Tribunale di Roma, Sez. 13 Civ., 22 aprile 2011 - Scivolamento nel corridoio scivoloso e responsabilità contrattuale


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

TRIBUNALE DI ROMA

 

TREDICESIMA SEZIONE CIVILE

 

nella persona del giudice unico dott. ssa Emanuela Schillaci, ha emesso la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 43783/07, posta in decisione all'udienza del 26.10.2010, vertente

 

Tra

 

De.Gi., elett.te dom.ta in Roma, via (...), presso l'avv. Po.Ca., che la rappresenta e difende in virtù di delega a margine dell'atto di citazione;

 

- attrice -

 

E

 

Te., in persona del dott. Gu.Bo., elettivamente domiciliata in Roma, via (...), presso l'avv. Ca.Bo. e Ra.De., che la rappresentano e difendono, in virtù di delega in calce all'atto introduttivo;

 

- convenuta -

 

Oggetto: risarcimento danni ex art. 2087 e 2051 c.c.

 

Fatto

 

Con atto di citazione in rinnovazione ritualmente notificato, Gi.De. conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, la S.p.A. It. Esponeva l'attrice:

 

- di aver lavorato in favore e alle dipendenze della S.p.A. Te. e, in data 15.3.2000, varcato l'ingresso della sede ove prestava servizio in Roma, dirigendosi verso il suo ufficio, di essere caduta in terra nel percorrere il corridoio reso scivoloso, riportando lesioni fisiche;

 

- malgrado la responsabilità della Te. S.p.A. sia quale datore di lavoro che quale custode dell'immobile, a nulla valevano le richieste di risarcimento danni.

 

Concludeva pertanto l'attrice chiedendo la condanna della Te. S.p.A. (nella quale la Te. si era fusa per incorporazione, come risultante da visura camerale), al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro. Si costituiva la Te., rilevando il difetto della scelta del rito e l'intervenuta prescrizione, nonché il proprio difetto di legittimazione passiva, l'infondatezza della domanda nel merito e concludendo per il rigetto.

 

La causa, concessi i termini di cui all'art. 183 e.6 c.p.c., assegnata definitivamente all'odierno giudicante,veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 26.10.2010 e, in tale udienza, veniva trattenuta in decisione, con termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

 

 

Diritto

 

Quando viene denunciata una compromissione delle condizioni di salute, "id est" una lesione dell'integrità psicofisica, in conseguenza dello svolgimento delle mansioni cui il lavoratore sia stato addetto nel corso di un rapporto di lavoro subordinato, la relativa responsabilità datoriale può ascriversi ad inadempimento contrattuale a fronte della generale obbligazione datoriale di tutela delle condizioni di lavoro, e quindi dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, ex art. 2087 cod.civ., ovvero alla violazione del generalissimo precetto del "neminem laedere", vale a dire la lesione del diritto alla vita ed alla integrità personale quale conseguenza di illecito extracontrattuale, di cui all'art. 2043 cod. civ., azioni queste alle quali si correla un diverso regime con riferimento, tra l'altro, all'elemento soggettivo, agli oneri probatori e alla prescrizione estintiva del diritto al risarcimento del danno.

 

Ciò precisato, si osserva che legittimamente può essere proposta la domanda per responsabilità contrattuale ed aquiliana sulla stessa situazione di fatto e che, conseguentemente, sussiste la legittimità della coeva proposizione delle relative domande, sia pur sotto il profilo della duplicità del titolo risarcitorio, comportante un distinto regime per ciascuna delle azioni.

 

Nel caso di specie, parte attrice ha chiarito che la condotta illecita contestata è collegata all'inadempimento di specifici obblighi contrattuali, precisando, in sede di comparsa conclusionale, che la propria domanda ".. trae origine, in fatto, da un infortunio sul lavoro occorsole il 15 maggio 2000 negli uffici della società datrice di lavoro ne pertanto si è invocata a suo fondamento la responsabilità di quest'ultima in virtù di una presunzione di colpa derivante dalla concorrente applicabilità degli artt. 2051 c.c. responsabilità da cose in custodia, 2087 c.c. e del D.L. n. 626/94 che, in materia di sicurezza sul lavoro, obbligano il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", precisando, altresì, che "... trattasi, quindi, di responsabilità per inadempimento contrattuale con consequenziale applicazione del termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. ...".

 

L'attore pertanto, pur avendo azionato sia la responsabilità da contratto che quella extracontrattuale, ha scelto di limitare la domanda alla azione contrattuale, fondata sull'inosservanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti al rapporto di impiego, a fronte della eccezione di intervenuta prescrizione sollevata dalla convenuta, che ha rilevato la mancanza, in atti di parte attrice, delle richiamate "richieste di risarcimento". Individuata la domanda attorea come domanda avente ad oggetto l'accertamento della violazione, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di cautela e tutela su di esso incombenti, inquadrato pertanto il dedotto incidente e le conseguenze lamentate, come infortunio sul lavoro, causato secondo l'assunto attoreo, dalla mancata vigilanza "... acchè il pavimento fosse in perfetto stato e privo di sostanze scivolose tali da renderlo una minaccia per i dipendenti che erano necessitati a percorrerlo per raggiungere le proprie postazioni di lavoro .." devesi rilevare che la controversia in questione, come correttamente rilevato dalla società convenuta, rientra nella previsione di cui all'art. 409 c.p.c., in virtù del richiamo operato dall'art. 442 c.p.c.

 

Nelle cause relative al risarcimento del danno derivante da infortunio sul lavoro nei confronti del datore di lavoro, per violazione tanto dell'art. 2087 cod. civ. che della normativa in materia di prevenzione infortuni, ove il lavoratore faccia valere la responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi di tutela derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, la competenza spetta infatti al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro a norma dell'art. 409 c.p.c.

 

Per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato di cui all'art. 409 n. 1 c.p.c., devono intendersi non solo quelle relative ad obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente a detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa pretendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e come presupposto necessario e non necessariamente occasionale della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, come nel caso di risarcimento del danno derivante da infortunio sul lavoro.

 

Tanto premesso, va però osservato che in materia di procedimento civile vige il principio secondo cui la ripartizione delle funzioni fra le sezioni lavoro e le sezioni ordinarie di un organo giudicante all'interno dello stesso ufficio è estranea al concetto di competenza, non essendo la prima una sezione specializzata con specifica competenza rispetto alle altre sezioni ordinarie (vedi Cassazione Civile, sezione lavoro, 09 agosto 2004, n. 15391, Cassazione Civile, sezione III, 05 aprile 2003, n. 5368).

 

Inoltre, secondo la costante giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. 2574/99), nell'esercizio del potere d'interpretazione e qualificazione della domanda, il Giudice non è condizionato dalla formula, adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione, dedotta in causa, e dalle eventuali precisazioni, formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formai mente proposta.

 

Non ponendosi pertanto questioni di competenza bensì di rito, rilevato che lo svolgimento del giudizio secondo il rito ordinario, in luogo del rito previsto per le cause di lavoro, non pregiudica in alcun modo le ragioni delle parti, può passarsi all'esame del merito.

 

Va subito rilevato che la domanda, come proposta dall'attrice, risulta del tutto sfornita di prova e deve pertanto essere rigettata.

 

La difesa attorea non ha invero offerto alcuna prova delle lesioni fisiche asseritamente patite in occasione del sinistro avvenuto all'interno dei locali ove la De. svolgeva attività lavorativa in data 15.3.2000.

 

In atti l'attrice ha prodotto due referti del Centro Diagnostico Casertano datati 25.3.2002 (successivi di ben due anni al fatto lamentato) ed ha inteso sopperire al difetto di produzione documentale medica (ivi compreso il certificato di pronto soccorso), attraverso l'articolazione di capitoli di prova per testi del tutto inammissibili, perché valutativi e inidonei a provare il nesso causale fra il danno lamentato e l'evento.

 

La totale mancanza di prova del danno patito rende superflua ogni indagine circa l'accertamento del fatto storico fonte di quel danno.

 

Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda proposta dall'attrice deve essere rigettata per difetto di prova.

 

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

 

- rigetta la domanda come proposta da De.Gi. nei confronti di Te.;

 

- condanna De.Gi. alla rifusione, in favore di Te., delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre iva, c.p.a. e rimb. forf. come per legge.

 

Così deciso in Roma il 22 febbraio 2011.

 

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2011.