Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 giugno 2011, n. 12201 - Appalto e responsabilità


 

  • Appalto e Contratto d’opera
  • Committente
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    Fatto

     


    Con sentenza n. 192/2004 il Tribunale di Treviso ha ritenuto la cooperativa A.A. s.c.a.r.l. e la Fonderia A. spa responsabili in solido nella misura del 90% (con ripartizione interna del 60% a carico della Fonderia A. e del 40% a carico di A.A.), con il concorso di colpa di Walter T. nella residua misura del 10%, delle conseguenze dannose derivate al lavoratore, socio della cooperativa, a seguito di un infortunio sul lavoro da lui subito mentre era addetto alle operazioni di registrazione di un nastro trasportatore presso la sede della società Fonderia A..

    A tale conclusione, il Tribunale è pervenuto ritenendo che sia l'impresa subappaltante che il subappaltatore dovevano ritenersi responsabili dell'incidente per non avere garantito, la prima, l'incolumità del lavoratore ammesso nello stabilimento e per non avere controllato, il secondo, la sicurezza del luogo di lavoro; ritenendo, inoltre, che nella fattispecie fosse ravvisabile anche l'ingerenza del committente nell'esecuzione dei lavori appaltati e che l'operazione fosse stata consentita malgrado l'esistenza evidente del pericolo (con impianto in moto e pulsante di arresto non raggiungibile dal punto dove si trovava il T.).
     

    La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 4.4.2007, ha confermato la sentenza del Tribunale in ordine alla ritenuta responsabilità delle due società, escludendo però il concorso di colpa del T. e rigettando la domanda di risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica.
     

    Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società Fonderia A. affidandosi a cinque motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
     

     

     

    Diritto
     

     

    1.- Con il primo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla ricostruzione della dinamica del sinistro, siccome effettuata dal giudice di prime cure e recepita acriticamente dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, per quanto riguarda in particolare le operazioni effettivamente poste in essere dal T. al momento dell'incidente.


    2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5, comma 1, comma 2, lett. a), b), d), e), f), h) e dell'art. 93, comma 1, d.lgs. n. 626/94, relativamente alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha escluso l'esistenza di qualsiasi responsabilità del T. nella causazione dell'evento dannoso.
     

    3.- Con il terzo motivo si deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla statuizione con cui il giudice d'appello ha confermato la ripartizione interna delle singole responsabilità tra i soggetti tenuti a rispondere in solido dell'evento dannoso nella misura, già stabilita dal Tribunale, del 60% a carico della società Fonderia A. e del 40% a carico della cooperativa A.A. s.c.a.r.l.

     

    4.- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalia presenza o meno di barriere laterali a protezione dell'impianto sul quale stava operando il T..
     

     

    5.- Con il quinto motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1 della legge n. 1369/60, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di una ipotesi di interposizione illecita di manodopera in relazione alla presenza del T. all'interno dell'azienda della Fonderia A..
     

     

    6.- Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati e devono essere accolti per quanto di ragione.

     

    Va premesso anzitutto che le censure espresse nella prima parte del primo motivo non possono ritenersi idonee ad inficiare la validità delle argomentazioni svolte dal giudice d'appello in ordine alla materiale ricostruzione della dinamica dell'incidente, risolvendosi le stesse in una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d'appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest'ultima (anche perché non vengono riportati in ricorso - o vengono riportati solo parzialmente - sia il contenuto delle dichiarazioni rese dal T. all'interrogatorio formale sia quello delle deposizioni testimoniali, sulle quali si fondano le stesse censure); dovendo, peraltro, ribadirsi che, come è stato più volte affermato da questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo esame, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

    Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c, ricorre, dunque, soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre tale vizio non si configura allorché il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 16499/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 42/2009, Cass. 17477/2007, Cass. 15489/2007, Cass. 7065/2007, Cass. 1754/2007, Cass. 14972/2006, Cass. 17145/2006, Cass. 12362/2006, Cass. 24589/2005, Cass. 16087/2003, Cass. 7058/2003, Cass. 5434/2003, Cass. 13045/97, Cass. 3205/95).
     

     

    Devono invece ritenersi fondate le censure espresse nella seconda parte del primo motivo e nel secondo motivo relativamente alle statuizioni contenute nella sentenza impugnata in ordine al concorso di colpa del lavoratore.
    A tale proposito, deve innanzi tutto ribadirsi - come questa Corte (cfr. Cass. 7328/2004, cui adde Cass. 7127/2007, Cass. 19559/2006, Cass. 5493/2006, Cass. 4980/2006 e, più recentemente, Cass. 3786/2009, Cass. 9817/2008) ha già affermato -che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell'infortunio, ed in tal caso la responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta.
     

    Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto di escludere qualsiasi concorso di colpa del lavoratore nella causazione dell'evento dannoso, pur avendo accertato che lo stesso "nell'eseguire l'operazione richiestagli aveva solo sopravvalutato la propria (pacifica) esperienza professionale acquisita presso terzi ... non valutato adeguatamente le caratteristiche dell'impianto sul quale doveva quel giorno operare" e agito "in eccesso di confidenza"', affermando che tale comportamento non presentava i caratteri della imprevedibilità o della eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento ed eliminare la responsabilità del datore di lavoro.
    La motivazione sul punto presenta una obiettiva incoerenza ed un evidente vizio logico, giacché l'esclusione di qualsiasi concorso di colpa del lavoratore si pone in netto contrasto con gli accertamenti in fatto compiuti, secondo cui il T. avrebbe "sopravvalutato la propria (pacifica) esperienza professionale'", "non valutato adeguatamente le caratteristiche dell'impianto'''' e agito "in eccesso di confidenza", ed è in contrasto con gli stessi precedenti richiamati dalla Corte territoriale (Cass. 6377/2003), secondo cui l'eventuale colpa del lavoratore non è in sé idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell'imprenditore, sul quale grava l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ed il concorso o la cooperazione colposa del lavoratore nella causazione del danno non eliminano la responsabilità del datore di lavoro, ma ne riducono soltanto la quantificazione in misura proporzionale;
    principio, come si è visto, costantemente ribadito dalla giurisprudenza successiva, che va anche in quest'occasione confermato.
     

    Il primo e il secondo motivo debbono dunque essere accolti nei sensi sopra chiariti.
     

    7.- L'esame del terzo motivo resta logicamente subordinato a quello del quinto, essendo evidente che, ove dovesse ritenersi insussistente l'ipotesi della interposizione o comunque di un potere di ingerenza del committente nell'esecuzione dei lavori, tale da comprimere almeno parzialmente l'autonomia organizzativa dell'appaltatore, con la conseguente esclusione di qualsiasi responsabilità in capo alla Fonderia A., non avrebbe senso esaminare la questione della ripartizione interna delle rispettive colpe tra le due società (Fonderia A. e A.A.).
     

    8.- Il quarto motivo è inammissibile perché privo di autosufficienza e concretezza in ordine alla indicazione dei profili di rilevanza del fatto controverso (la presenza delle barriere protettive laterali) in relazione al quale la motivazione si assume carente, oltre che per la mancata riproduzione del contenuto integrale della deposizione del teste sulla quale si fonda la censura.
     

    9.- Il quinto motivo è fondato. La Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto di ravvisare un'ipotesi di interposizione vietata dalla legge n.1369 del 1960 nel fatto che il T. aveva ricevuto l'ordine di eseguire l'operazione, da cui era poi derivato l'infortunio, direttamente da un dipendente della Fonderia A., come, del resto, era "già avvenuto in altre diverse occasioni nel pur breve periodo in cui era intercorso il rapporto".
     

    Anche su questo punto la motivazione è carente.

    Se, infatti, è vero che, nella vigenza del regime di cui alla legge n. 1369/1960 (ora abrogata dall'art. 85, comma 1, lett. e) d.lgs. n. 276/2003), uno degli indici principali dell'interposizione è stato ravvisato nell'assoggettamento dei dipendenti dello pseudo appaltatore al potere direttivo e di controllo dell'effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative (Cass. 8643/2001, Cass. 3196/2000, Cass. 5087/99), in quanto tale situazione denoterebbe l'assenza di un vero appalto, che si caratterizza per l'utilizzazione diretta della prestazione lavorativa da parte dell'appaltatore, con esercizio del potere direttivo e di controllo da parte di quest'ultimo, quale creditore della prestazione lavorativa del personale da lui dipendente, è anche vero che l'esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto e che, sotto questo profilo, può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell'opera oggetto dell'appalto che dovranno essere rispettate dall'appaltatore, con la conseguenza che "non può ritenersi sufficiente ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al risultato di tali prestazioni, che può formare oggetto di genuino contratto di appalto" (Cass. 13015/93, cui adde Cass. 9398/93, secondo cui per valutare la legittimità dell'appalto, il giudice deve tener conto anche "delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa che manifestino la sussistenza di un rapporto di subordinazione diretta con il committente").
    Sotto questo profilo, come già detto, la motivazione risulta del tutto carente, essendosi la Corte territoriale limitata a constatare che l'intervento per la registrazione del nastro trasportatore era stato eseguito su "ordine'" di un dipendente della Fonderia A. e che lo stesso era avvenuto ""in altre diverse occasioni", senza fornire ulteriori elementi idonei ad una migliore identificazione della natura delle disposizioni impartite dal personale dell'appaltante ed alla loro inerenza o meno a concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
     

    10.- Il motivo deve dunque essere accolto, restando così assorbito, per quanto già sopra detto, l'esame del terzo motivo.
     

    11.- La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla stessa corte d'appello in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia nel rispetto degli enunciati principi.
    Il giudice del rinvio esaminerà anche se, nella fattispecie in esame, fermi restando gli accertamenti in fatto già compiuti nelle precedenti fasi di merito, possa comunque configurarsi una corresponsabilità dell'appaltante ove risulti, sulla base degli stessi accertamenti, che quest'ultimo si sia ingerito nell'esecuzione dei lavori con direttive tali da comprimere almeno parzialmente l'autonomia organizzativa dell'appaltatore, trattandosi di profilo non esaminato dal giudice d'appello in quanto ritenuto implicitamente assorbito dalla prova dell'esistenza della interposizione.
    Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
     

     

    P.Q.M.

     


    La Corte accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo, assorbito il terzo e inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo esame anche sulle spese alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 8 marzo 2011.

    Depositato in  Cancelleria il 06 giugno 2011