Cassazione Penale, Sez. 4, 09 giugno 2011, n. 23292 - Sub appalto e morte di un lavoratore
- Appalto e Contratto d’opera
- Committente
- Datore di Lavoro
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Valutazione dei Rischi
Responsabilità del direttore del reparto di acciaieria colata continua di una spa, munito dal 23 aprile 2003 di specifica delega agli adempimenti in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, dell'amministratore unico e legale rappresentante di una s.r.l, sub appaltatrice dei lavori commissionati dalla s.p.a, e di un operaio dipendente di quest'ultima, per infortunio mortale di un dipendente della srl (L.) operante all'interno dello stabilimento della spa.
La vittima, alla guida di un carrello elevatore, durante le operazioni di trasporto di materiale dal parco rottame ai reparti di produzione, invece di eseguire il percorso esterno allo stabilimento, come prescritto, passava attraverso il reparto fossa (ove viene eseguita la colata dell'acciaio ed i lingotti fusi trasportati su carri cd. porta placche, che si spostano lungo binari grazie una fune d'acciaio collegata ad un trattore); durante tale percorso, presumibilmente per la caduta a terra di una parte del carico, il L. fermava il mezzo nel reparto di colata, lasciandolo in sosta proprio sui binari di transito porta placche e scendeva dal carrello, non avvedendosi del sopraggiungere di un carrello porta placche condotto dal C., dipendente della spa, da cui veniva violentemente investito, riportando gravissime lesioni in conseguenza delle quali decedeva.
Condannati, ricorrono tutti in Cassazione - Rigetto
Quanto al primo imputato, la Corte afferma che "non è mai stato contestato che nel trattore Zephir, utilizzato per la spinta posteriore dei carri - ponte non funzionassero né il cicalino né il lampeggiatore, aventi la evidente e specifica funzione di allertare che il mezzo era in movimento; è rimasto, altresì, accertato che il trattore era anche privo di gancio, per cui non era possibile ancorarlo al carro ponte, che, una volta ricevuta la spinta, procedeva per forza di inerzia.
Alla gravità dei difetti strutturali del trattore va aggiunta l'intrinseca pericolosità della manovra di spinta che veniva svolta praticamente alla cieca in quanto il manovratore del trattore- posto dietro il carro- non poteva vedere eventuali ostacoli sul binario oltre il carroponte.
Questo quadro fattuale è stato correttamente e logicamente posto dai giudici di merito a fondamento del giudizio di rilevanza causale delle predette violazioni nella determinazione dell'evento.
Se i segnali di allerta avessero funzionato durante l'approssimarsi del mezzo alla zona ove si trovava il L., quest'ultimo avrebbe potuto percepirli e mettersi in salvo, come pure se il carro fosse stato agganciato al trattore sarebbe stato possibile arrestare prontamente il carro in avanzamento."
Sono ineccepibili, continua il Collegio, "le conclusioni della sentenza impugnata quando questa afferma che le violazioni riscontrate sono specifici e multipli aspetti dell'uso di un mezzo complessivamente inidoneo ai fini della sicurezza e perciò esse debbono imputarsi a chi, proprio per la posizione apicale, avrebbe dovuto provvedere alla sostituzione del mezzo stesso (avendo piena ed esclusiva autonomia di spesa) ovvero ad adeguarlo compiutamente a svolgere in sicurezza il lavoro per cui veniva usato, come è effettivamente avvenuto dopo il sinistro.
Non si può negare, infatti, che la tempistica di manutenzione delle macchine rientra nelle scelte di politica aziendale inerente all'organizzazione delle lavorazioni e che quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità dell'organo di vertice.
Per gli stessi motivi non è condivisibile la linea difensiva diretta a concentrare la responsabilità sui livelli intermedi, in particolare il responsabile del servizio manutenzione, che non era intervenuto a rimuovere le carenze funzionali della macchine ed il responsabile del reparto, che non avrebbe adibito un operatore a terra per la manovra del carro porta placche".
Il giudizio di responsabilità del datore di lavoro della srl è stato invece fondato sulla omessa valutazione dei rischi nei confronti della vittima, essendo stato accertato che il piano di sicurezza della srl non riportava indicazioni circa il rischio specifico di interferenze con mezzi di transito su rotaia.
Del resto, non può pertinentemente addursi l'imprevedibilità e quindi l'abnormità del comportamento del lavoratore, ove si consideri il principio pacifico secondo cui l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l' obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'"abnormità" del comportamento del lavoratore infortunato.
Quanto infine al lavoratore dipendente della spa, la Corte afferma che "vale ricordare che la disamina dei "soggetti" della normativa di prevenzione non può limitarsi a considerare quelli tradizionalmente considerati titolari della "posizione di garanzia" (datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc.), tenuti cioè a "garantire" il rispetto della disciplina precauzionale per la tutela della incolumità del lavoratore. Anche lo stesso "lavoratore", infatti, assume un ruolo affatto passivo, essendo onerato anch'egli di obblighi prudenziali finalizzati a prevenire la verificazione dell'infortunio a danno proprio o di altri lavoratori."
Era l'art. 5 d.lgs. 626/1994, ed è oggi l'articolo 20 del decreto legislativo 81/2008, che impone al lavoratore di prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle proprie azioni od omissioni.
Fattodiritto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste confermava quella di primo grado che aveva ritenuto la responsabilità di M. Paul, S. Davor e C. Deni con riferimento al reato di omicidio colposo in danno di L. Emanuele, dipendente della E., aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica (fatto del 24 settembre 2003).
Agli imputati è stato ascritto di avere cagionato la morte di L. Emanuele, assunto da circa due mesi nella qualità di operaio metalmeccanico dalla E. s.r.l - sub appaltatrice dei lavori commissionati dall'A.B.S. s.p.a per i lavori interni di manutenzione meccanica e di carpenterie varie - il quale, alla guida di un carrello elevatore, durante le operazioni di trasporto di materiale dal parco rottame ai reparti di produzione, nel suo terzo giro di ritorno, invece di eseguire il percorso esterno allo stabilimento, come prescritto, passava attraverso il reparto fossa (ove viene eseguita la colata dell'acciaio ed i lingotti fusi trasportati su carri cd. porta placche, che si spostano lungo binari grazie una fune d'acciaio collegata ad un trattore); durante tale percorso, presumibilmente per la caduta a terra di una parte del carico, il L. fermava il mezzo nel reparto di colata, lasciandolo in sosta proprio sui binari di transito porta placche e scendeva dal carrello, non avvedendosi del sopraggiungere di un carrello porta placche condotto dal C., dipendente della ABS, da cui veniva violentemente investito, riportando gravissime lesioni in conseguenza delle quali decedeva nella notte tra il 24- 25 settembre 2003.
Il reato de quo veniva contestato al M., nella qualità di direttore del reparto di acciaieria colata continua della A.B.S, munito dal 23 aprile 2003 di specifica delega agli adempimenti in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, al S., nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della E. s.rl, operante all'interno dei reparti della A.B.S. s.p.a, al C., nella qualità di operaio dipendente della A.B.S., addetto tra l'altro alla movimentazione sui binari mediante trattore dei carri ferroviari adibiti al trasporto delle lingottiere utilizzate per ricevere le colate dell'acciaieria, individuando profili di colpa generica e di colpa specifica, con riferimento ad ognuno di essi.
La Corte di appello, nel confermare il giudizio di responsabilità, con riferimento a Paul M., ha ricondotto all'imputato la violazione di due distinte regole cautelari, rispettivamente previste dagli artt. 35, primo e secondo comma d.Lgs. 626/94 e la seconda dall'art. 8 d.P.R. 547/1995 nonché dall'art. 35, commi primo, secondo e quarto bis lettere a) e b) del citato decreto n. 626/94.
In sostanza la Corte territoriale, in conformità a quanto ritenuto dal primo giudice, ha addebitato all'imputato di avere messo a disposizione del lavoratore C. un trattore Zephir con segnalatori acustici e luminosi non funzionanti e privo dell'apposito dispositivo di agganciamento nonché di avere omesso di imporre idonee regole di circolazione all'interno del reparto fossa di colata ed in particolare di non avere impedito il transito di mezzi e persone suscettibili di interferire con l'attività del reparto.
Ed è stata ritenuta la sussistenza del nesso causale tra tali condotte colpose e l'evento, disattendendo la tesi difensiva della irrilevanza delle violazioni sotto il profilo causale, fondata sul rilievo che la posizione del L., chino a raccogliere i pezzi, non gli avrebbe comunque consentito di vedere la luce ed il rumore di fondo del reparto gli avrebbe impedito di sentire il cicalino, che avvertiva del sopraggiungere del mezzo.
In proposito la Corte territoriale ha affermato che ciò che rilevava era, comunque, il momento dell'approssimarsi dello Zephir alla zona, così che se i segnali avessero funzionato per allertare circa il movimento dei mezzi, il L. avrebbe potuto percepirli e tenerne conto. Quanto alla imputabilità di queste violazioni al M. e non al responsabile della manutenzione-come sostenuto dalla difesa - la Corte territoriale ha affermato che le violazioni indicate sono soltanto specifici e multipli aspetti dell'uso di un mezzo comunque complessivamente inidoneo ai fini della sicurezza e perciò dovevano essere imputate a chi, proprio per la posizione apicale, avrebbe dovuto provvedere alla sostituzione del mezzo stesso ovvero al suo adeguamento al fine di svolgere in sicurezza il lavoro.
La sentenza ha, altresì, disatteso la tesi difensiva diretta ad evidenziare un comportamento omissivo del responsabile del reparto fossa , che avrebbe dovuto vietare l'accesso da parte di terzi non addetti. Sul punto i giudici di appello hanno affermato che, una volta accertato che questi aveva debitamente segnalato il problema della viabilità in reparto, di tale problema avrebbe dovuto farsi carico il responsabile della sicurezza.
Quanto al S., legale rappresentante della E., di cui il L. era dipendente, i giudici di merito hanno fondato la responsabilità dell'imputato sul fatto che il piano di sicurezza formalmente consegnato al L. non riportava indicazioni circa il rischio specifico di interferenze con mezzi di transito su rotaia, ciò dimostrando l'omessa valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro nei confronti del dipendente L..
Sul punto la Corte territoriale ha disatteso la tesi difensiva secondo la quale il giudice di primo grado avrebbe dovuto tener conto che l'obbligo di informativa era stato assolto dal responsabile e coordinatore della sicurezza, per cui solo il L., che aveva trasgredito ordini e direttive, poteva ritenersi causa dell'infortunio.
I giudici di appello hanno ritenuto l'autonomia delle posizioni di garanzia ed hanno affermato il principio di corresponsabilità tra il datore di lavoro e gli altri responsabili della sicurezza.
Quanto al C., il giudizio di responsabilità è stato fondato sulla violazione dell'obbligo previsto dall'art. 5 d.Lgs 626/1994 di prendersi cura della sicurezza e della salute degli altri lavoratori giacché, in ragione della pericolosità della manovra di spinta da dietro del carroponte, in assenza di ogni visibilità e in un reparto, che non era chiuso all'accesso di terzi, l'imputato aveva omesso di adottare la massima prudenza nella esecuzione della citata manovra.
Propongono ricorso per Cassazione, tramite difensore, i prevenuti.
M. articola due motivi.
Con il primo lamenta l' erronea applicazione dell'art. 40, comma secondo, cod.pen. e dell'art. 43, comma primo, cod.pen. e comunque la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al ritenuto giudizio di responsabilità. Si sostiene l'irrilevanza causale delle violazioni contestate nell' evento lesivo afferenti la sicurezza del mezzo di lavoro costituito dal trattore Zephir (malfunzionamento dei segnalatori acustici e visivi e difetto del dispositivo di agganciamento) e l'apoditticità della motivazione sul punto, fondata su mere congetture (in particolare una indimostrato grado di rumorosità nella fossa al momento dell'incidente da consentire alla vittima di percepire il segnale di allerta proveniente dal trattore), inconciliabile con un giudizio controfattuale ispirato ad un modello di probabilità logica di massima certezza. Sotto altro profilo, si contesta comunque la riconducibilità di tali operazioni alla responsabilità apicale del M., che aveva predisposto una organizzazione del lavoro adeguata, considerato che la riparazione del trattore era di competenza del servizio manutenzione, che interveniva su segnalazione del responsabile del reparto, e non dell'amministratore delegato. In proposito si richiama la giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità del rappresentante di una società di grandi dimensioni sostenendo che in tali casi l'esigenza della delega è assorbita dalla predeterminata suddivisione dei servizi delle attribuzioni e dei compiti tra soggetti qualificati ed idonei. In questa prospettiva, si sostiene, pertanto, che erroneamente erano state imputate all'amministratore le carenze funzionali di dispositivi del veicolo, imputabile, invece, a chi aveva la gestione del servizio manutenzione. Si censura la sentenza anche nella parte in cui esclude la responsabilità del responsabile del reparto, che avrebbe dovuto assicurare la sicurezza della procedura di movimentazione dello Zephir mediante l'utilizzazione di due agenti, di cui un addetto a terra che verificasse la percorribilità del tratto di binario interessato. Ciò tenuto conto che si trattava di una operazione intrinsecamente pericolosa in quanto il trattore doveva necessariamente essere collocato dietro il carro porta placche e ciò impediva la visibilità frontale. Si sostiene l'illogicità della sentenza che avrebbe trascurato il dato che il responsabile del reparto era anche responsabile della stessa organizzazione del lavoro in quell'ambito e che, pertanto, la giustificazione fornita dallo stesso di carenza del personale non valeva ad escludere il difetto di vigilanza, che avrebbe potuto e dovuto essere assolta in altro modo e soprattutto non poteva essere ricondotto ad una colpa di organizzazione del vertice dell'impresa.
Ciò tenuto conto che la suindicata misura organizzativa era imposta dal documento di valutazione dei rischi, di cui il M. non aveva conoscenza e che la segregazione del reparto, rendendolo effettivamente non accessibile ai mezzi ed alle persone, non era prospettabile dovendo essere normativamente mediata dai compiti di sorveglianza sull'accesso al luogo di lavoro, che competevano al responsabile del reparto, a ciò investito dall'imputato.
Con il secondo motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di equivalenza delle circostanze, fondato in termini di congruità della pena mentre nel giudizio di bilanciamento andrebbero poste a raffronto le circostanze di segno opposto in relazione al peso assunto nella commissione del fatto. Nel caso in esame tali circostanze avrebbero dovuto indurre a conferire alla pretesa colpa dell'imputato un grado minimo.
Il ricorso proposto dal M. è infondato.
Il ricorrente in sostanza contesta il ritenuto nesso di causalità tra le violazioni addebitategli e l'evento nonché in ogni caso, l'asserita riconducibilità delle predette violazioni alla responsabilità apicale dell'imputato, censurando la decisione nella parte in cui aveva tralasciato di considerare eventuali addebiti nei confronti dei responsabili del servizio di manutenzione e del responsabile del reparto, che avrebbe dovuto assicurare la sicurezza della procedura di movimentazione dello Zephir mediante l'utilizzazione di due lavoratori.
Quanto al primo profilo di censura, la ricostruzione dell'incidente operata dai giudici di merito attraverso le testimonianze e gli accertamenti svolti dalla PG nella immediatezza del fatto - sostanzialmente non contrastata dagli imputati- giustifica le conclusioni a cui sono pervenuti con riferimento alla rilevanza causale delle violazioni alla normativa antinfortunistica sopra
richiamata.
Non è mai stato contestato, infatti, che nel trattore Zephir, utilizzato per la spinta posteriore dei carri - ponte non funzionassero né il il cicalino né il lampeggiatore, aventi la evidente e specifica funzione di allertare che il mezzo era in movimento; è rimasto, altresì, accertato che il trattore era anche privo di gancio, per cui non era possibile ancorarlo al carro ponte, che, una volta ricevuta la spinta, procedeva per forza di inerzia.
Alla gravità dei difetti strutturali del trattore va aggiunta l'intrinseca pericolosità della manovra di spinta che veniva svolta praticamente alla cieca in quanto il manovratore del trattore- posto dietro il carro- non poteva vedere eventuali ostacoli sul binario oltre il carroponte.
Questo quadro fattuale è stato correttamente e logicamente posto dai giudici di merito a fondamento del giudizio di rilevanza causale delle predette violazioni nella determinazione dell'evento.
Se ì segnali di allerta avessero funzionato durante l'approssimarsi del mezzo alla zona ove si trovava il L., quest'ultimo avrebbe potuto percepirli e mettersi in salvo, come pure se il carro fosse stato agganciato al trattore sarebbe stato possibile arrestare prontamente il carro in avanzamento.
Il giudizio controfattuale, formulato in questi termini, non presenta alcuna manifesta illogicità siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e le deduzioni difensive afferenti la posizione della vittima ed il livello di rumorosità esistente nella "fossa" tendono a prospettare elementi meramente possibilisti incapaci di inficiare quella conclusione.
Anche il secondo profilo di censura è infondato.
Non è certamente qui in contestazione il principio affermato dalla difesa secondo il quale in imprese di grandi dimensioni, come quella in questione, non può individuarsi il soggetto responsabile, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell'effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all'interno dell' apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, esattamente, Sezione IV, 10 dicembre 2008, Vespasiani, rv.242480, ed i riferimenti in essa contenuti). In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore.
Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l'addebitare all'organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri.
Tale principio va pero inscindibilmente coniugato con l'altro, pur consolidato, secondo il quale, pur a fronte di una delega corretta ed efficace ( nell'ipotesi neanche affermata), non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza. E' ipotesi, quest'ultima, che può non infrequentemente verificarsi allorché si tratti dello svolgimento di attività lavorative pericolose, foriere di produrre inquinamento o di porsi come (con)cause efficienti di malattie professionali ( v. per riferimenti, oltre la già citata sentenza Vespasiani, anche Sezione IV, 6 febbraio 2007, Proc.Gen. Messina in proc. Chirafisi ed altro, rv.236279 ed i riferimenti ivi contenuti).
In questi termini, sono ineccepibili le conclusioni della sentenza impugnata quando questa afferma che le violazioni riscontrate sono soltanto specifici e multipli aspetti dell'uso di un mezzo complessivamente inidoneo ai fini della sicurezza e perciò esse debbono imputarsi a chi, proprio per la posizione apicale, avrebbe dovuto provvedere alla sostituzione del mezzo stesso (avendo piena ed esclusiva autonomia di spesa) ovvero ad adeguarlo compiutamente a svolgere in sicurezza il lavoro per cui veniva usato, come è effettivamente avvenuto dopo il sinistro.
Non si può negare, infatti, che la tempistica di manutenzione delle macchine rientra nelle scelte di politica aziendale inerente all'organizzazione delle lavorazioni e che quindi, coinvolge appieno la sfera di responsabilità dell'organo di vertice.
Per gli stessi motivi non è condivisibile la linea difensiva diretta a concentrare la responsabilità sui livelli intermedi, in particolare il responsabile del servizio manutenzione, che non era intervenuto a rimuovere le carenze funzionali della macchine ed il responsabile del reparto, che non avrebbe adibito un operatore a terra per la manovra del carro porta placche.
Sul punto si osserva quanto segue.
In primo luogo, tali soggetti, che comunque rappresentano un livello di responsabilità intermedio , in quanto dirigenti ad un certo livello una articolazione dell'attività produttiva, non portano le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, ma hanno poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all'effettivo potere di spesa ( v. anche Sezione IV, 8 aprile 2008, De Sanctis ed altri, non massimata, che intervenuta sulla figura dei dirigenti, ha definito tali quei dipendenti che hanno il compito di impartire ordini ed esercitare la necessaria vigilanza, in conformità alle scelte di politica d'impresa adottate dagli organi di vertice che formano la volontà dell'ente: essi rappresentano, dunque, l'alter ego del datore di lavoro, nell'ambito delle competenze loro attribuite e nei limiti dei poteri decisionali).
In secondo luogo, la molteplicità delle posizioni di garanzia (oltre il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto), in funzione delle rispettive attribuzioni e competenze, consente di affermare che ognuno è destinatario diretto (iure proprio) delle norme antinfortunistiche, prescindendo da una eventuale "delega di funzioni" conferita dal datore di lavoro. Ciò ovviamente non esclude che, nel concreto, chiamati a rispondere della violazione possano essere più soggetti contitolari di posizioni di garanzia concorrenti e convergenti rispetto alla medesima finalità prevenzionale, restando peraltro ferma l'esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati in proprio dalle norme citate, allorché la mancata attuazione dei relativi obblighi "sia addebitabile unicamente agli stessi", non essendo riscontrabile un difetto di vigilanza da parte del datore di lavoro e dei dirigenti.
In tema di obbligo di garanzia, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che, nell'ipotesi in cui i titolari della posizione di garanzia siano più di uno, ciascuno di questi è, "per intero", destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto (v. Sezione IV, 29 ottobre 2004, Rizzini ed altri, non massimata). La responsabilità "solidale", peraltro, presenta aspetti peculiari allorché, come nella vicenda de qua, si accerti un rapporto di "sovraordinazione" tra i titolari della posizione di garanzia, nel senso che ad uno siano attribuiti poteri di controllo e di verifica rispetto alla condotta dell'altro.
In questo caso, la solidarietà della responsabilità, rispetto all'evento dannoso e/o pericoloso che si doveva prevenire e/o evitare, non annulla la specificità del diverso contenuto che l'obbligo di garanzia assume a seconda della qualità soggettiva del garante. Cosicché, con riguardo al superiore gerarchico, tale obbligo non muta nella sostanza e rimane pur sempre un obbligo il cui contenuto è essenzialmente quello di verificare, coordinare, controllare il comportamento del sottordinato.
In sostanza, il garante sovraordinato non deve fare quanto è tenuto a fare il garante subordinato, ma deve piuttosto scrupolosamente accertare se il subordinato è stato effettivamente garante, ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta ( v. anche Sezione IV, 19 aprile 2005, n. 38810, Di Dio, rv.232415). Questa situazione è stata debitamente esclusa dalla Corte territoriale che ha correttamente evidenziato come la specifica assegnazione a terzi di specifici compiti non esonerava dalla responsabilità il titolare del potere di vigilanza, che era stato informato della situazione di rischio creata dalla interferenza del passaggio di mezzi nella fossa, e dall'altra ha escluso in concreto addebiti nei confronti del responsabile del reparto manutenzione e del responsabile del reparto fossa, con valutazioni qui insindacabili ed in ogni caso non escludenti la responsabilità dell'odierno ricorrente.
Anche il secondo motivo afferente il giudizio di bilanciamento delle circostanze è infondato.
Il ricorrente non considera che, ai fini della determinazione della pena, il potere discrezionale del giudice di merito, correlato all'apprezzamento degli elementi indicati nell'art. 133 cod.pen., è incensurabile se supportato da coerente e congrua motivazione.
Quanto detto vale, a fortori, anche per il giudice d'appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante, non è tenuto ad un'analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti e della determinazione della pena, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (cfr., ex pluribus, Sezione IV, 21 giugno 2005, Lantani ed altro, non massimata).
A ciò dovendosi aggiungere, con specifico riguardo al contenuto dell'obbligo di motivazione , che questo si attenua sia nel caso in cui il giudice ritenga di applicare la pena in misura prossima o vicina al minimo edittale (come nella specie), tanto più se si consideri che l'applicazione del minimo edittale non è correlata ad un diritto assoluto dell'imputato (in tal senso, cfr. Sezione IV, 12 luglio 2005, Bianchi ed altro, non massimata).
Analoghe considerazioni valgono per il giudizio di comparazione tra le circostanze (art. 69 cod.pen.), la cui finalità è quella di apprezzare la personalità del colpevole e la vera entità del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto.
Nella fattispecie, il giudice di appello ha correttamente fatto riferimento, nel confermare il giudizio di equivalenza formulato dal primo giudice, alla gravità delle omissioni accertata.
Vale, del resto, il principio in forza del quale il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti non è censurabile in sede di legittimità qualora il giudice di merito abbia giustificato la soluzione adottata con la indicazione degli elementi ritenuti prevalenti ai fini del giudizio di comparazione, anche se non abbia confutato tutte le deduzioni delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa dì tutte le circostanze del reato. In questa prospettiva, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 cod.pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Sezione VI, 8 luglio 2009, Abruzzese ed altri, non massimata).
A tale principio cui il giudicante si è attenuto valorizzando, appunto, il ruolo avuto nella vicenda, in ragione delle peculiarità della posizione di garanzia rivestita.
Il S. articola due motivi.
Con il primo deduce la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ravvisa la responsabilità penale dell'imputato, pur riconoscendo che il L., disattendendo specifiche disposizioni, aveva di sua iniziativa intrapreso "il percorso interno". Il profilo di colpa contestato, fondato su di una omessa informativa al lavoratore era, pertanto, contraddetto dalla specifica disposizione impartita di transitare sempre in una parte esterna alla "fossa", non rispettata dal L., la cui imprevedibile decisione era stata l'unica causa dell'infortunio.
Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della motivazione con riferimento al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche giustificato dalla circostanza che l'area avrebbe dovuto essere efficacemente interdetta, situazione riferibile ai preposti dell'ABS e non all'odierno ricorrente.
Anche il ricorso proposto nell'interesse del S. è infondato.
Il ricorrente ripropone anche in questa sede la tesi difensiva secondo la quale l' incidente è stato determinato in via esclusiva dal comportamento abnorme del lavoratore, al quale erano state impartite in concreto dal preposto indicazioni di passare all'esterno.
Tale impostazione non è condivisibile.
Il giudizio di responsabilità del S. è stato fondato sulla omessa valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro nei confronti del L., essendo stato accertato che il piano di sicurezza E. non riportava indicazioni circa il rischio specifico di interferenze con mezzi di transito su rotaia.
La ricostruzione sul punto del giudice di merito non può essere rinnovata, non palesandosi evidenti illogicità, neppure a fronte della diversa rappresentazione della vicenda operata in ricorso.
Del resto, non può pertinentemente addursi l'imprevedibilità e quindi l'abnormità del comportamento del lavoratore, ove si consideri il principio pacifico secondo cui l'eventuale colpa del lavoratore [concorrente con l'addebito colposo di cui si è detto, contestato all'imputato] non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l' obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'"abnormità" del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli [come nel caso di specie non può essere messo in discussione] (cfr. da ultimo, Sezione IV, 11 gennaio 2011, L'Episcopo, non massimata).
Quanto alla censura sul giudizio di comparazione delle circostanze, valgono le considerazioni già sviluppate supra in ordine al ricorso M..
Il giudicante ha qui fatto buon governo del proprio potere discrezionale, esercitabile sulla base dei parametri di riferimento di cui all'articolo 133 cod.pen., valorizzando il ruolo avuto nella vicenda dal S., in ragione delle peculiarità della posizione di garanzia rivestita.
Il C. articola quattro motivi.
Con i primi tre motivi lamenta la violazione dell'art. 521 cod.proc.pen. sul rilievo della mancata correlazione tra imputazione e sentenza, che aveva riconosciuto l'aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, che non era mai stata contestata all'imputato, erroneamente fondandola sulla violazione dell'art. 5 d. Lgs. 626/1994 che impone anche al singolo lavoratore di prendersi cura della sicurezza e della salute degli altri lavoratori.
Con il quarto motivo lamenta la contraddittorietà della sentenza con riferimento al giudizio di responsabilità non essendo configurabile alcun profilo di colpa a carico dell'imputato, che si era limitato ad adempiere alla sua mansione, che era quella di movimentare il carro in assenza di procedure di sicurezza che competevano ad altri,
Anche tale ricorso è infondato.
Non vi è stata affatto una contestazione impropria dell'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, giusta il contenuto della imputazione, e corretto è sul punto il pertinente richiamo agli obblighi di sicurezza che incombono anche al lavoratore effettuato dal giudice di merito, richiamando la disciplina all'epoca vigente (v. articolo 5 d.lgs. 626/1994 e ora art. 20 d.Lgs 81/2008).
Vale ricordare che la disamina dei "soggetti" della normativa di prevenzione non può limitarsi a considerare quelli tradizionalmente considerati titolari della "posizione di garanzia" (datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc.), tenuti cioè a "garantire" il rispetto della disciplina precauzionale per la tutela della incolumità del lavoratore. Anche lo stesso "lavoratore", infatti, assume un ruolo affatto passivo, essendo onerato anch'egli di obblighi prudenziali finalizzati a prevenire la verificazione dell'infortunio a danno proprio o di altri lavoratori.
Importante, in proposito, è la disposizione sopra richiamata ratione temporis dalla corte di merito e, oggi, per quanto possa valere, il disposto dell'articolo 20 del decreto legislativo 81/2008, che dettaglia una serie di obblighi cautelari "specifici", posti a carico del lavoratore, la cui violazione integra un addebito a titolo di "colpa specifica", con gli effetti, in caso di danno alle persone, di cui agli articoli 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod.pen.
Di rilievo, in particolare, è l'obbligo imposto al lavoratore di prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni, espressamente indicato sia nell'articolo 5 d.Lgs. 626/1994, sia, ora, nel richiamato articolo 20.
La doglianza sul giudizio di responsabilità è parimenti destituita di fondamento, mirando a censurare l'apprezzamento sul punto svolto dal giudicante, che ha posto in evidenza il profilo di colpa addebitabile al preveduto, che, a tacer d'altro, aveva intrapreso la manovra "al buio", contravvenendo alle più elementari regole di prudenza.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso nella camera di consiglio del 28 aprile 2011