Inottemperanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi  prevenzionali imposti dalla legge - Mancanza di aspiratori carrellati e omessa munizione di apposite maschere protettive per i lavoratori - Sussiste


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITALONE Claudio - Presidente -
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
L.V., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza resa il 6.5.2004 dal tribunale monocratico di Cuneo.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:

 

Fatto

1 - Con sentenza del 6.5.2004 il tribunale monocratico di Cuneo ha dichiarato L.V. colpevole del seguente reato:
"di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 99 e 20 perchè, nell'esercizio di impresa, affidava ai lavoratori suoi dipendenti lavori di saldatura, produttori di fumi densi e agenti nocivi, omettendo di ridurre nel limite del possibile, sviluppo e diffusione di detti fumi. A tutt'oggi, in Cuneo. Recidivo".
Per l'effetto, il giudice ha condannato il L. alla pena di 4.000,00 Euro di ammenda.
In sostanza, ha osservato che altro giudice monocratico del tribunale, con sentenza del 24.3.2003, aveva già condannato il L. per la stessa infrazione commessa sino alla data del decreto di citazione a giudizio emesso il 22.11.2001, e aveva inoltre disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, avendo rilevato che l'imputato persisteva nella condotta omissiva contestata.
Era così originato il presente processo, nell'ambito del quale il nuovo giudice ha accertato che, in occasione di due sopralluoghi effettuati il 21.11.2002 e il 21.1.2003 dal teste R. nel capannone di (OMISSIS) gestito dal L., era risultato che questi da una parte non aveva ancora ottemperato alle prescrizioni dell'ASL (OMISSIS) di munirsi di aspiratori carrellati (cioè aspiratori mobili con proboscide, cd. elefantini) per eliminare o ridurre i fumi prodotti dalle saldature, dall'altra non aveva neppure munito gli addetti alla saldatura di maschere protettive o comunque adottato altre idonee misure per limitare il rischio per l'igiene.
2 - Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo sei motivi a sostegno.
In particolare lamenta:
2.1 - inosservanza o erronea applicazione della legge penale, laddove il reato contestato e giudicato era stato indicato con riferimento al D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 99 e 20, di cui il primo non esiste e il secondo non configura una norma incriminatrice;
2.2 - inosservanza o erronea applicazione di legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, giacchè il giudice ha condannato per un fatto (inottemperanza alle prescrizioni dell'ASL) diverso da quello contestato;
2.3 - ancora inosservanza o erronea applicazione di legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, laddove il giudice ha ritenuto che la precedente sentenza di condanna giudicava soltanto la condotta omissiva protratta sino al momento del decreto di citazione a giudizio (22.11.2001) e non anche quella perpetuata sino alla sentenza conclusiva (24.3.2003), secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità;
2.4 - inosservanza o erronea applicazione di legge penale, perchè il giudice ha erroneamente ritenuto integrato l'elemento oggettivo del reato di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 58 e 20, senza considerare che questo presuppone l'esecuzione di lavori che producano gas, vapori o fumi;
2.5 - ancora inosservanza o erronea applicazione di legge penale, perchè il giudice ha erroneamente ritenuto integrato l'elemento soggettivo del reato di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 58 e 20, senza considerare che, anche per i consigli dell'ing. I., responsabile aziendale per la sicurezza, il L. anzichè comprare gli aspiratori carrellati aveva costruito un nuovo laboratorio con aspiratori fissi ben più efficienti;
2.6 - inosservanza o erronea applicazione dell'art. 507 c.p.p. giacchè il giudice aveva acquisito motti proprio copia della perizia redatta dall'ing. R., senza il consenso delle parti, e senza che ricorressero i presupposti richiesti dalla norma predetta.

Diritto

3 - Vanno innanzitutto disattese le censure di carattere processuale.
La prima (n. 2.1) è generica perchè non indica specificamente la norma (processuale) che si assume violata.
Ma è anche infondata, giacchè non ricorre alcuna nullità del decreto di citazione a giudizio ex art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c) e comma 2, allorchè il fatto contestato è enunciato in forma chiara e precisa - come nel caso di specie - anche se i relativi articoli di legge sono indicati in modo parzialmente inesatto.
Nel decreto di citazione di cui trattasi, esatta è l'indicazione del precetto (D.P.R. n. 303 del 1956, art. 20), mentre è inesatta per evidente errore materiale l'indicazione della sanzione (art. 99, anzichè l'art. 58, lett. a) D.P.R. n. 303 del 1956, dove è facile intuire che si voleva indicare l'art. 99 c.p. in relazione alla recidiva contestata).
La sufficiente chiarezza del capo di imputazione è tanto vera che l'imputato ha potuto regolarmente difendersi sul fatto contestato.
Anche la seconda censura (n. 2.2) è generica, perchè non indica la norma (sempre processuale) che si assume violata.
Ma è anche manifestamente infondata perchè il giudice di merito, nel pieno rispetto dell'art. 521 c.p.p., ha esattamente condannato l'imputato per il fatto a lui contestato (mancata riduzione dei fumi prodotti) e non già per la inottemperanza alle prescrizioni dell'ASL, anche se, poichè il reato punito dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 58 è incluso tra quelli per cui è prevista la speciale procedura di cui al D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, artt. 20-24 (v. Allegato 1 n. 7), era necessaria per l'esercizio dell'azione penale che intervenisse al riguardo un'apposita prescrizione da parte dell'organo di vigilanza.
E' infine manifestamente destituita di fondamento giuridico l'ultima eccezione processuale (n. 2.6), giacchè a norma dell'art. 507 c.p.p. il giudice di merito poteva acquisire d'ufficio la copia della perizia redatta nell'altro processo dall'ing. R. senza l'esplicito consenso delle parti, se la riteneva assolutamente necessaria per il giudizio.
4 - Vanno poi rigettati i motivi attinenti all'elemento oggettivo (n. 2.4) e all'elemento soggettivo (n. 2.5) del reato contestato.
Presupposto materiale del reato di cui al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art.20 è che nell'azienda o nello stabilimento considerati si effettuino lavori che producono gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili, ovvero odori o fumi di qualunque specie, senza che ovviamente sia necessario che tali lavori siano in corso al momento del sopralluogo effettuato dagli organi di vigilanza.
Nel caso di specie è pacifico che nell'azienda gestita dal L. si effettuavano lavori di saldatura che producevano fumi, per i quali la norma di legge imponeva l'uso di dispositivi aspiratori. Tanto è vero che lo stesso difensore ricorrente asserisce che l'imputato ha poi costruito un nuovo stabilimento con aspiratori fissi.
Altrettanto pacifico è che il L., malgrado la specifica prescrizione impartitagli dall'ASL n. (OMISSIS), non provvide ad ottemperare al precetto imposto dal menzionato art. 20 di impedire o ridurre la diffusione dei fumi, per esempio istallando aspiratori carrellati (cd. elefantini).
Quanto all'elemento soggettivo del reato, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha osservato che non valeva ad esonerare l'imputato dalla sua penale responsabilità il consiglio fornitogli dal suo responsabile aziendale per la sicurezza, ing. I., di non ottemperare alle prescrizioni dell'ASL perchè erano possibili idonee soluzioni alternative.
A parte il fatto che il difensore non ha prodotto la relazione dell'ing. I., basta considerare che il L. non ha comunque adottato alcuna misura di riduzione dei fumi, nè quella indicata dall'ASL nè quella ipoteticamente suggerita dal responsabile aziendale; e che il consiglio di quest'ultimo non poteva esonerare il datore di lavoro dall'obbligo di ottemperare ai compiti prevenzionali impostigli dalla legge.
5 - Infine non può essere accolta la censura n. 2.3, che denuncia sostanzialmente la violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p. sostenendo che il fatto era stato già giudicato con la sentenza resa il 24.3.2003 dallo stesso tribunale monocratico di Cuneo.
Infatti con quella sentenza il L. era stato condannato per analoga violazione del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 20, commessa sino alla data del decreto di citazione a giudizio (22.11.2001).
Trattandosi di reato omissivo permanente, secondo la giurisprudenza di legittimità genericamente richiamata dal ricorrente, la condanna poteva riferirsi anche al fatto omissivo protrattosi sino al momento della sentenza se il reato fosse stato contestato come "accertato il 22.11.2001", o con formule simili, perchè in tal caso la semplice data di accertamento non avrebbe precluso al giudice la cognizione della prosecuzione della condotta omissiva.
Poichè invece il reato era stato contestato nel decreto di citazione come commesso "a tutt'oggi", il giudice poteva conoscere solo la condotta omissiva protratta sino a questa data (cioè 22.11.2001) per rispettare la correlazione tra l'imputazione e la sentenza e non incorrere nella nullità prevista dagli artt. 521 e 522 c.p.p..
Tanto è vero che il giudice che ha emanato la sentenza del 24.3.2003 ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2, per l'eventuale esercizio dell'azione penale in ordine alla condotta omissiva successiva al 22.11.2001, che era stata accertata nel corso della istruzione dibattimentale.
4 - Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente alle spese processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di comminare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2006.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2006