Cassazione Penale, Sez. 3, 26 settembre 2011, n. 34760 -  Numerosi reati in materia antinfortunistica e funzioni in concreto esercitate: responsabilità di un amministratore di fatto


 

 

Responsabilità dell'amministratore di fatto (unitamente al legale rappresentante) di una srl per aver posizionato una cisterna di combustibile nel piazzale retrostante il capannone industriale con basamento sollevato da terra di circa un metro, sostenuto da quattro supporti di fortuna: in questo modo ometteva dunque di difendere idoneamente il luogo di lavoro, cagionando un potenziale pericolo per il passaggio pedonale o con mezzi di trasporto dei lavoratori dipendenti.

Responsabilità del suddetto anche per aver effettuato il trattamento di materiale plastico di scarto formando polveri, senza adottare i provvedimenti e le misure atte ad impedire lo sviluppo e la diffusione di polveri nell'ambiente di lavoro e per altri reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269 (Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti) e art. 279, n. 2 (Sanzioni); D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21, comma 1 (Difesa contro le polveri), art. 58, lett. a) (Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti), dell'art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose), della contravvenzione di cui alla L. n. 628 del 1961, art. 4,  u.c. (Compiti dell'Ispettorato del lavoro), come modificata con L. n. 499 del 1993 e dell'art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità).

 

Ricorso in Cassazione - Respinto.

 

Il giudice di merito, come esposto nella parte motiva della decisione con argomentazione congrua ed immune da censure, ha ritenuto il ricorrente responsabile dei numerosi reati ascritti, tenendo conto non già delle dichiarazioni rese dal ricorrente e riferite nel corso delle testimonianze da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria e dei dipendenti della ASL intervenuti nei numerosi sopralluoghi ed accessi presso la società - peraltro effettuati su segnalazioni di vicini in conseguenza di emissione di odori - ma sulla base dei comportamenti posti in essere dall'imputato, in quanto ricaduti sotto la percezione diretta degli operatori: l'imputato era stato sempre presente ai vari sopralluoghi, aveva firmato i verbali di accertamento e consegnato la documentazione (seppure non aveva ottemperato all'invito a produrre quella comprovante la gestione della sicurezza).

Pertanto da tali comportamenti non equivoci il giudice ha ritenuto che lo stesso rivestisse in concreto, pur in mancanza di espressa delega da parte del legale rappresentante, sul quale permaneva l'obbligo di vigilanza, le funzioni di amministratore di fatto. Va infatti ricordato che "l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate".


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro - Presidente
Dott. LOMBARDI Alfredo - Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. ROSI Elisabetta - rei. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 


sul ricorso proposto da:
1) M.F. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 285/2007 TRIBUNALE di ORVIETO, del 14/05/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
udito il P.G. in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha concluso per il rigetto.
 

 

Fatto

 

Il Tribunale di Orvieto, con sentenza del 24 febbraio 2010 ha condannato M.F. per il reato di cui al D.P.R. 547 del 1955, art. 11, commi 1 e 3, art. 389, lett. b), perchè, quale amministratore di fatto (unitamente al legale rappresentante) della P. srl, posizionando una cisterna di combustibile nel piazzale retrostante il capannone industriale con basamento sollevato da terra di circa un metro, sostenuto da quattro supporti di fortuna (rotoli di plastica e bidoni), ometteva di difendere idoneamente il luogo di lavoro, cagionando in tal modo, un potenziale pericolo per il passaggio pedonale o con mezzi di trasporto dei lavoratori dipendenti; del reato di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21, comma 1, art. 58, lett. a), perchè effettuava il trattamento di materiale plastico di scarto formando polveri, senza adottare i provvedimenti e le misure atte ad impedire lo sviluppo e la diffusione di polveri nell'ambiente di lavoro; e di altri reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269 e art. 279, n. 2; D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21, comma 1, art. 58, lett. a), dell'art. 674 c.p., della contravvenzione di cui alla L. n. 628 del 1961, art. 4, u.c., come modificata con L. n. 499 del 1993 e dell'art. 650 c.p., fatti accertati in (OMISSIS).


L'imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) Inosservanza della norma processuale di cui all'art. 191 c.p.p. per inutilizzabilità di prove acquisite illegittimamente in violazione dell'art. 195 c.p.p., comma 4, in quanto la responsabilità del ricorrente era stata fondata sulle dichiarazioni rese dallo stesso agli ufficiali di pg che effettuarono l'accertamento, i quali hanno testimoniato che il M. ebbe a qualificarsi direttore di stabilimento; 2) Illogicità, contraddittorietà della motivazione della sentenza in merito al ruolo del M. all'interno della soc. P., in quanto l'ulteriore circostanza posta a base della dichiarazione di responsabilità del ricorrente era la costante presenza dello stesso ai sopralluoghi presso la sede della P..
 

 

Diritto
 

 

I motivi di ricorso non sono fondati.
Dato come principio indiscutibile il divieto di testimonianza indiretta da parte degli ufficiali verbalizzanti, anche in sede ispettiva, sulle dichiarazioni rese dalla persona per la quale sussiste anche la mera "possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa" (cfr. Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291), deve essere invece riaffermata la piena utilizzabilità probatoria della testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria quanto a comportamenti posti in essere dalla persona sottoposta alle indagini o dichiarazioni rivolte dalla stessa a terze persone, condotte tutte che siano cadute sotto la diretta percezione dell'ufficiale di polizia giudiziaria.
Il giudice di merito, come esposto nella parte motiva della decisione con argomentazione congrua ed immune da censure, ha ritenuto il ricorrente responsabile dei numerosi reati ascritti, connessi al rispetto delle normative in tema di sicurezza del lavoro e dell'ambiente, tenendo conto non già delle dichiarazioni rese dal ricorrente e riferite nel corso delle testimonianze da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria e dei dipendenti della ASL intervenuti nei numerosi sopralluoghi ed accessi presso la società - peraltro effettuati su segnalazioni di vicini in conseguenza di
emissione di odori - ma sulla base dei comportamenti posti in essere dal M., in quanto ricaduti sotto la percezione diretta degli operatori: il M. era stato sempre presente ai vari sopralluoghi, anzi in occasione del secondo intervento del 20 novembre 2006 era stato lui stesso a vietare ai verbalizzanti l'accesso ai locali della società e quindi l'effettuazione del controllo; sempre lui aveva firmato i verbali di accertamento e consegnato la documentazione (seppure non aveva ottemperato all'invito a produrre quella comprovante la gestione della sicurezza). Pertanto da tali comportamenti non equivoci il giudice ha ritenuto che lo stesso rivestisse in concreto, pur in mancanza di espressa delega da parte del legale rappresentante, sul quale permaneva l'obbligo di vigilanza, le funzioni di amministratore di fatto. Va infatti ricordato che "l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate" (cfr. SSUU, n. 9874 dell' 1/7/1992, Giuliani, Rv. 191185).


Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, al sensi del disposto di cui all'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.