Cassazione Penale, Sez. 4, 20 giugno 2011, n. 24544 - Potatura della siepe e infortunio ad un lavoratore "protetto"
Responsabilità per infortunio di un lavoratore "protetto" (M.) in quanto invalido al 50%: la p.o., unitamente al collega Z.L., stava potando delle siepi nel comune di (Omissis) utilizzando come ponteggio mobile il motocarro Ape in loro dotazione per acquisire altezza e compiere il lavoro più agevolmente.
Così mentre il collega Z. guidava l'Ape, il lavoratore M., con il tagliasiepe in mano, stava in piedi sul bordo del pianale: fu così che, a seguito della perdita di equilibrio, il lavoratore cadeva ed entrava in contatto con la lama dell'attrezzo ancora acceso procurandosi delle lesioni ad un dito.
Furono imputati del reato innanzitutto il collega Z. per aver tenuto una condotta gravemente imprudente e costituente violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 5 e articolo 2, lettera a) ed f), avendo deciso di rimettere al M. l'uso del tosasiepi in una situazione di pericolo ed avendolo fatto salire sul pianale del motocarro da lui condotto senza che la p.o. interrompesse il funzionamento delle lame e senza tener conto delle indicazioni di BO., capocantiere preposto, che pure li aveva invitati ad usare il ponteggio mobile messo a loro disposizione; fu imputato anche colui che era a capo della struttura del servizio che curava il verde pubblico, e quindi nella qualità di "datore di lavoro" per avere omesso di specificare la sorveglianza cui sottoporre il M. nell'esecuzione di mansioni semplici e ripetitive cui poteva essere adibito e di specificare il divieto all'uso di attrezzi pericolosi per il M. a tutto il personale adibito a "collaborare" con costui con violazione del disposto del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera c) ed f).
Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione.
Per completezza di motivazione la Corte afferma, quanto a Za. che le modalità con le quali, al momento dell'infortunio, veniva eseguita la potatura laterale della siepe, erano contrarie, non solo alle istruzioni contenute nel manuale d'uso del tosasiepi (le quali prescrivono di accertarsi sempre, prima di utilizzare l'apparecchio, "che i piedi abbiano un appiglio sicuro" e di "mai lavorare su superfici instabili"), ma anche e soprattutto ad elementari regole di prudenza e di buon senso. Di conseguenza la giustificazione da parte del ricorrente di aver adottato le modalità operative di potatura delle siepi abitualmente eseguite per lavori analoghi dagli operai del Comune di (Omissis) e che nessuno dei suoi superiori gli aveva mai contestato la regolarità di tali modalità, non può trovare alcuna adesione, in punto di diritto, essendo puntuale l'osservazione, del Tribunale prima e della Corte d'Appello poi, che l'eventuale tolleranza, mostrata al riguardo dai superiori gerarchici, non può valere a rendere legittima una siffatta prassi, contraria, come rilevato, ad elementari regole di prudenza dettate dal buon senso e dalla comune esperienza.
Quanto al datore di lavoro, afferma il Collegio, che egli era ben al corrente delle precarie condizioni di salute del M., ma non risulta che egli ne abbia informato i preposti, tant'è, come puntualmente rileva la Corte del merito, l'operaio non solo fu chiamato ad usare il tagliasiepe, di per sè pericoloso, ma addirittura fu disposto che lo usasse sul pianale di un autocarro per lavorare in altezza. Il ricorrente, in qualità di datore di lavoro, titolare di quella posizione di garanzia specifica per la tutela della salute dei prestatori di lavoro, avrebbe dovuto imporre ai preposti di comporre le squadrette di lavoro in modo da assegnare lavori semplici al M..
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. D'ISA Claud - rel. Consigliere
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ZA. LU. N. IL (Omissis);
2) MO. LU. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 12047/2007 CORTE APPELLO di TORINO, del 25/06/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;
udito il P.G. in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;
udito i difensori avv. FARRO Marco difensore del MO. , che insiste nell'accoglimento del ricorso.
Fatto
ZA. LU. e MO. LU. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 26.06.20101, della Corte d'Appello di Torino di conferma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti dal Tribunale di Cuneo il 16.03.2007 in ordine al delitto di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica.
In sintesi il fatto, come ritenuto dai giudici del merito, per una migliore comprensione dei motivi posti a base del ricorso.
Il giorno (Omissis), si infortunava sul lavoro M. G., che unitamente al collega ZA. Lu., stava potando le siepi nel comune di (Omissis), presso il canile municipale. I due avevano deciso di utilizzare, come ponteggio mobile, il motocarro Ape in loro dotazione, per acquistare altezza e compiere il lavoro di potatura più agevolmente, cosicchè lo Za. si era messo alla guida del mezzo per spostarlo, a mano a mano che il lavoro procedeva, mentre il M. stava a bordo, in piedi sul pianale. Durante uno di questi spostamenti, avendo il M. in mano il tagliasiepe acceso ed avendo perso l'equilibrio, cadeva entrando in contatto con la lama dell'attrezzo e si tagliava un dito. A seguito dell'infortunio, il lavoratore restava assente dal lavoro per più di due mesi ed al medesimo veniva riconosciuta un'invalidità permanente del 4%. Emergeva che il M. era stato obbligatoriamente assunto in quanto invalido al 50% per schizofrenia e, quindi, rientrante nelle categorie di lavoratori "protetti". Ed infatti era stato previsto che gli fossero affidati compiti semplici, ripetitivi e non impegnativi; a stretto rigore, l'uso del tagliasiepe non gli era inibito, ma solo sotto il continuo controllo di un terzo.
Veniva accertato che il tagliasiepe usato era a norma secondo le regole antinfortunistiche.
L'ipotesi di accusa muoveva dalla ritenuta non correttezza dell'operazione di taglio della siepe, servendosi del pianale del motocarro anzichè di un ponteggio per elevarsi e dall'affidamento dell'uso del tosasiepi al M., soggetto non adatto a questo tipo di operazione.
Dunque, si procedeva a carico dello ZA., compagno di lavoro, per una condotta gravemente imprudente e costituente violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 5 e articolo 2, lettera a) ed f), avendo deciso di rimettere al M. l'uso del tosasiepi in una situazione di pericolo ed avendolo fatto salire sul pianale del motocarro da lui condotto senza che la p.o. interrompesse il funzionamento delle lame e senza tener conto delle indicazioni di BO., capocantiere preposto, che pure li aveva invitati ad usare il ponteggio mobile messo a loro disposizione.
Si procedeva anche nei confronti del BO. e di MO. Lu., a capo della struttura del servizio che curava il verde pubblico, e quindi nella qualità di "datore di lavoro" per avere omesso di specificare la sorveglianza cui sottoporre il M. nell'esecuzione di mansioni semplici e ripetitive cui poteva essere adibito, e di specificare il divieto all'uso di attrezzi pericolosi per il M. a tutto il personale adibito a "collaborare" con costui con violazione del disposto del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera c) ed f).
All'esito del giudizio di primo grado il Tribunale, ritenuta realmente verificatasi l'ipotesi accusatoria, affermava la penale responsabilità degli odierni ricorrenti assolvendo il BO. .
La Corte d'Appello, facendo proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ha rigettato i motivi posti a base del gravame di merito.
Lo ZA., con un primo motivo, denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Premesso che erroneamente la Corte del merito ha ritenuto che il M. si tagliava un dito mentre in realtà subiva una frattura esposta al quarto dito della mano destra, si adduce che, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era prassi ordinaria per tutti i lavoratori salire sul cassone del motomezzo per tagliare le siepi alte, nè avevano mai ricevuto alcuna indicazione in senso contrario. Tant'è che sia il Bo. che il responsabile direttivo, Ro. , durante le fasi di controllo, li avevano visti utilizzare il pianale del motocarro senza sollevare obiezioni. In tal senso testimoniavano altri operai addetti alle medesime mansioni. In ragione di tanto si argomenta che non si può addebitare allo ZA. la procedura lavorativa contestata su cui non avevano avuto mai nulla da osservare nè il Ro. e nè il Do. , suoi diretti superiori.
Inoltre, la tesi della Corte dello spostamento del motomezzo da parte dello ZA. mentre il M. impugnava il tosasiepe in funzione è contraddetta dallo stesso M., che ha affermato che, quando l'Ape, guidata dal ricorrente, si è mossa in base al solito avviso verbale "vai avanti", egli per distrazione aveva dimenticato di spegnere l'attrezzo. Dunque, l'incidente si è verificato per mero errore della p.o., non è dipeso dalla perdita di equilibrio per lo spostamento del veicolo, perchè, se il tagliasiepe fosse stato spento, la caduta del M. non avrebbe avuto alcun effetto lesivo.
Il ricorrente evidenzia, altresì, altri elementi concorrenti nella produzione dell'infortunio ma estranei alla sua responsabilità: a) il tosasiepe era sprovvisto di protezione anti-urto; b) entrambi gli operai operavano senza le cuffie otoprotettrici e di occhiali antinfortuni senza che il capo operaio Bo. intervenisse; c) non è stato loro imposto di usare un trabattello mobile; d) tra il M. e lo ZA. non vi erano rapporti gerarchici, entrambi erano inquadrati nella categoria A, per cui in capo al ricorrente non sussistevano poteri di controllo e, per altro, non era stato avvertito dei problemi di salute della p.o.; e) il responsabile del servizio di sicurezza, così come prescrive "il documento della sicurezza" adottato dal comune di (Omissis) avrebbe dovuto provvedere con continuità a richiamare l'attenzione degli addetti sull'argomento sicurezza. Con un secondo motivo si eccepisce la estinzione del reato per prescrizione.
Il MO. Lu. denuncia violazione di legge in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, in quanto la condotta colposa ascritta in capo al coimputato ZA. è da considerarsi, in relazione al nesso causale, quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento lesivo di cui è stato vittima il lavoratore M. .
Si argomenta che il caso di specie è connotato da una condizione di pericolo sopravvenuta autonomamente creata dallo ZA., al quale è ascritta l'iniziativa di aver messo in moto il motocarro senza accertarsi che il M., che si trovava sul pianale e, dunque, in posizione di estrema precarietà dal punto di vista dell'equilibrio, avesse quantomeno spento il tagliasiepe che aveva tra le mani. In tali sensi la Corte rileva la condotta colposa dello ZA. evidenziando in maniera puntuale che "...se mai si fosse fermato (lo Za. n.d.r.), avesse fatto scendere il M. , per farlo risalire a manovra di avanzamento conclusa, l'infortunio non si sarebbe verificato...".
La circostanza, costituita dalla condotta dello ZA. , importa l'applicazione dell'articolo 41 cod. pen., comma 2 costituendo essa accadimento sopravvenuto che interrompe il nesso di causalità, ponendosi come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta del datore di lavoro, che, pur - in via di ipotesi - non abbia adempiuto a tutti gli obblighi che sono propri.
L'accadimento prescinde del tutto dalle direttive esistenti circa le "limitate mansioni" cui poteva essere adibito il lavoratore. La perdita di equilibrio si sarebbe concretizzata comunque, indipendentemente dalla persona addetta ad operare sul pianale, dal momento che la condizione sopravvenuta consistita nell'improvviso ed inopinato spostamento del mezzo, non può essere correlata con presunte carenze di direttive scritte sulle mansioni semplici e ripetitive da affidare al M. , indirizzate al preposto ( Bo. ) e, prima ancora al dirigente ( Ro. ) della struttura tecnica del Comune.
Con un secondo motivo, ed in riferimento alle stesse osservazioni, si denuncia vizio di motivazione che ricorre tra l'affermazione della Corte del merito relativa alla eziologia che ha determinato l'evento, nella parte in cui si sostiene che la perdita di equilibrio è dipesa in via esclusiva dalla messa in moto del mezzo meccanico senza attendere che il lavoratore ne fosse disceso e avesse disattivato il tagliasiepe, e quanto posto in motivazione a fondamento del giudizio di responsabilità di esso MO. . Si rileva che non è dato comprendere come la affermata assenza da parte del datore di lavoro di direttiva generale sulle mansioni semplici e ripetitive si ponga in termini di contrasto con quelle concretamente svolte dal M. , apparendo apodittica l'assunta contrarietà alla condizione di salute del lavoratore dei compiti a lui assegnati in occasione dell'infortunio.
Diritto
La sentenza va annullata per essere il reato contestato estinto per prescrizione, indipendentemente dall'applicazione, per il principio del favor rei, tenuto conto della data di commissione del reato, della disposizione di cui al combinato disposto dell'articolo 157 c.p., n. 4 e articolo 160 c.p., u.p. nella loro formulazione antecedente alla novella di cui alla Legge n. 251 del 2005, o del termine di prescrizione prevista da quest'ultima disposizione legislativa, essendo i rispettivi termini prescrizionali identici (anni sette e mesi sei). Quanto ai motivi posti a base del ricorso degli imputati si evidenzia che, in presenza di una declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2 deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una sua pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'articolo 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (v. da ultimo Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. Rv. 244275).
Comunque, per completezza di motivazione, si osserva che il primo motivo, posto a base del ricorso dello ZA., è infondato. Ed infatti, condivisibile è l'argomentazione dei giudici di merito nell'aver correttamente ritenuto che le modalità con le quali, al momento dell'infortunio, veniva eseguita la potatura laterale della siepe, erano contrarie, non solo alle istruzioni contenute nel manuale d'uso del tosasiepi (le quali prescrivono di accertarsi sempre, prima di utilizzare l'apparecchio, " che i piedi abbiano un appiglio sicuro" e di "mai lavorare su superfici instabili"), ma anche e soprattutto ad elementari regole di prudenza e di buon senso. Di conseguenza la giustificazione da parte del ricorrente di aver adottato le modalità operative di potatura delle siepi abitualmente eseguite per lavori analoghi dagli operai del Comune di (Omissis) e che nessuno dei suoi superiori gli aveva mai contestato la regolarità di tali modalità, non può trovare alcuna adesione, in punto di diritto, essendo puntuale l'osservazione, del Tribunale prima e della Corte d'Appello poi, che l'eventuale tolleranza, mostrata al riguardo dai superiori gerarchici, non può valere a rendere legittima una siffatta prassi, contraria, come rilevato, ad elementari regole di prudenza dettate dal buon senso e dalla comune esperienza.
Irrilevante poi è la dedotta assenza di rapporto gerarchico tra lo ZA. e la p.o. M., essendo del tutto evidente che la posizione di garanzia è stata assunta di fatto dal primo, laddove ha dato disposizioni al secondo di operare con il tagliasiepe su di un motoveicolo in movimento. Sul punto la Corte del merito ha osservato che nella distribuzione del lavoro al M. fu dato l'incarico di tagliare ad altezza le siepi, mentre allo ZA. fu affidata la guida del mezzo per farlo avanzare, a mano a mano che il lavoro procedeva e, molto verosimilmente, dei due, solo quest'ultimo poteva guidare l'autocarro, e, dunque, la divisione dei compiti fu necessitata, con la conseguenza che era onere (rectius: obbligo) del ricorrente accertarsi, indipendentemente dall'uso anomalo che si era deciso di fare dell'automezzo, che prima di fare avanzare lo stesso, che il M. avesse spento il tagliasiepe.
Ed ancora, quanto all'asserita ignoranza del disturbo mentale e, comunque, delle non perfette condizioni di salute del M., correttamente è stato evidenziato che tali menomazioni psicofisiche hanno solo aumentato la pericolosità delle modalità operative di per sè non sicure, posto che chiunque in quelle condizioni avrebbe potuto perdere l'equilibrio con conseguenze analoghe a quelle subite dalla p.o.. Peraltro, la Corte territoriale evidenzia un dato di fatto che non può essere trascurato nella complessiva valutazione del comportamento addebitato al ricorrente: il M. era perfettamente conosciuto come soggetto con i suoi disturbi, ben visibile a detta dei testimoni, quali Ba. e Vi. , e, dunque, a maggior regione si imponeva l'adozione di regole di particolare prudenza.
Quanto poi alla dedotta interruzione del nesso causale per colpa esclusiva della p.o. che non avrebbe, per suo errore, spento il tagliasiepe durante lo spostamento del mezzo, si osserva che il lavoratore eseguiva la prestazione demandatagli e dunque, non teneva un comportamento abnorme o comunque estraneo alla sfera della lavorazione in corso. Non si può certo appellare al principio dell'affidamento atteso che, come già esposto, lo ZA. avrebbe dovuto, oltre che imporre, pretendere lo spegnimento del tagliasiepe prima di mettere in movimento il motofurgone.
Parimenti sono irrilevanti gli altri elementi indicati dal ricorrente e ritenuti, invece, da questi concorrenti, nella produzione dell'evento, V. lettera a), b), c) ed e) della parte narrativa.
Il motivo principale su cui si basa il ricorso del MO. è parimenti infondato. Non si può certo valutare il comportamento dello ZA., come contestato e come ritenuto dai giudici, come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta del datore di lavoro. Il ricorrente, come chiaramente emerso dall'istruttoria dibattimentale (il Mo., nella sua qualità di dirigente del settore Gestione del territorio del Comune di (Omissis), ha avuto cura di informarsi circa le limitazioni lavorative a carico del M. e ha discusso in merito ad esse in riunione con il medico competente e con il geom. Ro. , responsabile dell'Ufficio Verde pubblico), era ben al corrente delle precarie condizioni di salute del M., ma non risulta che egli ne abbia informato i preposti, tant'è, come puntualmente rileva la Corte del merito, l'operaio non solo fu chiamato ad usare il tagliasiepe, di per sè pericoloso, ma addirittura fu disposto che lo usasse sul pianale di un autocarro per lavorare in altezza. Il ricorrente, in qualità di datore di lavoro, titolare di quella posizione di garanzia specifica per la tutela della salute dei prestatori di lavoro, avrebbe dovuto imporre ai preposti di comporre le squadrette di lavoro in modo da assegnare lavori semplici al M..
Ed ancora correttamente in sentenza in ordine alla deduzione difensiva del ricorrente, ribadita anche con l'odierno ricorso, secondo cui in quelle condizioni di lavoro, caratterizzate da un equilibrio instabile del lavoratore, l'infortunio si sarebbe comunque verificato indipendentemente dalla persona addetta ad operare sul pianale, si risponde con l'osservazione che è fondato ipotizzare che una persona più capace di badare a se stessa avrebbe evitato di mettersi in una situazione di ulteriore pericolo spegnendo l'attrezzo nel momento in cui il furgone avanzava.
In effetti non si contesta, sia con i motivi di appello che con quelli oggetto di questo giudizio, la specifica posizione di "garanzia" del ricorrente derivante dall'essere il datore di lavoro quanto, piuttosto, il comportamento di altro dipendente, trascurandosi, però, di evidenziare che quest'ultimo non aveva da lui ricevuto informazioni che avrebbero evitato l'infortunio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione.