Lo studio professionale deve essere in regola con le norme di sicurezza per avere diritto alle agevolazioni fiscali sulle relative spese.

  

La vicenda riguarda uno studio legale di Tivoli che, durante un'ispezione della Guardia di Finanza, non è stato in grado di fornire la documentazione sulla normativa di sicurezza: in particolare, pur avendo inserito in bilancio il credito d'imposta per le suddette spese, non era in possesso nè del documento di valutazione dei rischi nè della nomina del responsabile per la sicurezza.

 

A seguito di ciò, l'ufficio delle entrate gli aveva notificato la revoca del credito di imposta detratto in compensazione per il 2001 e il 2002.

 

Respinto il ricorso sia in primo che in secondo grado, lo studio legale ricorre in Cassazione.

 

Anche la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha respinto il suddetto ricorso negando il diritto al credito fiscale: afferma infatti che "si rivelano del tutto prive di conferenza le contestazioni della ricorrente circa il "carattere formale e non sostanziale della violazione contestata" ovvero sull'inesistenza del "potere dei dipendenti dell'Agenzia... di effettuare l'accertamento delle violazioni afferenti le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori" od al "carattere definitivo dell'accertamento effettuato" non avendo la stessa contestato (come accertato dal giudice del merito) la materiale inesistenza della "condizione" - data

(1) dalla formazione dell'"autocertificazione" ovverosia dell'attestazione scritta del datore di lavoro avente un contenuto niente affatto formale perché con la stessa quel datore deve dichiarare, assumendosene la responsabilità,
(a) di avere effettuato la "valutazione dei rischi" e, soprattutto,
(b) di avere adempiuto agli "obblighi ad essa collegati" (ovverosia agli "obblighi... collegati" alla operata "valutazione dei rischi") e

(2) dall'invio della stessa al " rappresentante della sicurezza" - indispensabile, giusta il combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 11, per fruire del "credito di imposta" vantato nella dichiarazione dei redditi, solo sulla quale (materiale inesistenza), peraltro indiscussa, è fondata la pretesa fiscale qui impugnata."


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato
Dott. D'ALONZO Michele
Dott. PERSICO Mariaida
Dott. CAMPANILE Pietro
Dott. BISOGNI Giacinto

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
STUDIO LEGALE C. (associazione professionale), con sede in ***, in persona del legale rappresentante pro tempore avv. C.C., elettivamente domiciliato in Roma alla Via Aurelia n. 424 presso lo studio dell'avv. CIAFFI VINCENZO che lo rappresenta e difende in forza della procura speciale rilasciata a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
l'Ufficio di Tivoli dell'AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;
- intimato -
Avverso la sentenza n. 112/35/07 depositata il 16 gennaio 2008 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 giugno 2010 dal Cons. Dott. Michele D'ALONZO;
sentite le difese dello studio ricorrente, perorate dall'avv. Vincenzo CIAFFI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto 

 

Con ricorso notificato il 27 febbraio 2009 all'Ufficio di Tivoli dell'AGENZIA delle ENTRATE (depositato il 17 marzo 2009), la STUDIO LEGALE C. (associazione professionale) - premesso che detto Ufficio aveva notificato ad esso un provvedimento di revoca del "credito d'imposta... detratto in compensazione per gli anni d'imposta 2001-2002" affermando che non era stato "in grado di esibire" al proprio personale "la documentazione riguardante la normativa della sicurezza sul lavoro L. n. 626 del 1994" -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 112/35/07 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 16 gennaio 2008) che aveva rigettato il suo appello avverso la decisione (329/28/05) della Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale aveva respinto il ricorso con il quale aveva dedotto che il provvedimento era stato emesso "sulla base di una falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 7", e che "nella fattispecie contestata... si trattava di mera violazione formale".
Il 7 aprile 2009 l'Avvocatura dello Stato depositava mero "atto di costituzione" per l'AGENZIA delle ENTRATE. L'Ufficio locale della medesima Agenzia, parimenti, non svolgeva attività difensiva.

 

 

Diritto

 

  

1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale - detto (1) che "in data 21 ottobre 2003 funzionari dell'Agenzia delle Entrate... si sono recati presso lo studio legale C.... per verificare l'esistenza... dei presupposti previsti dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, per il credito d'imposta dalla medesima associazione professionale detratto in compensazione per gli anni d'imposta 2001 e 2002 e finalizzato all'occupazione" e (2) che "all'esito della verifica" i verbalizzanti avevano rilevato che "la società non è stata in grado di esibire la documentazione riguardante la normativa della sicurezza sul lavoro L. n. 626 del 1994" - ha disatteso l'appello dello studio associato osservando:
- "l'autocertificazione voluta dalla L. n. 626 del 1994, art. 4, comma 11" ("sostitutiva di specifica certificazione"), "cui il legislatore è ricorso in alternativa ad altri obblighi onde non rendere particolarmente complessi gli adempimenti richiesti per i contribuenti c.d. minori secondo l'orientamento perseguito con la L. n. 127 del 1997", "non è... un atto formale stante sia il valore dato dal legislatore stesso a tale adempimento sia le conseguenze penali connesse (artt. 489 e 496 c.p.), per cui la sua mancanza non può non essere giustamente rilevata";
- "stante la particolare articolazione normativa del credito d'imposta in argomento, nonché la sua specialità", "non è una novità dell'ordinamento giuridico" il "potere o meno degli organi fiscali competenti alla revoca" atteso che "già la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 4, comma 12, (sostituita da altre successive leggi: L. n. 448 del 1998; L. n. 388 del 2000, applicabile questa anche retroattivamente alle assunzioni effettuate a decorrere dal 1 ottobre 2000), prevedeva l'emanazione di un decreto dei Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per stabilire le modalità per di registrazione contabile dei crediti d'imposta de quibus": "il D.M. Finanze 3 agosto 1998, n. 311, in vigore dal giorno 11 settembre 1998, nel'indicare la relativa procedura, ha stabilito espressamente che i relativi recuperi spettano all'Ufficio delle Entrate competente entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è reso definitivo il provvedimento di revoca, come anche precisato dal Ministero delle Finanze con la circolare n. 219 dei 18 settembre 1998 e ciò a prescindere dallo invio (recte: trasmissione) - formale e non certamente impeditivo - al rappresentante per la sicurezza dell'autocertificazione richiesta".


"Alla luce di quanto precede" il giudice tributario di appello precisa, quindi, che "in materia di crediti d'imposta" possono esserci "due tipi di contenzioso tributario", l'uno "contro il Centro operativo di Pescara per i provvedimenti di rigetto della richiesta", l'altro "contro i singoli Uffici delle Entrate per le contestazioni relative ai recuperi effettuati in occasione di verifiche o di controlli formali delle dichiarazioni dei redditi", con la precisazione che, "in questi ultimi casi", "gli Uffici devono notificare soltanto gli atti tassativi previsti dalla normativa fiscale (avvisi di accertamento o cartelle esattoriali)", come "fatto nella fattispecie in esame rispettando le specifiche condizioni previste dalle singole leggi d'imposta", e "non generici avvisi di recupero, con particolari procedure peraltro non previste da alcuna disposizione di legge".
La Commissione Tributaria Regionale, di poi, osserva che "comunque", "al di la delle problematiche giuridiche e delle competenze in materia", "resta il fatto obiettivo che all'epoca della contestazione il contribuente non è stato in grado di esibire la documentazione prescritta dalla legge" e "ciò... è la ragione principale della revoca fiscale".

 

2. L'associazione professionale chiede di cassare tale decisione per due motivi.

A. Con il primo la ricorrente - ricordato che aveva fondato il suo ricorso di primo grado (a) sul "carattere formale e non sostanziale della violazione contestata" nonché (b) sulla confutazione (b1) del "potere dei dipendenti dell'Agenzia di effettuare l'accertamento delle violazioni afferenti le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dai D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494", e (b2) del "carattere definitivo dell'accertamento effettuato" - denunzia "omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso" esponendo:
- "la sentenza non spiega in base a quale ragionamento logico giuridico alla violazione contestata sia stata attribuito carattere sostanziale e non formale"; "in ogni caso le poche argomentazioni utilizzate appaiono contraddittorie e non appropriate" perché non considerano che "l'unico criterio valido e sufficiente per differenziare la tipologia della violazione" deve avere "come punto di riferimento le finalità concrete" perseguite dalla legge: in base a queste, infatti, la mancata "adozione di misure ed accorgimenti concreti per rendere sicuro il posto di lavoro e salvaguardare la salute del lavoratore" costituisce "violazione sostanziale" mentre "tutto ciò che nel contenuto della L. n. 626 del 1994 attiene ad attività di mera certificazione e comunicazione non può che attenere alla sfera delle violazioni formali";
- "la motivazione della sentenza... sviluppa un ragionamento... tendente... a sostenere il potere dell'Agenzia... a procedere al recupero dell'imposta" ma "omette... di motivare sul vero punto della questione giuridica..., vale a dire l'esistenza o meno in capo a tale Agenzia del potere di accertare la violazione";
- "ugualmente priva di motivazione appare la sentenza sull'altro fatto controverso e decisivo per il giudizio" dato dal "carattere definitivo dell'accertamento della violazione".

 

B. Con il secondo (ed ultimo) motivo la contribuente sostiene che "il potere di revoca non poteva essere esercitato", "non ricorrendone i presupposti", per cui denunzia "violazione o falsa applicazione" della "della L. n. 388 del 2000, art. 7, commi 5 e 7", ("mancanza dei presupposti di fatto e giuridici per l'esercizio del potere di revoca") adducendo che "il testo letterale della norma" e la "ratio legis" - "incentivare l'occupazione", "emersione del sommerso" e "sicurezza dei luoghi di lavoro", quindi "finalità... sostanziale e non meramente fermale", perseguitai "attraverso la concessione di un bonus fiscale" - conducono "all'unica conclusione che per farsi luogo all'istituto delle revoca sia necessaria una violazione non formale delle normative fiscali, contributive ed antinfortunistiche... che risulti definitivamente accertata a carico del contribuente" mentre "nel caso... nessuna violazione sostanziale è stata rilevata dai verbalizzanti": "per potersi far luogo alla revoca" questi ("visto che in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro nessuna competenza è attribuita... ai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate"), secondo la ricorrente associazione, tenuto conto anche della "prassi instauratasi presso l'Agenzia delle Entrate di Roma" di annullare in sede di autotutela i "provvedimenti di revoca del beneficio fiscale L. n. 388 del 2000, ex art. 7" perché "le ASL di competenza, di fronte all'invio di rapporti che contestavano mere violazioni formali alla L. n. 626 del 1994, neppure inviavano propri ispettori per effettuare i controlli", "avrebbero dovuto comunicare la violazione alla ASL... la quale avrebbe dovuto procedere ad eseguire una ispezione sul luogo di lavoro e, verificato l'effettivo mancato rispetto delle prescrizioni in materia di sicurezza ed igiene, avrebbe dovuto procedere alla elevazione delle relative contestazioni che, una volta definitivamente accertate, potevano da ruolo al provvedimento di revoca del beneficio";
La contribuente, di poi, aggiunge che anche ad attribuire allo stesso "valore di accertamento della violazione", l'"atto... giammai potrebbe considerarsi definitivo" perché non possono "considerarsi violazioni definitivamente accertate quelle per le quali sia precluso al datore di lavoro di proporre gravame... dinanzi alle Commissioni Tributarie (violazioni fiscali) o alla Magistratura ordinaria (violazioni contributive)": "il carattere della definitività", infatti, "si lega... alla pronuncia di un accertamento di fatto incorporato in una sentenza passata in giudicato e/o in un provvedimento amministrativo sanzionatorio divenuto inoppugnabile".

 

C. A conclusione del suo ricorso lo studio formula i seguenti "quesiti di diritto" ("dica la Corte"):
(1) "se la L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 7, preveda quale presupposto per l'esercizio del potere di revoca del credito di imposta, concesso a norma del comma 5, della medesima legge, che il contribuente debba aver commesso violazioni sostanziali, ovvero violazioni meramente formali, delle prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dai D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni; identifichi la natura della violazione attribuita al ricorrente";
(2) "se a norma del diritto vigente, ed in particolare dei D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni, agli Operatori Tributari dell'Agenzia delle Entrate spetti il potere di accertare le violazioni previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 7 comma 7, quale presupposto per il potere di revoca del credito di imposta";
(3) "quando ed a quali condizioni, a norma del diritto vigente, ed in particolare dei D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni e del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, e successive modificazioni, le violazioni delle prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori possano dirsi definitivamente accertate";
(4) "se la violazione contestata al ricorrente, sulla base della quale è stato emesso l'avviso di recupero del credito di imposta, possa o meno considerarsi violazione non formale, legittimamente e definitivamente accertata, delle prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori; se quindi sia stata fatta, da parte dell'Agenzia delle Entrate, corretta applicazione di quanto disposto dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 7, e sia stato legittimamente o meno esercitalo i potere di revoca del credito di imposta ovvero se tale norma sia stata violata".

 

3. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.

 

A. Per l'art. 384 c.p.c., comma 4, (come sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12) - secondo cui "non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme a diritto" -, invero, questa Corte, una volta riscontrata la rispondenza "al diritto" del dispositivo adottato nella sentenza impugnata, non può procedere alla cassazione di quest'ultima in quanto il positivo riscontro di detta conformità consente soltanto di correggere la "motivazione" della stessa.
I vizi denunziati nei due motivi di ricorso dall'associazione, peraltro, non potrebbero portare alla cassazione della decisione gravata che ne fosse affetta neppure in ipotesi di riscontrata non rispondenza del suo dispositivo "al diritto" atteso che l'ultimo inciso del medesimo art. 384, comma 2, impone a questo giudice di legittimità di decidere "la causa nel merito" tutte le volte che "non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto", "accertamenti", di norma, non necessari quando la controversia involge esclusivamente (come nella specie) questioni di diritto.
Nel caso il dispositivo della sentenza impugnata si rivela conforme a diritto per cui si deve solo procedere all'integrazione della motivazione della stessa.


B. La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 5, dispone (per quanto interessa) che "il credito d'imposta di cui al comma 1 spetta a condizione che... d) siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dai D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni, nonché dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del lavoro".
Il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 11, a sua volta, dopo averlo escluso ("non è soggetto") dagli "obblighi di cui ai commi 2 e 3", impone ("è tenuto comunque"; "deve essere inviata") al "datore di lavoro" (sia "delle aziende familiari" che "delle aziende che occupano fino a dieci addetti") (1) di "autocertificare per iscritto l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l'adempimento degli obblighi ad essa collegati" e (2) di inviare tale "autocertificazione... al rappresentante per la sicurezza".
Dal congiunto esame delle riprodotte disposizioni si ricava che l'"autocertificazione" (sempre che sia stata anche inviata al "rappresentante per la sicurezza") costituisce "condizione" normativa per poter fruire (con il concorso delle altre "condizioni" indicate nella stessa norma) del "credito d'imposta", quindi un elemento indefettibile dell'astratta fattispecie regolatrice del beneficio fiscale avente ad oggetto detto "credito".


C. In carenza di qualsivoglia contrario segno normativo deve, di poi, ritenersi che la spettanza di tale beneficio discenda ex lege, ovverosia unicamente dal positivo concorso di tutte le "condizioni" volute dal legislatore e sia, quindi, del tutto avulsa da qualsivoglia attività discrezionale (quand'anche da esercitare in base a canoni prefissati), per così dire concessoria, dell'amministrazione finanziaria: il credito in questione, pertanto, costituisce un vero e proprio diritto soggettivo perfetto del contribuente che si trovi nelle "condizioni" previste dal legislatore.
A fronte di tanto, per la medesima carenza, l'amministrazione può solo esercitare il generale potere proprio di controllare la dichiarazione dei redditi del contribuente (come in base al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 e ss.) e, di conseguenza, verificare se sussistano effettivamente le condizioni (soggettive ed oggettive) necessarie per fruire del "credito d'imposta" dallo stesso esposto in dichiarazione (o in questa presupposto), ovverosia, come correttamente espresso dal giudice di appello, il potere di "verificare" l'"esistenza" di tutti i "presupposti" fattuali richiesti dalle norme, in particolare (nel caso) di quelli "previsti dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, per il credito d'imposta".
Da questa esatta affermazione della Commissione Tributaria Regionale - peraltro non confutata dall'associazione ricorrente - discende la univoca, logica risposta negativa a tutti i "quesiti di diritto" posti dalla ricorrente medesima perché nessuna sua osservazione, anche giuridica, inficia (nè è, comunque, idonea a contrastare) il semplice rilievo del giudice di appello secondo cui l'Ufficio ha, nel caso, esercitato (come suo obbligo, peraltro) unicamente il potere di "verificare" l'"esistenza" di tutti i "presupposti" fattuali "previsti dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, per il credito d'imposta", cioè il potere di controllare la dichiarazione fiscale dell'associazione.

 

D. Vanamente, di conseguenza, questa invoca il disposto della L. n. 388 del 2000, medesimo art. 7 comma 7, citato innanzi - laddove impone (e, quindi, consente) la revoca delle agevolazioni ("le agevolazioni sono revocate"), tra le altre, (solo) in ipotesi di definitivo accertamento di "violazioni... alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori" - per protestare la mancanza, noi caso, di un accertamento definitivo in ordine ad una violazione siffatta atteso che la revoca delle agevolazioni disposta dal comma 7, costituisce una fattispecie oggettivamente del tutto diversa da quella concernente l'esercizio del potere - dovere dell'Ufficio di controllare la "esistenza" dei "presupposti" costitutivi del "credito fiscale" vantato dal contribuente nella propria dichiarazione, alla quale, pertanto, non è assolutamente riconducibile l'esercizio del detto potere di revoca.
Per il medesimo art. 5, comma 5, invero, come visto, "il credito di imposta" qui in discussione, naturalmente, "spetta" unicamente quando ricorrano effettivamente tutte le "condizioni" previste dalla norma.
A differenza di quelle di cui alle lett. a) e b) ("età non inferiore a..." ; "non abbiano svolto attività di lavoro dipendente"; "siano portatori di handicap") la cui sussistenza è (di norma) cristallizzata in un fatto obiettivo anteriore alla stessa costituzione del rapporto di lavoro, le "condizioni" previste dalle lett. c) e d) "siano osservati i contratti collettivi nazionali anche con riferimento ai soggetti che non hanno dato diritto al credito d'imposta"; "siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori" hanno una dinamicità propria perché mutabili nel corso del rapporto di lavoro per cui è agevolmente ipotizzabile l'eventualità dell'inosservanza delle stesse e, con ciò, il concreto mancato raggiungimento delle finalità (incremento occupazionale giovanile protetto ed emersione, a fini contributivi e fiscali, del c.d. lavoro in nero) perseguite dalla norma: donde la sanzione della "revoca" delle "agevolazioni" comminata dal legislatore per l'ipotesi in cui vengano "definitivamente" accertate "violazioni" alla "normativa", sia essa "fiscale" e/o "contributiva in materia di lavoro dipendente" e/o "sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori".
Il definitivo accertamento di "violazioni" alla "normativa" detta, intuitivamente, integra fattispecie del tutto diversa dalla sussistenza delle "condizioni" per il sorgere del diritto al "credito di imposta" per cui è agevole identificare, in base all'oggetto del controllo, il campo di azione (quindi la competenza) degli organi di vigilanza pubblica nel senso che l'amministrazione fiscale ha sia il generale potere (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e ss.) di verificare la dichiarazione del contribuente, quindi di accertare la realtà delle "condizioni" costitutive del credito esposte in e/o supposte dalla dichiarazione stessa, sia quello particolare di "revoca", questa soltanto esercitabile unicamente in presenza di definitivo accertamento di una delle "violazioni" predette.

 

G. Di conseguenza si rivelano del tutto prive di conferenza le contestazioni della ricorrente circa il "carattere formale e non sostanziale della violazione contestata" ovvero sull'inesistenza del "potere dei dipendenti dell'Agenzia... di effettuare l'accertamento delle violazioni afferenti le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori" od al "carattere definitivo dell'accertamento effettuato" non avendo la stessa contestato (come accertato dal giudice del merito) la materiale inesistenza della "condizione" - data (1) dalla formazione dell'"autocertificazione" ovverosia dell'attestazione scritta del datore di lavoro avente un contenuto niente affatto formale perché con la stessa quel datore deve dichiarare, assumendosene la responsabilità, (a) di avere effettuato la "valutazione dei rischi" e, soprattutto, (b) di avere adempiuto agli "obblighi ad essa collegati" (ovverosia agli "obblighi... collegati" alla operata "valutazione dei rischi") e (2) dall'invio della stessa al " rappresentante della sicurezza" - indispensabile, giusta il combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 7, comma 5, e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 11, per fruire del "credito di imposta" vantato nella dichiarazione dei redditi, solo sulla quale (materiale inesistenza), peraltro indiscussa, è fondata la pretesa fiscale qui impugnata.

 

4. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine al carico delle spese processuali in quanto l'Agenzia intimata non ha svolto attività difensiva.

 

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso.