Cassazione Penale, Sez. 4, 09 giugno 2011, n. 23285 - "Bocca di lupo" e mancata protezione
Responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori e del direttore di cantiere e legale rappresentante di una srl appaltante per la caduta di un lavoratore dipendente della società subappaltatrice (di cui era amministratore unico IZ. DE. che ha patteggiato la pena).
Assolti in primo grado, vengono condannati in secondo grado e ricorrono entrambi in Cassazione - Rigetto.
La Corte afferma che è innanzitutto indiscussa la mancata protezione dell'apertura che si trovava sul solaio a protezione della c.d. "bocca di lupo" e sulla quale, al momento dell'incidente, erano situate tavole amovibili e non fissate in alcun modo.
Ciò premesso va rilevato che la difesa del coordinatore per l'esecuzione è fondata, in buona sostanza, sulla circostanza che egli aveva segnalato la situazione di pericolo, che la medesima era stata eliminata e che la rimozione del sistema di fissaggio era avvenuta ad opera degli elettricisti che operavano al piano sottostante.
Come appare evidente si tratta di una ricostruzione diversa del fatto, in contrasto con quanto accertato dalla sentenza impugnata che ha invece escluso che la situazione di pericolo fosse stata rimossa e ha evidenziato come dunque l'imputato fosse venuto meno all'obbligo di coordinare le attività delle imprese che operavano contemporaneamente nel cantiere ( Decreto del Presidente della Repubblica n. 494 del 1996, articolo 5, comma 1, lettera a) e abbia omesso di sospendere i lavori nel caso di persistente inerzia (lettera f della medesima norma).
Quanto al direttore di cantiere, egli basa il secondo motivo di ricorso sulla presunta esistenza di una delega di funzione a favore di un preposto.
La Suprema Corte afferma che "senza neppure che si renda necessario esaminare il problema dell'efficacia e validità di una delega orale" va rilevato che la Corte di merito ha escluso comunque (in base al contenuto delle dichiarazioni rese in dibattimento dallo stesso delegato) che quella rilasciata costituisse una delega per l'adozione di misure di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro che - osserva la Corte - neppure erano previste dal piano per la sicurezza redatto dalla società di cui P. era legale rappresentante.
D'altro canto, si legge nella sentenza impugnata, le "bocche di lupo" presenti nel solaio erano numerose (14 o 15) e dunque riguardavano l'intera area di lavoro per cui la competenza per la protezione costituiva un "problema di stretta competenza del vertice gerarchico dell'azienda" e non un problema riguardante la mancata sorveglianza in teoria attribuibile al preposto."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio Presidente del 28/04/2 -
Dott. BRUSCO Carlo G. rel. Consigliere SENTE -
Dott. MARINELLI Felicetta Consigliere N. -
Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere REGISTRO GENER -
Dott. PICCIALLI Patrizia Consigliere N. 40292/2 -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) S. MA. , N. IL (Omissis);
2) P. AB. , N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2825/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 28/04/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO GIUSEPPE BRUSCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Stabile Carmine, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito l'avv. Comi Vincenzo - in sostituzione degli avv.ti Nardin Renzo (per l'imputato S. ) e avv. Bonvicini Massimo (per l'imputato P. ), il quale ha concluso per l'accoglimento di entrambi i ricorS.
FattoDiritto
1) La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza 28 aprile 2010, in accoglimento dell'appello proposto dal Procuratore generale presso la medesima Corte contro la sentenza 16 febbraio 2009 del Tribunale di Brescia - che aveva assolto con la formula "per non aver commesso il fatto" S. MA. e P. AB. dal delitto di cui all'articolo 590 c.p. in danno di TR. GI. commesso in (Omissis) in esito ad un infortunio sul lavoro - ha condannato i due imputati alla pena di mesi due di reclusione ciascuno.
Il fatto per cui si procede era avvenuto a seguito della caduta del lavoratore, mentre prestava la sua attività alle dipendenze della s.r.l. F.D. (subappaltatrice di lavori di cui era amministratore unico IZ. DE. che ha patteggiato la pena), da un'apertura (c.d. "bocca di lupo") sita sul piano di lavoro e non adeguatamente protetta.
La Corte di merito non ha condiviso le valutazioni del primo giudice - che aveva assolto S. (coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori) perchè aveva adempiuto al suo obbligo di segnalare la situazione di pericolo e P. (direttore del cantiere e legale rappresentante della s.r.l I. appaltante dei lavori) perchè risultava che avesse nominato un preposto - e ha invece affermato la responsabilità dei due imputati.
Quanto al primo la condotta colposa è stata individuata nella mancata adozione delle misure per il coordinamento tra le varie imprese esecutrici che operavano sul posto in condizioni di pericolo per i lavoratori. Nè poteva far venir meno la sua responsabilità la circostanza che S. avesse segnalato la situazione di pericolo avendo egli omesso, pur essendo le imprese da coordinare inadempienti del debito di sicurezza, di sospendere i lavori.
Quanto al secondo la sentenza di appello ha osservato che non esisteva una precisa delega di funzioni rilasciata da P. e che comunque l'evento non era riconducibile a mancata sorveglianza ma alla mancata adozione delle misure di prevenzione necessarie; misure peraltro neppure previste dal piano per la sicurezza.
2) Contro la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso entrambi gli imputati.
S. MA. , con il ricorso da lui proposto, ha dedotto, con il primo motivo, i vizi di violazione di legge e di contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta inattendibilità dei testi P. e RE. - ritenuti inattendibili perchè legati da un vincolo di dipendenza con P. ma che alcun rapporto avevano con S. - le dichiarazioni dei quali (sulla circostanza che le assi erano state fissate con filo di ferro) sarebbero peraltro confermate dalle fotografie che mostrano l'esistenza dei fori da cui passava il filo di ferro. Circostanze che confermano che la protezione era stata rimossa dagli elettricisti che operavano nella parte sottostante dell'edificio dove erano in costruzione alcuni boxes.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di norma processuale (articolo 521 c.p.p.) per avere, i giudici di appello, fondato la affermazione della sua responsabilità su fatti non contestati (mancato coordinamento tra le imprese esecutrici e mancato adeguamento del piano di sicurezza).
3) Con il ricorso da lui proposto P. AB. deduce, con il primo motivo, i vizi di motivazione, violazione di legge e travisamento del fatto. Il primo giudice aveva accertato che il giorno precedente l'evento le tavole poste a protezione della "bocca di lupo" erano state fissate e che il fissaggio era stato rimosso dagli elettricisti che operavano sul luogo. Non poteva dunque ritenersi esistente la contestata violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 68.
Con il secondo motivo di ricorso si deducono analoghi vizi sull'esistenza della delega evidenziandosi che ciò che rileva, ai fini dell'esclusione della responsabilità, è il ruolo di fatto che il delegato svolge e non l'attribuzione formale dei compiti di prevenzione.
4) I ricorsi, per alcuni aspetti inammissibili, sono comunque infondati e devono conseguentemente essere rigettati.
Indiscussa è la mancata protezione dell'apertura che si trovava sul solaio a protezione della c.d. "bocca di lupo" e sulla quale, al momento dell'incidente, erano situate tavole amovibili e non fissate in alcun modo.
Ciò premesso va rilevato che la difesa di S. è fondata, in buona sostanza, sulla circostanza che egli aveva segnalato la situazione di pericolo, che la medesima era stata eliminata e che la rimozione del sistema di fissaggio era avvenuta ad opera degli elettricisti che operavano al piano sottostante.
Come appare evidente si tratta di una ricostruzione diversa del fatto, in contrasto con quanto accertato dalla sentenza impugnata che ha invece escluso che la situazione di pericolo fosse stata rimossa e che dunque S. fosse venuto meno all'obbligo di coordinare le attività delle imprese che operavano contemporaneamente nel cantiere (Decreto del Presidente della Repubblica n. 494 del 1996, articolo 5, comma 1, lettera a) e di sospendere i lavori nel caso di persistente inerzia (lettera f della medesima norma).
Quanto alla ritenuta inattendibilità dei testimoni il giudice d'appello l'ha fondata non su elementi di sospetto ma su circostanze obiettive documentalmente provate dalle fotografie scattate nell'immediatezza. Da queste fotografie emerge, secondo la ricostruzione della Corte di merito, che le tavole avevano caratteristiche che rendevano impossibile fissarle al pavimento con chiodi e anche la tesi secondo cui sarebbero state fissate con il fil di ferro era resa non credibile dalla circostanza che non esisteva un punto da cui farlo passare e le aperture sul solaio erano ad altre funzioni destinate.
Come appare evidente si tratta di ricostruzione adeguata e argomentata in modo certamente non illogico che si sottrae conseguentemente al vaglio di legittimità.
5) Infondato è anche il secondo motivo proposto con il ricorso di S. MA..
Com'è noto la giurisprudenza di legittimità adotta, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, criteri non formali o meccanicistici ma criteri sostanziali e si ispira al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l'esistenza della violazione del principio ricordato è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l'imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall'accusa contestatagli come avviene nei casi in cui dell'addebito si sia trattato nelle varie fasi del processo ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato ad evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (si vedano, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. 4, 27 febbraio 2002 n. 7725, Burali; sez. 2, 12 ottobre 2000 n. 11082, Fichera; 15 marzo 2000 n. 5329, Imbimbo).
Ancora attuali sono le parole usate nella sentenza delle sezioni unite di questa Corte 19 giugno 1996, Di Francesco, rv. 206092, secondo cui "con riferimento al principio di correlazione tra imputazione e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio della difesa; ne consegue che 1'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto della imputazione".
Questi principi sono stati di recente ribaditi dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 15 luglio 2010 n. 36551, Carelli, rv. 248051.
Naturalmente non deve trattarsi di fatto completamente diverso ed eterogeno con immutazione dell'imputazione nei suoi elementi essenziali (v. Cass., sez. 1, 14 aprile 1999 n. 6302, Iacovone; sez. 6, 14 gennaio 1999 n, 2642, Catone).
Per quanto riguarda più specificamente i reati colposi (ed in particolare la materia della sicurezza del lavoro) è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che nei procedimenti per reati colposi quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi di colpa specifica e generica la sostituzione o l'aggiunta di un elemento di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto e il conseguente difetto di correlazione tra imputazione e sentenza (v. Cass., sez. 4, 17 novembre 2005 n. 2393, Tucci, rv. 232973; 4 maggio 2005 n. 38818, De Bona, rv. 232427).
Nel caso di specie, premesso che le condotte ritenute colpose si inseriscono a pieno titolo nell'attività professionale svolta dal ricorrente e riguardano tutte le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori si realizzano i presupposti in base ai quali la giurisprudenza di legittimità esclude la violazione dell'articolo 521 c.p.p. denunziata.
Ma, nel caso in esame, v'è un elemento in aggiunta che vale ad escludere la rilevanza della censura che, se anche fondata, non potrebbe avere come conseguenza l'annullamento della sentenza impugnata perchè uno degli elementi di colpa su cui il giudice di secondo grado ha fondato la sentenza di condanna - l'omessa sospensione dei lavori pur essendo a conoscenza della situazione di pericolo - era contestato nel capo d'imputazione.
6) L'infondatezza del primo motivo del ricorso di P. AB. emerge da quanto si è detto esaminando la prima censura di S. .
La circostanza di fatto su cui il ricorrente fonda le sue doglianze (che il giorno precedente quello dell'infortunio le tavole fossero adeguatamente fissate al solaio) è stata motivatamente smentita dalle considerazioni già riferite della Corte di merito alle quali nulla è da aggiungere.
Ma infondato è anche il secondo motivo proposto da P., quello che si fonda sull'esistenza di una delega - in materia di sicurezza a favore di un preposto ( P. ) - che sarebbe stata rilasciata dal ricorrente.
Senza neppure che si renda necessario esaminare il problema dell'efficacia e validità di una delega orale va rilevato che la Corte di merito ha escluso comunque (in base al contenuto delle dichiarazioni rese in dibattimento dallo stesso delegato) che quella rilasciata a P. costituisse una delega per l'adozione di misure di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro che - osserva la Corte - neppure erano previste dal piano per la sicurezza redatto dalla società di cui P. era legale rappresentante.
D'altro canto, si legge nella sentenza impugnata, le "bocche di lupo" presenti nel solaio erano numerose (14 o 15) e dunque riguardavano l'intera area di lavoro per cui la competenza per la protezione costituiva un "problema di stretta competenza del vertice gerarchico dell'azienda" e non un problema riguardante la mancata sorveglianza in teoria attribuibile al preposto.
Trattasi di considerazioni esenti da alcuna illogicità che si sottraggono alle censure proposte.
7) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto dei ricorsi con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.