Cassazione Penale, Sez. 4, Sent., 26 gennaio 2011, n. 2597 - Infortunio sul lavoro e causalità della colpa
Responsabilità del legale rappresentante di una s.p.a. per infortunio ad un lavoratore: l'imputato aveva infatti consentito che il dipendente prestasse la propria attività in uno spazio insufficiente per l'attività di movimentazione di grosse scatole di cartone alla quale era adibito.
Nonostante la situazione di incertezza sulla ricostruzione fattuale dell’incidente, i giudici di merito avevano ritenuto sufficiente, per affermare la responsabilità penale del datore di lavoro dell’infortunato, il solo accertamento della regola cautelare violata.
Ricorso in Cassazione - La Corte annulla con rinvio.
La Cassazione infatti, dopo aver ricostruito la categoria giuridica delle cosiddette fattispecie causalmente orientate, disattende il ragionamento probatorio dei giudici di merito che, nel condannare l'imputato, avevano ritenuto irrilevante la circostanza di non essere riusciti a ricostruire le modalità dell’infortunio, essendo stata comunque accertata la violazione della regola cautelare indicata.
Tale conclusione non è condivisibile per i giudici della Suprema Corte, in quanto, per poter affermare la responsabilità penale è pur sempre necessario fornire la prova che la violazione della regola cautelare abbia contribuito causalmente al verificarsi dell’evento.
"Nei reati colposi è infatti sempre necessario verificare se la accertata violazione della regola cautelare, normativamente o meno prevista, abbia cagionato il singolo evento di cui si discute. In questi casi si parla di causalità della colpa; concetto che, si badi, non è di costruzione dottrinale o giurisprudenziale, ma è espressamente preso in considerazione dall'art. 43 cod. pen. laddove ricollega l'elemento psicologico di natura colposa al presupposto che "l'evento..........si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero ...".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo G. - rel. Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) C.F. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 9272/2008 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 19/05/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALATI Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per il ricorrente, l'avv. MUSSA Carlo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
La Corte:
FattoDiritto
1) Le sentenze di merito. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 19 maggio 2009, ha confermato la sentenza 19 marzo 2008 del Tribunale della medesima Città che aveva condannato C.F. alla pena di Euro 300,00 di multa per il delitto di lesioni colpose gravi in danno di F.D. cagionate a seguito di un infortunio sul lavoro verificatosi in ***.
L'imputato all'epoca rivestiva la qualità di legale rappresentante della s.p.a. E.A. e quindi di datore di lavoro della persona offesa ed è stato ritenuto responsabile dell'infortunio perché aveva consentito che il dipendente prestasse la sua attività in uno spazio insufficiente per l'attività di movimentazione di grosse scatole di cartone alla quale l'infortunato era adibito.
2) I motivi di ricorso. Contro la sentenza indicata ha proposto ricorso, a mezzo del suo difensore, C.F. che ha dedotto anzitutto il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. perché, pur essendo stato accertato che lo spazio di lavoro era insufficiente, la mancata ricostruzione dell'infortunio non aveva consentito di ricollegare l'evento alla violazione della regola cautelare e lo stesso infortunato non era stato in grado di fornire una ricostruzione attendibile dell'evento.
Nel ricorso si precisa poi che l'ispezione dei luoghi era stata effettuata un anno dopo l'infortunio per cui non vi era alcuna prova che non fosse stato modificato lo stato esistente alla data dell'incidente; inoltre i giudici di merito in alcun conto avrebbero tenuto la deposizione del teste D. che aveva riferito di una situazione dell'ambiente di lavoro diversa rispetto a quella contestata.
3) Le fattispecie causalmente orientate. All'esame dei motivi di ricorso occorre premettere alcune considerazioni di carattere generale che riguardano, in particolare, le fattispecie tipiche dell'omicidio e delle lesioni, sia nella forma dolosa che in quella colposa.
La disciplina sulla causalità, contenuta negli artt. da 40 a 43 cod. pen. è infatti spesso integrata dalla descrizione del meccanismo causale in quelle norme incriminatici che non si limitano a descrivere l'evento ma indicano - sia pure in modo spesso generico - anche il percorso causale che può far ritenere integrato il fatto tipico di reato.
Quando ciò non avvenga si parla di fattispecie di reato c.d. "causalmente orientate" (si tratta, in particolare, dell'omicidio e delle lesioni sia nella forma colposa che dolosa) nelle quali il legislatore ha preso in considerazione esclusivamente l'evento senza descrivere la condotta astrattamente idonea a produrlo per cui la tipicità è descritta esclusivamente dal tipo di evento e, sotto il profilo soggettivo, dalle regole cautelari violate.
La concretizzazione della fattispecie passa attraverso l'individuazione dei doveri violati essendo impossibile, per il legislatore, descrivere tutte le condotte ipotizzabili, con una conseguente accentuazione della normativizzazione delle fattispecie (ancor più evidente nelle fattispecie omissive improprie) ed un ampliamento dei poteri del giudice cui è attribuito il compito di delimitare le fattispecie in esame.
Tra l'altro il caso delle fattispecie causalmente orientate è proprio quello preso in considerazione dal legislatore per descrivere, all'art. 43 c.p., il reato colposo per il riferimento esclusivo che viene fatto all'evento (in questo caso certamente inteso come evento materiale) con la conseguente omessa considerazione di tutte le fattispecie colpose di mera condotta che costituiscono, tra l'altro, la maggior parte delle fattispecie contravvenzionali che sanzionano la violazione di regole cautelari normativamente previste.
Esempi di reato nei quali il legislatore ha invece previsto anche il percorso causale (con la conseguenza che il medesimo evento a seguito di un percorso diverso difetta di tipicità) sono le ipotesi previste dall'art. 499 cod. pen. (il grave nocumento alla produzione nazionale può avvenire esclusivamente con la distruzione di materie prime, prodotti agricoli o industriali, mezzi di produzione), dall'art. 438 cod. pen. (il reato di epidemia può essere cagionato soltanto "mediante la diffusione di germi patogeni") ecc. In altri casi poi la descrizione può essere solo parziale: per es. l'art. 640 cod. pen. che sanziona il delitto di truffa ci dice che l'induzione deve avvenire per mezzo di artifizi o raggiri (quindi non ogni induzione in errore integra il fatto tipico della truffa) anche se poi non spiega in che cosa consistano gli artifizi e i raggiri.
Al di fuori di queste ipotesi specificamente previste la norma non prevede la descrizione del meccanismo di produzione dell'evento che peraltro può essere ritenuto necessario nelle ipotesi che vedremo.
4) La descrizione dell'intero meccanismo causale. Qualche volta, indipendentemente dall'impegno di parti, periti, consulenti e giudici l'indagine rimane inevitabilmente monca. Non sempre infatti è possibile accertare l'intero meccanismo eziologico che ha condotto al verificarsi dell'evento.
Il problema è reso più complesso dalla circostanza che - in mancanza dell'accertamento della completa concatenazione causale che ha provocato l'evento - non è sempre possibile individuare tutte le leggi scientifiche di copertura, in ipotesi esistenti, idonee a spiegare il verificarsi dell'evento.
Si pensi ad una frana di grosse dimensioni: potrebbe essere caduta per un terremoto, per uno scavo effettuato senza aver adottato le necessarie cautele, per il brillamento di mine compiuto senza le precauzioni richieste, ecc.. Alcuni autori fanno discendere da questa situazione di possibile incertezza la conseguenza che, in questi casi, non potrebbe ritenersi accertato il rapporto di causalità.
A questo dubbio aveva però dato una precisa risposta la giurisprudenza di legittimità che, già con la sentenza Cass., sez. 4, 6 dicembre 1990, Bonetti e altri, aveva affrontato il problema in questi termini confermando il ragionamento della Corte d'appello:
"Come si vede, il discorso della corte è di esemplare linearità:
- è impossibile che il giudice, nell'accertare il rapporto causale, venga a capo di tutti, conosca tutti i passaggi causali, tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce il suo effetto, che proceda ad una spiegazione fondata su una serie continua di eventi;
- è sufficiente che il giudice, adottando il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, universali o statistiche, restando, cioè, vincolato a parametri oggettivi e impersonali forniti dalla scienza e, quindi, ripudiando il modello individualizzante, colga, metta in luce, uno o più antecedenti che, secondo quelle leggi scientifiche, universali o statistiche, siano tali che senza lo stesso o gli stessi l'evento, con alto grado di probabilità, con probabilità, cioè, logica o credibilità razionale, non si sarebbe verificato;". 5) I più recenti orientamenti giurisprudenziali. Più recentemente si è ancora affermato che il nesso di condizionamento deve ritenersi provato non solo quando (caso improbabile) venga accertata compiutamente la concatenazione causale che ha dato luogo all'evento ma, altresì, in tutti quei casi nei quali, pur non essendo compiutamente descritto o accertato il complessivo succedersi di tale meccanismo, l'evento sia comunque riconducibile alla condotta colposa dell'agente sia pure con condotte alternative; e purché sia possibile escludere l'efficienza causale di diversi meccanismi eziologici. In questo senso v. Cass., sez. 4, 15 marzo 1995 n. 2650, Trotta, in Giust. pen., 1996,11,445, che ha ritenuto irrilevante l'indicazione di una delle cause alternative dell'evento qualora le conseguenze dell'una o dell'altra soluzione siano identiche. Nello stesso senso, più di recente, v. Cass., sez. 4, 17 aprile 2007 n. 21602, Ventola, rv. 237588.
Una parola definitiva su questo punto è stata pronunziata dalla sentenza Franzese delle sezioni unite che così si esprime: "poiché il giudice non può conoscere tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce il suo effetto, né procedere ad una spiegazione fondata su una serie continua di eventi, l'ipotesi ricostruttiva formulata in partenza sul nesso di condizionamento tra condotta umana e singolo evento potrà essere riconosciuta fondata soltanto con una quantità di precisazioni e purché sia ragionevolmente da escludere l'intervento di un diverso ed alternativo decorso causale".
Ciò che rileva, quindi, è che siano individuati tutti i possibili meccanismi eziologici e verificare se queste alternative ricostruzioni possano essere tutte riferite alle condotte (colpose) di indagati e imputati; oppure che si possa comunque escludere che ne esistano di ragionevolmente ipotizzabili che possano condurre all'esclusione dell'esistenza di un contributo causale da parte dell'agente.
Queste conclusioni sono condivise anche dalla prevalente dottrina. Si è detto che "non si può pretendere che il giudice spieghi l'intero meccanismo di produzione dell'evento, e non lo si può pretendere perché non è possibile conoscere esattamente tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa produce l'effetto finale".
Se il lavoratore è caduto dall'impalcatura perché il datore di lavoro non gli ha fornito la cintura di sicurezza (o perché non ha controllato che l'indossasse) è irrilevante accertare che il lavoratore sia caduto per un malore, o per un errore di valutazione, o per una spinta involontaria di un terzo perché, qualunque sia stata la causa, l'osservanza della regola precauzionale sarebbe stata comunque idonea ad impedire l'evento finale.
6) Il caso di specie e la causalità della colpa. Premesso dunque che non è sempre necessario accertare la completa concatenazione causale che ha provocato l'evento va ora verificato se il caso accertato dai giudici di merito sia riconducibile a una di queste ipotesi; la risposta da dare a questo quesito deve essere negativa.
I giudici di merito hanno accertato che, all'epoca del sinistro, i luoghi dove prestava la sua attività il lavoratore infortunato non rispondevano alle prescrizioni contenute nel D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 8 la cui violazione è stata contestata nell'imputazione. Si tratta di un accertamento ormai incensurabile in questo giudizio perché le censure proposte sul punto involgono una ricostruzione dei fatti motivatamente compiuta, e in modo certamente non illogico, dalla Corte territoriale sulla base delle deposizioni del verbalizzante e di tre lavoratori che, all'epoca dell'infortunio, prestavano la loro attività in azienda.
Si è già detto che i giudici di merito non sono riusciti a ricostruire le modalità dell'infortunio. In particolare, anche per le contraddittorie dichiarazioni del lavoratore infortunato, non è stato accertato se questi fosse caduto perché, girandosi, aveva urtato un banchetto ovvero se l'infortunato - come riferito in un secondo momento - avesse urtato contro il banchetto mentre trasportava un voluminoso e pesante cartone.
Secondo la Corte di merito l'accertamento dell'ipotesi effettivamente verificatasi sarebbe irrilevante essendo stata comunque accertata la violazione della regola cautelare indicata, ma questa motivazione non è condivisibile.
Certo se il lavoratore era normalmente adibito al trasporto di carichi pesanti e ingombranti la ristrettezza dei percorsi ben potrebbe aver contribuito a cagionare l'evento. Ma se, in ipotesi, fosse vera invece la prima ipotesi ricostruttiva contenuta nella sentenza impugnata non ne discenderebbe automaticamente la riconducibilità dell'evento alla violazione della regola cautelare perché i giudici di merito non hanno spiegato in quale modo la (provata) violazione abbia contribuito al verificarsi dell'evento.
Una caduta conseguente all'urto contro un mobile o un oggetto non è infatti automaticamente ricollegabile all'insufficienza dello spazio in cui il lavoratore opera ben potendo, l'urto, essere derivato da una diversa causa essendo necessario, inoltre, che il giudice di merito formuli il giudizio controfattuale chiarendo se, ove gli spazi fossero stati sufficienti, l'infortunio si sarebbe ugualmente verificato.
Nei reati colposi è infatti sempre necessario verificare se la accertata violazione della regola cautelare, normativamente o meno prevista, abbia cagionato il singolo evento di cui si discute. In questi casi si parla di causalità della colpa; concetto che, si badi, non è di costruzione dottrinale o giurisprudenziale, ma è espressamente preso in considerazione dall'art. 43 cod. pen. laddove ricollega l'elemento psicologico di natura colposa al presupposto che "l'evento..........si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero............".
Questi principi sono stati riaffermati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare nella materia degli incidenti avvenuti nella circolazione stradale (v., sulla necessità di verificare se l'incidente si sarebbe verificato ugualmente anche con l'osservanza delle regole cautelari del caso, Cass., sez. 4, 18 settembre 2008 n. 40802, Spoldi, rv. 241475).
7) Conclusioni. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Napoli che si atterrà ai principi enunciati verificando, se possibile, le esatte modalità dell'infortunio e provvedendo al conseguente accertamento se la violazione, ormai incontestabilmente accertata, della regola cautelare abbia concretamente influito sul verificarsi dell'evento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Napoli.