Tribunale di Napoli, Sez. 4, 04 febbraio 2011 - Lavoratore autonomo e caduta dall'alto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NAPOLI
IL GIUDICE MONOCRATICO DI NAPOLI IV SEZ.
Dr.ssa Maria Rosaria SALZANO, nell'udienza del 06/12/10 ha emesso la seguente
SENTENZA
nei confronti di: D.F.G. N.***
LIBERO CONTUMACE
Difeso di fiducia dall'Avv.to Mario RUBERTO
IMPUTATO
Del reato p. e p. dall'art. 589 c. 1 c.p, perché, in qualità di committente dei lavori di ristrutturazione e rifacimento dell'appartamento di sua proprietà posto al secondo piano della palazzina sita in *** affidati al lavoratore autonomo P.V., per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed inosservanza di leggi (art. 3 comma 8 lett. DLgs. 494/96) in particolare: commissionando al predetto lavoratore autonomo non solo l'esecuzione dei lavori di rifacimento e tinteggiatura interna ma anche l'esecuzione di opere intrinsecamente fonti di pericolo ed in particolare il rifacimento della balconata posta a servizio del citato appartamento con specifico incarico di rimozione, di una tettoia di copertura dell'intera balconata ed altresì il rifacimento dell'intonaco esterno per una superficie totale prospiciente il vuoto di circa 1,60 mq., omettendo di verificare l'inidoneità tecnico professionale del lavoratore autonomo, in relazione alle opere commissionate, non essendo lo stesso munito di alcuna attrezzatura adeguata ad evitare i pericoli di caduta dall'alto, cagionava la morte di P.V. il quale nel mentre era intento ad effettuare i lavori alla balconata precipitava al suolo riportando un violentissimo politraumatismo che ne determinava la morte.
In Napoli il 27112/06; evento morte verificatosi in Napoli 29/12/06
CONCLUSIONI
Il PM: assoluzione perché il fatto non sussiste ex art. 530 cpv. c.p.p..
La difesa: assoluzione perché il fatto non sussiste, in subordine assoluzione per non aver commesso il fatto.
Fatto
Con decreto emesso dal G.I.P. di Napoli in data 21 novembre 2008, veniva disposto il rinvio a giudizio di D.F.G. dinanzi a questo G.M. per rispondere del reato riportato in epigrafe.
Dopo un rinvio preliminare determinato dalla necessità di rinnovare la notifica alla persona offesa del decreto che dispone il giudizio e dall'assenza dei testi del P.M. (udienza del 15 giugno 2009), all'udienza del 9 dicembre 2009, verificata la regolare costituzione del rapporto processuale, già contumace l'imputato, il Giudice, in mancanza di questioni preliminari, dichiarava aperto il dibattimento, dava lettura del capo di imputazione ed invitava le parti a formulare le rispettive richieste istruttorie.
Il P.M. chiedeva l'escussione dei testi di lista, l'esame dell'imputato e l'acquisizione agli atti del dibattimento della documentazione sanitaria relativa a D.F.G., della relazione di consulenza autoptica, con rinuncia, ove presente il consenso del Difensore alla sua integrale utilizzazione all'escussione del consulente tecnico. Chiedeva, inoltre l'acquisizione del titolo di proprietà dell'immobile interessato dai lavori di ristrutturazione, del fascicolo dei rilievi fotografici relativi allo stato dei luoghi e del decreto di dissequestro e di restituzione all'avente diritto dell'immobile sequestrato.
Il Difensore si riservava il controesame dei testi di accusa e chiedeva l'esame dei testi della propria lista ritualmente depositata e l'esame dell'imputato, prestando il consenso alla produzione ed all'integrale utilizzazione della relazione di consulenza autoptica.
Ammesse le prove dedotte dalle parti, dichiarata, sull'accordo delle stesse, l'integrale utilizzazione della consulenza autoptica e revocata l'ammissione del teste dott. T.P., il Giudice disponeva procedersi all'escussione del teste L.G., in servizio presso l'ASL Napoli 1 - Dipartimento di Prevenzione - Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Unità Operativa Interdistrettuale.
All'esito della deposizione, sull'accordo delle parti, il Giudice revocava l'ammissione del teste A.E. ed acquisiva, come da richiesta del P.M., il verbale di ispezione del 3 gennaio 2007, in quanto atto irripetibile.
Il 1° febbraio 2010 venivano sentiti il teste C.L. ed il verbalizzante B.E., all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione CC. di Napoli Arenaccia.
All'udienza del 22 febbraio 2010 veniva escusso il teste R. B..
Seguiva un rinvio (udienza del 3 maggio 2010) per l'adesione del Difensore all'astensione dalle udienze proclamata dalla locale Camera Penale.
All'udienza del 31 maggio 2010 venivano raccolte le deposizioni dei testi di accusa P.M. e M.M..
All'udienza del 18 ottobre 2010,rinnovato il dibattimento per mutamento della persona fisica del Giudice, sull'accordo delle parti, veniva dichiarata l'utilizzabilità di tutti gli atti assunti nel corso dell'istruttoria dibattimentale precedentemente espletata, nonché del verbale di spontanee dichiarazioni rese nella fase delle indagini dal dott. G.M., la cui ammissione veniva revocata.
All'odierna udienza veniva acquisito e dichiarato utilizzabile, sull'accordo delle parti, il verbale di dichiarazioni spontanee rese nel corso delle indagini preliminari da O.V..
Indi, revocata, come da richiesta formulata dalle parti - le quali implicitamente rinunciavano anche all'esame dell'imputato l'ammissione del teste predetto e dei testi a discarico ritenuta la causa sufficientemente istruita; il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e, sulle conclusioni delle parti di cui a verbale, ritiratosi in camera di consiglio per la deliberazione, pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo di pubblica udienza, riservandosi il deposito dei motivi nel termine di giorni sessanta, attesa la complessità della vicenda procedimentale e stante il sovraccarico dei ruoli, monocratico e collegiale.
Diritto
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale non sono emersi elementi di prova sufficienti a riscontrare l'editto accusatorio e a pervenire ad una pronuncia di colpevolezza a carico dell'imputato in ordine all'ipotesi di reato dedotta in contestazione.
Le risultanze emergenti dalla documentazione legittimamente acquisita agli atti del dibattimento e dal testimoniale raccolto hanno consentito di ricostruire i fatti come segue.
In data 27 dicembre 2006 P. V., incaricato di eseguire i lavori di rifacimento dell'intonaco e di tinteggiatura dell'unità immobiliare posta al secondo piano della palazzina sita in Napoli, al ***, nel mentre si trovava all'esterno del suddetto appartamento, precipitava al suolo, riportando un gravissimo politraumiatismo che ne determinava il decesso.
In particolare, il P. decedeva alle ore 9.00 circa del 29.12.2006, come da comunicazione inviata all'Ufficio di Procura dal Drappello di Polizia dell'ospedale Loreto Mare, ove era stato trasportato in seguito all'infortunio.
Dalla relazione di consulenza autoptica emerge che P. V. decedeva alle ore 16:55 del 30.07.2005, a causa di "un complesso traumatico a carico dell'encefalo, del torace e del bacino", dal quale derivava un arresto cardiaco.
Circa i mezzi di produzione del decesso, il consulente ha evidenziato che l'evento lesivo è stato determinato da una caduta "verosimilmente con un primo impatto sugli arti inferiori e successivo abbattimento al suolo con urto del temporale destro".
Il consulente ha poi individuato, con ogni probabilità, le cause che hanno determinato la precipitazione in un accadimento accidentale ed in particolare "nello stato di sofferenza indotto dall'elevata iperglicemia di cui il P. era portatore".
A dibattimento è rimasto accertato che il deceduto aveva ricevuto da C. L. l'incarico di intonacare e tinteggiare l'appartamento del genero D.F.G..
Per il lungo rapporto di conoscenza intercorrente con P.V. (che aveva in precedenza ristrutturato il proprio appartamento) e per la fiducia riposta sulle sue capacità professionali derivanti dall'esperienza accumulata dal P. nel settore (quest'ultimo svolgeva l'attività di muratore e di imbianchino da quando era piccolo), il C. gli aveva commissionato le opere ed affidato le chiavi dell'abitazione, dalla quale i coniugi D.F. erano temporaneamente allontanati proprio per consentire l'esecuzione dei lavori (cfr. dichiarazioni rese da C.L. all'udienza del 1° febbraio 2010).
È emerso, altresì, che il P. lavorava in autonomia senza l'ausilio di collaboratori, come testimoniato anche dalle persone presenti sul luogo teatro dei fatti e che l'incarico gli era stato conferito in via orale.
Passando alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio, il verbalizzante B.E. ha dichiarato che, verso le ore 16.15 del 27 dicembre 2006, militari appartenenti alla Stazione Cc. di Napoli Arenaccia si recavano presso la via ***, ove era stata segnalata la caduta di una persona da una civile abitazione.
Ivi giunti, gli operanti constatavano che l'infortunato era già stato trasportato presso il vicino nosocomio e che per terra vi erano delle tracce ematiche ed alcuni fazzoletti.
Si verificava che sulla verticale corrispondente al verosimile punto di impatto insisteva il balcone di un appartamento posto al secondo piano della palazzina, indicato ai militari da alcuni testimoni che avevano chiamato il 118, come il posto da cui era precipitato il P..
Con l'ausilio del proprietario della citata abitazione, sopraggiunto sul posto, gli operanti effettuavano nell'immediatezza un sopralluogo all'interno della stessa, nel corso del quale rinvenivano vari attrezzi (una smerigliatrice elettrica, due scalette in legno, due cavalletti, un barattolo di smalto marrone scuro per esterni, pennelli), destinati a lavori di pitturazione ed accertavano che nella serratura della porta di ingresso dal lato interno era ancora inserita una copia delle chiavi.
Sul piano di calpestio del balcone servente la cucina - soggiorno e la camera da letto dell'abitazione era presente un frammento della tettoia di copertura, mentre sulla facciata esterna dello stabile pendeva, in modo perpendicolare ed adiacente al balcone un cavo in filamenti di acciaio, ancorato al piede di un montante posto sul terrazzo di copertura.
Dal verbale di ispezione e dal testimoniale raccolto a dibattimento è emerso, altresì, che i tecnici dell'ASL, intervenuti in data 3 gennaio 2007, constatavano il rifacimento parziale dell'intonaco nell'area interna del balcone, che fasciava scoperta una superficie sulla parete del lato corto prospiciente il vuoto, e la tinteggiatura parziale del telaio costituente l'armatura posta a sostegno della tettoia.
Veniva, inoltre, notata la compatibilità tra il materiale di risulta trovato all'interno dell'abitazione con l'intonaco mancante sulla parete del balcone.
Tali elementi inducevano a ritenere, da un lato; che il P., all'epoca dei fatti stesse lavorando all'esterno dell'appartamento ed in particolare che fosse impegnato nel rifacimento dell'intonaco mancante sulla facciata esterna della palazzina, proprio in corrispondenza di detta balconata, dall'altro che costui, rimasto fuori dall'appartamento chiuso dall'interno, avesse tentato di rientrarvi attraverso il terrazzo di copertura, calandosi dall'alto:
Quest'ultima ricostruzione è confortata dalle evidenze sopra segnalate e dalle dichiarazioni rese a dibattimento da P.A., figlio del deceduto, il quale ha riferito che, nell'immediatezza dei fatti, i carabinieri gli avevano esposto le loro perplessità in ordine ad uno "scivolamento" del padre nel mentre era intento a tinteggiare la parete esterna del balcone o i montanti ivi presenti e prospicienti il vuoto.
I militari, invero, gli avevano rappresentato una causa della precipitazione - a loro dire più verosimile - consistente in una caduta del P. dal parapetto del terrazzo di copertura, come avvalorato dalla pendenza di una fune in acciaio che scendeva perpendicolarmente di fianco alla balconata, dal rinvenimento di alcuni fili del cavo spezzati e dalla rottura dell'estremità sinistra della pensilina posta a copertura del balcone, compatibile con una caduta di qualcosa odi qualcuno da un livello superiore.
Ciò posto, risulta pacifico che al P. era stato affidato l'incarico di tinteggiare, non solo l'interno dell'appartamento, ma anche il balcone servente lo stesso, essendo agevole pervenire alla suddetta conclusione sulla base dei rilievi fotografici effettuati nell'immediatezza dei fatti, dai quali risulta ictu oculi evidente che le pareti, la ringhiera ed i montanti del balcone erano parzialmente riverniciati (con smalto dello stesso colore di quello rinvenuto all'interno dell'abitazione), tenuto conto, altresì della rimozione di intonaco (parimenti trovato all'interno dell'appartamento) da una parte del muro del balcone (quello prospiciente il vuoto).
Ulteriore risultanza che emerge pacificamente dal dibattimento e dalla visione delle fotografie scattate subito dopo l'incidente è quella concernente la mancanza di opere provvisionali, necessarie in relazione a lavori da eseguirsi ad un'altezza superiore ai due metri.
Del pari è rimasto accertato che il P. non era diretto da alcuno nel compimento delle operazioni e che è precipitato al suolo da un'altezza di circa otto - dieci metri, riportando lesioni gravissime dalle quali è scaturita la morte.
Ciò posto, in punto di diritto; va rilevato che, sulla base della normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro sussiste anche nei confronti di coloro che abbiano prestato la loro opera in via autonoma.
Invero, "se è indiscutibile che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale della prestazione autonoma di un lavoratore, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza, nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro (cfr. artt. 4 e ss. D.P.R. 27 aprile 1955, n.547; art. 4 D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626; art. 2087 c.c.)".
Ne consegue che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che tali condizioni siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera, (cfr. Cass. Pen. Sez. 4^, 30 marzo 2004, Aloi; cass. Pen. Sez. 4^, 11 febbraio 2004, Ciresa), con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato, in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 comma 2 c.p..
Dunque il datore di lavoro, nel caso si rivolga a lavoratori autonomi, è comunque tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione e a fornire ai predetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro.
In senso contrario non potrebbe invocarsi il disposto dell'art. 7, u.c. D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, laddove si esclude che gli obblighi prevenzionali del datore di lavoro possano estendersi ai rischi specifici propri dell'attività dei singoli lavoratori autonomi.
Invero, in ossequio alla disciplina di settore (prima il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26) il committente e corresponsabile, qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando egli abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui non erano presenti in cantiere attrezzature idonee per l'esecuzione dei lavori. Inoltre, il committente può essere chiamato a rispondere dell'infortunio qualora l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sta immediatamente percepibile, cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini.
Pertanto, "nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento" (cfr. Cass. Pen. Sez. 4^ 29 gennaio 2007, Di Vincenzo).
Né potrebbe valere nel caso concreto in esame il richiamo al principio del cd. "affidamento" in tema di infortuni sul lavoro, in virtù del quale ciascun consociato può confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che di volta in volta viene in questione, posto che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "detto principio non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell'inosservanza di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio, come nel caso in esame" (tra le altre Cass. Pen. Sez. 4^ Sent. n. 22622 del 29/04/2008, Rv. 240161).
Né ancora può controdedursi che, stante la modestia dei lavori da eseguire, la scelta dell'assuntore dei lavori ricaduta su un imbianchino in pensione, e quindi su una persona esperta nel settore edile, era sufficiente per ritenere l'applicazione delle norma antinfortunistica.
Invero, "in materia di responsabilità colposa, il committente di lavori deve scegliere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che la persona alla quale si rivolge sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa". (cfr. Cass. Pen. Sez. 3^, Sent, n. 2329 del 20.1.1992, Rv. 189173; Cass. Pen. Sent.n. 11813 del 19.8.1999, Rv. 214551).
Destituita di fondamento sarebbe anche l'argomentazione che fa leva sulla mancanza di un'assunzione regolare del lavoratore.
L'essersi avvalso per l'esecuzione delle opere di un lavoratore - pur non regolarmente assunto -, senza fornire al medesimo dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi all'esecuzione della prestazione, non consente di escludere la responsabilità del datore di lavoro, non potendo, d'altronde, spiegare effetto esimente, a favore di quest'ultimo, l'eventuale colpa concorrente del lavoratore.
È dovere del committente, infatti, verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, andando valutato "l'affidamento" in relazione all'osservanza delle norme antinfortunistiche e non solo in relazione alle opere da eseguire (art. 3 comma 8 D.Lgs. 494/96).
Nel caso di specie, non risultando tale iscrizione, il datore di lavoro avrebbe dovuto accertare l'idoneità di P.V. ad assicurare che le opere, pericolose perché da svolgere ad una altezza di 8 - 10 metri dal suolo, fossero realizzate con il rispetto della normativa antinfortunistica, trattandosi, peraltro, di un anziano imbianchino in pensione, che non offriva, per la modesta struttura imprenditoriale, garanzie adeguate sul punto.
Siccome nessun accertamento risulta sotto tale profilo effettuato, andrebbe ritenuta la responsabilità omissiva del committente in relazione alla violazione della regola di cautela generica di cui all'art. 2087 c.c. e di quella specifica di cui all'art. 3 comma 8 lett. a del D.Lgs 494/96.
Tuttavia, nel caso concreto, la questione controversa involge la riferibilità soggettiva della qualifica di datore di lavoro, risultando le opere commissionate da soggetto diverso dall'imputato (il suocero C.L.), che ha anche assunto in via esclusiva l'impegno di spesa e, a monte, la stessa sussistenza del nesso di causalità tra l'evento morte e l'esecuzione della prestazione lavorativa.
Invero, per giungere ad un'affermazione di responsabilità del datore di lavoro, occorrerebbe affermare che proprio la scelta inadeguata dell'esecutore dei lavori abbia causato la caduta della parte lesa, assumendo che il P., al momento dell'incidente, stesse svolgendo il lavoro affidatogli.
Al contrario, dalle emergenze processuali, risulta che il deceduto aveva effettuato una manovra incauta, abnorme e irrazionale, in un ambito diverso da quello lavorativo.
Orbene, più volte la Suprema Corte ha ribadito che la condotta del lavoratore, per giungere ad interrompere il nesso causale tra condotta colposa del datore di lavoro e l'evento lesivo ed escludere, in definitiva, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità (cfr. ex plurimis Cass. Pen Sez. 4^ del 27 novembre 1996, Maestrini).
E tale può definirsi solo la condotta abnorme del dipendente, quale "comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e; pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per, il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro" (cfr. Cass. Pen. Sez. 4^,Sent. n. 29204 del 20/06/2007, Rv. 236904).
Nel caso in esame, può certamente essere considerata abnorme, oltre che imprudente e completamente avulsa dal contesto lavorativo, la condotta del P., il quale certamente, al momento dell'incidente, si trovava sul terrazzo di copertura della palazzina sita in via *** ed è precipitato nel vuoto, colpendo l'estremità della tettoia posta a riparo del balcone interessato dai lavori di tinteggiatura.
A voler ritenere una dinamica diversa - caduta dalla balconata nel mentre il P. era intento ad effettuare la pitturazione di elementi prospicienti il vuoto (quali una parte del muro o uno dei montanti prospicienti il vuoto) - alcuna spiegazione plausibile potrebbe darsi alla presenza di un cavo in acciaio con fili spezzati pendente dal parapetto del terrazzo di copertura a ridosso del balcone ed alla rottura della pensilina proprio nel punto di scorrimento del tubolare in ferro.
In ogni caso anche il dubbio sulla dinamica dell'incidente e sulle cause della precipitazione, attribuita dal consulente autoptico "allo stato di sofferenza indotto dall'elevata iperglicemia di cui il P. era portatore", va risolto in favore dell'imputato.
Deve, pertanto ritenersi che la condotta del P. abbia integrato un qualcosa di esorbitante e di imprevedibile, tale da poter rilevare ai fini dell'interruzione del nesso eziologico tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza.
Va, peraltro, esclusa l'esistenza di una posizione di garanzia in capo al D.F. (peraltro, già controversa in ragione della sua qualità di semplice proprietario dell'appartamento in questione e non di committente delle opere di tinteggiatura), anche in ragione dell'estraneità del luogo in cui, con ogni verosimiglianza, l'infortunio si è verificato rispetto all'area cantiere interessata dalla doverosa predisposizione di cautele antinfortunistiche.
Invero, dagli elementi acquisiti nel corso dell'espletata istruttoria dibattimentale cui si è fatto cenno, è dato desumere che il P. trovava fuori dall'area di cantiere, in una zona non interessata dai lavori, ove l'anziano imbianchino si era avventurato di sua iniziativa, non autorizzato ad accedervi per ragioni connesse all'attività lavorativa o riconducibili a momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Per le appena svolte considerazioni D.F.G. va assolto dal reato ascrittogli, sia pure ai sensi del capoverso dell'art. 530 c.p.p., con la formula di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 co. II CPP assolve D.F.G. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Letto l'art. 544 co. III c.p.p. fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.
Napoli, 6 dicembre 2010
Depositata in data 04 febbraio 2011