TRIBUNALE DI SALERNO
SEZIONE LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Dr.ssa Lia Di Benedetto ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa di lavoro iscritta al n° 9162/08 R.G. Lavoro
TRA
M. G. e S. D., rapp.ti e difesi dall'Avv. N. Silvestri; - ricorrenti -
E
INPS, in persona del legale rapp.nte pt, rapp.to e difeso come in atti; - convenuto-
DISPOSITIVO
- accoglie il ricorso, e per l'effetto condanna l'INPS al riconoscimento in favore dei ricorrenti dei benefici di cui all'art. 13, co.8, legge n. 257/92 (M. G. periodo dal 16/3/77 al dicembre 2000, S. D. periodo dal 22/8/67 al 30/9/01);
- condanna l'INPS alle spese, liquidate in complessivi € 2.300,00 oltre IVA e CAP come per legge, con attribuzione all'Avv. N Silvestri.
FATTO
Con unico ricorso depositato in data 3/12/08, i ricorrenti, premesso di avere lavorato per A. Spa e di essere stati esposti alle fibre di amianto; di avere invano presentato domanda per il riconoscimento dei benefìci previdenziali di cui all'art. 13 legge n. 257/92 e all'art. 47 DL n. 269/03, conv. in legge n. 326/03; adivano il Giudice del Lavoro, chiedendo l'accertamento dell'esposizione ultradecennale all'amianto e la condanna di controparte all'applicazione dei predetti benefici, con vittoria di spese.
Nel costituirsi in giudizio l'INPS eccepiva la decadenza e deduceva altresì l'infondatezza della domanda. All'udienza di discussione i difensori delle parti concludevano come in atti e il Giudice decideva con lettura contestuale del dispositivo e dei motivi di fatto e di diritto.
DIRITTO
In primo luogo va affermata la legittimazione passiva dell'INPS, atteso che nella materia che ci occupa il soggetto legittimato a stare in giudizio è l'ente previdenziale tenuto ad operare la rivalutazione (Cass. sez. lav. n. 16256/03).
Infatti, "Allorché il lavoratore chieda in giudizio l'accertamento del diritto alla rivalutazione del periodo lavorativo nel quale è stato esposto all'amianto, ai sensi dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 (come modificato dall'art. 1, comma I, del d.l. n. 169 del 1993, conv. con modificazioni nella legge n. 271 del 1993), l'unico soggetto legittimato a stare in giudizio è l'ente previdenziale, che è il solo soggetto tenuto ad operare la rivalutazione, atteso che la disposizione citata finalizza il beneficio dell'accredito figurativo ad una più rapida acquisizione dei requisiti contributivi utili per ottenere le prestazioni pensionistiche dell'assicurazione generale obbligatoria (e non all'attribuzione delle diverse prestazioni oggetto del regime assicurativo a carico dell'Inail) e che, d'altronde, la stessa disposizione - diversamente da quella contenuta nel comma 7 del medesimo art. 13 relativa ai lavoratori che abbiano contratto malattie professionali - non prescrive l'assolvimento di alcun incombente da parte dell'Inail (quale la "documentazione" dell'avvenuta esposizione all'amianto); pertanto, se pure l'Istituto assicurativo sia intervenuto nel procedimento amministrativo (od anche in quello contenzioso) - nell'ambito di una domanda intesa all'attribuzione del predetto accredito contributivo - per attestare, quale soggetto fornito di specifica competenza tecnica, l'esposizione a rischio del lavoratore - ciò non comporta che il relativo accertamento (rilevante ai soli fini probatori) assuma carattere pregiudiziale e vincolante e valga a far assumere allo stesso Istituto la veste di soggetto passivo della domanda del lavoratore, non avendo la richiamata disciplina apportato alcuna innovazione rispetto al principio generale secondo cui la legittimazione alla causa è connessa alla titolarità del rapporto sostanziale" (Cass. sez. lav. n. 8937/02).
Pertanto, "l'unico soggetto legittimato a stare in giudizio è l'lnps, essendo tale ente il solo tenuto ad operare la richiesta rivalutazione" (Cass. sez. lav. n. 8859/01).
In secondo luogo non risulta maturata la decadenza prevista dall'art. 47, co. 5, DL n. 269/03 conv. in legge n. 326/03 e dall'art. 3 DM 27/10/04.
L'art. 47, co. 5, DL n. 269/03 conv. in legge n. 326/03, nel prevedere i benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, stabilisce che: "I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefìci di cui al comma 1, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall'INAIL prima del 1° ottobre 2003, devono presentare domanda alla Sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto agli stessi benefìci".
Infatti, secondo il comma 6 "Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto". In attuazione di tale disposizione pertanto l'art, 3, co. 2, del DM n. 36179 del 27/10/04 afferma che "La domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto, predisposta secondo lo schema di cui all'allegato 1, deve essere presentata alla sede INAIL entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a pena di decadenza dal diritto ai benefìci pensionistici di cui all'art. 2, comma 1.
Per data di presentazione della domanda si intende la data di arrivo alla sede INAIL o la data del timbro postale di invio nel caso di raccomandata.
I lavoratori di cui all'art. 1, comma 1, che hanno già presentato domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto alla data del 2 ottobre 2003 devono ripresentare la domanda". Il citato DM è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17/12/04, onde il termine ultimo per la presentazione della domanda a pena di decadenza era il 15/6/05. Nel caso di specie i ricorrenti hanno presentato la domanda amministrativa prima della scadenza del predetto termine (5/5/05 per M. e 28/4/05 per S.), onde non si è verificata la cennata decadenza.
Passando al merito, giova rammentare che il già citato art. 47 stabilisce:
"1. A decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall'articolo 13 , comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui sono state rilasciate dall'INAIL le certificazioni relative all'esposizione all'amianto sulla base degli atti d'indirizzo
emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefìci di cui al comma 1, sono concessi esclusivamente ai lavoratori, che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno.
I predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertata una malattia professionale a causa dell'esposizione all'amianto, ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124".
Ora, la S.C. ha più volte evidenziato che "In tema di benefici in favore dei lavoratori esposti al rischio di asbestosi, anche in virtù delle sent. n. 5 del 2000 della Corte Costituzionale e sent. n. 127 del 2002 della Corte Costituzionale, deve ritenersi che destinatari del beneficio previdenziale previsto dall'art. 13, comma ottavo, della legge n. 257/92, siano non soltanto i lavoratori che abbiano perso o siano esposti al rischio di perdere il posto di lavoro in conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, più in generale, tutti i lavoratori subordinati i quali - indipendentemente dall'oggetto dell'attività produttiva dell'impresa datrice di lavoro - abbiano subito una esposizione "qualificata" ultradecennale all'azione morbigena delle fibre dì amianto, in quanto risulti accertata la presenza nell'ambiente di lavoro di una dispersione di fibre di amianto in concentrazione superiore ai valori indicati negli artt. 24 e 31 dei D.Lgs. 277 del 1991, essendo irrilevante che l'esposizione sia cessata alla data (28 aprile 1992) di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992.
L'accertamento dell'esistenza di una esposizione "qualificata " richiede che il giudice verifichi - nel rispetto del criterio di ripartizione dell'onere della prova e, se del caso, avvalendosi dei poteri d'ufficio previsti nel rito del lavoro - se il lavoratore ha dimostrato che nell'ambiente nel quale si svolgeva la lavorazione vi era una concentrazione di polveri di amianto superiore ai valori di rischio sopra indicati e che egli è stato esposto al rischio per oltre dieci anni, computando in questo periodo anche le pause fisiologiche dell'attività (riposi, ferie, festività) rientranti nella normale evoluzione del rapporto di lavoro, non rilevando in contrario il mancato rilascio, (ovvero il contenuto), delle dichiarazioni in ordine alla durata ed al grado dell'esposizione che l'I.N.A.I.L. ed il datore di lavoro devono rendere nella procedura amministrativa stabilita in sede congiunta da I.N.P.S., I.N.A.I.L., Ministero del lavoro e parti sociali, esplicitata nella Circ. 13 dicembre 1995, n. 304 dell'l.N.P.S., atteso che le suddette dichiarazioni esauriscono i propri effetti nell'ambito della suddetta procedura e non assumono carattere vincolante in ordine ai fatti attestati" (Cass. sez. lav. n. 21257/04, n. 997/03).
La necessità della specifica prova - che grava pacificamente sulla parte attrice - del superamento ultradecennale del livello di concentrazione indicato dalle citate norme, è stata da sempre ribadita dal consolidato ed univoco orientamento della S.C. (ex multis: Cass. sez. lav. n. 1422/07, n. 27451/06, n. 20464/04, n. 10114/02).
Ora, nel caso di specie da un lato la relazione CONTARP prodotta in fascicolo dal convenuto ha rilevato che non basta la presenza dell'amianto nello stabilimento ma occorre che vi sia stata anche la dispersione delle fibre.
Sulla scorta dei dati esistenti, ha poi concluso che, pur essendovi stato per i lavoratori un rischio ambientale derivante dalla esposizione indiretta alle fibre di amianto, tuttavia i valori di concentrazione non erano superiori al limite fissato dalla legge. Dall'altro lato, invece, l'accertamento tecnico preventivo espletato presso il Tribunale di Torre Annunziata, allegato dai ricorrenti a sostegno della pretesa, offre detta specifica prova.
Trattasi di un accertamento sui luoghi di lavoro eseguito su disposizione del Presidente di detto Tribunale nel procedimento n. 2606/07, instaurato dai lavoratori dipendenti della A. Spa (avente sede in Pompei) in quanto era cessata l'attività di impresa ed era imminente lo smantellamento della struttura.
Il perito (Ing. V. R.), nel confermare la presenza di fibre di amianto presso lo stabilimento produttivo e l'avvenuta esposizione dei lavoratori durante l'attività, ha altresì riscontrato il probabile e verosimile superamento della soglia delle concentrazioni stabilite dalla legge; superamento che, alla stregua del cennato indirizzo della S.C., costituisce l'elemento necessario per l'attribuzione del benefìcio oggetto di causa.
Nell'evidenziare che la tipologia degli impianti e dei macchinai utilizzati dalla A., come pure le fasi e le caratteristiche del ciclo di lavoro lasciano presumere in modo ragionevole una diffusa presenza di amianto in tutti i settori produttivi dello stabilimento, il consulente ha affermato che anche le materie prime adoperate contenevano amianto, come ad esempio il talco, che normalmente contiene una percentuale di tale sostanza variabile dall'1% al 10%.
L'attività delle cartiere inoltre è una di quelle attività in cui è stato da sempre maggiormente presente l'amianto, fino all'entrata in vigore della legge che ne ha vietato l'uso, ed è stata infatti inserita nell'elenco delle attività assoggettate al censimento, alla decontaminazione e alla bonifica dei siti industriali.
Il consulente ha poi asserito che anche dopo l'introduzione per legge del divieto di utilizzo dell'amianto nelle attività industriali, tale sostanza è stata ugualmente presente nel ciclo produttivo, a causa del tipo di macchinari adoperati e/o delle fasi di lavoro, non essendo sempre possibile per le ditte sostituire sul piano tecnico i materiali da usare nel ciclo produttivo con altre materie aventi le medesime caratteristiche o tali da consentire le medesime prestazioni.
Motivi di carattere anche economico hanno spesso determinato la mancata o tardiva sostituzione dei vecchi macchinari e strutture contenenti amianto con nuovi impianti contenenti materiali sostitutivi, come pure la necessità per le ditte di smaltire previamente le scorte di materiali e di parti di ricambio già presenti in magazzino o già ordinate e fornite. Come riscontrato dal consulente, nello stabilimento della A. vi erano al momento delle operazioni peritali macchinari che presentavano chiari segni di usura e deterioramento, non addebitabili alle operazioni di smantellamento in corso, con parti di coibentazione a vista e frantumata e priva di protezione, tali da far desumere che nel corso del tempo non fosse avvenuta una corretta e puntuale opera di manutenzione.
Sono stati rilevati interventi di bonifica in prevalenza nelle diramazioni secondarie di distribuzione della linea di vapore, mentre le diramazioni principali erano ancora quelle di vecchio tipo con coibentazione a base di amianto.
Le analisi eseguite sui campioni raccolti hanno altresì evidenziato la presenza dell'amianto nelle tubazioni, sia in quelle ancora presenti nello stabilimento sia in quelle già smantellate e accatastate alla rinfusa - in spregio alla normativa vigente - nel piazzale all'aperto.
Le analisi di laboratorio hanno inoltre rivelato l'esistenza di amianto nel locale cartaccia, nel locale pompe di macchina, in prossimità del muro perimetrale del reparto produzione, nella centrale termica, nel piazzale antistante la caldaia e nel magazzino scorte.
Sulla base di tali considerazioni, che hanno confermato una massiccia e diffusa presenza di amianto nei macchinari, nelle fasi di lavoro, nei reparti produttivi e nei locali di servizio della A., deve pertanto ritenersi raggiunta la prova della continuata e pericolosa esposizione dei lavoratori al rischio in esame durante l'espletamento della prestazione lavorativa.
Il predetto accertamento tecnico preventivo costituisce invero un idoneo elemento probatorio già acquisito in via giudiziaria in contraddittorio tra le parti e dunque processualmente rilevante anche nel presente giudizio.
Come enunciato dalla S.C., "Gli eventi descritti in sede di accertamento tecnico preventivo, cioè lo stato dei luoghi, la qualità e le condizioni delle cose, possono essere considerati dal giudice come fonte di prova della causa degli stessi, allorché consentono logicamente di risalire alla conoscenza delle stesse e come base dell'indagine affidata ad un consulente tecnico nel corso del processo, allorché, per risalire dalla conoscenza degli eventi a quella delle loro cause, sia necessario l'ausilio di competenze tecniche" (Cass. sez. II n. 6319/06).
"Il giudice del merito, in virtù del principio del libero convincimento, ha facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame del consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, per cui bene può trarre materia di convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento tecnico preventivo" (Cass. sez. II n. 14402/04).
"L'acquisizione della relazione di accertamento tecnico preventivo tra le fonti che il giudice di merito utilizza per l'accertamento dei fatti di causa non deve necessariamente avvenire a mezzo di un provvedimento formale, bastando anche la sua materiale acquisizione, ed essendo sufficiente che quel giudice l'abbia poi esaminata traendone elemento per il proprio convincimento e che la parte che lamenti la irritualità dell'acquisizione e l'impossibilità di esame delle risultanze dell'indagine sia stata posta in grado di contraddire in merito ad esse" (Cass. sez. II n. 17990/04).
Nel caso di specie l'accertamento tecnico preventivo, che è stato allegato dalla parte ricorrente, appare coerente, ben motivato e supportato da specifici elementi di riscontro e da approfondite e competenti valutazioni tecniche.
Si aggiunge che, come esposto in ricorso, è ormai cessata da tempo l'attività aziendale (sin dal 28/2/05) ed è stata già smantellata l'unità produttiva, con alienazione dei suoli e dei macchinari (esaminati dal perito tra il 2007 e il 2008, proprio durante le operazioni di demolizione), onde era impossibile o comunque ultroneo disporre a questo punto una ulteriore CTU anche in questa sede.
Il ricorso va quindi accolto.
Si precisa che può applicarsi ai ricorrente la clausola di salvaguardia prevista dalla vigente disciplina.
Invero, "In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, l'art. 3, comma centotrentadue, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, che - con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall'art. 47, comma primo, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326) - ha fatto salva l'applicabilità della precedente disciplina, prevista dall'art. 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all'INAIL od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che:
a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione;
b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva" (Cass. sez. lav. n. 15679/06, n. 441/06, n. 21862/04).
Tale è il caso dei ricorrenti.
Le spese seguono la soccombenza.
Salerno, 18/10/10