Cassazione Penale, Sez. 4, 17 giugno 2003, n. 25944 - Irregolare altezza di un parapetto e responsabilità di un RSPP


 

 

 

 

 

Responsabilità del direttore generale dell'Azienda USL (OMISSIS) e quindi datore di lavoro (M.I.), del responsabile di del "Servizio Prevenzione e sicurezza" per le strutture territoriali dell'Azienda usl (OMISSIS) nonchè ingegnere dell'Ufficio tecnico della medesima Azienda (M.M.), e del responsabile dei servizi acquisti, servizio tecnici e gestione patrimoniale della Azienda USL (OMISSIS) per aver cagionato per colpa la morte di M.P.A. psicologo in servizio presso la medesima azienda.

In particolare il tribunale aveva accertato che l'11/6/1997 la vittima era precipitata oltre il parapetto posto a protezione della scala esterna e del pianerottolo dell'edificio (Omissis) a causa delle irregolare altezza del parapetto medesimo, essendo lo stesso alto 85 centimetri e non almeno un metro, cadendo così da un'altezza di metri 5,85 nel cortile sottostante e riportando lesioni gravissime che ne avevano provocato il decesso durante il trasporto in ospedale.



A seguito di impugnazione dei prevenuti, la Corte d'Appello di Cagliari assolveva M.I. e T.M. dal reato loro ascritto per non avere commesso il fatto.

Hanno proposto ricorso per Cassazione le parti civili, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Cagliari e M.M.. - La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.M. limitatamente alle quantificazione della pena e rinvia sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Cagliari.

Rigetta il ricorso del procuratore Generale e quelli delle parti civili


 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Renato - Presidente

Dott. PERNA LA TORRE Ernesto - Consigliere

Dott. DE GRAZIA Benito Romano - Consigliere

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

 

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DI CAGLIARI;
1) M.M., N. IL (OMISSIS);
2) M.I., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 15/04/2002 CORTE APPELLO di CAGLIARI; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. PERNA LA TORRE ERNESTO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. M. Fraticelli, che ha concluso per l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso dell'imputato M.M., la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena, rigetto dei ricorsi del P.G. e delle parti civili;

uditi, per le parti civili gli avv. Anedda e Rovelli;

uditi i difensori avv.ti Concas e Patrizi che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

 

FattoDiritto



Il tribunale di Cagliari con sentenza del 12/2/2001, condannava M.I. alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno, nonché in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale di L. cento milioni per ciascuno, perché dichiarati colpevoli, con le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestato, "del reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, per avere, il M. nella sue qualità di direttore generale dell'Azienda USL n. (OMISSIS) di (OMISSIS) (e quindi datore di lavoro all'interno dell'azienda D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 2, lett. b), il M. nella sue qualità di responsabile di del "Servizio Prevenzione e sicurezza" per le strutture territoriali dell'Azienda usl (OMISSIS) di (OMISSIS) e di ingegnere dell'Ufficio tecnico della medesima Azienda, il T. nella sua qualità di responsabile dei servizi acquisti, servizio tecnici e gestione patrimoniale" della Azienda USL n. (OMISSIS) di (OMISSIS) cagionato per colpa la morte di M.P.A. psicologo in servizio presso la medesima azienda (S.E.R.T. di Quartu Sant'Elena); colpe consistite in negligenza imprudenza, imperizia e nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni negli ambienti di lavoro (in particolare del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 26 e 27), del Regolamento dell'Azienda USL di Cagliari ...".

In particolare il tribunale aveva accertato che l'11/6/1997 il M. era precipitato oltre il parapetto posto a protezione della scala esterna e del pianerottolo dell'edificio sito in (OMISSIS), e destinato al servizio (Ndr: testo originale non comprensibile), di pendenza a causa delle irregolare altezza del parapetto medesimo, essendo lo stesso alto 85 centimetri e non almeno un metro, cadendo così da un'altezza di metri 5,85 nel cortile sottostante e riportando lesioni gravissime che ne avevano provocato il decesso durante il trasporto in ospedale.

A seguito di impugnazione dei prevenuti, la Corte d'Appello di Cagliari con decisione del 15/04/2002 assolveva M.I. e T.M. dal reato loro ascritto per non avere commesso il fatto, escludendo la loro condanna al risarcimento del danno ed al pagamento della provvisionale, confermava nel reato la gravata decisione.

 

Hanno proposto ricorso per Cassazione le parti civili P.M.A. e V.P., in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore M. F., il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Cagliari e M.M..


La prima deduce: 1) violazione di legge e travisamento del fatto per aver assolto il M. dal reato ascrittogli sul rilievo che costui non aveva avuto mai conoscenza della irregolarità dell'altezza del parapetto in questione omettendo così di valutare che il prevenuto, quale direttore generale dell'USL era garante della complessiva correttezza dell'azione amministrativa riferibile all'ente che dirigeva ed inoltre che la predetta struttura (SERIT) era stata esaminata dal M. in occasione di un sopralluogo ivi effettuato con il T. ed in M. - come da risultanze processuali. La ricorrente assume, poi, che il M. aveva affidato il servizio di prevenzione e protezione al M., persona assolutamente inidonea, incapace in violazione, quindi, del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2 - 8, e che tale circostanza era stata negata dalla corte territoriale con evidente travisamento del fatto, così come accertato dai primi giudici. Con riferimento, poi, alla assoluzione del T. censura l'impugnata sentenza per violazione del D.P.R. n. 527 del 1955, art. 4, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8, artt. 589 - 42 c.p., in quanto il predetto aveva non soltanto il compito di gestire ed amministrare le unità immobiliari dell'azienda, ma autonoma capacità di decisione di spesa, con conseguente obbligo di controllo e della verifica delle carenze nel campo della prevenzione infortuni e della sicurezza.


Il Procuratore Generale eccepisce: 1) violazione di legge; 2) contraddittorietà e carenza delle motivazioni. Osserva il ricorrente che la Corte Distrettuale ha assolto il M., dal quale ha riconosciuto le posizioni di vertice nell'ambito della Azienda, sul presupposto, erroneo, che avendo istituito il sevizio di prevenzione e protezione D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 8, ciò aveva comportato il trasferimento al responsabile del servizio stesso degli obblighi di sicurezza datoriali, salvo a voler ritener sussistente un'ipotesi di responsabilità oggettiva. Ad avviso del P.G. si è in presenza di argomentazione non condivisibile in quanto si pone in evidente contrasto con la normativa in esame ispirata al criterio della massima responsabilizzazione del datore di lavoro, al quale è imposto l'obbligo di procedere ad una vera e propria programmazione della sicurezza attraverso gli adempimenti elencati nel D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 1 e 2.

Lamenta inoltre, il ricorrente la non corretta motivazione con la quale ha escluso la responsabilità del M. in ordine al profilo di colpa specifica che gli era stata contestata consistente nell'inosservanza delle norme sull'altezza minima dei parapetti contenuta nel D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 26 - 27, sottolineando, la Corte, che la irregolarità non era stata menzionata all'atto delle consegne all'imputato sicchè costui non aveva avuto conoscenza delle segnalazioni in proposito indirizzata nel 1994 al suo predecessore, affermazione che si pone in contrasto con il rilievo che sul dirigente dell'USL grava l'obbligo di prendere cognizione di atti, relazioni, suggerimenti e denunce anche precedenti all'insediamento. Precisa, infine, che la Corte Distrettuale, sebbene il M. avesse ammesso nel corso del suo esame di non possedere alcuna competenza specifica in materia di sicurezza avendo affermato che non risultava "dimostrato l'assunto secondo il quale il predetto non sarebbe in possesso di "attitudini e capacità adeguate".

M. denuncia:

1) violazione degli artt. 40 - 41 c.p.. Mancanza di motivazione e manifesta illogicità della stessa nella ricostruzione del rapporto di causalità con specifico riferimento all'ipotesi suicidiarie, esclusa dalla Corte d'Appello non considerando che della consulenza eseguita ad iniziativa del P.M. si ricavava l'assenza di lesioni traumatiche alle mani e agli arti inferiori, circostanza che avvalorava l'ipotesi in questione, perchè significativa del fatto che il M., mentre precipitava dell'alto, nessun tentativo di difesa aveva posto in essere, relazioni istintive di difesa naturale ricavabile da una comune massima di esperienza;

2) violazione degli artt. 40 - 41 nell'accertamento del rapporto causale tra le presunte condotte colpose e l'evento in quanto formulato con giudizio probabilistico e non di certezza o probabilità vicino dalla certezza, avendo la Corte territoriale affermato che "anche un'altezza intermedia tra 100 e 120 cm avrebbe con ogni probabilità impedito l'accaduto";

3) nullità della sentenza per violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. d), con riferimento agli artt. 598 e 495 c.p.p., comma 2, per non aver disposto le richieste perizie al fine di accertare 1) le possibilità di una caduta accidentale, tenuto conto dell'altezza del parapetto e delle caratteristiche fisiche del M.; 2) se le lesioni riportate dal M. fossero valide a suggerire l'ipotesi suicidiarie.

4) Mancanza di motivazione in ordine alla commisurazione della pena e alla riduzione della stessa in virtù delle attenuanti generiche.

 

V.P., deduce: 1) inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 588 -113 - 40 cpv. c.p., D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 1, comma 4 bis e ter, art. 2, lett. b), art. 3, art. 4, comma 1, 2, 4, 5, 6, artt. 8 e 9.

2)Mancanza e/o manifesta illogicità del provvedimento impugnato nella parte in cui assolve M.I. e T.M..

La ricorrente dopo aver diffusamente illustrato la normativa infortunistica - applicabile alla fattispecie e che assume essere stata violata, ribadisce che é erroneo ritenere che il datore di lavoro non é responsabile qualora assegni l'espletamento dei compiti in materia di sicurezza e personale interno alle aziende, onde il M. che aveva conferito detto incarico al M., diversamente dalla corte territoriale, non per quanto poteva ritenersi spogliato delle sue prerogative dei suoi doveri. In primo luogo, pertanto, egli doveva predisporre un documento di valutazione del rischio collegato alle irregolarità del parapetto, che aveva l'obbligo di conoscere, indi controllare e verificare periodicamente l'attività, materialmente svolte dei preposti ed appositi incarichi e di intervenire in situazioni di mala gestio forte in essere dei predetti. Con le conseguenze che in caso di mancato assolvimento e tale dovere del datore di lavoro deve certamente riconoscersi in capo a costui una responsabilità per gli eventi infausti derivanti dalle inadempienze addebitabili alla figura del responsabile per sua dimostrata incapacità per colpa in eligendo. Per quanto attiene al T. le doglianze formulate dalla ricorrente sono analoghe a quelle prospettate dalla P..

 

 

I ricorsi sono infondati, fatta eccezione per le doglianze formulate dal M. in relazione all'omessa motivazione in ordine alle quantificazione della pena.

 

Deve osservarsi in primo luogo che i Giudici dell'appello hanno compiuto una organica e coordinata disamine delle risultanze probatorie dando adeguata base giustificativa al proprio convincimento sulla dinamica dell'incidente mortale occorso al M., ricostruiti sulla scorta di considerazioni di piena plausibilità e confluenza che, da una parte, hanno loro consentito di escludere che la caduta del predetto potesse ricondursi a volontà suicide della vittima, dall'altra di affermare che l'evento mortale non si sarebbe verificato in termini di certezza ove il parapetto fosse stato alto cm 120 e con alto grado di possibilità, il che non esclude il nesso di causalità con ala condotta omissiva, ove detta altezza fosse stata ricompresa tra i cm 100 (altezza e minima prevista dalla legge) e i cm 120.

Al riguardo deve sottolinearsi che non ha pregio la doglianza relativa alle violazione dello art. 495 c.p.p., comma 2, per non avere, la Corte disposta una perizia volta ad accertare la causa della caduta del M.. Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, deve negarsi che l'accertamento peritale possa ricondursi al concetto di prova decisiva, le cui mancate assunzione costituisce motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d). Infatti il ricorso o meno ad una perizia è attività sottratta al potere dispositivo delle parti (Ndr: testo originale non comprensibile), essenzialmente al potere discrezionale del giudice, le cui motivazioni, se assistita da adeguata motivazione è insindacabile in sede di legittimità. (cass. per. Sez. 3^ 14/12/98 n. 13086).

E nella specie la Corte territoriale ha esaurientemente motivato, come già precisato sul convincimento raggiunto sia sulla insussistenza di una volontà suicida da parte del M. sia in ordine al nesso causale sussistente tra l'insufficiente altezza del parapetto e la caduta del M..


Corretta è poi la impugnata sentenza laddove esclude la piena responsabilità del M. e del T.. Per quanto attiene al primo è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. pen. Sez. 3^, 18/9/'85 n. 8045; Sez. 4^ 22/3/'91 n. 3241; SS.UU. 14/10/'92 n. 9874; Sez. 3^ 11/2/2000 n. 9850) secondo cui il presidente dell'unità sanitaria locale (Usl) non può essere ritenuto responsabile solo perchè riveste tale carica, dalle deficienze infortunistiche riscontrate nelle varie sedi ospedaliere e territoriali dipendenti dall'Usl medesima. Infatti per la individuazione dei soggetti responsabili delle infrazioni alle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nell'ambito di impresa od enti ad organizzazione complessa e differenziata, occorre far riferimento alla ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, con la conseguenza che le disposizioni e le norme antinfortunistiche non debbono ritenersi violate dal presidente o dai capi degli enti o delle imprese, bensì dai preposti ai diversi rami della attività; nè capi, invece, possono essere addebitate per negligenza, imperizia e inottemperanza di norme di regolamento, solo quelle violazioni, a livello direttivo specificatamente contemplate dalle norme, dai regolamenti e dagli statuti che governano i singoli enti e le singole imprese. Orbene, coerente con il richiamato principio si appalesa la assoluzione del M. dalle contestazioni mossegli sotto il duplice profilo della colpa per omissione e di quella in esigendo, avendo la Corte Distrettuale osservato che risultava accertato in punto di fatto che il servizio di prescrizione e prevenzione era stato affidato al M.M., che il M. ignorava la specifica situazione di pericolo riscontrata nell'edificio di Quartu S. Elena; che nulla provava che il M. fosse sfornito delle capacità tecniche per svolgere il compito affidatogli, atteso che lo stesso tribunale aveva riconosciuto che a detto servizio è preposto un responsabile dotato di competenza e capacità necessarie, ed il M. era, infatti, un ingegnere dell'ufficio tecnico dell'Usl.

Riguardo, poi al T., la Corte territoriale applicando, con riferimento all'art. 40 c.p., e art. art. 27 Cost., il principio che la responsabilità penale è personale, ha sostanzialmente concluso che costui non potesse ritenersi automaticamente responsabile del mortale incidente a causa della carica ricoperta di preposto ai servizi tecnici ed acquisti e gestione patrimoniale dell'Usl, sottolineando correttamente, che egli all'interno dell'azienda non aveva ricoperto alcuna carica in qualche modo collegata ad una funzione di sicurezza degli ambienti di lavoro o elle strutture comunque appartenenti od utilizzate dall'USL (OMISSIS), e nemmeno risultava provato che il giudicabile per colpa aveva ostacolato, nella fattispecie, la realizzazione delle condizioni di sicurezza prevista dalla normativa antinfortunistica.

Si sottrae, infine, alle censure formulate il convincimento espresso dalla Corte territoriale circa la colpevolezza del M., sotto il profilo della negligenza, in ordine alla produzione dell'evento luttuoso in questione.

Ed in proposito i Giudici dello appello hanno ineccepibilmente posto in risalto la significativa e decisiva circostanza che il M. si era occupato dell'edificio di Quartu S. Elena destinato a SERT, comunicando nel (OMISSIS) (l'incidente de quo si é verificato a (OMISSIS)) una relazione sullo stato della sicurezza dell'immobile, ignorando il pericolo costituito dall'altezza dal parapetto delle scale in oggetto.

Va accolta la doglianza relativa alla mancanza di motivazione in ordine alle richieste di riduzione della pena, in quanto in presenza di articolati motivi di gravame formulati dal M., la Corte di Appello non ha spiegato le ragioni per le quali non ha ritenuto il giudicabile meritevole dello invocato più mite trattamento sanzionatorio, limitandosi a confermare - come da dispositivo - le pene inflitte in primo grado.

La sentenza impugnata, va, quindi, annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.





P.Q.M.

 



Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.M. limitatamente alle quantificazione della pena e rinvia sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Cagliari.

Rigetta il ricorso del procuratore Generale e quelli delle parti civili P.M.A., V.P. in proprio e nella qualità condanna le predette parti civili in solido al pagamento delle spese processuali per questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2003.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2003