Ricorso di alcuni dipendenti del Teatro La Scala di Milano, in qualità di tecnici di palcoscenico, contro il proprio datore di lavoro per la condanna di quest'ultimo al pagamento di una somma per l'attività lavorativa svolta oltre il sesto giorno.
Condannata in primo grado, la fondazione propone appello deducendo che il primo giudice non aveva considerato che la regola della non protrazione dell'attività lavorativa oltre il sesto giorno non ha un carattere assoluto, in presenza di apprezzabili interessi che giustifichino un ulteriore ragionevole differimento della giornata destinata al riposo e che, nella fattispecie, la prestazione oltre il sesto giorno era avvenuta in relazione ad esigenze legate agli spettacoli in cartellone e trovava ristoro in riposi compensativi e trattamenti migliorativi.
La Corte d'Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda dei lavoratori e compensava le spese.
Ricorrono in Cassazione i lavoratori - Infondato.
La Cassazione afferma che "col termine "riposo settimanale" il Costituente intese esprimere sostanzialmente il concetto della periodicità del riposo, nel rapporto di un giorno su sei di lavoro senza con ciò escludere la possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità e alla varietà dei tipi del lavoro, sempre che si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi, e comunque non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso. In tale quadro (con riferimento al regime - applicabile nella fattispecie anteriore al D.Lgs. n. 66 del 2003 e succ. mod.) questa Corte ha chiarito che "quando, in relazione a prestazioni lavorative, comportanti turni di lavoro di sette giorni consecutivi con riposo compensativo, il lavoratore chieda compensi maggiori di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, facendo valere specificamente la maggiore gravosità della prestazione per lo spostamento del riposo settimanale, il giudice deve accertare, anche in difetto di una specifica eccezione in tal senso, se i compensi previsti dal contratto collettivo in relazione ad una siffatta distribuzione temporale abbiano anche la funzione di compensare tale tipo di gravosità, inerendo tale verifica alla fattispecie costitutiva della pretesa azionata". "
"Pertanto, come pure è stato precisato, "il lavoratore turnista che presti la propria opera per sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per settimana, ha diritto, oltre che ad un compenso per la penosità del lavoro domenicale, ad un distinto compenso per l'ulteriore penosità connessa al fatto di lavorare per più di sei giorni consecutivi, compenso che non può essere determinato con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, in quanto, essendo mediamente rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario; i suddetti compensi possono cumularsi alla stregua di previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice del merito deve accertare la congruità o meno dei compensi previsti in contratto e l'idoneità degli stessi a compensare anche la penosità del lavoro nel settimo giorno consecutivo".
Peraltro tale "trattamento differenziato" non deve essere esaminato "in un'ottica di parcellizzazione dei diversi benefici goduti", bensì "globalmente", in quanto tale, nel suo complesso, contrattualmente collegato allo specifico lavoro svolto in turni" con la conseguenza che il vantaggio può anche non essere di natura economica.
"Orbene la sentenza impugnata, dopo aver premesso la derogabilità della stretta periodicità settimanale del riposo nei limiti come sopra delineati, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, ha accertato in particolare che fin dal contratto integrativo aziendale del 1989, per i tecnici di palcoscenico, "in considerazione della particolarità dell'atteggiarsi della prestazione lavorativa, di tipo tecnico, ma legata alle rappresentazioni liriche ed ai tempi del loro svolgimento", era stata prevista "una valutazione bimestrale del monte ore individuale, con la possibilità di effettuare recuperi con riguardo ad un arco temporale più vasto e, nel contempo" era stato stabilito "un meccanismo compensativo di un'ulteriore giornata di riposo rispetto a quelle che sarebbero corrisposte ai normali riposi settimanali, da fruire in successione con altra giornata di riposo, in modo da avere ogni mese due giorni consecutivi dedicati al riposo".
La Corte di merito ha, quindi, ritenuto che tale trattamento "mira a riequilibrare il disagio di dover talvolta continuare nell'attività lavorativa oltre il sesto giorno, con il vantaggio di una giornata in più di riposo al mese nonchè di godere di due giorni liberi consecutivi"
Dunque la Corte territoriale ha affermato che agli appellati "è stato assicurato un trattamento complessivo adeguato, in relazione all'art. 36 Cost., con appropriati meccanismi compensativi del disagio di dover aspettare più di sei giorni l'interruzione del lavoro e con correttivi per impedire l'eccessiva frequenza e lunghezza del periodo di lavoro non interrotto".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere
Dott. CURZIO Pietro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
I.C., F.L., T.V., C. G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell'avvocato MUGGIA ROBERTO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIUSOLO STEFANO, FEZZI MARIO,
giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
FONDAZIONE TEATRO ALLA SCALA DI MILANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell'avvocato CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ICHINO PIETRO, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 691/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 20/10/2005 R.G.N. 927/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/05/2010
dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE; udito l'Avvocato MUGGIA ROBERTO;
udito l'Avvocato ENRICO CICCOTTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Con sentenza n. 26 del 2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano, in parziale accoglimento del ricorso proposto da I. C., L.F., T.V., S.D. e C.G., tutti tecnici di palcoscenico, condannava la Fondazione Teatro alla Scala di Milano al pagamento in loro favore delle somme pari ad un quinto di quanto richiesto dai ricorrenti, per attività lavorativa svolta oltre il sesto giorno.
Avverso la detta sentenza la Fondazione proponeva appello deducendo che il primo giudice non aveva considerato che la regola della non protrazione dell'attività lavorativa oltre il sesto giorno non ha un carattere assoluto, in presenza di apprezzabili interessi che giustifichino un ulteriore ragionevole differimento della giornata destinata al riposo e che, nella fattispecie, la prestazione oltre il sesto giorno era avvenuta in relazione ad esigenze legate agli spettacoli in cartellone e trovava ristoro in riposi compensativi e trattamenti migliorativi.
L'appellante rilevava altresì che era mancata la prova del danno subito dai ricorrenti e in subordine richiamava le eccezioni di prescrizione e sui conteggi proposte in primo grado.
I lavoratori appellati si costituivano e resistevano al gravame.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza depositata il 20-10-2005, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda dei lavoratori e compensava le spese.
In sintesi la Corte territoriale, premesso che il principio del riposo settimanale entro il settimo giorno è derogabile in ragione di particolari esigenze della prestazione lavorativa, nell'ambito della salvaguardia del principio della retribuzione adeguata di cui all'art. 36 Cost. e delle esigenze di tutela psicofisica del lavoratore, che impongono adeguati meccanismi di recupero, esaminata la contrattazione collettiva nazionale in materia e quella integrativa aziendale, rilevava che agli appellati era "stato assicurato un trattamento complessivo adeguato, in relazione all'art. 36 Cost.".
Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso con tre motivi, illustrati con memoria.
La Fondazione Teatro alla Scala, ha resistito con controricorso.
Diritto
Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione della L. n. 370 del 1934, art. 1, art. 2109 c.c., comma 1, art. 36 Cost., e vizio di motivazione, deducono che "a prescindere dalla giornata in cui il riposo può essere fruito (che non necessariamente deve coincidere con la domenica), tanto le norme legislative ordinarie, quanto la norma costituzionale configurano l'inderogabile diritto al riposo settimanale", con conseguente "necessaria alternanza tra sei giorni di lavoro e un giorno di riposo" e "con l'ulteriore conseguenza della nullità di ogni norma contrattuale che disponesse il contrario".
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., L. n. 370 del 1934, art. 1, art. 2109 c.c., art. 36 Cost., e vizio di motivazione, rilevano che la impugnata sentenza è censurabile "anche nella prospettiva della derogabilità del diritto di cui si discute", giacchè "la deroga in tanto è legittima in quanto la contrattazione collettiva attribuisca specifici benefici in cambio del sacrificio imposto al lavoratore", mentre nella fattispecie i benefici contrattuali considerati dalla Corte territoriale hanno lo scopo di compensare disagi di tipo diverso, tant'è che essi ricorrenti hanno diritto ai detti benefici anche quando lavorano per sei giorni consecutivi, riposando il settimo, "il che costituisce la migliore riprova che quei benefici non servono a compensare il disagio derivante dal fatto di lavorare per oltre sei giorni consecutivi".
In particolare, poi, i ricorrenti analizzano singolarmente i trattamenti e/o benefici presi in considerazione dalla Corte d'appello ed affermano che gli stessi "nulla hanno a che vedere con il disagio sofferto dagli esponenti per il fatto di lavorare oltre sci giorni consecutivi".
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando gli stessi vizi, lamentano che la Corte d'Appello "ha direttamente ed esclusivamente verificato se la normativa contrattuale prevedesse idoneo compenso al disagio di lavorare per oltre sei giorni consecutivi" "senza aver preliminarmente verificato se la contrattazione collettiva disponesse una deroga a quel diritto e se la deroga eventualmente prevista rispondesse a necessità oggettive e apprezzabili", essendo comunque possibile garantire il riposo settimanale "opportunamente alternando le squadre o combinando i componenti delle squadre impegnate nella rappresentazione".
I motivi, che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente, risultano infondati.
Come affermato dalla Corte Costituzionale (v. C.Cost. n. 101/1975, cfr. C. Cost. n.ri 65/1973, 146/1971 e 150/1967) "col termine "riposo settimanale" il Costituente intese esprimere sostanzialmente il concetto della periodicità del riposo, nel rapporto di un giorno su sei di lavoro senza con ciò escludere la possibilità di discipline difformi in relazione alla diversa qualità e alla varietà dei tipi del lavoro, sempre che si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale, con riguardo ad altri apprezzabili interessi, e comunque non vengano superati i limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso".
In tale quadro (con riferimento al regime - applicabile nella fattispecie anteriore al D.Lgs. n. 66 del 2003 e succ. mod.) questa Corte ha chiarito che "quando, in relazione a prestazioni lavorative, comportanti turni di lavoro di sette giorni consecutivi con riposo compensativo, il lavoratore chieda compensi maggiori di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, facendo valere specificamente la maggiore gravosità della prestazione per lo spostamento del riposo settimanale, il giudice deve accertare, anche in difetto di una specifica eccezione in tal senso, se i compensi previsti dal contratto collettivo in relazione ad una siffatta distribuzione temporale abbiano anche la funzione di compensare tale tipo di gravosità, inerendo tale verifica alla fattispecie costitutiva della pretesa azionata" (v. Cass. 17-4-1996 n. 3634, Cass. 2-3-1998 n. 2303, Cass. 810-2003 n. 15046).
Nel contempo è stato anche affermato che "l'evidente necessità, che secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale è condizione di ammissibilità della deroga alla cadenza settimanale del riposo settimanale, prevista dalla L. n. 370 del 1934, art. 5 (così come quella alla coincidenza del riposo settimanale con la domenica), non va concepita come una necessità assoluta (cioè come un'impossibilità di soddisfare altrimenti i previsti "interessi apprezzabili") -con il che la deroga stessa diventerebbe un'ipotesi meramente teorica -, ma come esistenza di un ragionevole rapporto di strumentaita" (v. Cass. n. 3634/1996 cit.).
Pertanto, come pure è stato precisato, "il lavoratore turnista che presti la propria opera per sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per settimana, ha diritto, oltre che ad un compenso per la penosità del lavoro domenicale, ad un distinto compenso per l'ulteriore penosità connessa al fatto di lavorare per più di sei giorni consecutivi, compenso che non può essere determinato con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, in quanto, essendo mediamente rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario; i suddetti compensi possono cumularsi alla stregua di previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice del merito deve accertare la congruità o meno dei compensi previsti in contratto e l'idoneità degli stessi a compensare anche la penosità del lavoro nel settimo giorno consecutivo" (v. Cass. 19- 5-2004 n. 9521, Cass. 4-2-2008 n. 2610).
Peraltro tale "trattamento differenziato" non deve essere esaminato "in un'ottica di parcellizzazione dei diversi benefici goduti", bensì "globalmente", in quanto tale, nel suo complesso, contrattualmente collegato allo specifico lavoro svolto in turni (cfr. Cass. 28-11-2001 n. 15044).
Orbene la sentenza impugnata, dopo aver premesso la derogabilità della stretta periodicità settimanale del riposo nei limiti come sopra delineati, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, ha accertato in particolare che fin dal contratto integrativo aziendale del 1989, per i tecnici di palcoscenico, "in considerazione della particolarità dell'atteggiarsi della prestazione lavorativa, di tipo tecnico, ma legata alle rappresentazioni liriche ed ai tempi del loro svolgimento", era stata prevista "una valutazione bimestrale del monte ore individuale, con la possibilità di effettuare recuperi con riguardo ad un arco temporale più vasto e, nel contempo" era stato stabilito "un meccanismo compensativo di un'ulteriore giornata di riposo rispetto a quelle che sarebbero corrisposte ai normali riposi settimanali, da fruire in successione con altra giornata di riposo, in modo da avere ogni mese due giorni consecutivi dedicati al riposo".
La Corte di merito ha, quindi, ritenuto che tale trattamento "mira a riequilibrare il disagio di dover talvolta continuare nell'attività lavorativa oltre il sesto giorno, con il vantaggio di una giornata in più di riposo al mese nonchè di godere di due giorni liberi consecutivi" ed ha stimato il trattamento stesso "in valutazione globale" con altri benefici "considerati in relazione alle modalità della prestazione fornita e che vanno dalla maggiorazione del 60% per lo spostamento del giorno di riposo, alla speciale indennità del 21% percepita per 11 mesi e all'importo aggiuntivo per i tecnici di palcoscenico, che viene liquidato annualmente nel mese di settembre".
All'esito di tale complessiva valutazione la Corte territoriale ha, quindi, affermato, che agli appellati "è stato assicurato un trattamento complessivo adeguato, in relazione all'art. 36 Cost., con appropriati meccanismi compensativi del disagio di dover aspettare più di sei giorni l'interruzione del lavoro e con correttivi per impedire l'eccessiva frequenza e lunghezza del periodo di lavoro non interrotto".
Tale accertamento di merito, congruamente motivato, resiste, quindi, alle censure dei ricorrenti, fondate o su premesse contrastanti con i principi di diritto sopra richiamati (come la asserita inderogabilità assoluta della periodicità settimanale e la pretesa valutazione "parcellizzata" dei singoli benefici) o, in sostanza, su una inammissibile richiesta di revisione della valutazione di fatto.
Del resto anche la invocata possibilità (teorica) di una combinazione delle turnazioni delle squadre in maniera da garantire, comunque, la rigorosa periodicità settimanale dei riposi, non può assumere alcuna rilevanza, se non configurandosi il limite dettato dalla Corte Costituzionale in termini di "necessità assoluta", e non di semplice "esistenza di un ragionevole rapporto di strumentalita".
Il ricorso va pertanto respinto.
Infine ricorrono giusti motivi, in considerazione dell'esito nettamente alterno del primo e del secondo grado di giudizio, per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.