9 Il documento di valutazione dei rischi
Più volte, nel corso dell'esposizione, si è accennato al documento di valutazione dei rischi, previsto e descritto all'art. 4 del D.Lgs 626/94; norma di pregevole chiarezza; è sufficiente qui riportare la prima parte del 1° comma: "Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, valuta, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari"; e del 2° comma: "All'esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente" segue, alle lettere da a) a c), la precisazione del contenuto: si devono esporre la valutazione del rischio, anche specificando i criteri adottati per tale valutazione; l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione; il "programma" delle misure migliorative.
Il documento di valutazione del rischio costituisce così il fondamentale documento aziendale in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori, necessariamente redatto dal datore di lavoro in quanto si tratta di un dovere "non delegabile"; infatti solo il datore di lavoro conosce - può e deve conoscere -compiutamente ed a fondo il luogo, i macchinari, le sostanze ecc. in cui e con cui si esplica la sua attività imprenditoriale ed è il datore di lavoro che dirige e organizza l'attività economico-produttiva, opera le scelte relative alla misura ed alla destinazione degli investimenti; di conseguenza, solo il datore di lavoro è concretamente in grado (naturalmente con l'eventuale ausilio di consulenti specializzati) di valutare i rischi insiti nell'attività da lui intrapresa, guidata e diretta; con il conseguente, imperativo dovere di individuare ed apprestare le cautele indispensabili e necessarie per eliminare tali rischi, ovvero ridurli quanto più possibile secondo le conoscenze tecniche. L'indelegabilità è stabilita dal comma 4ter dell'art. 1 D.Lgs 626/94: "nell'ambito degli adempimenti previsti dal presente decreto, il datore di lavoro non può delegare quelli previsti dall'art, 4, commi 1, 2, 4 lettera a) e 11 primo periodo".
Troviamo nella documentazione in sequestro il "documento di valutazione dei rischi" (v.), datato 1/2/2006 e firmato dall'imputato SA. R. (direttore dello stabilimento; v. infra su questo); ricordiamo qui che di questo documento "generale" è parte integrante anche il già esaminato (v. sopra) "piano di emergenza e di evacuazione". Per quanto qui rileva, nel documento di valutazione dei rischi sono elencati n. 18 "elementi di rischio di Stabilimento" risultati, secondo la valutazione aziendale, "ineliminabili perché propri della natura delle attività realizzate nello stabilimento e dalla conformazione dello stesso"; non è indicato fra tali elementi il "rischio incendio". Al n. 5 sono indicati gli "apparecchi in pressione"; al foglio 5 dello stesso documento - 006 F - nel capitolo selezione dei fattori di rischio compaiono, tra gli elementi di rischio, anche "esplosioni e incendi", il cui indice di rischio è risultato nel limite di "alto"; ma di nuovo non viene indicato - in particolare il "rischio incendio" - nella pagina seguente, contenente una tabella intitolata "stima e selezione dei rischi". Al Foglio 1 del doc 007E si trovano le "misure di prevenzione e protezione" degli apparecchi a pressione, costituite - tali misure - in null'altro che nella generica "manutenzione" e nella "ispezione".
Nel documento generale di valutazione dei rischi non vi sono altre indicazioni sul rischio incendio: si deve quindi esaminare lo specifico documento di valutazione - e prevenzione - del rischio incendi (portante la data del 22/5/2007, v.) come da art. 4 comma 2 D.L.gs 626/94 secondo le modalità indicate dal D.M. 10/3/1998.
In questo documento, per quanto qui più rileva, troviamo la parte dedicata alla Linea 5 (come da indice) dal Foglio 11 e sino al Foglio 26 (v.); è suddivisa in aree
1) L'area 1 intitolata "trasformatori impianto 'Andriz' Linea 5": viene indicato come "decapaggio elettrolitico" ed è un locale a parte (v.: non sono indicati lavoratori presenti, bensì "manutentori" ovvero "personale imprese esterne");
2) L'area 2 intitolata: "Linea n. 5 di trattamento finale - tratto con forno a metano"; qui ci troviamo "sulla" Linea 5, come da descrizione: "si tratta di una linea per il trattamento termico e decapaggio del nastro di acciaio prelavorato.
La linea utilizza un forno alimentato a metano localizzato in un tratto centrale ... Superficie in pianta: 3.900 mq. circa".
Si deve osservare preliminarmente una mancanza di chiarezza che ha indotto la Corte ad esaminare più volte tale documento. Il titolo (v. subito sopra) dell'area indurrebbe a ritenere la valutazione del rischio incendio per il solo tratto "con forno a metano"; le indicazioni relative alla lavorazione praticata -peraltro limitate, come appena riportato, a ricordare che si tratta di linea di ricottura e decapaggio - così come alla "superficie" in pianta sembrerebbero invece riguardare l'intera linea. In sostanza, non è chiaro se la valutazione del rischio incendio si riferisca a tutta la linea (come infatti sostengono le difese degli imputati) ovvero solo al tratto della linea "con forno a metano" (come infatti sostiene la Pubblica Accusa). L'ambiguità permane anche dopo l'esame completo di questa parte: infatti da un lato viene indicata la presenza di "olio delle macchine" come combustibile e di "fiamme libere" e "scintille" (tipiche della zona saldatura le prime e dello sfregamento del nastro contro la carpenteria le seconde) come sorgenti di innesco; dall'altra non si descrive il processo di lavorazione della linea 5 (descritto, sotto il profilo puramente "tecnico", nel documento generale di valutazione del rischio, v. nella parte DOC 004, per la linea 5, con la 1 e la 4, da foglio 2) e non si accenna né alle centraline idrauliche a servizio dei meccanismi, né alle condutture portanti olio in pressione a 140 bar e neppure alla zona del decapaggio le cui vasche contenevano acido fluoridrico diluito ed i cui coperchi erano in materiale plastico (v. infra, da capitolo 12). Anche questa ambiguità - ed incompletezza - è, ad avviso della Corte, preciso indice della superficialità e della scarsa professionalità con cui è avvenuta la redazione del documento, del quale -evidentemente - non si riconosceva l'importanza; tanto più che in quella data -22/5/2007 - come vedremo diffusamente infra (v. capitoli seguenti, a cominciare dal n. 12), era già avvenuto l'incendio a Krefeld, si era già messo al lavoro il Working Group della STAINLESS, vi era stato, da parte della STAINLESS, uno stanziamento straordinario finalizzato al "fire prevention", l'ing. BR. (citato infra) e l'ing. WE. (citato infra) della Compagnia di Assicurazioni AXA avevano già visitato lo stabilimento (12-13 aprile 2007) e "parlato" con SA. e CAF.; attività antincendio, come vedremo, soprattutto "focalizzata" sulle linee di ricottura e decapaggio, come la Linea 5 di Torino; addirittura, a quella data era già stato approvato dalla STAINLESS (il 9/4/2007) il progetto di investimenti straordinari per TK AST per il primo anno (2006/07), dell'importo di 8 milioni di euro, peraltro completamente destinato allo stabilimento di Terni (v. capitolo 16).
Continuando nella lettura (siamo al Foglio 14), l'identificazione dei "pericoli di incendio" sembrerebbe relativa a tutta la linea, perché il compilatore ha risposto sì alla presenza di sostanze infiammabili (gas metano), sì alla presenza di liquidi e materiali combustibili (olio delle macchine), sì alla presenza di sorgenti di innesco (apparecchiature con parti a temperatura elevata; apparecchiature e/o macchine elettriche con produzione di calore; processi di lavoro con utilizzo di fiamme libere o produzione di scintille); il compilatore ha risposto sì anche alla identificazione delle persone "esposte a rischi di incendio": "max 5 lavoratori, per ogni turno, presenti normalmente nell'area in esame", "max 2 manutentori", "max 3 personale imprese esterne". Il redattore indica la via di uscita - il "corridoio di fuga sgombro da materiali e di larghezza minima 120 cm." ed i "mezzi ed impianti di estinzione degli incendi": "estintori portatili: n. 12 ubicati in prossimità delle zone a rischio e raggiungibili con percorso minore di 30 m.", oltre "idranti: n. 4 UNI 70, con manichetta da 30 m., a distanza minore di 35 m.".
Ai Fogli 15 e 16 troviamo uno "schema" (utilizzato nel documento di valutazione del rischio incendio per tutte le "aree" esaminate) intitolato: "valutazione qualitativa del rischio di incendio: Linea n. 5 di trattamento finale"; schema sul quale le parti hanno più volte dibattuto. Il titolo sembra riguardare tutta la Linea 5; lo schema è suddiviso per caselle alle quali il redattore ha risposto "sì" o "no"; le caselle sono:
1) "pericoli presenti": la risposta è: "pericolo ridotto"; francamente non si può comprendere - perché nulla viene indicato - a che cosa si debba questa affermata "riduzione del pericolo";
2) "materiale combustibile o facilmente infiammabile": la risposta è "sì";
3) "condizioni locali di esercizio favorevoli all'insorgere dell'incendio": la risposta è "sì";
4) "esposizione delle persone": la risposta è "no";
5) "probabile propagazione nella fase iniziale": la risposta è "no";
6) "pericolo di danno immediato o difficoltà di evacuazione": la risposta è: "no".
Il risultato ottenuto con le risposte sopra riportate è (lo si vede nell'ultima casella dello schema) "classe di rischio medio". D'altronde, nella tabella riepilogativa della "valutazione del rischio incendio" (v. da foglio n. 298) apprendiamo che in tutto lo stabilimento di Torino tale rischio era stato valutato come "medio" per tutti gli impianti produttivi su cui si svolgevano le lavorazioni (anche sulla Linea 4 che, secondo i difensori, era più "rischiosa" della 5, v. capitolo 12); "basso" in altre zone non legate alle linee (come il "piazzale"; alcuni depositi); "alto" solo in alcuni locali sotterranei ed in alcuni tratti delle gallerie.
La Corte non può non rimarcare l'evidente erroneità delle risposte che il compilatore ha dato alle sue stesse domande, allo scopo - la Corte non riesce ad individuarne altri - di ottenere un risultato di "rischio medio"; come abbiamo appena sopra riportato (v.), al Foglio 14 paragrafo 2, sotto il titolo "identificazione delle persone esposte a rischi di incendio" il redattore ha indicato 5 lavoratori per ogni turno "presenti normalmente nell'area in esame", oltre a 2 manutentori e 3 persone di imprese esterne; come possa, al Foglio immediatamente successivo, nella compilazione dello schema, rispondere "no" alla domanda "esposizione delle persone" è francamente incomprensibile, oltre che in contraddizione con se stesso. Contraddizione che ritorna nello stesso documento al Foglio 303, in cui si afferma che "...tutto il personale è potenzialmente esposto al rischio di incendio" e, per l'individuazione in relazione ai posti di lavoro e mansioni, si richiama "la tabella di sintesi nel doc. di valutazione dei rischi (DOC-004)"; al foglio 8 del DOC 004 (nel documento generale di valutazione del rischio, v.) si trovano gli "addetti" alla Linea 5: un totale di 20, pari a 5 per turno (i turni erano 3; gli altri 5 lavoratori esposti dovrebbero quindi essere i 2 manutentori ed i 3 delle imprese esterne, come indicato nel documento di valutazione rischio incendio).
Se poi si ricorda che il "piano di emergenza" costituisce parte integrante del documento di valutazione del rischio (e in particolare proprio del rischio incendio, considerato l'oggetto di entrambi) e che secondo tale "piano" (v. sopra capitolo 5) gli addetti agli impianti - i 5 lavoratori per turno qui sopra indicati - dovevano intervenire (se "istruiti", ma v. capitolo 5) loro direttamente con gli estintori, purché l'incendio non fosse di "palese gravità" (v. sempre capitolo 5), la risposta "no" a quella domanda è certamente errata, evidentemente priva di collegamento non solo con la realtà dei fatti, ma anche con quanto esposto dal redattore nello stesso documento ed in quelli che lo integrano.
Ma questa non è l'unica risposta errata: lo è anche il "no" alla domanda sulla "probabile propagazione nella fase iniziale"; per rispondere a questa domanda, si deve ovviamente "conoscere" l'impianto in oggetto; ma la descrizione della Linea 5, sotto questo profilo, è stata quasi completamente omessa; e non è completa neppure la descrizione contenuta nel documento generale di valutazione del rischio (v. sopra). Esaminando il documento ci si accorge infatti come esso non contenga una serie di indicazioni - relative al processo produttivo - che connotavano, in particolare per quanto qui rileva, la linea 5: la presenza - anche per la movimentazione degli ASPI svolgitori ed avvolgitori - di "centraline" idrauliche collegate - anche alla "centrale" sotterranea - tramite decine di tubi, flessibili e non, contenenti olio in pressione (a 140 bar); il fatto che - durante la "normale" lavorazione - dai nastri in svolgimento "gocciolasse" olio di laminazione; omissione che costituisce una prima, precisa violazione delle "linee guida" del citato D.M. 10/3/1998; che al punto 1.4.1.1. classifica i "prodotti derivati dalla lavorazione del petrolio" come esempio di "...materiali presenti nei luoghi di lavoro (che) costituiscono pericolo potenziale poiché essi sono facilmente combustibili o infiammabili o possono facilitare il rapido sviluppo di un incendio". Attenzione: non solo non si indica la presenza di olio di laminazione né delle condutture di olio idraulico, ma, limitandosi ad indicare "olio delle macchine" come "combustibile", non si fa neppure cenno alle "condizioni" in cui quest'ultimo si presentava: cioè ad alta pressione.
Leggendo tale documento non ci si rende neppure conto che la - normale -lavorazione sulla linea 5 comportava lo svolgimento ed il riavvolgimento non del solo rotolo di acciaio, ma di eguali - quanto a dimensione - rotoli di carta infraspira a protezione; cosicché, da tale documento, non è possibile sapere che, anche durante la "normale" lavorazione, erano presenti ingenti quantità di carta intrisa di olio di laminazione, certamente "sostanza facilmente combustibile" come indicata nel punto 1.4 del D.M. 10/3/1998.
Così, senza tenere conto di tutti questi dati, il compilatore del documento risponde "no" alla possibilità di propagazione dell'incendio in fase iniziale; ma non certamente sulla base di dati "tecnici" (peraltro non indicati) o per la presenza di impianti di rilevazione e spegnimento - di cui ben sappiamo che la Linea 5 era completamente priva (salvo che nel locale seminterrato e alle cabine elettriche).
In conclusione, rispondendo correttamente "sì" a queste due domande, si sarebbe ottenuta, con lo stesso grafico, una classe di rischio incendio "alto" che evidentemente l'azienda non voleva che risultasse; perché l'avrebbe obbligata a prendere quei provvedimenti che, in particolare su Torino, non era intenzionata a prendere: sottolineando, sotto il profilo temporale, che il documento porta la data del 22/5/2007: abbiamo già accennato sopra e vedremo infra nei capitoli successivi (v. in particolare il 12) l'importanza, la "priorità" che aveva assunto per tutto il gruppo THYSSEN KRUPP, sotto la spinta della STAINLESS, la prevenzione e protezione dagli incendi, soprattutto per le linee di ricottura e decapaggio, dopo l'incendio di Krefeld (giugno 2006).
Ancora sullo "schema" di cui sopra, la Corte deve osservare che non appare neppure corretta la risposta "no" alla domanda "pericolo di danno immediato"; certamente la presenza delle centraline idrauliche e delle condutture - flessibili e non - di olio ad alta pressione costituivano "pericolo di danno immediato" (su questo v. qui infra, oltre che capitoli 11 e 12); l'unica risposta alle due domande "confinate" nella stessa casella comporta quindi un altro errore relativamente a questa prima domanda; mentre correttamente era possibile rispondere "sì" alla seconda, cioè alla mancanza di "difficoltà di evacuazione" (considerate le dimensioni del corridoio lato operatore).
Nel documento si parla ancora della Linea 5 ma non più della zona in cui si trova il vero e proprio "impianto"; infatti l'area 3 riguarda i "locali elettrici e trasformatori linea 5"; l'area 4 il "deposito materiale semilavorato e rotoli di carta"; l'area 5 la "sala pompe olio linea 5", quella più volte citata, al piano interrato.
Le critiche ed il focalizzarsi, da parte della Corte, sulle omissioni, errori e mancanze che connotavano il documento di valutazione del rischio incendio, quantomeno - nella parte qui esaminata - con riguardo alla Linea 5, possono derivare semplicisticamente da un giudizio ex post, perché la Corte conosce i tragici eventi accaduti e le cause che li hanno determinati? La Corte deve serenamente rispondere di no, perché i vertici ed i dirigenti dell'azienda erano ben consapevoli dei "rischi" di incendio esistenti anche sulla Linea 5, come dimostrano gli elementi ed i documenti che andiamo ora ad esaminare.
Nel "manuale di uso e manutenzione" della Linea LAF 4 di Terni (secondo i tecnici ed i testi sentiti, simile alla Linea 5 di Torino: tra i documenti in sequestro non c'è il manuale operativo della Linea 5) a pag. 110, al punto intitolato "Rischio di incendio" si legge: "Poiché la linea compie lavorazioni che prevedono l'uso di carta (a volte anche intrisa di olio di laminazione) e di fluidi idraulici, durante le fasi di lavorazione, potrebbero prodursi sostanze che favoriscono l'innescarsi di un incendio. Eventuali perdite di olio, che possono verificarsi durante le fasi di manutenzione o in caso di rotture di componenti, costituiscono rischio residuo di incendio e dovranno pertanto essere eliminate alla loro formazione per non costituire ristagni pericolosi. Per questi motivi, l'utilizzatore deve predisporre adatti sistemi antincendio per il rischio residuo dovuto allo svilupparsi di un incendio, deve istruire adeguatamente operai e manutentori al riguardo ed accertarsi che le istruzioni impartite siano state recepite"; a pag. 91, punto 3.7, si trovano le dettagliate indicazioni per la manutenzione sui "sistemi idraulici e pneumatici"; senza qui riportare tutte le cautele consigliate (v.), appare sufficiente riportare gli "effetti" del - solo - olio a quella pressione: "Attenzione! Un getto d'olio può perforare la pelle ed entrare nel flusso sanguigno; in questo caso prestare immediato soccorso medico" per concludere: "se questi avvertimenti vengono ignorati esistono serie possibilità di incidenti al personale".
In occasione della visita (aprile 2007: quindi subito prima dell'ultima versione del documento in esame) nello stabilimento di Torino da parte dell'ing. BR. e dell'ing. WE. della AXA ASSICURAZIONI (v. infra, capitolo 12), nella "presentazione" dello stabilimento preparata dall'ing. LU. (teste citato, v.; presentazione alla quale si rimanda per i dettagli e che contiene certamente delle "inesattezze": come la descrizione della procedura in caso di emergenza v.) si indica espressamente, per la Linea 5, la "zona di saldatura" come "area" da proteggere: "zona di saldatura con adiacenti impianti ad olio idraulico - pericoli di processo.
- Carico di incendio dovuto all'olio idraulico nella zona adiacente: circa 0,3 m. cubi
- Pericolo che l'incendio si propaghi per combustione/rottura delle tubazioni dei manicotti estremamente rapido favorito dall'alta pressione dell'olio;
- Possibili sorgenti di innesco di incendio: scintille da saldatura."
LU. esamina una sola delle sorgenti di innesco presenti sulla linea 5 (le scintille da saldatura: non menziona il "grippaggio" né lo "sfregamento") ed indica il solo olio idraulico presente nella "centralina", senza dare atto del collegamento con la centrale sotterranea e senza evidenziare il "dedalo" di tubi, flessibili e no, percorrenti tutta la linea; ma appare evidente come, sia pure con "censura" ovvero "autocensura" (l'obiettivo dell'azienda, come si vedrà infra, era di "abbattere" la franchigia che l'assicurazione aveva imposto sulle linee di ricottura e decapaggio dopo l'incendio di KREFELD con i minori interventi e, quindi, con il minor "costo" possibile; per Torino, alla fine, senza nessun costo prima del trasferimento a Terni degli impianti, v. infra, in particolare capitolo 16), l'ing. LU. - e certamente, in azienda, non solo lui - aveva ben presente quale fosse lo "scenario" di incendio possibile dovuto alla combinazione tra sorgenti di innesco e prossimità di impianti ad olio idraulico. Tanto che lo stesso LU. aveva chiesto a MANG., BON., DE. e CAF. i "volumi idraulici su linee di trattamento", come emerge da una e-mail in data 6/3/2007 (in cartaceo, nel faldone 3, tra i documenti sequestrati con verbale in data 11/12/2007 alle ore 18,15 nei confronti dell'imputato SA.: l'indicazione è 54/0/PERQ.) del seguente tenore: "Gentili Gest. Man linea 4 e 5, per la valutazione del rischio incendio sulle linee di trattamento di Vs. interesse mi è stata richiesta la quantità in metri cubi di olio presente nelle centraline idrauliche e serbatoi/fusti o quanto altro sulle linee 4 e 5. Potete fornirmi al più presto questi numeri? (se potete fornitemi, inoltre, una stima di quanto olio può essere presente nelle tubazioni in prossimità di aspi devolgitori e saldatrici)".
È sempre di quel periodo - si tratta di un documento aziendale (foglio di calcolo in formato excell), estratto dai p.c. in sequestro, non firmato, che risulta "salvato" da GIO. (teste citato; subordinato direttamente a CAF.) per l'ultima volta il 5/5/2007 - uno "schema" in cui si elencano i "rischi" incendio nei vari impianti dello stabilimento di Torino (v.). È opportuno riportarlo testualmente: per la Linea 5 (v. da A62 a F62) nella zona "ASPI INGRESSO" gli elementi di rischio sono: "Olio idraulico e di laminazione; Carta; Org. Mecc. in Mov."; le possibili anomalie: "Grippaggio; Sgocciolamento olio dai rotoli"; il rischio: "incendio"; i Provvedimenti in atto: "Estintori port. e carrellati a CO2, Idranti a parete"; gli ulteriori provvedimenti da adottare: "Curare la pulizia delle fosse; Aumentare il numero delle Ispezioni; spostamento comandi oleodin. Cambio cavi".
Viene qui considerata precisamente - nel maggio 2007 - la zona di entrata della Linea 5, in cui si è poi sviluppato l'incendio del 6/12/2007; si elencano espressamente gli elementi di rischio incendio: presenza di olio di laminazione e idraulico e carta; le sorgenti di innesco: grippaggio e organi meccanici in movimento; ma un altro profilo appare qui doveroso sottolineare, perché conferma ancora una volta come quanto avvenuto quella tragica notte fosse non solo prevedibile, ma addirittura - tecnicamente - previsto in un documento aziendale: l'indicazione, come "cautela" da adottare, di "spostare" i comandi (la "centralina") oleodinamici per, evidentemente, "allontanare" proprio il rischio di "flash fire".
Invece, nel "documento di valutazione del rischio incendio", nell'ultima versione del 22/5/2007, l'azienda, come già accennato, dopo avere "omesso" di considerare il - reale - processo di lavorazione, "valuta" erroneamente il rischio incendio della Linea 5 come "medio", in forza dello "schema" (v.) già sopra esaminato.
La Corte deve quindi affermare che il documento di valutazione del rischio - in generale - e il documento di valutazione del rischio incendio in particolare - relativo allo stabilimento di Torino: ometteva di valutare e, quindi, di prevenire il rischio incendio sulla Linea 5; individuandolo solo - erroneamente - come rischio "medio" - anziché "elevato"; violando così le prescrizioni contenute nel D.M. 10/3/1998; ometteva di individuare e di segnalare la possibilità di rapida propagazione, determinata dalla presenza di combustibile, sia sotto forma di olio di laminazione, sia sotto forma di carta intrisa dello stesso olio; ometteva infine di individuare il rischio costituito dalle "centraline" idrauliche a bordo linea e dalle condutture - flessibili e non - di olio in pressione a 140 bar.
Vedremo infra, in dettaglio, come il "datore di lavoro", per lo stabilimento di Torino e per la Linea 5 in particolare dovesse valutare il rischio derivante dall'olio in pressione contenuto nelle condutture, flessibili e non, sulla base anche di plurime norme "tecniche" universalmente conosciute e seguite nel mondo imprenditoriale, tanto più in uno stabilimento facente parte di un gruppo multinazionale, con la concreta possibilità di appoggiarsi ad alte professionalità tecniche interne ed a consulenti esterni.
Ma i già sopra citati documenti - semplici "manuali operativi" e schemi redatti da tecnici aziendali "interni" - consentono di affermare che lo "scenario" purtroppo realizzatosi la notte del 6 dicembre 2007 e in particolare il ed. "flash fire" si presentasse agevolmente prevedibile e rappresentabile sulla base di conoscenze tecniche "medie" - e patrimonio tecnico consolidato: sicuramente non di carattere "innovativo" - in materia di "rischio" incendi; certo applicandole alla lavorazione nei vari impianti, tra cui la Linea 5.
La mancata applicazione alla realtà - che dovrebbe, come appare banalmente ma tragicamente ovvio, guidare tali "valutazioni" tecniche - è uno degli evidenti difetti che si riscontra nei documenti esaminati; a questo proposito appare interessante citare anche le "direttive per l'attuazione dell'approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio" contenute nel decreto ministero dell'interno 9/5/2007, pubblicato sulla G.U. il 22/5/2007 (entrato in vigore nell'agosto 2007), in particolare nell'allegato intitolato "processo di valutazione e progettazione nell'ambito dell'approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio"; non per contestare ulteriori omissioni all'azienda, ma perché conferma - se ve ne fosse necessità - la indispensabile "prospettiva" di aderenza alla realtà appena sopra ricordata. Richiamando qui l'intero "allegato", appare utile riportare parte del punto 3: "3.4.2. L'identificazione degli elementi di rischio incendio che caratterizzano una specifica attività, se condotta in conformità (a quanto indicato dai DM. 4/5 e 10/3/1998, n.d.e.)...permette di definire gli scenari d'incendio, intesi quali proiezioni dei possibili eventi di incendio. Nel processo di individuazione degli scenari di incendio di progetto (definito nello stesso D.M., n.d.e.) devono essere valutatigli incendi realisticamente ipotizzabili nelle condizioni di esercizio previste, scegliendo i più gravosi per lo sviluppo e la propagazione dell'incendio, la conseguente sollecitazione strutturale, la salvaguardia degli occupanti e la sicurezza delle squadre di soccorso".
Come abbiamo già accennato e vedremo infra, la THYSSEN KRUPP AST era, nel periodo successivo al giugno 2006 (cioè dopo il già citato incendio di Krefeld nello stabilimento THYSSEN KRUPP NIROSTA, su cui v. infra, capitolo 12), anche sollecitata dalla casa-madre ad individuare i "rischi" di incendio soprattutto sulle linee di ricottura e decapaggio degli stabilimenti italiani (così come nel resto del mondo); appare qui sufficiente ricordare una e-mail datata 16/1/2007, inviata da RI. M. (teste citato; responsabile, in quel periodo, del Working Group Stainless, su cui v. infra) anche a ME. ed a DE. (testi citati) con allegate, affinché le compilino, delle "matrici sulle misure di lotta antincendio per le linee di ricottura e decapaggio"; in tali matrici si chiede una compilazione rispecchiante la "situazione attuale" delle linee, suddivise nelle varie "sezioni" (ingresso, saldatrice, sgrossatura, accumulo ecc.), quanto ai "carichi" di incendio": olio, grasso, carta, legname, materie plastiche; quanto alle "sorgenti di innesco: nastro caldo, corto circuito elettrico, connessioni elettriche staccate, sovraccarico elettrico, difetto dei cuscinetti, temperatura di processo, scintille, attività di manutenzione, sigarette"; così da potere - realmente - "valutare" il rischio.
Quanto appena esposto riguarda, ad avviso della Corte, la "normale" lavorazione - le "condizioni di esercizio" - presente sulla Linea 5; si deve ora ricordare come, nell'ultimo periodo e, soprattutto, dopo la comunicazione della decisa "dismissione" dello stabilimento di Torino - secondo quanto già ampiamente esposto sopra, v. - le condizioni di lavoro - le "condizioni di esercizio" - nello stabilimento e nella Linea 5 fossero divenute ben più "rischiose" proprio in materia di "incendi" (per tutti i motivi già indicati): non può quindi porsi in dubbio l'applicazione - anche - del 7° comma dell'art. 4 del D.Lgs 626/94, in cui si impone al datore di lavoro di "rielaborare" il documento di valutazione del rischio "in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori".
I difensori degli imputati contestano l'applicazione di tale comma al caso di specie - negando quindi l'obbligo del datore di lavoro - sottolineando come la "dismissione" dello stabilimento di Torino non comportasse alcuna modifica del "processo produttivo", in particolare sulla Linea 5; le "modifiche" causate dalla "dismissione" riguardavano, secondo i difensori, solo l'aspetto "organizzativo" e non "produttivo"; in sostanza, sugli impianti ancora in funzione, compresa la Linea 5, il modo di "produzione" era immutato, tanto che non era necessaria la prescritta "rielaborazione" del documento di valutazione dei rischi.
La Corte ritiene che non sia così: sulla natura del documento di valutazione dei rischi, anche nella parte dedicata al "rischio incendi" e sul fatto che non si tratti di un adempimento "burocratico" da assolvere in cartaceo con considerazioni di tipo generale ed astratto, possibilmente scaricabili da internet, ma che debba invece rispecchiare la realtà dell'unità economico-produttiva, fotografandola con la conoscenza, consapevolezza e professionalità che solo il datore di lavoro (con l'eventuale ausilio di consulenti esperti) può e deve avere, abbiamo già detto.
Allora, che in fatto la decisa "dismissione" dello stabilimento di Torino abbia inciso - pesantemente - sulla "sicurezza" dei lavoratori e che, quindi, le "modifiche" intervenute fossero più che "significative" ai fini della sicurezza (e della incolumità e della vita) dei lavoratori, la Corte ritiene qui di poterlo affermare solo richiamando quanto già esposto nei capitoli precedenti (v. sopra); si trattava però solo di cambiamenti di tipo "organizzativo" e non "produttivo", come sostenuto dai difensori degli imputati? La Corte ritiene di no; sia perché anche i "lavoratori", il "personale dipendente", secondo il linguaggio economico, costituisce uno dei fattori di produzione; sia perché, nel caso concreto, gli aspetti "organizzativi" avevano, di fatto, modificato anche il "processo produttivo", cioè le concrete condizioni di esercizio della attività produttiva: è sufficiente qui citare il continuo cambio di mansioni tra i lavoratori sui vari impianti, unito alla omessa loro formazione: così come tutti i fattori già elencati che causavano il moltiplicarsi del rischio incendio sugli impianti in generale e, per quanto qui rileva, sulla Linea 5.
Si deve solo aggiungere come risulti violata anche la prescrizione del comma 5 lettera b) dello stesso articolo 4, che prescrive al "datore di lavoro" di aggiornare le "misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori"; abbiamo ampiamente esaminato come, soprattutto dopo la comunicazione della decisione di dismettere lo stabilimento di Torino, non solo i responsabili dell'azienda non abbiano provveduto a tale "aggiornamento", ma abbiano consentito a che tutta la materia della sicurezza venisse, di fatto, "dimenticata": tanto, si stava "chiudendo".
Tribunale di Torino, Seconda Corte di Assise, 14 novembre 2011, n. 31095 - Sentenza Thyssenkrupp - 9 Il DVR
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