Corte di Appello di Milano, Sez. 3 Pen., 11 febbraio 2011 - Macchina spaccalegna
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI MILANO
TERZA SEZIONE PENALE
Composto dai Signori:
1) Dott. ARTURO SOPRANO - Presidente
2) Dott.ssa SILVANA D'ANTONA - Consigliere/Est.
3) Dott.ssa M. ROSARIA MANDRIOLI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
contro
D'U.B. nato a *** - APPELLANTE - LIBERO CONTUMACE
residente a ***
domicilio eletto ***
domiciliato a GALLARATE - VIA ***
Imputato di: CAPO A) 113 - 590 CO. 1, 3 - 583 CO. 1 n. 1 E CO. 2 n. 3 - 61 n. 3 C.P. CAPO B) 110 - 437 CO. 1 E 2 C.P. commesso in GALLARATE in data ***.
Difeso da: Avv. G.A. Foro di BUSTO ARSIZIO - Avv. F.B. Foro di BUSTO ARSIZIO
PARTE CIVILE:
H.M. NON APPELLANTE Difensore Avv. S.A. Foro di SAMARATE
APPELLANTE
avverso la sentenza pronunciata dal GIP Tribunale di BUSTO ARSIZIO numero 962/2008 del 29-04-2010 con la quale veniva condannato alla pena di:
CAPO A) MESI 2 DI RECL. CAPO B) MESI 6 DI RECL.
- GENERICHE EQUIVALENTI AD AGGRAVANTI
- PENA SOSPESA -
RISARCIMENTO DANNI, PROVVISIONALE IMMEDIATAMENTE ESECUTIVA E RIFUSIONE SPESE ALLA P.C.
CONFISCA DELLA MACCHINA TAGLIASPACCA IN SEQUESTRO
PER I REATI A) LESIONI PERSONALI COLPOSE AGGR. COMMESSE IN VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA PREVENZIONE INFORTUNI E SICUREZZA SUL LAVORO IN COOPERAZIONE COLPOSA, B) RIMOZIONE DOLOSA DI CAUTELE CONTRO INFORTUNI SUL LAVORO.
FattoDiritto
Con sentenza emessa in data 29.04.2010 dal GUP del tribunale di Busto Arsizio, all'esito di giudizio abbreviato D'U.B. veniva dichiarato colpevole
A) del reato di cui agli artt. 61 n. 3, 113, 583 comma primo n. 1 e secondo n. 3, 590 primo e terzo comma c.p., perché con colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme che regolano la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 5 comma primo, 41, 68, 72, 76, 82 del D.P.R. 547/55 e 4 comma secondo, 22, 35 comma terzo lett. B), comma quarto lett. B), quarto quater del D.Lgs. 626/94 vigenti al momento del fatto, in seguito riprodotte nel D.Lgs. 9.4.2008 n. 81 e tabelle allegate in part. all. V), in qualità, rispettivamente, D'U.M. di formale titolare dell’omonima azienda agricola (in forma di impresa individuale) sita a Gallarate in via *** presente ai fatti e di proprietario delle attrezzature; D'U.B. in qualità di reale titolare dell'impresa e datore di lavoro nonché presente sui luoghi e che aveva impartito gli ordini di lavoro all'infortunato;
- adibendo il lavoratore inesperto H.M. per effettuare lavori di taglio della legna senza fornire al predetto una corretta formazione e senza renderlo edotto dei rischi esistenti;
- disattivando mediante apposita fascetta elastica il microinterruttore connesso alla griglia di protezione e così di fatto rendendo vano il meccanismo che impedisce il contatto tra le parti del corpo del lavoratore e le lame nella vasca di scorrimento della spacca;
- disattivando il "fungo" di emergenza e comunque essendo la macchina priva di altri comandi di arresto di emergenza;
cagionavano al predetto dipendente (di prima professione cameriere; assunto da pochi giorni) lesioni personali consistite in amputazione totale della mano destra (che in seguito veniva reimpiantata priva di pollice con urgente e complesso intervento di chirurgia) dalle quali derivava una malattia nel corpo della durata superiore a giorni 40 e l'inservibilità della mano, che lo stesso si procurava mentre era intento a sbloccare manualmente con un cacciavite un pezzo di tronco di legno rimasto incastrato all'interno della vasca di una macchina spacca - legna, in modo tale che sbloccatesi le lame e il pistone gli stessi riprendevano il loro moto amputando istantaneamente la mano del lavoratore H.M.
Con le aggravanti di aver agito nonostante la previsione dell'evento e di aver cagionato al lavoratore una malattia del corpo di durata superiore a quaranta giorni, nonché, di aver cagionato la mutilazione della mano destra rendendola inservibile, posto che è perduta la capacità di presa.
In Gallarate il ***
B) del reato di cui agli art. 110, 437 commi primo e secondo c.p. perché, con le condotte descritte al capo precedente e con plurime violazioni della normativa sulla prevenzione degli infortuni, in particolare, disattivando il microinterruttore, rimuovevano dolosamente un apparecchio destinato alla prevenzione degli infortuni.
Con d'aggravante dell'essersi realmente verificato l'infortunio descritto al capo A).
In Gallarate il ***
Risulta dalla sentenza:
- il 14/8/2007 H.M. operava alla macchina taglia - spacca;
- si verificava improvvisamente, probabilmente a causa di una scheggia di legno, il blocco dello scorrimento della slitta che monta le lame a croce di detta macchina, mossa da pistone idraulico ad alta pressione;
- l'infortunato cercava quindi di sbloccare il macchinario, adoperando un grosso cacciavite;
- riusciva in questo modo a liberare la slitta delle lame, la quale però si proiettava di colpo con forza in avanti, determinando l'amputazione della mano destra dell'operaio, che veniva recuperata da D'U.B. nella vasca tra i ceppi spaccati.
La ASL di Varese, nella immediatezza dei fatti, rileva una manomissione del dispositivo di sicurezza del macchinario utilizzato da H. al momento dell'infortunio. In particolare risultava collocata una fascetta di plastica in corrispondenza del microinterruttore, connesso alla griglia di protezione che segrega ed impedisce l'accesso alla zona di azione delle lame, in modo da eluderne le funzionalità di sicurezza. Il posto operatore della macchina e le vicinanze risultavano prive di comando diretto di avvio/arresto della macchina ed anche del comando di arresto di emergenza.
La visura camerale evidenziava che l'azienda, alle dipendenze della quale Ho. svolgeva le mansioni sopra descritte, aveva la forma di impresa individuale e che titolare della stessa risultava D'U.M.
L'imputato il 14/8/2007 spontaneamente dichiarava:
- di essere il padre di D'U.M., titolare dell'omonima azienda agricola forestale;
- che al momento dell'infortunio si trovava nell'area adibita a deposito legna ed attrezzature dell'azienda del figlio. Detta area è antistante la propria abitazione (e quella dei figlio) di via *** Gallarate;
- Aveva scorto H. nell'atto di "manovrare" con un cacciavite nella zona di scorrimento del pistone che spinge la lama spacca tronchi ed aveva recuperato la mano del giovane e chiamato un'ambulanza.
La consulenza tecnica medico legale accertava che la lesione riportata comportò una malattia traumatica della durata complessiva di mesi tre e venne trattata attraverso un reimpianto della mano senza il pollice, con perdita permanente della capacità prensile dell'arto.
Rilevava il GUP che appariva pacifica la sussistenza del fatto ed il nesso causale tra il grave infortunio verificatosi e la violazione della normativa antinfortunistica accertata: il pistone spacca tronchi è un organo in movimento, molto pericoloso e per questo motivo la macchina è dotata di un'ampia griglia metallica che preclude l'accesso alla vasca che contiene tale organo. È naturalmente previsto un meccanismo di apertura di tale griglia per consentire la pulizia della zona di scorrimento e della vasca. Tale meccanismo è però munito di un dispositivo di sicurezza contro l'apertura accidentale da parte dell'operatore. Si tratta di un microinterruttore elettrico che interrompe istantaneamente il circuito all'atto dell'apertura della griglia. Detto microinterruttore era stato nel caso di specie manomesso, atteso che era stata apposta una fascettatura plastica che chiudeva artificiosamente il circuito elettrico.
Riteneva il GUP sussistente anche il reato di cui al capo B), poiché la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il reato possa ravvisarsi anche quando il pericolo riguardi "non la collettività dei cittadini o un numero rilevante di persone, ma gli operai di una piccola fabbrica" (cfr. Cass. Sez. I, 20/11/96 n. 11161; 21/2/2007 n. 12464).
Quanto all'elemento soggettivo riteneva il GUP, conformemente alle pronunce della Suprema Corte, che fosse sufficiente la coscienza e volontà di omettere le cautele prescritte e la consapevolezza del pericolo per la incolumità delle persone, esulando da tale fattispecie l'accettazione del rischio dell'infortunio che afferisce al diverso reato di lesioni, che potrebbe concorrere con la fattispecie in esame, anche quindi nella forma del dolo eventuale, se ne ricorressero gli estremi.
In particolare rilevava in GUP, in relazione alla penale responsabilità dell'imputato che H.M. aveva dichiarato di lavorare come cameriere da diverso tempo e di essere stato regolarmente assunto presso la suddetta azienda agricola, proprio il giorno prima; al momento dell'infortunio, stava lavorando con D'U.M., nel senso che H. gli passava la legna e D'U.M. la tagliava con la macchina taglia - spacca.
Ad un certo punto il macchinario si era bloccato e H., era intervento dopo lo spegnimento del macchinario da parte di D'U.M.; indicava D'U.B., padre di M., come il suo datore di lavoro, che gli aveva "detto cosa doveva fare con M." (cfr. sit rese in data 5/10/2007). Circa trenta minuti dopo la prima escussione, la persona offesa rettificava le sue dichiarazioni e precisava:
che D'U.M. si era probabilmente allontanato mentre egli interveniva sul macchinario;
di non avere compreso bene la domanda postagli precedentemente sulla identità del suo datore di lavoro, che doveva invece intendersi D'U.M., posto che D'U.B. si limitava a collaborare con il figlio e quel giorno non era neanche presente al momento dell'infortunio;
di comprendere la lingua italiana e di fare solo un po' fatica a comprendere qualche parola.
I CC della Sezione di polizia giudiziaria con annotazione 19.12.2008 riferivano che il giorno in cui la p.o. era stata sentita si era presentata accompagnato proprio da D'U.B. e che H. era stato risentito subito dopo la escussione del D'U., in ragione della discordanza tra quanto dichiarato dai due in ordine alla presenza di D'U.M. al momento dell'infortunio ed al ruolo di D'U.B. nell'azienda agricola. I Carabinieri davano atto che i due si erano avvicendati nel rendere dichiarazioni, senza avere avuto la possibilità di parlare tra loro.
Venivano sentiti D'U.B. e D'U.M., che concordemente dichiaravano che M. non era presente quando si era verificato l'infortunio, che unico titolare dell'azienda era costui, della quale il padre non si occupava; che anche B.D'U. non era presente al momento dei fatti, ma di aver soccorso la p.o. che si era presentata davanti al cancello di casa, privo della mano.
Riteneva il GUP che fosse provata la penale responsabilità dell'imputato sulla base di quanto sopra esposto, essendo emerso che questi fosse l'effettivo datore di lavoro dell'H. al momento dell'infortunio occorsogli e che fosse anche possibile che D'U.M. fosse addirittura solo un prestanome.
L'imputato infatti aveva curato in prima persona l'assunzione dell'H. ed impartito allo stesso le direttive relative alle mansioni che stava espletando al momento dell'infortunio, affidandogli la macchina di cui all'imputazione, perché provvedesse al taglio della legna; rilevava in particolare che a fronte di due dichiarazioni discordanti, rese a distanza di mezzora dalla p.o. solo la prima versione fosse vera e attendibile. Non era in primo luogo credibile che Ho. non avesse compreso le domande rivoltegli nel corso della prima escussione, atteso che egli risultava vivere in Italia quanto meno dal 2003 (epoca in cui fu assunto come cameriere) e dunque doveva ritenersi che parlasse e comprendesse correttamente la lingua italiana; che a fronte di una precisa ed iniziale indicazione del D'U.B. quale persona che lo aveva adibito a quelle mansioni, la seconda versione era inficiata da una serie di contraddizioni.
Il GUP riteneva altresì del tutto irrilevante le dichiarazioni rese dal teste a difesa C.A.
Per tale reato, l'imputato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle contestate aggravanti, veniva condannato alla pena di mesi 2 di reclusione in relazione al reato di cui al capo a) - pena base mesi 3 di reclusione, ridotta come sopra per il rito - e a mesi 6 di reclusione in relazione al reato di cui al capo b) - pena base mesi 9 di reclusione, ridotta come sopra per il rito, pertanto alla complessiva pena di mesi 8 di reclusione. Pena sospesa.
L'imputato veniva altresì condannato al pagamento di una provvisionale, immediatamente esecutiva di Euro 20.000,00 per i danno biologico e morale patito dalla parte civile.
Avverso la sentenza proponeva appello l'imputato tramite il difensore, chiedendo:
- l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto o a norma dell'art. 530 II comma c.p.p.
Rilevava il difensore che, pur avendo il GUP, dato atto che il rapporto di lavoro fosse documentato esclusivamente tra l'H. ed il figlio D'U.M., titolare dell'impresa agricola, aveva tuttavia ritenuto responsabile l'imputato, quale effettivo datore di lavoro, senza alcun riscontro probatorio.
Il difensore evidenziava che le dichiarazioni rese dalla parte offesa, da M.B., ad A.C. e dallo stesso imputato confermavano che unico datore di lavoro della p.c. era M.D'U., mentre non vi era alcuna prova a carico dell'odierno imputato, se non le dichiarazioni contraddittorie rilasciate da H. nel primo interrogatorio in data 5.10.2007.
Il GUP non aveva tenuto in considerazione le dichiarazioni rilasciate dalla p.o. in data 10.09.2007 e l'insufficienza della prova in ordine al reato contestato.
- Rilevava il difensore la non configurabilità del reato di cui all'art. 437 c.p. e l'impossibilità di concorso tra i reati di cui al capo A) e B).
Evidenziava il difensore che l'azienda agricola era da poco costituita con un unico dipendente, assunto in quel momento; era pertanto insussistente il reato contestato al capo B) poiché l'attentato alla pubblica incolumità ricorre quando il pericolo incombe su un numero indeterminato di prestatori d'opera che si trovano sul posto di lavoro, senza che la situazione di pericolo abbia a rifrangersi su una indefinita massa di persone estranee all'ambiente.
L'infortunio poteva essere al più qualificato a sensi dell'art. 590 c.p., che comunque non può concorrere con il reato di cui al capo A).
Nessuna prova era stata fornita sull' elemento soggettivo del reato contestato al capo B).
- In via subordinata il difensore chiedeva:
Il minimo della pena edittale;
la prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti;
la non menzione della condanna;
la sospensione dell'esecuzione della condanna la pagamento della provvisionale, non avendo il giudice motivato sulla prova in ordine al danno ed ai parametri ai fini della quantificazione o la revoca o la riduzione della stessa.
All'odierna udienza il P.G. ed il difensore concludevano come da separato verbale di causa.
Ritiene la corte che non sussistano prove sufficienti per la condanna dell'imputato in ordine ai reati allo stesso contestato.
Se, infatti, da una parte appare logico supporre che D'U.B., sicuramente esperto nel campo, affiancasse il figlio di soli 23 anni, che da poco aveva iniziato un'attività in proprio, nello svolgimento dell'attività imprenditoriale, d'altra parte appare pacifico che unico titolare dell'impresa era D'U.M., che per tali reati è stato condannato con sentenza di patteggiamento.
L'elemento di prova preso in esame dal primo giudice e su cui lo stesso ha basato il proprio convincimento per la condanna è costituito dalla dichiarazione resa alla p.g. dalla p.o. in data 5.10.2007 alle ore 9,30, nel corso della quale H. riferiva che il suo datore di lavoro era il papà di M., il sig. D'U.B. e che era stato lui a dirgli cosa doveva fare con M.
Non può peraltro non tenersi conto che in data precedente, ossia il 10.09.2007 lo stesso H. aveva riferito di aver preso accordo per lavorare con M., che aveva conosciuto in pizzeria, dove svolgeva attività di cameriere, e che il giorno dell'incidente si trovava in compagnia di M.; nessun riferimento veniva fatto all'assunzione da parte di B.D'U. o ad una sua partecipazione nell'attività lavorativa.
Lo stesso giorno 5.10.2007 mezzora circa dopo le prime dichiarazioni, la p.o. precisava di essere dipendente di D'U. M. e di essere stato convinto che l'attività fosse di entrambi, perché il papà collaborava con il figlio, anche se non era presente il giorno dell'infortunio.
Orbene tali elementi indubbiamente creano il sospetto che l'imputato fosse l'imprenditore di fatto della società, ma non la certezza di una sua costante e preminente attività, se non di mera collaborazione.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p. e 530 II comma c.p.p.
In riforma delle sentenza emessa dal GUP del tribunale di Busto Arsizio nei confronti di D'U.B., ASSOLVE il predetto per non aver commesso il fatto.
Così deciso in Milano, il 7 febbraio 2011.
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2011.