Dalla “pericolosità dell'amianto, conclamata non da ipotetici indizi o evidenti ignoranze legali, ma da vieppiù diffusi allarmi manifestati dalla scienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene primario della salute (che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso di situazioni non occasionate da congiunture sporadiche o transitorie, ma avvalorate da attività permanenti, contigue alle fonti di diffusione delle particelle d'asbesto” … deriva “la responsabilità contrattuale dell'Ente nei confronti dei suoi dipendenti”
Infatti, …“L'art. 2087, prescrivendo agli imprenditori di adottare "le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", ha stabilito un obbligo che si riferisce al modo di organizzare l'impresa apprestando attrezzature e servizi idonei allo scopo. In particolare l'art. 2087 non contiene soltanto l'enunciazione di un dovere imposto nell'interesse generale, ma sancisce una vera e propria obbligazione, imponendo all'imprenditore una serie di misure che si risolvono in una prestazione, che egli è tenuto ad adempiere e che il lavoratore ha diritto di pretendere”.
Ne consegue che “…La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087, cod.civ., non è limitata alla violazione di norme d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma va estesa, invece, nell'attuale sistema italiano, supportato a livello costituzionale, alla cura del lavoratore attraverso l'adozione, da parte del datore di lavoro, nel rispetto del suo diritto di libertà d'impresa, di tutte quelle misure e delle cautele che, in funzione della diffusione e della conoscibilità, pur valutata in concreto, delle conoscenze, si rivelino idonee, secondo l'id quod plerumque accidit, a tutelare l'integrità psicofisica di colui che mette a disposizione della controparte la propria energia vitale”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società R. F. I. p.a. (già F. D. S. - S. D. T. E. S. per azioni) propone ricorso per cassazione affidato a un motivo d'impugnazione, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378, cod.proc.civ., contro la sentenza descritta in epigrafe del Tribunale di Roma che, confermando la decisione di primo grado, ha rigettato l'appello che aveva proposto nei confronti del sig. S. C., a favore del quale era stata condannata al pagamento della somma di L. 145.904.820, oltre interessi legali dalla domanda, a titolo di risarcimento del danno biologico sofferto per la malattia tumorale causata da esposizione all'amianto.
La sentenza d'appello ha ritenuto, per quanto qui interessa (ovvero escluse le questioni di prescrizione e di calcolo del risarcimento), che la responsabilità della società ferroviaria nei confronti del C., in conseguenza della malattia sofferta (carcinoma epidermoidale scarsamente differenziato), le andasse assegnata in applicazione dell'art. 2087. cod.civ., non essendo state tempestivamente adottate dall'Azienda ferroviaria opportune iniziative a difesa dei lavoratori, pur essendo note sul piano scientifico, quanto meno a partire dagli anni sessanta, le conseguenze cancerogene dell'amianto, - da ritenere fattore sufficiente ed esclusivo, indipendentemente dal limitato tabagismo - posto che le lavorazioni cui il C. era addetto "lo esponevano ad un rischio di inalazione di asbesto a causa del rilascio di fibre dai rivestimenti in amianto spruzzato dalle casse dei rotabili e dalla polvere prodotta dall'usura delle pasticche frenanti.
La parte intimata si è costituita con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218, 2043, 2697, cod.civ., anche in relazione alla l. 27.3.1992, n. 257, oltre difetti di motivazione, perché il Giudice d'appello, condividendo il richiamo dell'Ausiliare alla normativa interna e comunitaria che, in tema d'amianto, sarebbe intervenuta tra gli anni sessanta e settanta, non ha tenuto conto che, invece, ciò si è verificato solo a partire dagli anni 80 (direttive CEE del 1980, 1983 e D.M. 16 ottobre 1986) ed è stato definito dalla legge n. 257 del 1992, tant'è che solo a partire dagli anni '70 cessò la coibentazione delle vetture con l'amianto e dall'inizio degli anni '80 iniziò il programma ferroviario di decoibentazione delle vetture.
Nega, quindi, dovendosi escludere una sua responsabilità oggettiva, di poter essere altrimenti ritenuta responsabile del danno, oltretutto non avendo la sentenza considerato che le dismissioni immediate del materiale rotabile avrebbero pregiudicato il sistema trasporti, pur avendo, per contro, riconosciuto contraddittoriamente "che il livello d'esposizione all'amianto era estremamente basso" e trascurato di valutare che il C., dipendente dal 1959 delle Ferrovie, nel 1971 fu trasferito a domanda a mansioni di assistente che escludevano e, comunque, riducevano il nesso di causalità a livelli ancora più modesti.
Il ricorso non merita di essere accolto.
Va premesso che la sentenza impugnata dà atto che le "non contestate" lavorazioni alle quali il C. fu addetto sino al 1971 "implicavano un contatto continuo e non occasionale proprio con le vetture e con il materiale rotabile per i quali era diffuso l'utilizzo dell'amianto.".
Data questa cornice, non può, per contro, essere apprezzata, per contestare l'esistenza del rapporto di causalità e il conseguente addebito di responsabilità, l'affermazione contenuta nel ricorso secondo cui "..la stessa sentenza impugnata deve ammettere che il livello di esposizione del C. all'amianto era estremamente basso..".
Questa asserzione, reiterata nella memoria: "l'esposizione all'amianto era stata in effetti estremamente bassa," è del tutto priva di consistenza, posto che la decisione afferma qualcosa di assolutamente diverso, in linea con le argomentazioni che sorreggono quel giudizio, ovvero che "allo stato attuale delle conoscenze non è possibile escludere l'esistenza di un rischio di tumore polmonare anche a livelli di esposizione estremamente bassi... ".
La sentenza, come accennato, fonda l'affermazione di responsabilità sotto il profilo della violazione dell'art. 2087, cod. civ., (ovvero all'interno della responsabilità contrattuale) esclusa ogni ipotesi di responsabilità oggettiva (v. motivazione, terzultimo alinea).
Quanto a questo profilo è appena il caso di ricordare che da tempo la Cassazione ha affermato che l'art. 2087, prescrivendo agli imprenditori di adottare "le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", ha stabilito un obbligo che si riferisce al modo di organizzare l'impresa apprestando attrezzature e servizi idonei allo scopo.
In particolare l'art. 2087 "non contiene soltanto l'enunciazione di un dovere imposto nell'interesse generale, ma sancisce una vera e propria obbligazione, imponendo all'imprenditore una serie di misure che si risolvono in una prestazione, che egli è tenuto ad adempiere e che il lavoratore ha diritto di pretendere". (v. Cass. 18 novembre 1976. n. 4318).
Orbene, in relazione al tempo della prestazione lavorativa (anni dal'59 al '71), le F. D. S., com'è noto, costituite con una speciale autonomia nell'ambito del Ministero dei trasporti (e dell'aviazione civile), erano strutturate, al di là degli Uffici direzionali propri di una Azienda autonoma. in Servizi, uno dei quali, non ultimo per importanza, era rappresentato dal Servizio sanitario che si avvaleva di medici, non solo di ruolo ma, in relazione alle singole specialità professionali, di un elenco "organico" di medici c.d. fiduciari, tra cui rivestivano una significativa rilevanza i "consulenti" (che la dottrina riferisce espressi da docenti universitari), sia addetti alla sede centrale, sia ai distretti periferici della rete ferroviaria (v. r.d. 8 gennaio 1925, n. 34. recante "modificazioni all'art. 82 della l. 7 luglio 1907, n. 429 circa il servizio sanitario delle F. D. S.", nonché DM 8 aprile 1968, n. 3685 e D.M. 19 giugno 1974, senza n°).
Non si tratta, cioè, in questa fattispecie, di una piccola impresa che galleggia nel turbinio di leggi da cui trarre indicazioni comportamentali, ma di una grande realtà aziendale, "parallela", per i servizi sanitari, allo Stato e diffusa su tutto il territorio nazionale, dotata di un organismo ad hoc, assistito da competenze scientifiche certamente non border line, deputate, in primo luogo, ad assicurare e garantire la salute dei ferrovieri.
Orbene, la filiera del comando, come s'usa oggi delineare una complessa realtà aziendale, ovvero la responsabilità di un'organizzazione sanitaria di grande potenzialità sul piano della prevenzione e tutela della salute, si è dimostrata inadeguata e/o difettosa. pur tra cotanto senno, nel rilevare e segnalare tempestivamente al vertice gestionale il serio e non ipotetico pericolo incombente, costituito dalle fibre d'amianto diffuse nel materiale rotabile, suggerendo rimedi che la comunità scientifica internazionale aveva ormai allo studio.
In particolare, la pericolosità dell'amianto, conclamata non da ipotetici indizi o evidenti ignoranze legali, ma da vieppiù diffusi allarmi manifestati., sin da prima del periodo qui in evidenza, dalla scienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene primario della salute (che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso di situazioni non occasionate da congiunture sporadiche o transitorie, ma avvalorate da attività permanenti, contigue alle fonti di diffusione delle particelle d'asbesto, riconosciute evidenti attraverso il dibattito giudiziario e la consulenza medico legale, azzera il tentativo, espresso dal ricorso, di escludere la responsabilità contrattuale dell'Ente nei confronti dei suoi dipendenti, impedendo l'accoglimento del ricorso.
Infatti, la responsabilità del l'imprenditore ex art. 2087, cod.civ., non è limitata alla violazione di norme d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma va estesa, invece, nell'attuale sistema italiano, supportato a livello costituzionale, alla cura del lavoratore attraverso l'adozione, da parte del datore di lavoro, nel rispetto del suo diritto di libertà d'impresa, di tutte quelle misure e delle cautele che, in funzione della diffusione e della conoscibilità, pur valutata in concreto, delle conoscenze, si rivelino idonee, secondo l'id quod plerumque accidit, a tutelare l'integrità psicofisica di colui che mette a disposizione della controparte la propria energia vitale. (v. ad es. Cass., 23 maggio 2003. n. 8204; 29 dicembre 1998, n. 12863; 8 aprite 1995, n. 4078).
Ogni ulteriore considerazione appare, a questo punto, inutile per rimarcare il rigetto del ricorso.
Le spese processuali di questo giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 27,00 oltre Euro 3.000 (tremila) per onorari.