REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente
Dott. IACOPINO Silvana Giovanna - Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) R.A. N. IL (OMISSIS);
2) M.V. N. IL (OMISSIS);
3) G.C. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1916/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del 29/05/2008 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAISANO Giulio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. RIELLO Luigi che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito, per la parte civile, l'Avv. CADAN Eva del foro di Sassari che chiede dichiararsi l'inammissibilita del ricorso o il rigetto;
Udito il difensore Avv. ZANNIER Giancarlo del foro di Pordenone che chiede l'accoglimento dei ricorsi.
Fatto
Con sentenza dell'11 ottobre 2004 il GIP del Tribunale di Vigevano ha dichiarato R.A., M.V. e G.C. responsabili del reato di cui agli art. 41 c.p., commi 1 e 3, art. 589 c.p., comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 12, comma 3, ed al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 43, comma 4 lett. b) e g), per avere cagionato la morte di P.G., dipendente della S.S. s.r.l., per colpa consistita in negligenza imprudenza, imperizia nonchè inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare:
il R. nella qualità di direttore tecnico responsabile di cantiere, dirigente della S.S. s.r.l. impresa esecutrice dei lavori per la T. s.p.a. nel cantiere temporaneo denominato "Omissis", perchè non attuava quanto previsto nel piano operativo di sicurezza che prevedeva, in relazione alla fase di lavoro del montaggio dei tralicci, l'uso, come dispositivi di protezione individuale, sia delle cinture di sicurezza con doppia fune di ritenuta, sia dei dispositivi anticaduta;
il M. nella qualità di impiegato tecnico della S.S. s.r.l. dirigente di fatto, perchè non provvedeva fornendo adeguate e corrette informazioni, affinchè i dispositivi di protezione individuale, in particolare le cinture di sicurezza con doppia fune di ritenuta e il dispositivo anticaduta di tipo retrattile, venissero utilizzati soltanto per gli usi previsti conformemente alle informazioni del fabbricante e non assicurava ai lavoratori presenti in cantiere una formazione adeguata ed un addestramento specifico circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei dispostivi individuali di sicurezza, in particolare delle cinture di sicurezza con doppia fune di ritenuta e del dispositivo anticaduta di tipo retrattile;
il G. nella qualità di caposquadra della S.S. s.r.l., addetto al montaggio tralicci, perchè non vigilava sulla corretta attuazione da parte dei dipendenti dell'impresa esecutrice di quanto previsto nel piano operativo di sicurezza che prevedeva in relazione alla fase di lavoro del montaggio dei tralicci l'uso, come dispositivi di protezione individuale, sia delle cinture di sicurezza con doppia fune di ritenuta sia dei dispositivi anticaduta; cosicchè P.G., mentre stava fissando con dei bulloni una parte di traliccio ad un'altezza di 25 metri, pur indossando l'imbracatura di sicurezza, essendo la stessa, per come utilizzata, un idoneo sistema di posizionamento sul lavoro, ma non un idoneo dispositivo anticaduta, durante l'avvitamento di un elemento di fissaggio, si sbilanciava e precipitava al suolo trovando la morte.
Con la stessa sentenza il GIP del Tribunale di Vigevano ha condannato il R. ed il M. alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione ed il G. alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Con sentenza del 29 maggio 2008 la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma di tale sentenza di primo grado, ha ridotto la pena detentiva inflitta al R. ed al M. a mesi cinque e giorni dieci di reclusione sostituendo la pena detentiva in Euro 6.080,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha motivato la conferma dell'affermazione della penale responsabilità degli imputati sulla base delle risultanze dell'indagine svolta dalla ASL di (OMISSIS) già fatte proprie dal giudice di primo grado, e dalla quale è emerso che il P. non era munito del necessario dispositivo anticaduta, ma solo del sistema di posizionamento e trattenimento.
La Corte d'Appello ha sostenuto che il dispositivo di protezione adottato nel caso specifico non poteva fungere anche da dispositivo anticaduta, mentre per il lavoro svolto dalla vittima dell'incidente occorreva l'adozione sia delle cinture di sicurezza con doppia fune di ritenuta, che dei dispositivi anticaduta, mentre questi ultimi, pur presenti nel cantiere, venivano utilizzati solo per la salita e la discesa dal traliccio, ma non anche durante lo svolgimento dell'attività lavorativa in quota. La Corte ha dunque escluso la tesi difensiva secondo cui il sistema di cui era dotato il P., costituito dall'imbracatura CB K60 e dal cordino CB K11, pur efficienti e conformi alle norme UNI, costituissero anche un dispositivo anticaduta.
In particolare la Corte territoriale, pur ammettendo che l'imbracatura CB K60 poteva essere utilizzata anche come componente di un sistema anticaduta, ha affermato che doveva, in tal caso, essere abbinata ad un dispositivo diverso dal cordino CB K11 espressamente da non utilizzare come componente di tale sistema. La Corte d'Appello ha poi riconosciuto la legittimazione della convivente della vittima quale parte civile sulla base della documentazione prodotta che attesta tale stato di convivenza.
Avverso questa sentenza gli imputati propongono ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento.
Diritto
Con il primo motivo si lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 43 c.p. con riferimento all'esclusione dell'attività dei due tipi di dispositivo, quello necessario per i lavori in posizione, e quello anticaduta, da adottarsi in due momenti distinti dell'attività lavorativa. In particolare si deduce che la necessità della contemporanea adozione di entrambi i dispositivi non sarebbe prevista da alcuna normativa. Si lamenta inoltre la medesima violazione dell'art. 606 c.p.p., anche in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) con riferimento all'utilizzo errato delle schede tecniche contenenti le istruzioni d'uso e manutenzione del sistema di protezione in questione, e delle norme UNI EN in materia.
Si lamenta inoltre violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione agli artt. 2 e 43 c.p. con riferimento all'applicazione all'infortunio in oggetto di una normativa entrata i vigore in epoca successiva. In particolare si assume che la norma UNI-EN 363 che conterrebbe le specificazioni dell'attività lavorativa in questione e conterrebbe la previsione della necessità del contemporaneo utilizzo dei due sistemi individuali di protezione, sarebbe entrata in vigore il 28 agosto 2003 e quindi in epoca successiva all'infortunio in questione avvenuto l'(OMISSIS).
Con altro motivo si lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 2 e 43 c.p. con riferimento all'affermazione dell'elemento soggettivo del reato di cui all'imputazione, in quanto tutti gli imputati, per quanto di loro rispettiva competenza, si sarebbero adeguati alla normativa vigente ed al piano di sicurezza esistente nell'azienda.
Con ultimo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alle statuizioni in favore della parte civile sulla base di una documentazione nemmeno indicata.
Con motivi aggiunti i ricorrenti ribadiscono l'ultimo motivo di ricorso riferito alle statuizioni civili considerando che non sussisterebbe prova dell'asserito rapporto di convivenza more uxorio fra la vittima e la parte civile stessa, e che la sentenza di divorzio della vittima non sarebbe stata ancora efficace all'epoca del decesso in quanto non ancora annotata nei registri di stato civile.
La parte civile L.G. deduce la piena legittimità della sentenza impugnata e l'infondatezza del ricorso degli imputati, e precisa che lo stato di convivenza che legittima la costituzione di parte civile potrebbe essere provata anche con abbondante prova testimoniale non espletata per il rito abbreviato adottato.
Tutti i motivi di ricorso sono infondati.
Il primo motivo, che si articola in due punti, intende contestare in punto di fatto l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui sarebbe necessaria la contemporanea adozione dei dispositivi di posizionamento e di anticaduta.
In particolare si deduce, al primo punto del motivo di ricorso, che i due tipi di dispositivo sarebbero utilizzabili in due momenti diversi dell'attività lavorativa.
A tale riguardo la Corte territoriale ha fornito, invece, una motivazione completa e logica che, in quanto tale, sfugge ad ogni censura di legittimità, facendo riferimento, sia a generiche norme di buona tecnica, ma anche alla precisa normativa UNI ed UNIEN puntualmente richiamata.
La Corte ha poi logicamente individuato il nesso di causalità fra la violazione di dette norme e l'evento.
Sotto altro profilo i ricorrenti si dolgono della omessa considerazione della mancanza di ogni previsione normativa in merito all'utilizzo contemporaneo dei due dispositivi in questione, sostenendo anche che la normativa richiamata sarebbe entrata in vigore solo dopo il fatto e non sarebbe quindi applicabile.
Tale argomentazione non è condivisibile in quanto la necessità del contemporaneo utilizzo dei due sistemi di protezione è conseguente alla funzione degli stessi; in particolare, la Corte d'Appello ha ben messo in evidenza come il cordino CBK11 utilizzato insieme all'imbracatura CBH60, costituisse solo una componente del sistema di posizionamento e non consentisse il corretto funzionamento del sistema anticaduta, per cui, anche se la suddetta imbracatura poteva essere utilizzata anche come sistema anticaduta, tale funzione non poteva essere efficace con il cordino utilizzato che, si ripete, aveva solo funzione di componente del dispositivo di posizionamento. In sede di legittimità non è ammissibile una rivisitazione delle indagini di fatto, dovendosi solo verificare la congruità e logicità della motivazione che, nel caso in esame, non può essere esclusa per quanto sopra detto.
Anche il richiamo alla vigenza della normativa richiamata non è appropriato in quanto la dichiarazione di responsabilità ha come riferimento la condotta descritta nel capo di imputazione in cui non sono citate normative non vigenti all'epoca del fatto.
Il motivo di ricorso riguardante l'elemento soggettivo del reato va considerato infondato in conseguenza della corretta valutazione delle circostanza obiettive di fatto di cui si è detto.
La situazione soggettiva dei singoli imputati attuali ricorrenti, è stata puntualmente e separatamente considerata dalla Corte d'Appello che ha preso in considerazione il ruolo di ciascun imputato nella vicenda,senza che i ricorrenti abbiano puntualmente contestato tale ricostruzione.
Riguardo al motivo di appello relativo alla ammissibilità della costituzione della parte civile, va rilevato che la pronuncia impugnata si è limitata ad affermare la teorica possibilità del diritto della parte civile L. ad ottenere il risarcimento del danno, rinviando, quindi, l'accertamento del diritto stesso in forma della sussistenza del danno alla sede civile ove incomberà alla stessa parte civile l'onere probatorio del diritto vantato.
Al rigetto del ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè a rifondere alla parte civile L.G. le spese di questo giudizio che liquida in Euro 2.500,00, oltre accessori e spese generali come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2009