Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2011, n. 8252 - Appalto e subappalto: responsabilità in caso di infortunio


 

Responsabilità di A. quale progettista dei lavori, coordinatore per la sicurezza e direttore dei lavori in corso per la costruzione di un capannone commissionato all'impresa edile "R.D.B." e C.A., quale legale rappresentante della "I." - alla quale la RDB aveva appaltato i lavori di impermeabilizzazione e coibentazione del manufatto, parte dei quali dalla prima subappaltati alla ditta individuale facente capo al L.: era accaduto infatti che quest'ultimo, nell'eseguire tali lavori di impermeabilizzazione, era precipitato da un'altezza di circa 12 metri, passando attraverso un lucernario esistente nei pressi, riportando gravi lesioni.

Secondo l'accusa, i due imputati, per colpa generica e specifica, quest'ultima costituita dalla violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. b) e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 in cooperazione colposa tra loro, non avendo provveduto a munire e/o a vigilare affinchè le aperture presenti sulla copertura, in particolare quella attraverso la quale era precipitato il L., fossero munite di parapetto e tavola ferma piede, avevano cagionato al lavoratore gravi lesioni.

 

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

Quanto al primo imputato, la Corte di Cassazione afferma che gli è stato contestato di non avere provveduto, nella duplice qualità di coordinatore dei lavori di costruzione di un capannone e di coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, a "munire e/o a vigilare perchè l'apertura interessata dall'infortunio fosse munita di normale parapetto e di tavola fermapiede " e per avere omesso di verificare "l'idoneità del piano operativo di sicurezza della ditta I.".

E' stato, quindi, sostanzialmente contestato all' A. di non avere curato che l'apertura esistente sul tetto del capannone fosse munita delle opere necessarie per evitare i rischi di caduta; profilo di colpa esattamente ritenuto dai giudici del merito, che si sono limitati a dare una diversa qualificazione delle condotte contestate, lasciando tuttavia immutato il fatto, in ogni sua componente essenziale, in relazione al quale l'imputato ha avuto modo di svolgere una puntuale ed ampia difesa.

Quanto alla posizione di C., subcommittente, la Suprema Corte riprende principi ormai consolidati in precedenti giurisprudenziali: afferma infatti che "in caso di subappalto il subcommittente è sollevato dai relativi obblighi soltanto ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicchè non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore". Condizione, quest'ultima, pacificamente inesistente nel caso di specie, laddove solo si consideri che, pur volendo ritenersi esistente un regolare contratto di subappalto, già solo il chiaro contenuto della nota inviata dal C. alla RDB, con l'espresso riferimento all'"affiancamento" del L. all'impresa del C., impegnata nella esecuzione dei lavori appaltati, e la stessa interdipendenza dei lavori svolti dall'I. e dal L. indicano la condizione di subordinazione di quest'ultimo all'imputato, quantomeno sotto il profilo organizzativo, che implica necessariamente una ingerenza dello stesso nella complessiva organizzazione ed esecuzione dei lavori, anche di quelli affidati al L., comunque riconducibili al C.. Con tutto quanto da ciò consegue in termini di obblighi gravanti sullo stesso circa il rispetto delle norme di sicurezza del luogo di lavoro e di assunzione di una precisa posizione di garanzia nei confronti dell'operaio infortunato.
E dunque, a prescindere dal carattere di prospettazioni in fatto delle censure formulate con il motivo in esame, deve convenirsi come neppure la presenza di un formale contratto di subappalto potrebbe consentire all'imputato di eludere le proprie responsabilità. Una tale esclusione, invero, potrebbe configurarsi solo nei caso in cui al subappaltatore fosse stata affidata l'esecuzione di lavori, pur determinati e circoscritti, da svolgersi in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all'appaltatore sub committente. Eventualità certamente non riscontrabile nel caso di specie."


 


REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


sentenza

sul ricorso proposto da:

1) A.S. N. IL (OMISSIS);

2) C.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2164/2008 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 06/10/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI Giacomo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; udito il difensore avv. MELETA che ha chiesto l'annullamento con rinvio  della sentenza impugnata.

 

FattoDiritto

 


- 1- A.S. e C.A. propongono ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Brescia, del 6 ottobre 2009, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Crema, del 26 marzo 2008, che li ha ritenuti colpevoli del delitto di lesioni personali colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di L.L. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, li ha condannati, rispettivamente, alla pena di un mese e di due mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.


Il L., nell'eseguire lavori di impermeabilizzazione della copertura di un capannone, parte dei quali gli erano stati affidati in subappalto, era precipitato da un'altezza di circa 12 metri, passando attraverso un lucernario esistente nei pressi, riportando gravi lesioni.

Secondo l'accusa, condivisa dai giudici del merito, i due imputati, l' A. quale progettista dei lavori, coordinatore per la sicurezza e direttore dei lavori in corso per la costruzione di un capannone commissionato all'impresa edile "R.D.B.", C.A., quale legale rappresentante della "I." - alla quale la RDB aveva appaltato i lavori di impermeabilizzazione e coibentazione del manufatto, parte dei quali dalla prima subappaltati alla ditta individuale facente capo al L. -per colpa generica e specifica, quest'ultima costituita, secondo quanto risulta trascritto nel capo d'imputazione, dalla violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. b) e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 in cooperazione colposa tra loro, non avendo provveduto a munire e/o a vigilare affinchè le aperture presenti sulla copertura, in particolare quella attraverso la quale era precipitato il L., fossero munite di parapetto e tavola ferma piede, avevano cagionato al lavoratore gravi lesioni.

 

 

-2- Avverso tale sentenza ricorrono, dunque, i due imputati, che deducono:

 

1) A.S.:

 

a) Inosservanza di norme processuali, con riguardo all'errata notifica all'imputato del decreto di citazione in appello; notifica eseguita presso lo studio professionale dell' A., in mani del portiere, ai sensi dell'art. 157, comma 3 del codice di rito, invece che al domicilio eletto presso il difensore, avv. Massimo Madelli.
L'irregolare notifica, con ricezione dell'atto da parte del portiere, il quale ha anche provveduto al ritiro del successivo avviso inviato a mezzo lettera raccomandata, sarebbe causa di nullità assoluta che si estenderebbe agli atti successivi;

 

b) Inosservanza di norme processuali, in relazione alla denunciata mancanza di correlazione tra l'imputazione e le sentenze di merito ed in riferimento al rigetto, da parte del giudice del gravame, della relativa eccezione di nullità della sentenza di primo grado.
L' A., si sostiene nel ricorso, chiamato a rispondere della violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 - per avere omesso di munire e/o vigilare sui sistemi di sicurezza relativi alle aperture e per non avere verificato l'idoneità del POS della ditta "I."- è stato poi condannato per il ruolo svolto quale coordinatore della sicurezza in fase di progettazione. E' stato altresì dedotto, sul punto, il vizio di motivazione della sentenza impugnata;


c) Inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche e vizio di motivazione, laddove la corte territoriale ha ritenuto applicabili gli artt. 68 e 10 del richiamato D.Lgs. che disciplinano situazioni del tutto diverse, rendendo anche contraddittoria ed illogica la motivazione in quanto non sarebbe comprensibile a quale norma si debba in concreto, fare riferimento. In ogni caso, si sostiene nel ricorso, non sarebbe applicabile l'art. 68 poichè l'infortunato non svolgeva lavorazioni su solai o su piattaforme di lavoro; non l'art. 10 che, pur ritenendo preferibili i dispositivi di protezione collettiva rispetto a quelli individuali, prevede che, quando i primi non possano essere utilizzati, ci si può avvalere dei secondi.
Viziata sarebbe la motivazione anche con riguardo alla individuazione del tipo di lavorazione che l'infortunato stava svolgendo al momento dell'incidente (di impermeabilizzazione o ordinaria attività di verniciatura del manto di superficie), vizio che si rifletterebbe sulla individuazione dei dispositivi di sicurezza necessari per eliminare i rischi di caduta (cintura di sicurezza, dispositivi di sicurezza collettivi). In ogni caso, ritiene il ricorrente che i motivi per i quali il giudice del gravame ha ritenuto possibile l'applicazione dei dispositivi di protezione collettivi non avrebbero alcun fondamento logico, anche in vista dei rischi che sarebbero derivati dall'installazione degli stessi. d) Vizio di motivazione, con riguardo alla valutazione della condotta dell'infortunato, in relazione al mancato uso della cintura di sicurezza, ed alla sua condizione non di lavoratore subordinato ma di prestatore d'opera autonomo.

 

2) C.A. deduce:

 

a) Erronea applicazione della legge penale e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68; censura anzitutto il ricorrente l'attribuzione all'imputato di una posizione di garanzia nei confronti del L., alla quale i giudici del merito sarebbero pervenuti a seguito di un'erronea interpretazione dei fatti e delle norme ad essi riconducibili. In particolare, si ritiene erronea l'affermazione degli stessi giudici circa l'inesistenza, tra l'imputato ed il lavoratore infortunato, di un contratto di subappalto, laddove era stato prodotto ed acquisito in atti un "contratto quadro", stipulato nell'ottobre del 2003, con il quale erano stati regolati i rapporti di subappalto tra le due parti;

 

b) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, posto che i giudici del merito non avrebbero considerato:
-che lo stesso L. nel corso del suo esame dibattimentale, ha sostenuto di essersi reso autonomo per guadagnare di più e di lavorare sia per il C. che per altri soggetti;
- che la circostanza dell'asserito rapporto di subordinazione del L. al C. non è indicata neanche nel capo d'imputazione.
Ulteriore vizio motivazionale viene dedotto dal ricorrente, ove anche volesse mantenersi in capo all'imputato una qualche posizione di garanzia,
in considerazione della estraneità dello stessa al cantiere ove l'incidente si è verificato e dell'assenza di poteri di intervento, in tema di misure antinfortunistiche, rispetto alle scelte in proposito effettuate dal direttore dei lavori e dal coordinatore della sicurezza;

c) Inosservanza di norme processuali in relazione alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, laddove, mentre nel capo d'imputazione si è fatto riferimento al subappalto tra la "Isolcerta e l'impresa individuale del L." e si è contestata la violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 in sentenza i giudici sono pervenuti all'affermazione di responsabilità dell'imputato sulla base di un'affermata ed indimostrata inesistenza di un contratto di subappalto.
Ambedue i ricorrenti concludono chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, il C., inoltre, in via subordinata, chiede la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria corrispondente.
Con dichiarazione pervenuta presso la cancelleria di questa Corte, il difensore della parte civile comunica la propria assenza all'udienza, avendo promosso davanti al giudice civile azione risarcitoria, e la mancanza di proposte di risarcimento provenienti dagli imputati.

 

-3- Ambedue i ricorsi sono infondati.

 

1) A.S..

 

a) Certamente infondato è il primo dei motivi di ricorso proposti, con il quale viene eccepita la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio in appello dell'imputato.
Va, in proposito, rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte (n. 119/05) hanno affermato che, in tema di notificazione della citazione a giudizio all'imputato, la nullità assoluta ed insanabile, prevista dall'art. 179 del codice di rito, ricorre soltanto nel caso in cui tale notifica sia stata omessa
o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinale la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato. Non ricorre, viceversa, tale nullità allorchè vi sia stata solo la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione della notifica; in tal caso, può rilevarsi solo una nullità relativa, che resta sanata se non eccepita nei termini di cui all'art. 491 dello stesso codice.
Orbene, nel caso di specie, secondo quanto sostiene lo stesso ricorrente, non si sarebbe in presenza di una omissione nella notifica, bensì di una notifica eseguita con modalità diverse da quelle previste dalla norma, cioè, nel caso specifico, presso lo studio professionale dell'imputato, sia pure non a mani proprie, invece che presso il domicilio eletto; di una notifica, quindi, irritualmente eseguita che determina una nullità solo relativa (art. 181 c.p.p., comma 3) necessariamente eccepibile entro il termine di cui all'art. 491 cod. proc. pen. (tra le ultime, Cass. n. 20349/10).
Tanto accertato, evidente si presenta, nel caso in esame, la tardività dell'eccezione, in quanto proposta dall'imputato solo con il ricorso per Cassazione, laddove essa avrebbe dovuto essere tempestivamente formulata davanti alla corte territoriale dal difensore di fiducia, regolarmente avvisato e presente in dibattimento.
La mancata formulazione dell'eccezione nei termini di cui all'art. 491 c.p.p. ha, dunque, sanato il vizio, mancando la prova che la notificazione della citazione, pur eseguita irritualmente presso lo studio professionale dell'imputato, sia risultata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte della stesso.

 

b) Ugualmente infondata è l'eccezione, formulata con il secondo motivo di ricorso, relativa all'asserita mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza.
In realtà, tale correlazione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, può ritenersi mancante solo nei casi di radicale immutazione del fatto che renda incerto l'oggetto dell'imputazione, tanto da pregiudicare gravemente il diritto di difesa dell'imputato.
Ancora di recente, le Sezioni Unite di questa Corte (n. 36551/10) hanno affermato che "In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione".


Nel caso di specie, all'imputato è stato contestato di non avere provveduto, nella duplice qualità di coordinatore dei lavori di costruzione di un capannone e di coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, a "munire e/o a vigilare perchè l'apertura interessata dall'infortunio fosse munita di normale parapetto e di tavola fermapiede " e per avere omesso di verificare "l'idoneità del piano operativo di sicurezza della ditta I.".

E' stato, quindi, sostanzialmente contestato all' A. di non avere curato che l'apertura esistente sul tetto del capannone fosse munita delle opere necessarie per evitare i rischi di caduta; profilo di colpa esattamente ritenuto dai giudici del merito, che si sono limitati a dare una diversa qualificazione delle condotte contestate, lasciando tuttavia immutato il fatto, in ogni sua componente essenziale, in relazione al quale l'imputato ha avuto modo di svolgere una puntuale ed ampia difesa. A questa conclusione è sostanzialmente pervenuto il giudice del gravame, sia pure con motivazione in parte non strettamente pertinente al tema.

 

c) Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, non essendo possibile dubitare, dato il contenuto testuale dell'art. 68 del richiamato D.Lgs., che la fattispecie in esame sia perfettamente riconducibile a tale norma che impone che le aperture lasciate in un qualunque piano di lavoro, sia esso solaio, tetto, copertura, piattaforma, che si trovi, come nel caso di specie, a notevole altezza dal suolo, siano munite delle opere prevenzionali colà specificamente indicate. Improprio è, viceversa, il richiamo del ricorrente all'art. 70 dello stesso D.Lgs., che prende in esame e disciplina una diversa situazione di rischio, caratterizzata non - come nell'art. 68 - dalla presenza di aperture su coperture sicuramente stabili (come il tetto del capannone appena realizzato sul quale si trovava il L.), bensì da scarsa resistenza e dall'incapacità di sostenere il peso di operai e materiali. 

Diversità di situazioni che vengono diversamente disciplinate sotto il profilo della sicurezza poichè, mentre la presenza di aperture su tetti e coperture stabili impone la realizzazione di parapetti e tavole ferma piede, per evitare il rischio di cadute nel vuoto (art. 68), la presenza di coperture fragili e poco resistenti richiede il ricorso alle cinture di sicurezza o ad altri strumenti idonei a garantire l'incolumità dei lavoratori (art. 70).
Quanto all'accenno dei giudici del gravame all'art 10 del citato D.P.R. -ritenuto dal ricorrente fonte di incertezza rispetto all'esigenza di una precisa individuazione della disposizione di legge concretamente applicabile- osserva la Corte che esso è stato utilizzato dagli stessi giudici solo per contestare il richiamo a tale norma contenuto nei motivi d'appello e per ribadire la riconducibilità dei fatti oggetto del giudizio non alla fattispecie di cui all'art. 70, bensì a quella disciplinata dall'art. 68.

 

d) Inesistente, infine, è il vizio motivazionale dedotto in punto di verifica della qualità di prestatore d'opera autonomo dell'operaio infortunato e di valutazione della condotta dallo stesso tenuta, in relazione al mancato uso della cintura di sicurezza. Su tali punti, invero, il giudice del gravame ha fornito, sia pure sinteticamente, risposte esaurienti e coerenti sul piano logico, anzitutto rilevando come l'infortunio si fosse verificato a causa della mancata previsione e predisposizione, riconducibile anche all'imputato, delle opere necessarie ad evitare i rischi di caduta. Della condizione di insicurezza nella quale il L. svolgeva le proprie mansioni, legittimamente è stato fatto carico all'imputato, avendo i giudici del merito giustamente ritenuto irrilevante, davanti alla inosservanza di specifici obblighi di sicurezza imposti dalla legge, la qualità di lavoratore autonomo o subordinato dell'infortunato, la cui incolumità miravano a garantire le misure di sicurezza non realizzate.

Anche in punto di asserita colpa dell'operaio infortunato, la corte territoriale ha fornito sintetiche ma precise e condivisibili risposte, solo genericamente contestate dal ricorrente, anche richiamando il mancato uso di cinture di sicurezza da parte dell'infortunato, tuttavia senza considerare, tra l'altro, l'accertata assenza di linee per l'aggancio delle stesse.
Per il resto, (osservazioni relative all'aumento del rischio di caduta a seguito della realizzazione di parapetti, natura dell'attività svolta dall'operaio infortunato, completamento del montaggio del capannone, valutazione delle testimonianze e della documentazione acquisita) nel ricorso si propongono osservazioni di puro merito, non deducibili nella sede di legittimità.

 

2) C.A..

 

a) Manifestamente infondato è il primo dei motivi proposti, con il quale il ricorrente nega di avere ricoperto, nell'ambito dei lavori in questione, una posizione di garanzia nei confronti del L..
Sul punto, si sono chiaramente espressi i giudici del gravame i quali hanno addirittura negato l'esistenza, di un vero e proprio contratto di subappalto tra l'imputato e l'operaio infortunato, da essi considerato un prestatore d'opera del tutto parificabile ad un lavoratore dipendente.

A tale conclusione essi sono pervenuti alla stregua delle risultanze probatorie acquisite in atti, dalle quali è emerso:

a) che il L., titolare di un'impresa individuale priva di dipendenti era, secondo quanto accertato dall'ispettore R., del tutto privo delle attrezzature necessarie per assumere il subappalto e svolgere il proprio lavoro in assoluta autonomia; circostanza che ha permesso di trovare conferma a quanto riferito dall'operaio infortunato, il quale ha sostenuto che il C. lo aveva fornito delle attrezzature e del materiale necessario all'esecuzione dei lavori;

b) che in una nota inviata dal C. alla RDB, l'imputato ha chiarito la natura del rapporto intercorrente tra lui stesso ed il L., chiamato d'urgenza non ad assumere in prima persona la responsabilità dei lavori commissionati alla I., bensì ad affiancarsi ad essa nell'esecuzione degli stessi; nota nella quale gli stessi giudici hanno ravvisato una ulteriore conferma della posizione di lavoratore dipendente sostanzialmente ricoperta, nell'occasione, dal L.;

c) che il contratto sottoscritto dalle due parti, prodotto in atti, risalente all'anno precedente, riguardava altro cantiere ed altre lavorazioni, e dunque non poteva essere riferito ai lavori ed al cantiere oggetto del presente procedimento, di guisa che nessun rilievo ad esso poteva attribuirsi.

A fronte di tali considerazioni, caratterizzate da un argomentare del tutto coerente sul piano logico, la difesa dell'imputato propone una lettura alternativa degli elementi probatori - in particolare del contratto sopra indicato, presentato quale "contratto quadro", valido per ogni occasione - utilizzati dai giudici del merito e chiede sostanzialmente a questa Corte un inammissibile intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata.

Questa, d'altra parte, si presenta perfettamente allineata con i principi affermati da questa Corte in tema di subappalto e di responsabilità ad esso connesse.

E' stato, invero, in proposito affermato (Cass. n. 27965/08) che "in caso di subappalto il subcommittente è sollevato dai relativi obblighi soltanto ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicchè non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore". Condizione, quest'ultima, pacificamente inesistente nel caso di specie, laddove solo si consideri che, pur volendo ritenersi esistente un regolare contratto di subappalto, già solo il chiaro contenuto della nota inviata dal C. alla RDB, con l'espresso riferimento all'"affiancamento" del L. all'impresa del C., impegnata nella esecuzione dei lavori appaltati, e la stessa interdipendenza dei lavori svolti dall'I. e dal L. indicano la condizione di subordinazione di quest'ultimo all'imputato, quantomeno sotto il profilo organizzativo, che implica necessariamente una ingerenza dello stesso nella complessiva organizzazione ed esecuzione dei lavori, anche di quelli affidati al L., comunque riconducibili al C.. Con tutto quanto da ciò consegue in termini di obblighi gravanti sullo stesso circa il rispetto delle norme di sicurezza del luogo di lavoro e di assunzione di una precisa posizione di garanzia nei confronti dell'operaio infortunato.
E dunque, a prescindere dal carattere di prospettazioni in fatto delle censure formulate con il motivo in esame, deve convenirsi come neppure la presenza di un formale contratto di subappalto potrebbe consentire all'imputato di eludere le proprie responsabilità. Una tale esclusione, invero, potrebbe configurarsi solo nei caso in cui al subappaltatore fosse stata affidata l'esecuzione di lavori, pur determinati e circoscritti, da svolgersi in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all'appaltatore sub committente. Eventualità certamente non riscontrabile nel caso di specie.

 

b) Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente, oltre a riproporre, in termini di vizio motivazionale, le stesse censure afferenti la posizione di garanzia attribuita all'imputato, in relazione alle quali si rimanda a quanto appena esposto, deduce un ulteriore vizio di motivazione, laddove il giudice del merito non avrebbe considerato che, nell'ambito del cantiere ove l'infortunio si era verificato, egli non aveva alcun potere d'intervento in tema di adozione di misure antinfortunistiche, essendo le relative scelte operative riservate al direttore dei lavori ed al coordinatore della sicurezza.
In realtà, osserva la Corte, proprio al C., titolare della ditta che aveva subappaltato i lavori di impermeabilizzazione e coibentazione del capannone, solo in parte eseguiti dal L., spettava di intervenire per mettere in sicurezza il luogo di lavoro, a garanzia dell'incolumità di tutti i lavoratori che, per suo conto o per incarico dallo stesso conferito» erano intenti a svolgere le mansioni loro affidate. La presenza dell'apertura sul tetto ove erano in corso i lavori subappaltati era, peraltro, immediatamente percepibile, così come il forte rischio che qualcuno, intento al proprio lavoro, potesse finirvi dentro e precipitare al suolo; e dunque proprio all'imputato, titolare della ditta che aveva subappaltato i lavori in corso sul tetto, spettava, in prima battuta, di intervenire per mettere in sicurezza l'insidiosa apertura.

 

c) Infondata è anche la censura relativa alla presunta mancata correlazione tra accusa e sentenza. Si rimanda, a tale proposito, a quanto già sopra esposto, esaminando analoga doglianza proposta da A.S., in punto di identità del fatto contestato rispetto a quello ritenuto dal giudice e di assenza di qualsiasi pregiudizio nello svolgersi dell'azione difensiva dell'imputato, sviluppatasi con assoluta efficacia e puntualità.

 

d) Non proponibile nella sede di legittimità è, infine, la richiesta di sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, peraltro mai avanzata ai giudici del merito.
I ricorsi devono essere, in conclusione, rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.