Cassazione Penale, Sez. 4, Sent., 22 aprile 2011, n. 16086 - Appalto e subappalto, responsabilità per caduta dall'alto
Responsabilità del datore di lavoro (P.) di un'impresa edile perchè, per colpa generica e specifica, consistita quest'ultima nella violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 68, del D.P.R. n. 626 del 1994, artt. 43 e 22, ha cagionato al proprio unico lavoratore (B.) lesioni personali consistite in trauma cranico commotivo e fratture in varie parti del corpo.
Era accaduto che il B., mentre si trovava sull'armatura della soletta del primo piano di un fabbricato, intento a legare fasci di ferro, era precipitato al suolo passando attraverso un'apertura non protetta posta all'altezza di 3,23 metri circa. L'infortunato aveva spiegato di essere stato assunto dall'imputato da circa un paio di mesi, di non avere eseguito corsi di formazione professionale, di non essere mai stato dotato di dispositivi di protezione individuale.
I responsabili civili "Edil F." e "S." sono stati chiamati in giudizio per rispondere dei danni cagionati al B. in vista della loro posizione con riguardo all'esecuzione dei lavori edili in corso: la "Edil F.", quale società che aveva appaltato dalla cooperativa edilizia "Il P." la costruzione di un complesso residenziale costituito da sei palazzine, la "S.", quale impresa che aveva subappaltato dalla "Edil F." le opere di carpenteria e che aveva a propria volta subappaltato parte di tali opere a diverse ditte, tra le quali quella individuale di P.M., odierno imputato, riservandone per sè altra parte.
Ricorrono in Cassazione l'imputato (P) e la S. costruzioni - Inammissibili.
La Suprema Corte afferma che la S. costruzioni, in forza del contratto di subappalto delle opere di carpenteria, stipulato con la "Edil F.", era stata espressamente delegata a porre in essere tutte le misure necessarie ad evitare e prevenire infortuni; proprio in considerazione di tale delega, la stessa società aveva predisposto il piano operativo di sicurezza. La delega alla sicurezza, d'altra parte, nei termini in cui era stata prevista, non poteva, secondo gli stessi giudici, esser trasferita ad eventuali subappaltatori, non solo in considerazione dell'espresso divieto di subappalto previsto nel contratto stipulato dalle predette due società, ma anche, e soprattutto, per quanto specificamente riguarda l'imputato, per la evidente incapacità della modesta impresa artigianale di cui costui era titolare di offrire garanzie di sorta in tema di sicurezza e di rispetto delle norme di prevenzione degli infortuni.
Di tale incapacità, hanno soggiunto quei giudici, era perfettamente a conoscenza la "S.", tanto che nello stesso contratto di subappalto stipulato con il P. era previsto che solo alla società sub committente spettava l'organizzazione dei lavori e della mano d'opera e la fornitura delle attrezzature necessarie alla esecuzione dei lavori, rimanendo a carico del subappaltatore solo l'attrezzatura minuta. Gli stessi mezzi di protezione individuale erano forniti dalla "Edil F." e lo stesso P. ed il suo unico dipendente venivano di volta in volta destinati ad integrare le squadre di lavoratori di altre imprese presenti nel cantiere, ovunque se ne fosse manifestata la necessità.
"Circostanze, quelle sopra richiamate, acquisite agli atti del processo e non contestate dalla società ricorrente, che hanno legittimamente indotto i giudici del merito a ritenere che il subappalto al P. era null'altro che un espediente per trasferire a persona del tutto inidonea gli obblighi di sicurezza che la "S." si era assunta con il contratto stipulato con la "EdilFas".
Il rapporto tra la società e l'impresa individuale si avvicinerebbe, secondo gli stessi giudici, ad un appalto di manodopera, vietato, o comunque ad un subappalto di un'opera ad una impresa che mancava delle capacità tecniche ed amministrative per eseguirla correttamente, e che il subappaltatore altro non era che un semplice esecutore di ordini, privo di qualsiasi autonomia organizzativa: di qui la ravvisata responsabilità civile in capo alla società sub committente.
Orbene, a fronte di tale coerente argomentare, con cui i giudici del merito hanno spiegato le ragioni per le quali la "S.", benchè rimasta estranea alle condotte delittuose contestate all'imputato, dovesse rispondere dei danni da tali condotte cagionati, nulla oppone la società ricorrente, se non la pretesa assenza di qualsiasi obbligo risarcitorio in termini, tuttavia, del tutto generici, per nulla correlati alle argomentazioni poste dalla corte territoriale a fondamento della propria decisione."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso proposto da:
1) P.M. N. IL (OMISSIS);
2) S. COSTRUZIONI SRL;
avverso la sentenza n. 2431/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 05/03/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/12/2010 la redazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Galati che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;
Udito il difensore Avv. Costa che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
FattoDiritto
1- Con sentenza del 7 maggio 2008, il giudice monocratico del Tribunale di Bergamo ha dichiarato P.M. colpevole del delitto di lesioni colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente B.P. e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, alla pena di un mese di reclusione, condonata ex L. n. 241 del 2006, nonchè, in solido con i responsabili civili "Edil F. s.p.a." e "S. Costruzioni s.r.l.", al risarcimento del danno biologico e di quello morale in favore della costituita parte civile, liquidati, complessivamente, in Euro 49.070,00.
Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, il P., nella qualità di responsabile dell'omonima impresa edile, per colpa generica e specifica, consistita quest'ultima nella violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 68, del D.P.R. n. 626 del 1994, artt. 43 e 22 ha cagionato al lavoratore lesioni personali consistite in trauma cranico commotivo e fratture in varie parti del corpo.
Era accaduto che il B., unico dipendente del P., mentre si trovava sull'armatura della soletta del primo piano di un fabbricato, intento a legare fasci di ferro, era precipitato al suolo passando attraverso un'apertura non protetta posta all'altezza di 3,23 metri circa. L'infortunato aveva spiegato di essere stato assunto dall'imputato da circa un paio di mesi, di non avere eseguito corsi di formazione professionale, di non essere mai stato dotato di dispositivi di protezione individuale.
Il giudice del merito ha rilevato, nella condotta dell'imputato, precisi profili di colpa per non avere lo stesso: a) allestito impalcature e ponteggi con idonei parapetti volti ad evitare il pericolo di cadute dall'alto, b) adottato precauzioni idonee ad evitare la caduta di persone attraverso le aperture delle soletta, c) dotato l'operaio dei dispositivi di protezione individuale, d) fornito al lavoratore idonee informazioni sui rischi connessi all'attività di lavoro svolta; e) garantito adeguata formazione professionale dello stesso.
I responsabili civili "Edil F." e "S." sono stati chiamati in giudizio per rispondere dei danni cagionati al B. in vista della loro posizione con riguardo all'esecuzione dei lavori edili in corso: la "Edil F.", quale società che aveva appaltato dalla cooperativa edilizia "Il P." la costruzione di un complesso residenziale costituito da sei palazzine, la "S.", quale impresa che aveva subappaltato dalla "Edil F." le opere di carpenteria e che aveva a propria volta subappaltato parte di tali opere a diverse ditte, tra le quali quella individuale di P.M., odierno imputato, riservandone per sè altra parte.
2- Avverso detta sentenza ha proposto tempestivo appello il responsabile civile "S. Costruzioni" che ha, anzitutto, contestato la propria legittimazione passiva, evidenziando come questa possa ritenersi sussistente in capo al responsabile civile solo se il procedimento penale si svolge nei confronti di un imputato del cui operato esso responsabile debba rispondere per legge, dovendosi escludere che possa rispondere del fatto altrui anche in base ad un titolo contrattuale. Ha poi sostenuto che la "S.", una volta subappaltati i lavori, non se ne era più interessata, nè aveva diramato direttive circa la esecuzione degli stessi, nè vi aveva cooperato, di guisa che non poteva essere ritenuta responsabile del fatto illecito contestato al P..
Successivamente, ha proposto appello incidentale la "Edil F.", che pure ha contestato la propria legittimazione passiva ed ha eccepito, altresì, l'eccessività delle somme liquidate a titolo di risarcimento.
In tempi ancora successivi, ha proposto appello l'imputato P.M..
La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 5 marzo 2010, ha, anzitutto, dichiarato inammissibile l'appello dell'imputato, perchè tardivamente proposto; ha altresì escluso che tale impugnazione potesse qualificarsi quale appello incidentale, rispetto all'appello della "S.", unico tempestivamente proposto, in ragione della mancata corrispondenza dei contenuti della impugnazione, riguardante la responsabilità dell'imputato, rispetto a quanto formava oggetto dell'appello principale, relativo alla responsabilità civile della società appellante connessa al fatto illecito contestato. Ciò in considerazione della natura dell'appello incidentale che, ha sostenuto il giudice del gravame, non è strumento autonomo d'impugnazione, ma ha natura accessoria rispetto a quello principale, al quale deve necessariamente raccordarsi.
La stessa corte ha poi dichiarato inammissibile l'appello incidentale della "Edil F.", avendone rinvenuto una carenza d'interesse, in vista della posizione antagonista che tale impugnazione assume rispetto a quella principale della parte avversa, nel caso di specie rappresentata da altro responsabile civile, la "S. Costruzioni";
posizione non rilevata nel caso della società appellante incidentale.
Quanto all'appello principale, il giudice del gravame ne ha rilevato l'infondatezza, osservando, anzitutto, che la richiesta di esclusione del responsabile civile non poteva essere accolta in quanto tardivamente proposta, atteso che l'art. 86 c.p.p., comma 3 prevede che essa deve proporsi, a pena di decadenza, non oltre la fase degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti in dibattimento;
laddove, nel caso di specie, in tale fase processuale nessuna eccezione o richiesta di esclusione è stata sollevata dalla "S.".
Nel merito, lo stesso giudice ha rilevato che la "S." era tenuta a rispondere della condotta del P. posto che la propria attività costui, nonostante la formale autonomia derivante del contratto stipulato con la "S.", sostanzialmente svolgeva alle dipendenze delle altre imprese presenti nel cantiere, che di volta in volta a lui si rivolgevano per integrare le proprie squadre di lavoratori, ove se ne fosse manifestata la necessità.
3- Avverso tale decisione propongono ricorso l'imputato ed il responsabile civile "S. Costruzioni".
A) P.M., con unico motivo, deduce violazione di norme processuali, in relazione alla dichiarata inammissibilità dell'appello dallo stesso proposto. Lamenta il ricorrente che la corte territoriale avrebbe erroneamente escluso il carattere di appello incidentale dell'impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado.
In particolare, egli sostiene che detto appello tendeva a dimostrare come l'affermazione di responsabilità fosse stata conseguenza di una mancata attenta verifica dei fatti da parte del primo giudice. Ciò in adesione all'appello principale, che aveva ad oggetto, non solo la legittimazione passiva del responsabile civile, ma anche l'affermazione di responsabilità dello stesso imputato. Ambedue gli appelli, quindi, quello principale della "S." e quello incidentale proposto dall'imputato, tendevano a dimostrare l'inconsistenza dell'accusa rivolta al P., quello del responsabile civile, inoltre, a contestare la condanna dello stesso al risarcimento del danno, evidentemente connessa al tema della responsabilità penale dell'imputato. Proprio al capo della sentenza relativo a tale responsabilità sì rivolgeva l'appello di quest'ultimo che, in ragione della connessione tra i due temi, doveva ritenersi incidentale rispetto a quello principale che riguardava, oltre che la condanna al risarcimento dei danni, anche l'affermazione di responsabilità dell'imputato che di quella costituisce il presupposto.
B) La responsabile civile, "S. Costruzioni s.r.l.", ricorre avverso la sentenza della corte territoriale, laddove i giudici del gravame, male interpretando l'oggetto dell'appello, ne hanno dichiarato l'inammissibilità, avendo ritenuto che lo stesso fosse diretto a contestare la propria "legitimatio ad processum", cioè la legittimità della propria chiamata in causa (in tal caso l'eccezione sarebbe stata effettivamente tardiva), laddove il tema proposto riguardava la stessa configurabilità e la sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile nel processo penale, ritenuto inesistente dalla ricorrente in vista dell'assenza di qualsiasi rapporto tra la stessa e l'imputato, se si esclude il contratto di subappalto, che tuttavia non vale ad estendere al sub committente le responsabilità per condotte illecite tenute dal sub appaltante.
Concludono i ricorrenti chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
4- Ambedue i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, l'uno per manifesta infondatezza, l'altro anche per la sua genericità.
1) Quanto al ricorso proposto dal P., osserva la Corte che corretta si presenta la decisione dei giudici della corte territoriale, di dichiarare l'inammissibilità dell'appello proposto dall'imputato, in considerazione della tardività dello stesso -non contestata dal ricorrente - e dell'impossibilità di rilevarne la natura incidentale rispetto all'appello della "S.", responsabile civile.
Con particolare riguardo all'appello incidentale, sulla cui declaratoria d'inammissibilità si concentra il ricorso dell'imputato, occorre osservare che lo stesso - secondo la prevalente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte - non è strumento autonomo d'impugnazione, ma ha natura accessoria rispetto a quello principale, di talchè esso non può avere ad oggetto altro che i capi o punti della sentenza direttamente investiti con l'appello principale, non anche quelli che ne sono rimasti estranei.
Ciò è stato ritenuto anche al fine di evitare che si travalichino i limiti del devolutum e che si vanifichino i termini fissati per l'impugnazione.
Orbene, nel caso di specie, l'appello principale, proposto dalla "S.", non ha riguardato la responsabilità dell'imputato - che pure ben avrebbe potuto esser direttamente oggetto d'impugnazione da parte della società responsabile civile, ai sensi dell'art. 575 cod. proc. pen. - e neanche il diritto della parte civile ad essere risarcita, bensì solo la legittimazione passiva della stessa società, la sua tenutezza a risarcire il danno alla parte civile, sul rilievo - pur esso estraneo al tema della responsabilità penale dell'imputato - che, avendo il P. operato quale impresa autonoma subappaltante e non come soggetto alle dipendenze della S., questa non poteva esser chiamata a rispondere del suo operato.
Questione, dunque, che non si è in nessun modo rapportata al tema della responsabilità penale dell'imputato, verso la quale l'appellante principale ha in realtà manifestato assoluto disinteresse, cioè un atteggiamento che quella responsabilità, proprio per il S.nzio serbato sul punto, ha addirittura finito con il ribadire, sia pure solo implicitamente.
Corretta, quindi, si presenta la decisione impugnata e manifestamente infondata la censura proposta dall'imputato.
2) Manifestamente infondato, ed in parte generico, è anche il ricorso proposto dal responsabile civile "S. Costruzioni s.r.l.".
In realtà, è pur vero che la corte territoriale, forse equivocando il senso del riferimento all'art. 87 c.p.p. contenuto nell'atto di appello proposto dalla "S.", ha ritenuto che detta società avesse inteso anche contestare la propria "legitimatio ad processum", cioè la propria stessa capacità di esser parte del rapporto processuale oggetto di esame, ma è anche vero che la stessa corte ha, comunque, affrontato il tema della "legitimatio ad causam", cioè della sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile, ed ha congruamente spiegato le ragioni della ritenuta sussistenza dello stesso e quindi del proprio dissenso rispetto alle opposte conclusioni prospettate della società appellante.
Sotto tale profilo, quindi, il ricorso si presenta manifestamente infondato.
Neanche in punto di sussistenza del richiamato diritto la sentenza impugnata si presenta meritevole di censura.
I giudici del merito hanno, invero, sostenuto che la "S.", in forza del contratto di subappalto delle opere di carpenteria, stipulato con la "Edil F.", era stata espressamente delegata a porre in essere tutte le misure necessarie ad evitare e prevenire infortuni; proprio in considerazione di tale delega, la stessa società aveva predisposto il piano operativo di sicurezza. La delega alla sicurezza, d'altra parte, nei termini in cui era stata prevista, non poteva, secondo gli stessi giudici, esser trasferita ad eventuali subappaltatori, non solo in considerazione dell'espresso divieto di subappalto previsto nel contratto stipulato dalle predette due società, ma anche, e soprattutto, per quanto specificamente riguarda il P., per la evidente incapacità della modesta impresa artigianale di cui costui era titolare di offrire garanzie di sorta in tema di sicurezza e di rispetto delle norme di prevenzione degli infortuni.
Di tale incapacità, hanno soggiunto quei giudici, era perfettamente a conoscenza la "S.", se è vero che nello stesso contratto di subappalto stipulato con il P. era previsto che solo alla società sub committente spettava l'organizzazione dei lavori e della mano d'opera e la fornitura delle attrezzature necessarie alla esecuzione dei lavori, rimanendo a carico del subappaltatore solo l'attrezzatura minuta. Se è vero, ancora, che gli stessi mezzi di protezione individuale erano forniti dalla "Edil F." e che lo stesso P. ed il suo unico dipendente venivano di volta in volta destinati ad integrare le squadre di lavoratori di altre imprese presenti nel cantiere, ovunque se ne fosse manifestata la necessità.
Circostanze, quelle sopra richiamate, acquisite agli atti del processo e non contestate dalla società ricorrente, che hanno legittimamente indotto i giudici del merito a ritenere che il subappalto al P. era null'altro che un espediente per trasferire a persona del tutto inidonea gli obblighi di sicurezza che la "S." si era assunta con il contratto stipulato con la "EdilFas".
Il rapporto tra la società e l'impresa individuale si avvicinerebbe, secondo gli stessi giudici, ad un appalto di manodopera, vietato, o comunque ad un subappalto di un'opera ad una impresa che mancava delle capacità tecniche ed amministrative per eseguirla correttamente, e che il subappaltatore altro non era che un semplice esecutore di ordini, privo di qualsiasi autonomia organizzativa: di qui la ravvisata responsabilità civile in capo alla società sub committente.
Orbene, a fronte di tale coerente argomentare, con cui i giudici del merito hanno spiegato le ragioni per le quali la "S.", benchè rimasta estranea alle condotte delittuose contestate all'imputato, dovesse rispondere dei danni da tali condotte cagionati, nulla oppone la società ricorrente, se non la pretesa assenza di qualsiasi obbligo risarcitorio in termini, tuttavia, del tutto generici, per nulla correlati alle argomentazioni poste dalla corte territoriale a fondamento della propria decisione.
Di qui il giudizio di genericità, sotto il richiamato profilo, e dunque di inammissibilità della proposta impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.