REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GRAZIA Benito Romano
Dott. MARZANO Francesco
Dott. ROMIS Vincenzo
Dott. FOTI Giacomo
Dott. BIANCHI Luisa

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
R.P.A., n. in ***;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 13.02.2006;
Udita in Pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Galasso Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore del ricorrente, avv. Di Palma Raffaele, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

OSSERVA

1. Il 22 aprile 2004 il Tribunale, in composizione monocratica, di Milano - Sezione distaccata di Rho - condannava R.P.A. a pena detentiva ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa nella sua esecuzione, per imputazione di cui agli artt. 590 e 583 c.p.. Sul gravame dell'imputato, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 13 febbraio 2006, convertiva la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, revocando la disposta sospensione condizionale della stessa, concedeva il beneficio della non menzione della condanna e confermava nel resto.
Si contestava a tale imputato, nella sua qualità di socio amministratore della s.n.c. M., di aver cagionato al lavoratore dipendente C.E. lesioni gravissime (la perdita di entrambe le mani e di parte degli avambracci) per colpa, consistita in imperizia, negligenza ed imprudenza e, in particolare, per aver consentito e comunque non impedito l'uso da parte del lavoratore di una macchina rullatrice calandra, non adeguatamente protetta dai prescritti presidi di sicurezza.

Quel giorno, il C., nel procedere alla lavorazione con tale macchina di una lamiera di rame, il lavoratore si era erroneamente collocato sul lato ovest della stessa, ove erano posizionati i rulli rotanti, invece che frontalmente rispetto al piano di lavoro, ove avrebbe dovuto essere appoggiato il manufatto da lavorare; infilava, quindi, la lamiera direttamente tra i rulli, ove, di regola usciva il prodotto lavorato, ma, "durante l'accompagnamento della lamina tra i rulli, scivolava con il conseguente trascinamento, detroncazione delle mani e degli avambracci".
Rilevavano i giudici del merito che la macchina aveva due possibili vie di accessoria prima "dal lato lungo... ove era accessibile il piano di lavoro, sul quale andava posizionato il foglio da rullare", la seconda "laterale, o lato ovest della macchina, ove solitamente venivano inserite le lamiere arrotolate in bobine...", che "presentava maggiori rischi, poiché l'accesso ai rulli in movimento era diretto ed immediato..."; e che entrambe tali vie di accesso non "disponevano di alcun dispositivo di protezione ed entrambe, invece, era necessario che lo avessero". Richiamavano la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto "credibile la versione del C. di aver inserito, per tutto il giorno, anche alla presenza del S., i fogli di lamiera, non nel modo corretto, ma dal lato ingresso dei rotoli, al fine di affermare che quella prassi errata era tollerata e consentita dal titolare e dai capi-officina", e ritenevano inattendibile la diversa versione fornita dal S. medesimo. Ritenevano, infine, che la condotta del lavoratore non poteva ritenersi del tutto abnorme ed imprevedibile e che non poteva riconoscersi un suo concorso di colpa nella determinazione dell'evento, non avendo egli "il dovere di rifiutare la prestazione di lavoro ove l'imprenditore non adempia alle disposizioni delle leggi di prevenzione degli infortuni...".

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, denunziando:
a) vizi di violazione di legge e di motivazione, sotto il profilo che illegittimamente i giudici del merito avevano escluso connotazioni di abnormità al comportamento serbato dal lavoratore, "tale da incidere sul nesso di causalità con l'evento e sulla colpa attribuita all'imputato". Premesso che "sul piano processuale... tale elemento di colpa esulava completamente dalla contestazione", deduce che "sul piano sostanziale... l'esclusione dell'abnormità ed eccezionalità del soggetto offeso, che pure emergevano dalla diversa versione dei fatti fornita dal teste S., è effettuata dal giudice di appello nel liquidare nel modo che segue la detta deposizione: "... non appare credibile, perché proveniente pur sempre da uno dei soci della M. s.n.c. ed in quanto ispirata da evidenti intenti difensivi"...", palesandosi tale motivazione "del tutto illogica ed apodittica" e non avendo la sentenza impugnata accennato ad altre due deposizioni, dei testi F.D. e T.O., "i quali avevano pure confermato l'usuale e corretto modus operandi alla macchina, sempre osservato in azienda", tanto rilevando ai sensi del novellato disposto dell'art. 606 c.p.p., lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006. Illegittimamente, inoltre, la sentenza impugnata aveva ritenuto che "l'abnormità e/o imprevedibilità della condotta del lavoratore... non ha rilievo ed effetto esimente ove il datore di lavoro-imputato sia incorso in una colpa specifica, per aver violato prescrizioni in materia antinfortunistica. Soggiunge che "non ha ricevuto risposta", nel gravato provvedimento, il rilievo difensivo secondo cui "il comportamento del lavoratore... non era stato già meramente imprudente, ma era stato deliberatamente volto a violare i doveri impostigli, le istruzioni ricevute, in definitiva le stesse prescrizioni normative";
b) il vizio di violazione di legge, quanto al denegato concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell'evento. "La sentenza impugnata - rileva il ricorrente - non esclude affatto quegli elementi di colpa, oltre che generica anche specifica, che potevano essere ravvisati nei confronti del lavoratore infortunato..." e "tale concorso non può non incidere sul corrispondente grado della colpa dell'imputato e, quindi, sulla misura della pena, ex art. 133 c.p., comma 1";
c) il vizio di violazione di legge. La Corte territoriale - lamenta il ricorrente - applicando la subordinata ed invocata sostituzione della pena detentiva già inflitta con la corrispondente sanzione pecuniaria, ha, tuttavia, revocato di ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena, già concesso", così violando "il divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597 c.p.p., comma 3.

3.0 Deve innanzitutto rilevarsi che, commesso il fatto di reato in questione il ***, non si è a tutt'oggi perento il termine prescrizionale massimo di legge, dovendosi tener conto del periodo di sospensione dall'udienza del 9 ottobre 2003 (rinviata su richiesta dell'imputato) a quella del 18 dicembre 2003.

3.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come, difatti, ha altre volte avuto modo di chiarire questa Suprema Corte, un comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore; tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, tale comportamento, in tal caso, non essendo affatto eccezionale ed imprevedibile (cfr., ex ceteris, Cass., Sez. 4ª, n. 47146/2005; id., Sez. 4ª, n. 38850/2005; id., Sez. 4ª, n. 40164/2004). Siffatte connotazioni di abnormità, nei limiti indicati, non è dato cogliere, nella specie, nel comportamento del lavoratore infortunato, alla stregua delle circostanze fattuali esplicitate dai giudici del merito; in un contesto in cui, innanzitutto, prevedendo la macchina "due ipotesi di lavorazione, disponendo di due diversi accessi", entrambe tali "vie di accesso ai rulli... non disponevano di alcun dispositivo di protezione ed entrambe, invece, era necessario che lo avessero"; ed in cui, poi, "il sinistro si verificava non certo a causa della condotta anomala del lavoratore, quanto piuttosto per la palese inesistenza o inadeguatezza dei dispositivi di sicurezza".
E neppure è dato cogliere connotazioni di manifesta illogicità della sentenza impugnata in riferimento alle deposizioni rese dal teste S., non essendo affatto illogico ritenere non pienamente attendibile, a fronte di altre contrapposte acquisizioni processuali, le dichiarazioni di chi, socio della società datrice di lavoro, sia ritenuto portatore di un interesse specifico alla soluzione della controversia. Né valenza logicamente preclusiva rispetto al divisamento, espresso è dato rinvenire nelle evocata deposizioni rese dai testi F. e T.: queste non sono richiamate affatto dalla gravata pronuncia, che su di esse quindi non si fonda. Tali testi, peraltro, hanno riferito del funzionamento della macchina, ma non hanno affatto esplicitamente affermato che la prassi corretta venisse effettivamente osservata e fatta osservare soprattutto nei confronti del lavoratore infortunato, chiarendo F. (anch'egli socio della società datrice di lavoro: "sono un socio, lavoro generalmente fuori") - a fronte della domanda, "chi erano le persone addette a dare istruzioni al signor C. sulle modalità della lavorazione?" - che "non c'era nessuno in particolare... Fuori ci pensavo da me, in officina R. penso che sia stata la persona che ha dato più... essendo io quasi sempre senza fuori a lavorare...".

3.2 Fondato, invece, si palese il secondo profilo di censura.
Il concorso di colpa della persona offesa era stato, invero, subordinatamente dedotto dall'imputato con l'atto di appello. Sul punto la sentenza impugnata ha risposto che "il lavoratore dipendente non ha il dovere di rifiutare la prestazione di lavoro ove l'imprenditore non adempia alle disposizioni delle leggi di prevenzione degli infortuni..." e che solo "per tale motivo non può che escludersi l'eventuale e profilato concorso di colpa del lavoratore nella determinazione del sinistro". E però, non si tratta qui, in riferimento al punto dedotto, di delibare se il lavoratore potesse o meno rifiutare la prestazione in presenza di quelle deficitarie condizioni di prevenzione, ma di verificare se, pur in assenza di queste (assenza che fonda la colpa del datore di lavoro) il comportamento imprudente del lavoratore abbia contribuito pur esso, con nesso di efficienza causale, alla determinazione dell'evento, tenendo presente il contesto di specie (l'accesso alla macchina effettuato non dalla "via più comoda e normale che avrebbe dovuto seguire il lavoratore", la mancanza, comunque, dei dispositivi di sicurezza su entrambe le vie di accesso alla macchina, le dovute informazioni sull'uso di questa che il lavoratore avrebbe dovuto ricevere, ecc.) ed il relativo giudizio controfattuale.

3.3 Fondato, infine, è anche il terzo ed ultimo motivo di doglianza, giacché, in presenza di appello del solo imputato ed in mancanza di specifica richiesta al riguardo, il giudice del gravame non può revocare benefici già concessi dal primo giudice, con reformatio sostanzialmente in peius sul punto.

4. La sentenza impugnata va, dunque annullata, limitatamente ai punti concernenti il concorso di colpa della persona offesa (eventualmente incidente anche sul trattamento sanzionatorio) e la revoca della sospensione condizionale della pena, con rinvio su tali punti ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Il ricorso va nel resto rigettato.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente ai punti concernenti il concorso di colpa della persona offesa e la revoca della sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2006