Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2011, n. 8296 - Decesso per ribaltamento di un'impalcatura
Responsabilità per il decesso di un lavoratore a causa del ribaltamento della impalcatura sulla quale stava lavorando. Furono imputati e condannati: 1) B. Luigi, capo reparto ponteggiatori, per aver consentito che l'esecuzione dei lavori di smontaggio di una impalcatura metallica fosse eseguita dal R. e da C. (per il quale è stato disposto lo stralcio a seguito di richiesta di patteggiamento), senza avere predisposto alcun protocollo operativo; 2) R. Giovanni, tecnico ponteggiatori, per non aver esercitato un'adeguata sorveglianza sull'esecuzione dei lavori, ex D.P.R. n. 164 del 1956, art. 17; 3) D'A. Giuseppe, operatore in forza presso lo stabilimento industriale I., per non aver segnalato l'irregolare inclinazione del ponteggio prima della esecuzione dei lavori ( D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5). Ricorrono in Cassazione - Inammissibili. Afferma la Suprema Corte che la Corte di Appello ha correttamente evidenziato i profili di colpa con riferimento alla posizione di tutti e tre gli imputati. "In particolare, per quanto attiene a R. Giovanni, la Corte territoriale ha osservato che egli, nella sua qualità di tecnico, programmava il lavoro di montaggio e di smontaggio delle impalcature all'interno del reparto e, pertanto, fu costui a segnalare il punto di montaggio dell'impalcatura e quindi anche le procedure per effettuare successivamente lo smontaggio. Egli, quindi, in assenza di uno specifico protocollo operativo, avrebbe dovuto far sospendere le operazioni di smontaggio dell'impalcatura, il cui ribaltamento ha determinato l'infortunio, e segnalare la necessità di una maggiore vigilanza sul lavoro degli operai." "Per quanto attiene a B. Luigi, la sentenza impugnata ha evidenziato, con motivazione logica e congrua, che egli aveva trascurato il rischio relativo alla realizzazione di un ponteggio dalle caratteristiche tecniche assai precarie sia per le dimensioni, assolutamente sproporzionate,sia per la collocazione, a ridosso di altra struttura non stabile, senza una preventiva verifica dello stato del suolo su cui doveva sorgere il ponteggio, per potere operare in condizioni di piena sicurezza." "Per quanto attiene infine a D'A. Giuseppe, anche la sua azione non fu esente da censure. La Corte territoriale ha evidenziato sul punto che egli sganciò l'ultimo morsetto di aggancio dell'impalcatura, determinando il ribaltamento in avanti della stessa, senza assicurarsi che nessuno dei suoi compagni di lavoro si trovasse sulle pedane metalliche superiori e si comportò quindi in maniera avventata, sia in base alle norme di comune esperienza, sia in ragione delle competenze tecniche acquisite nel corso di formazione effettuato presso lo stabilimento I. al momento dell'assunzione, in quanto non poteva non prevedere che, sganciato l'ultimo morsetto, la struttura potesse ribaltarsi su se stessa. Correttamente poi la Corte territoriale ha ritenuto che il legale rappresentante della società fosse chiamato a rispondere civilmente del comportamento degli imputati ai sensi dell'art. 2049 c.c., in quanto la responsabilità degli stessi è strettamente connessa alle mansioni lavorative che espletavano, nelle qualità sopra indicate, all'interno dello stabilimento I. s.p.a. di Taranto. " Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata , nè rispetto all'intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata assenza o manifesta illogicità della motivazione e i ricorsi proposti, non andando oltre la mera enunciazione di tale vizio, sono inammissibili.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giusepp - Presidente -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicett - rel. Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) B. LUIGI, N. IL *11/08/1973* (imputato);
2) R. GIOVANNI, N. IL *24/04/1977* (imputato);
3) D'A. GIUSEPPE, N. IL *12/02/1976* (imputato);
4) I. S.P.A. (responsabile civile);
avverso la sentenza n. 669/2009 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO, del 02/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Riello Luigi, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;
Udito il difensore avv. Albanese Egidio del Foro di Taranto che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi. L'avv. Albanese deposita altresì
nomina a sost. Processuale dell'avv. Schiamone Enrico Claudio del Foro di Taranto, difensore del Responsabile Civile, I..
Fatto
B. Luigi, R. Giovanni e D'A. Giuseppe sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale di Taranto per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p. perchè, il primo quale capo reparto ponteggiatori, il secondo quale tecnico ponteggiatori ed il D'A. come operatore in forza presso Omissis dello stabilimento industriale I. di *Taranto*, per colpa generica consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, ed inoltre, consentendo il B. che l'esecuzione dei lavori di smontaggio di una impalcatura metallica fosse eseguita dal R. e da C. Leonardo (per il quale è stato disposto lo stralcio a seguito di richiesta di patteggiamento), senza avere predisposto alcun protocollo operativo, e non esercitando il R. e il C. Leonardo un'adeguata sorveglianza sull'esecuzione dei lavori, ex D.P.R. n. 164 del 1956, art. 17, e non segnalando il D'A. l'irregolare inclinazione del ponteggio prima della esecuzione dei lavori (il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5), cooperavano a cagionare il decesso di M. Silvio, conseguito al ribaltamento della impalcatura sulla quale quest'ultimo stava lavorando, in *Taranto il 21.05.2004*, con exitus il 30.05.2004.
Con sentenza del 22.12.08 il Tribunale di Taranto in composizione monocratica aveva dichiarato B. Luigi, R. Giovanni e D'A. Giuseppe responsabili del reato di cui sopra e li aveva condannati, il B. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, il R. alla pena di anni uno e mesi due di reclusione e il D'A. alla pena di anni uno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena per tutti gli imputati, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e al pagamento in favore di ciascuna di esse di una provvisionale di Euro 20.000,00. Condannava altresì gli imputati, in solido tra loro, e con i responsabili civili I. s.p.a. alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili.
Avverso la decisione del Tribunale di Taranto hanno proposto appello gli imputati e il responsabile civile a mezzo dei loro difensori.
La Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 2.02.2010, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena inflitta a B. e a R. in anni uno di reclusione, con la non menzione della condanna per tutti gli imputati e condannava gli imputati, in solido tra loro e con il responsabile civile della I. s.p.a., al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado di giudizio, liquidate in Euro 1500,00, oltre accessori, in favore di ciascuna parte civile; confermava nel resto l'impugnata sentenza.
Avverso la predetta sentenza proponevano distinti ricorsi per Cassazione gli imputati e il responsabile civile e concludevano chiedendone l'annullamento con ogni consequenziale pronuncia.
All'udienza pubblica del 2/02/2011 i ricorsi erano decisi con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Diritto
Gli imputati B. Luigi, R. Giovanni e D'A. Giuseppe e l'ing. Emilio R., responsabile civile della I. s.p.a. hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, nonchè per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 589 c.p..
Secondo i ricorrenti le risultanze istruttorie non supportano le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici della Corte di appello di Lecce che avrebbero erroneamente individuato le cause del cedimento dell'impalcatura, il cui ribaltamento ha provocato la morte del M., in vizi di installazione della struttura e nelle caratteristiche della stessa, argomentando a tale giudizio sulla scorta della erronea valutazione delle dichiarazioni rese dal teste ing. P. Sergio e sulla dichiarata, ma non dimostrata inattendibilità di altri testi, quale il C., compagno di lavoro il giorno del sinistro di tutti i protagonisti della odierna vicenda processuale.
La condotta tenuta dal M., inoltre, che aveva ordinato al D'A. di smontare l'ancoraggio, sarebbe stata del tutto imprevedibile e avrebbe interrotto il nesso causale tra quella contestata agli imputati B. e R. e l'evento.
Gli imputati censuravano altresì la sentenza impugnata per violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p., nonchè dell'art. 606 c.p., comma 1, lett. e) per mancanza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, in quanto, in sede di appello, era stata formulata specifica doglianza sul punto con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., mentre la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione sul tema, limitandosi ad un generico e tautologico richiamo alla gravità del fatto.
I proposti ricorsi sono palesemente infondati, in quanto ripropongono questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mirano ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.
Tanto premesso si osserva che i ricorsi proposti per mancanza e manifesta illogicità della motivazione selezionano un percorso che si esonera dalla individuazione dei capi o dei punti della decisione cui si riferiscono le impugnazioni ed egualmente si esonerano dalla indicazione specifica degli elementi di diritto che sorreggono ogni richiesta. Le censure che investano la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza dei vizi denunziati. Viceversa la censura che denunzia la mancanza di motivazione deve far emergere ciò che manca e che esclude il raggiungimento della funzione giustificativa della decisione adottata. Una censura che denunzia mancanza di motivazione deve cioè fornire specifica indicazione delle questioni precedentemente poste, specifica comparazione tra questioni proposte e risposte date, approfondita e specifica misurazione della motivazione impugnata per evidenziare come, nonostante l'apparente esistenza di un compiuto argomentare, si sia viceversa venuta a determinare la totale mancanza di un discorso giustificativo della decisione e deve fornire attenta individuazione dei vuoti specifici che hanno determinato quella mancanza complessiva. Tutto ciò non è rintracciabile nei proposti ricorsi, poichè mancano di qualsiasi considerazione per la motivazione criticata, e lungi dall'individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la complessiva mancanza di motivazione, si dolgono del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumulano circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto a loro ascritto in chiave a loro favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.
Nella sentenza oggetto di ricorso è infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto quei Giudici a confermare la sentenza di primo grado.
La Corte di Appello infatti, ha correttamente evidenziato i profili di colpa con riferimento alla posizione di tutti e tre gli imputati.
In particolare, per quanto attiene a R. Giovanni, la Corte territoriale ha osservato che egli, nella sua qualità di tecnico, programmava il lavoro di montaggio e di smontaggio delle impalcature all'interno del reparto e, pertanto, fu costui a segnalare il punto di montaggio dell'impalcatura e quindi anche le procedure per effettuare successivamente lo smontaggio. Egli, quindi, in assenza di uno specifico protocollo operativo, avrebbe dovuto far sospendere le operazioni di smontaggio dell'impalcatura, il cui ribaltamento ha determinato l'infortunio, e segnalare la necessità di una maggiore vigilanza sul lavoro degli operai.
Per quanto attiene a B. Luigi, la sentenza impugnata ha evidenziato, con motivazione logica e congrua, che egli aveva trascurato il rischio relativo alla realizzazione di un ponteggio dalle caratteristiche tecniche assai precarie sia per le dimensioni, assolutamente sproporzionate,sia per la collocazione, a ridosso di altra struttura non stabile, senza una preventiva verifica dello stato del suolo su cui doveva sorgere il ponteggio, per potere operare in condizioni di piena sicurezza.
Per quanto attiene infine a D'A. Giuseppe, anche la sua azione non fu esente da censure.
La Corte territoriale ha evidenziato sul punto che egli sganciò l'ultimo morsetto di aggancio dell'impalcatura, determinando il ribaltamento in avanti della stessa, senza assicurarsi che nessuno dei suoi compagni di lavoro si trovasse sulle pedane metalliche superiori e si comportò quindi in maniera avventata, sia in base alle norme di comune esperienza, sia in ragione delle competenze tecniche acquisite nel corso di formazione effettuato presso lo stabilimento I. al momento dell'assunzione, in quanto non poteva non prevedere che,sganciato l'ultimo morsetto, la struttura potesse ribaltarsi su se stessa.
Correttamente poi la Corte territoriale ha ritenuto che il legale rappresentante della società fosse chiamato a rispondere civilmente del comportamento degli imputati ai sensi dell'art. 2049 c.c., in quanto la responsabilità degli stessi è strettamente connessa alle mansioni lavorative che espletavano, nelle qualità sopra indicate, all'interno dello stabilimento I. s.p.a. di Taranto. Anche a proposito del trattamento sanzionatorio la motivazione della Corte territoriale è logica e congrua, in quanto, con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., non si limita a fare riferimento alla obiettiva gravità del fatto, ma indica altresì le ragioni,in considerazione del grado della colpa, per cui agli imputati R. e B., quest'ultimo gravato da un precedente penale specifico per lesioni colpose, ai quali pure riduce la pena, debbono essere negate le attenuanti generiche.
Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata , nè rispetto all'intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata assenza o manifesta illogicità della motivazione.
I ricorsi proposti non vanno in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque essi sono inammissibili con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011