non sembra sostenibile individuare una specifica forma di responsabilità in questa particolare mancanza, difettando, come già in origine evidenziato dal funzionari del Servizio di Protezione e Prevenzione, ogni collegamento causale tra l'evento e la violazione.

Del resto, anche sotto questo particolare profilo, non si riesce a cogliere il collegamento con l'infortunio sul lavoro occorso al XX, il quale, come cartellista esperto, non poteva non conoscere le regole dettate dalla comune prudenza nella conduzione del veicolo ad esso affidato nonché le caratteristiche proprie del percorso che doveva seguire.

Ma, se anche avesse ricevuto la formazione, non potendo essere reso edotto in modo più specifico dei veri pericoli derivanti dall'uso del carrello, che non erano neppure alla portata di un datore di lavoro più attento e diligente, essendo ancora confinati nell'ambito del dibattito tecnico specialistico, il sinistro avrebbe comunque avuto la medesima possibilità di verificarsi.

 

Pertanto, dovendosi escludere la responsabilità della società odierna appellata e dei suoi responsabili della sicurezza nella causazione dell'infortunio sul lavoro per cui è causa, va rigettato, assorbito il secondo motivo avente ad oggetto la quantificazione dei danni, l'appello proposto da O. A., C. Caludia e C. S. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 262 del 22 gennaio 2003.

La particolare complessità del caso in esame giustifica l'integrale compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

Quelle per la consulenza tecnica d'ufficio e per il supplemento sono poste a carico delle parti in eguale misura.

 

 

P.Q.M.

La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, rigetta l'appello proposto da O. A., C. Caludia e C. S. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 262 del 22 gennaio 2003; compensa le spese del presente grado di giudizio; pone le spese per la c.t.u. ed il supplemento, come separatamente liquidate, a carico delle parti in eguale misura.

Così deciso in Bologna il 26 novembre 2009

Depositata in Cancelleria il 10.03.2010